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Caro bollette: gli italiani prelevano dai conti 50 miliardi dopo tre anni di risparmi

AGI – L’onda lunga della crisi economica causata dalla pandemia e, soprattutto, l’aumento delle bollette energetiche si fanno sentire sui risparmi di aziende e cittadini: i ‘salvadanai’ degli italiani, dopo quasi tre anni di crescita costante, invertono la tendenza alla crescita e fanno segnare una riduzione di oltre 50 miliardi di euro. Si tratta di una diminuzione del 2,4% in appena tre mesi: a luglio, infatti, l’ammontare delle riserve delle famiglie e delle imprese depositate nelle banche del Paese era a quota 2.097 miliardi, mentre a ottobre è calato a 2.047 miliardi.

È quanto emerge da una analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo la quale il deflusso improvviso potrebbe avere qualche ripercussione sulla raccolta degli istituti di credito, perché potrebbe diventare più costosa, e, quindi, in prospettiva, taluni effetti negativi sugli impieghi, in particolare sui tassi di interesse praticati sui prestiti concessi alla clientela.

“Quella che abbiamo sotto gli occhi – commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara – è la fotografia di una situazione drammatica, che noi, purtroppo, avevamo prospettato da tempo. Stanno venendo meno le forze e la liquidità, sia per le famiglie sia per le imprese, specie quelle più piccole. I costi sono insostenibili, le bollette energetiche non più gestibili. Ecco perché, chi ha la possibilità attinge alle proprie riserve. Al governo riconosciamo l’impresa di aver confezionato una legge di bilancio comunque positiva e in tempi brevissimi, tuttavia segnaliamo l’urgenza di avviare un piano straordinario di interventi pubblici e di sostegni a partire da gennaio”.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha analizzato i dati della Banca d’Italia relativi, il totale delle riserve delle famiglie e delle imprese, si è attestato a 2.047 miliardi di euro a ottobre scorso, in calo di 50 miliardi (-2,4%) rispetto ai 2.097 miliardi di luglio.

Fino a quel momento, da oltre due anni si era registrata una crescita costante: 1.823 miliardi a dicembre 2019, 1.956 miliardi a dicembre 2020, 2.050 miliardi a ottobre 2021, 2.075 miliardi a dicembre 2021. Una tendenza all’accumulo che è proseguita per tutto l’anno in corso, salvo invertire la rotta da agosto in poi per calare fino ai 2047 miliardi di ottobre. Su base annua, da ottobre 2021 a ottobre 2022, la diminuzione è di 3 miliardi (-0,1%), mentre la variazione complessiva del periodo osservato, da dicembre 2019 a oggi, rivela una crescita di 252 miliardi (+13,8%).

Sono soprattutto i conti correnti, la forma di accumulo più utilizzata da aziende e cittadini, sia durante la fase di accumulo sia come fonte a cui attingere in caso di liquidità necessaria in tempi rapidi: il saldo totale era pari a 1.182 miliardi a fine 2019, a 1.349 miliardi a fine 2020, a 1.449 miliardi a ottobre 2021 e a 1.480 miliardi a dicembre 2021; e ancora in aumento fino a 1.497 miliardi fino a luglio 2022, poi la discesa di 45 miliardi (-3,0%) a 1.452 miliardi toccati a ottobre scorso; la variazione annuale, da ottobre 2021 a ottobre 2022, fa emergere un aumento lieve di 3 miliardi (+0,2%), quella complessiva del periodo osservato porta alla luce una crescita rilevante di 298 miliardi (+25,2%).

Più lineare l’andamento dei saldi totali delle altre forme di deposito e accumulo di liquidità: per quanto riguarda i depositi con durata prestabilita, il saldo era 216 miliardi a dicembre 2019, a 207 miliardi a dicembre 2020, a 186 miliardi a ottobre 2021, a 188 miliardi a dicembre 2021, a 175 miliardi a luglio 2022 e a ottobre scorso; se non si registra alcuna variazione tra luglio e ottobre, su base annuale, la diminuzione è di 11 miliardi (-5,9%) e quella complessiva del periodo osservato è di 28 miliardi (-13,0%). Per quanto riguarda i depositi rimborsabili con preavviso, il saldo era 306 miliardi a dicembre 2019, a 313 miliardi a dicembre 2020, a 316 miliardi a ottobre 2021, a 315 miliardi a dicembre 2021, a 319 miliardi a luglio 2022 e a ottobre scorso; se non si registra alcuna variazione tra luglio e ottobre, su base annuale, la crescita è di 3 miliardi (+0,9%) e quella complessiva del periodo osservato è di 9 miliardi (+2,9%). Per quanto riguarda i pronti contro termine, il saldo era 119 miliardi a dicembre 2019, a 87 miliardi a dicembre 2020, a 99 miliardi a ottobre 2021, a 92 miliardi a dicembre 2021, a 106 miliardi a luglio 2022 e a 101 miliardi a ottobre scorso; è un calo di 5 miliardi (-4,7%) la variazione tra luglio e ottobre, su base annuale, invece, c’è una la crescita è di 2 miliardi (+2,0%); complessivamente, nel periodo osservato si è registrato un calo di 27 miliardi (-22,7%).


Caro bollette: gli italiani prelevano dai conti 50 miliardi dopo tre anni di risparmi

Morning Bell: l’ottimismo dei mercati dopo i dati sull’inflazione Usa

AGI – I mercati ritrovano l’ottimismo dopo i dati di ieri sull’inflazione americana. Dati che mostrano un rallentamento dell’economia a stelle strisce più marcata del previsto e che quindi allontanano, almeno ora, lo spettro di aumenti consistenti dei tassi di interesse da parte della Fed. Male quindi bene, nell’ottica degli investitori.

L’indice dei prezzi al consumo annuale, aggiornato a ottobre passa infatti dall’8,2 della precedente rilevazione al 7,7%, ben al di sotto dell’8 atteso. Nel frattempo aumenta il numero delle richieste iniziali di sussidi di disoccupazioni, da 218 mila a 225 mila (al di sopra dei 220 mila attesi). E le Borse festeggiano.

A New York ieri le contrattazioni si sono chiuse con il Dow Jones a +3,69%, lo S&P 500 a +5,43% e il Nasdaq addirittura a +7,35%. Lo S&P 500 e il Nasdaq hanno registrato il balzo giornaliero più grande dall’aprile 2020, un vero record. Ottimismo anche in Asia dove tutti i principali indici procedono in netto rialzo con l’Hang Seng di Hong Kong che al momento fa registrare un +7,67%. Future europei e americani ancora in rialzo e future sull’oro in ribasso.

Il market mover della giornata potrebbe essere sicuramente il Pil mensile, trimestrale e annuale della Gran Bretagna, atteso in flessione così come le sua produzione manifatturiera.  L’euforia dei mercati delle ultime ore potrebbe però non durare così a lungo. 

Nel settimo bollettino economico dell’anno la Bce ha scritto che “sebbene si riscontrino alcune circostanze positive per l’economia mondiale” ma che “persistono rischi al ribasso” e che per questo si prevedono “ulteriori incrementi (dei tassi di interesse, ndr) per assicurare che l’inflazione torni tempestivamente in linea con l’obiettivo di medio termine”.

Il Consiglio direttivo della Bce ha aumentato da 150 a 250 miliardi il limite di obbligazioni che può prestare in cambio di contanti. Per Isabel Schnabel, membro del board dell’Eurotower “si tratta di una misura precauzionale volta ad attenuare la scarsità di garanzie e a sostenere il funzionamento del mercato in prossimità della fine dell’anno”.

Con la Bce che detiene migliaia di miliardi di euro di debito pubblico, gli operatori di mercato spesso faticano a trovare obbligazioni ad alto rating, come quelle tedesche, da prendere in prestito e utilizzare come garanzia nelle operazioni finanziarie.

Guardando ai cambi dopo i dati sull’inflazione americana il dollaro è precipitato sui minimi di due mesi nei confronti di sterlina, yen e, in misura minore, dell’euro. Ieri il biglietto verde ha perso il 2,92% a 1,1690 dollari per sterlina, con la valuta britannica che ha raggiunto il top dalla fine di agosto. Per quanto riguarda l’euro in questo momento la valuta unica è tornata nettamente sopra parità col dollaro e avanza di un nuovo 0,12% (dopo il +1,68% di ieri) a 1,0219, ai massimi da metà agosto.

Sullo sfondo c’è ancora l’esito del voto Midterm Usa. Un voto che che ha sorpreso gli analisti in quanto particolarmente incerto. L’attesa “onda rossa” non c’è stata e per capire come sarà composto, e come cambierà il Congresso, sarà necessario attendere ancora qualche giorno.

Non è escluso infatti che per avere un risultato definitivo si debba attendere il ballottaggio del 6 dicembre visto che nel seggio della Georgia è testa a testa tra i due afroamericani in corsa. E dato che una delle cose più temute dagli investitori è proprio l’incertezza non c’è da stupirsi se ieri l’azionario americano ha sofferto.    

Sul fronte geopolitico restano i timori per nuovi rallentamenti dell’economia legati alle politiche di contenimento del Covid in Cina mentre c’è grande attenzione al conflitto russo-ucraino dopo l’annuncio del ministero della Difesa russo del ritiro da Kherson dopo una notte di combattimenti. La notizia è stata però smentita da Kiev che ha precisato di non vedere “alcun segno” del ritiro e teme si possa trattare di una trappola.

L’inflazione americana inizia a frenare

I dati sull’inflazione Usa mettono il turbo alle Borse. I prezzi al consumo a ottobre calano oltre le attese: su base annua si attestano al 7,7% dall’8,2% di settembre.

Le previsioni erano per l’8%. Il dato “core”, ovvero quello depurato dalla componente dei prezzi dei beni alimentari ed energetici, è cresciuto del 6,3%, con le attese per un +6,5%. Su base mensile, i prezzi sono aumentati dello 0,4% come a settembre, più delle stime che erano dello 0,6%.

Il dato “core”, è cresciuto dello 0,3%, contro attese per un +0,5%. Dati che allontanano lo spettro di nuovi consistenti rialzi dei tassi di interesse da parte della Fed. Nella prospettiva di una Fed meno aggressiva, i rendimenti dei Treasury sono crollati, con il tasso dei Treasury a 2 anni sceso ai minimi di due settimane. Balzo per tutti gli indici, i particolare per i titolo del settore tech. Le azioni di Apple, Microsoft e Alphabet sono aumentate di circa il 7%, mentre Meta Platforms ha guadagnato oltre il 10%. Anche i titoli di consumo hanno alzato la testa, con Amazon in rialzo di oltre il 12% sulle scommesse che il rallentamento della pressione inflazionistica allenti la pressione sui consumatori e incoraggi le spese. Su anche Tesla a +7,4%.

Le previsioni fosche della Bce

Pochi prima dell’annuncio della decisone del Consiglio direttivo della Bce di aumentare da 150 a 250 miliardi il limite di obbligazioni che può prestare in cambio di contanti l’Eurotower ha anche diffuso il suo bollettino economico. Un bollettino che, in buona sostanza, mette in guardia per i prossimi mesi.

“Sebbene si riscontrino alcune circostanze positive per l’economia mondiale, legate all’ulteriore allentamento delle pressioni sulle catene di approvvigionamento derivante dai miglioramenti osservati nell’offerta e dalla flessione della domanda, persistono rischi al ribasso” scrive la Bce precisando che “in generale nel terzo trimestre vi è stato un grado relativamente elevato di sincronizzazione tra paesi in termini di indebolimento degli indicatori dell’attività mondiale, a segnalare un deterioramento delle prospettive per la seconda metà di quest’anno”.

Prospettive fosche per l’inflazione (“spinte inflazionistiche a livello mondiale rimangono molto elevate”), per il mercato del gas (“fragile”), per il mercato del lavoro (“solido, ma registra una lieve perdita di slancio”), per le famiglie (“un maggior numero di persone si attende di non essere in grado di pagare entro la scadenza le bollette dei servizi di pubblica utilità”). Uno scenario che in sintesi vede la Bce pronta ad ulteriori incrementi dei tassi di interesse “per assicurare che l’inflazione torni tempestivamente in linea con l’obiettivo di medio termine”.


Morning Bell: l’ottimismo dei mercati dopo i dati sull’inflazione Usa

Dopo due anni tragici, il turismo made in Italy rivede la luce

AGI – Dopo due anni tragici, il turismo ritrova un po’ di ottimismo. Questo il messaggio uscito dalla 72esima assemblea di Federalberghi, dove non sono mancati comunque gli allarmi per le difficoltà delle imprese, che devono fare i conti con il rincaro dell’energia, conseguenza della guerra in Ucraina, il peso del fisco e della burocrazia, l’abusivismo dilagante e la carenza di personale.

“L’Italia ha enormi margini di miglioramento. Tolto il tappo, c’è un fenomeno di grandissima voglia di tornare in Italia dopo due anni di assenza”, ha detto il ministro del Turismo Massimo Garavaglia. “Dai primi dati – ha osservato – notiamo che su aprile, maggio e giugno l’Italia ha un tasso di riempimento delle strutture ricettive di 10 punti superiore alla Spagna, nostro tradizionale competitor. Non si vedeva da anni, c’è un rimbalzo ma dobbiamo renderlo strutturale”.

I segnali registrati con i week end di Pasqua e del 25 aprile ci fanno ben sperare per la stagione estiva“, ha affermato il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, pur avvertendo che “una rondine non fa primavera” e “due fine settimana positivi non possono coprire il buco causato da due anni di stallo”.

“I dati in nostro possesso – ha precisato – ci fanno essere ottimisti per la stagione estiva, perché abbiamo un ritorno del turismo straniero soprattutto americano, nelle città d’arte. Ma il dato piu’ importante è quello degli italiani: fanno vacanze e restano in Italia. Questo è un motivo per noi di vanto e orgoglio”.

“Su alcuni mercati come quello americano, siamo ai numeri di due anni fa: gli americani amano l’Italia e sono tornati in Italia. Ma quest’anno – ha proseguito Bocca – dobbiamo fare a meno di altri mercati internazionali che non è solo la Russia, ma è tutto il Far East, cioè Cina, Taiwan, Corea, Giappone che sono totalmente assenti causa Covid. Speriamo di compensare questa assenza con più americani ma soprattutto più italiani”.

Per questo – ha detto il presidente di Federalberghi – è necessario che la politica metta il turismo al centro dei programmi. Nel 2021 la spesa dei viaggiatori stranieri in Italia è diminuita di oltre 22,5 miliardi di euro, con un calo del 50,9% rispetto al 2019. Con l’inizio del nuovo anno, purtroppo – ha affermato Bocca – la situazione è ulteriormente peggiorata e solo quando si sono allentate le misure di sicurezza l’Italia ha giocato ad armi pari con gli altri Paesi: allora finalmente gli stranieri sono tornati. Ora si tratta di dare forza a questo processo spingendo su investimenti e innovazione: gli albergatori puntano all’enogastronomia, convinti che la ristorazione di qualita’ sia l’alleata ideale per attrarre flussi. Una scelta condivisa dallo chef Carlo Cracco: insieme si può fare squadra.


Dopo due anni tragici, il turismo made in Italy rivede la luce

Morning Bell: Borse asiatiche negative dopo il giovedì nero di Wall Street 

AGI –  I mercati affondano per il crescente timore di una stagflazione in arrivo. Il rally innescato mercoledì dalla Fed si è dimostrato di breve durata e sui mercati tutti gli indicatori, dalle Borse ai rendimenti obbligazionari, al dollaro stanno girando in negativo, per il timore che la Federal Reserve e alcune altre grandi banche centrali debbano aumentare i tassi di interesse in modo più aggressivo del previsto per combattere una persistente alta inflazione, spingendo potenzialmente le economie in recessione.

In Asia i listini riaprono e Tokyo avanza leggermente, mentre le Borse cinesi vanno a picco, sulla scia del tonfo di ieri a Wall Stret, che ha registrato la sua peggiore sessione dell’anno, con il Nasdaq che è sprofondato del 4,99% mettendo a segno la sua terza maggiore perdita di sempre. Allarme rosso anche per quanto riguarda i rendimenti dei T-Bond a 10 anni che avanzano di oltre il 3%, dopo essersi impennati ieri al 3,1%, il top dal novembre 2018.

Anche il treasury a 2 anni sale ma con minor forza, attestandosi al 2,73%, mentre la curva dei rendimenti tra il 2 e il 10 anni s’irrigidisce, il che non è un bene, visto che per i mercati l’intensificarsi del rialzo del decennale, dopo un’inversione, che c’è stata non molto tempo fa, rappresenta un pericoloso segnale di recessione in arrivo. E il tasso del Treasury a 30 anni ieri ha toccato il 3,2%, il top dal marzo 2019. 

Anche dal mercato valutario arrivano cattive notizie: il dollaro è salito overnight al top da 20 anni su un paniere di altre valute, sta facendo ruzzolare lo yuan ai minimi da 18 mesi a quota 6,7338, mentre ieri ha brevemente riportato l’euro sotto quota 1,05 dollari, salendo del 2,2% ai massimi da quasi due anni contro la sterlina. Intanto oggi crollano Hong Kong e Shanghai, mentre Tokyo è in controtendenza e avanza di oltre mezzo punto percentuale.

A Wall Street i future sono in lieve perdita dopo che ieri il Dow Jones ha lasciato sul terreno il 3,12% e lo S&P 500 il 3,44%, mentre i megacap tecnologici sono crollati, con Alphabet a -4,71%, Apple a -5,57%, Microsoft a -4,36%, Meta a -6,77%, Tesla a -8,33% e Amazon a -7,56%.  

Gli investitori non stanno guardando ai fondamentali, in questo momento, è più un problema di sentiment“, ha commentato Megan Horneman, chief investment officer di Verdence Capital Advisors. In leggero calo i future sull’EuroStoxx 50 dopo che ieri le Borse europee hanno chiuso contrastate: Parigi a -0,43%, Francoforte a -0,5%, Milano a -0,57% e in controtendenza Londra, che è salita dello 0,17%, dopo il previsto aumento dei tassi di 25 punti base all’1% da parte della Banca d’Inghilterra.

A un soffio dai 200 punti il differenziale tra Btp italiani e Bund, mentre il rendimento annuo dei titoli italiani è salito al 3,036% e quello sul Bund è tornato sopra l’1%. Il petrolio resta in rialzo, dopo essere salito a New York e dopo il balzo di oltre il 5% di mercoledì.

Attualmente il Wti è oltre 108 dollari e il Brent sopra 111 dollari, poiché gli investitori hanno valutato imminente l’embargo Ue sul petrolio russo, che tuttavia ancora non è stato deciso, e hanno preso atto della volontà dell’Opec+ di non voler intervenire sui mercati, dopo aver varato ieri solo dei modesti aumenti della produzione mensile. 

ggi c’è attesa per I dati sull’occupazione Usa ad aprile, mentre a Tokyo l’inflazione sale all’1,9% al top da sette anni, riportandosi vicino al target del 2% della Boj. Oggi escono anche i dati sulla produzione industriale ad aprile in Germania e Spagna e sono previsti gli interventi dei due governatori della Fed, Christopher Waller e James Bullard e del capo economista della Boe, Huw Pill, dopo che ieri il suo collega della Bce, Philip Lane ha preparato il terreno per un rialzo dei tassi di interesse europei a luglio, che poi è quello che i ‘falchi’ sostengono da mesi, dicendo di aspettarsi “un altro anno di un’inflazione sopra le attese” e che “è improbabile che l’economia si stabilizzi rapidamente”. 

Attesa per i dati sul mercato del lavoro negli Usa  

Oggi saranno diffusi i dati sul mercato del lavoro Usa. La previsione è che gli occupati americani salgano ad aprile intorno alle 400.000 unità, come a marzo. L’indice di disoccupazione dovrebbe restare fermo al 3,6% e i salari salire del 5,6%, meno dell’inflazione ma comunque in modo consistente. Ieri i sussidi settimanali di disoccupazione Usa sono saliti salite di 19.000 unità a quota 200.000, peggio delle attese degli analisti, che scommettevano su 180.000 unità.

In Giappone l’inflazione ha raggiunto il valore massimo in 7 anni 

L’indice core dei prezzi al consumo di Tokyo è aumentato ad aprile dell’1,9% annuo, il top da sette anni a questa parte.  Il tasso di inflazione continua ad accelerare in Giappone, toccando i massimi da 26 mesi per effetto dell’aumento dei costi di energia e delle materie prime. A marzo l’indice core dei prezzi al consumo è aumentato dello 0,8%.

Il dato è distorto però dall’introduzione di nuove tariffe a basso costo da parte degli operatori nazionali di telefonia mobile: se si esclude questa voce, l’inflazione al consumo è stata invece del 2,2%, al di sopra del target del 2% della Banca del Giappone. In particolare, a marzo il prezzo dell’energia elettrica è aumentato del 21,6% e quello dell’olio alimentare del 34,7%.

L’inflazione nipponica potrebbe accelerare ulteriormente ad aprile e nei prossimi mesi, quando i dati non rifletteranno più l’abbassamento delle tariffe di telefonia mobile e per effetto della prosecuzione del conflitto in Ucraina e dell’indebolimento dello yen. 

La Bank of England rialza i tassi ma vede rischi “recessione”   

La BoE ha alzato il tasso di riferimento di 25 punti base alla riunione di ieri, portandolo all’1%. È il quarto aumento del costo del denaro in altrettante riunioni. Tuttavia la Boe ha segnalato che è probabile che si muoverà con cautela nei prossimi mesi in un contesto di crescenti preoccupazioni per una possibile recessione. La decisione non è stata unanime, con 3 dei 9 membri del comitato di politica monetaria che avrebbero preferito una stretta di 50 punti base, come quella della Fed di mercoledì scorso.

La “maggior parte” dei membri del board, si legge nel comunicato della BoE, ritiene che “ulteriori rialzi dei tassi potrebbero essere appropriati nei prossimi mesi”. Anche la decisione sulla guidance non è stata unanime, con due membri del board che hanno dissentito da questa formulazione, ritenendo più probabile che i tassi restino all’1% attuale. “L’elevata incertezza sull’outlook ha portato a divisioni nel board”, ha spiegato in conferenza stampa il governatore Andrew Bailey, aggiungendo che al momento la politica monetaria “è su un sentiero stretto, tra rischi di inflazione e prospettive più deboli per un calo del reddito reale”.

Uno dei motivi della cautela della BoE è che ci sono già segnali di un rallentamento della spesa dei consumatori con quote sempre maggiori del reddito delle famiglie che vengono assorbite dai costi energetici. I consumatori del Regno Unito sono infatti stati colpiti il mese scorso con un aumento del 54% dei prezzi dell’energia domestica.

La BoE ha affermato che si aspetta che le bollette energetiche aumenteranno di un ulteriore 40% quando il tetto dei prezzi verrà nuovamente rivisto a ottobre. Per questo, prevede che il tasso di inflazione annuo raggiungerà il picco con una media del 10% negli ultimi tre mesi dell’anno, sui massimi dal 1982. 

L’Opec concorda un modesto aumento della produzione  

I paesi produttori di petrolio Opec+ hanno concordato un ulteriore aumento in misura modesta della loro produzione di oro nero, mentre si intensificano le preoccupazioni per la domanda derivanti dalle restrizioni anti-Covid della Cina. Gli esponenti dei tredici paesi membri dell’Organizzazione e i loro dieci partner (Opec+), compresa la Russia, hanno convenuto “di adeguare al rialzo la produzione mensile totale di 432.000 barili al giorno per il mese di giugno”.


Morning Bell: Borse asiatiche negative dopo il giovedì nero di Wall Street 

Inflazione, Pepp e ripresa sul tavolo della Bce dopo la pausa estiva

AGI – Dopo un anno e mezzo dallo scoppio della pandemia, la Bce potrebbe iniziare a ridurre l’intensità delle operazioni con cui ha supportato i mercati e la ripresa negli ultimi 18 mesi. E, secondo le attese di diversi investitori e analisti, spinta da un’inflazione che ad agosto ha toccato il 3% e dalla conseguente pressione sempre maggiore dei falchi all’interno del Consiglio direttivo, a partire dal presidente della Budensbank Jens Weidmann, potrebbe discuterne già nella riunione di domani, la prima dopo la pausa estiva. 

Pepp e inflazione 

Non è solo otreoceano, dunque, che è d’attualità la discussione sul ‘tapering’, ovvero il processo con cui le banche centrali ritireranno parte degli stimoli messi in campo di fronte al Covid. Se la Federal Reserve ne ha già parlato più apertamente, la Bce – che ha da poco concluso la revisione delle proprie strategie – si troverà ad affrontare, domani e nelle prossime settimane, un dialogo analogo. 

L’andamento dell’inflazione, schizzata ben oltre il target del 2% simmetrico ad agosto, ha allontanato nuovamente le posizioni in Consiglio direttivo: da un lato c’è chi di fronte alla fiammata dei prezzi vorrebbe già un giro di vite, dall’altro chi è preoccupato che un ritiro prematuro dei sostegni possa far inceppare una ripresa solida ma ancora ricca di incertezza, a partire da quelle legate alla variante Delta e a possibili restrizioni autunnali.

La revisione delle stime

Nella riunione i banchieri centrali saranno chiamati anche alla revisione delle stime su crescita e inflazione, che potrebbero fornire una panoramica più chiara sullo stato di salute dell’economia europea e sull’andamento del caro prezzi. Secondo quanto deciso con la ‘strategic review’ varata prima dell’estate, infatti, la Bce è chiamata ad affrontare con uguale forza gli scostamenti dal target del 2% per l’inflazione sia al rialzo che al ribasso. 

Le posizioni in campo

La preoccupazione dei falchi, capeggiati da Weidmann, è che lasciare intatto il supporto della Bce all’economia, nonostante la fiammata dei prezzi sia vista dalla maggior parte degli economisti come temporanea, spinga l’inflazione ancora al rialzo e che questo, assieme alle strozzature sulla catena di approvvigionamento, rischi di innescare una spirale tale da richiedere poi un intervento più deciso invece di uno più sfumato a partire da adesso. 

Sull’altro fronte, invece, c’è chi ritiene che annunciare una riduzione del Pepp a stretto giro sarebbe controproducente di fronte a un’economia che corre ma che non è ancora tornata a livelli pre-Covid e di fronte a una ripresa che va consolidata e non limitata al semplice rimbalzo seguito ai lockdown e alle chiusure.

Le parole di Lagarde

A guidare la discussione sarà come sempre la presidente della Bce, Christine Lagarde. “Abbiamo davvero lottato duramente e risposto bene” alla crisi pandemica “e ne siamo usciti con una situazione che ha ancora bisogno di molta attenzione. Ma mi sembra che ora i responsabili politici debbano essere quasi chirurgici: non è più una questione di sostegno massiccio, sarà una questione di sostegno mirato e mirato in quei settori che sono stati gravemente danneggiati”, ha detto recentemente, facendo intravedere dietro le parole le nuove politiche dell’Eurotower. 

La reazione dei mercati

Di sicuro l’attesa per la riunione ha riportato nervosismo sui mercati europei che, in vista del meeting di domani, si muovono in netto calo, con Francoforte che a fine mattinata perde l’1,2%, Parigi in ribasso dello 0,8% e Milano che, dopo un avvio in profondo rosso, ha limato parte dei ribassi e lascia sul terreno lo 0,5%. 


Inflazione, Pepp e ripresa sul tavolo della Bce dopo la pausa estiva

Dopo 17 mesi riapre il Salone del Mobile. Mattarella: “Segno di rilancio”

AGI – Dopo quasi un anno e mezzo ha riaperto i battenti il Salone del Mobile di Milano, la kermesse internazionale più importante nel mondo del design, quest’anno ribattezzata Supersalone, alla fiera di Rho. Da oggi per sei giorni, ha aperto a tutti, visitatori e buyer l’evento speciale curato da Stefano Boeri, attesissimo dopo l’annullamento dell’ultima edizione del Salone, a causa della pandemia (erano 17 mesi che il design attendeva questo momento). 

Il taglio del nastro, avvenuto alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha un forte valore simbolico, di ripartenza per l’intero Paese, come hanno più volte sottolineato i vertici della manifestazione e come dimostra la presenza del Capo dello Stato. Era aprile, i giorni delicatissimi in cui la manifestazione rischiava di saltare del tutto, per il venir meno di alcuni grandi brand, quando Mattarella annunciò che avrebbe partecipato all’inaugurazione.

Il settore vale il 5% del Pil

Per ringraziarlo della sua vicinanza, i vertici della manifestazione gli hanno consegnato una riproduzione del manifesto della prima edizione del Salone (1961) in una cornice d’eccezione, progettata dal duo di designer Formafantasma e realizzata dal giovane architetto-artigiano Giacomo Moor e dagli ebanisti Gigi Marelli e Giordano Viganó con il legno degli abeti abbattuti dalla terribile tempesta Vaia del 2018, in val di Fiemme. Il settore pesa il 5% del Pil nazionale, con un valore di produzione di 39 miliardi di euro, di cui 15 destinati all’export e un saldo commerciale attivo di 7,6 miliardi di euro.

“Questa occasione che raccoglie il coraggio di impresa, creatività, fantasia e cultura è di straordinario significato in questo momento del paese per il suo rilancio e la sua ripresa”, ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante il suo intervento all’inaugurazione del Supersalone, l’evento speciale del Salone del Mobile di Milano. “Desidero esprimere apprezzamento e auguri per il Salone e per l’attività della fiera. Questo – ha sottolineato il capo dello Stato – è un appuntamento di grande importanza da tanti anni. Un punto di riferimento mondiale per il settore in cui nostro paese è all’avanguardia”. 

“Il Supersalone è frutto della generosità delle aziende del design in un momento delicato di rilancio dell’economia e della cultura. Grazie a coloro che hanno creduto fino in fondo e mantenuto vivo una appuntamento così importane: avete vinto la sfida”, ha affermato il presidente di Confindustria e di Fiera Milano Carlo Bonomi durante il suo intervento. “Ora – ha aggiunto – è il momento di guardare avanti, aprirsi con più vigore ai mercati internazionali. Noi siamo al servizio delle imprese che vogliono ripartire, la fiera è uno spazio non solo fisico, dove valorizzare e promuovere il potenziale del brand Italia, attraendo imprese e investimenti da tutto mondo”. 

Fontana: ritorno alla normalità

Per il presidente della regione Lombardia Attilio Fontana il Salone del Mobile seppure con un format diverso, è “un bel segnale per il comparto, per la Lombardia, per il Paese”. “È la normalità che sta avanzando, è solo l’inizio” sottolinea aggiungendo “dobbiamo continuare il nostro impegno, dobbiamo continuare nella vaccinazione e così sarà un inizio definitivo. C’è molta emozione per l’idea di ricominciare”. 

Sala: bella prova di ripartenza

“È una bella prova, si sentono tante lingue per le strade di Milano. Può essere una ripartenza”. Così il sindaco di Milano Beppe Sala arrivando all’inaugurazione del Salone del Mobile alla fiera di Rho, la kermesse internazionale dedicata al design. “Credo che il messaggio qui sia la ricerca del bello e del funzionale – ha aggiunto- , perché abbiamo vissuto tanto nelle nostre case e abbiamo bisogno che siano accoglienti, quelle di chi sta meglio ma anche di chi è in difficoltà e naturalmente questi operatori hanno una grande responsabilità. Abbiamo rivalutato le priorità della nostra vita, abbiamo capito che la salute è una parte delicata, abbiamo certamente maturato la consapevolezza di come l’ambiente è importante”.


Dopo 17 mesi riapre il Salone del Mobile. Mattarella: “Segno di rilancio”

Dopo Unicredit – Mps occhi su Banco Bpm. Si accende la partita su Generali

AGI – Ora che l’acquisizione della maggior parte degli assets di Mps da parte di Unicredit è più vicina, gli occhi degli investitori sono puntati su Banco Bpm. L’istituto nato dalla fusione fra il Banco Popolare e la Popolare di Milano (il primo merger bancario sotto l’egida della Bce) ieri ha sofferto in borsa, pagando la notizia dell’avvio delle trattative fra Unicredit e il Mef, che lo lascia in mezzo al guado.

Il possibile interesse di Unicredit

Le speculazioni su possibili aggregazioni avevano spinto nei mesi scorsi le azioni del gruppo guidato da Giuseppe Castagna sui massimi dal 2018, sopra i 3 euro per titolo, con un valore triplicato rispetto ai minimi toccati durante le fasi più pesanti della pandemia. Al tempo stesso però, le scelte di alcuni istituti che erano stati avvicinati a Banco Bpm hanno raffreddato l’appeal della società a Piazza Affari: se Unicredit ha sterzato con decisione verso Mps, Credit Agricole ha inglobato il Credito Valtellinese e Bper ha deciso di concentrarsi sulle filiali acquisite da Intesa Sanpaolo.

Sul mercato, però, c’è chi già scommette che Unicredit, dopo essersi presa le parti del Monte che le interessano, abbia già nel cassetto un dossier per conquistare anche la rivale milanese, così da tornare a sfidare Intesa, che negli ultimi anni è cresciuta nettamente fino a diventare la prima banca italiana, rompendo lo storico duopolio con l’istituto guidato da Andrea Orcel.

L’offerta non sarebbe ostile ma punterebbe su un accordo con il management della banca, che non ha azionisti di riferimento ma che vede parte dei principali azionisti riuniti in due patti di consultazione.

Il nodo Carige

Sul mercato però, anche ammesso di considerare la partita di Mps destinata alla chiusura, non tutti i nodi sono stati risolti: oltre all’Eba, infatti, ieri anche la Bce ha pubblicato i propri stress test su alcune banche di dimensione media e fra queste Carige è emersa come fragile. Il Fitd, dopo la ‘ritirata’ di Cassa Centrale, è impegnato a trovare un partner a cui consegnare la banca, messa in sicurezza dal fondo interbancario negli scorsi anni ma tutt’ora bisognosa di un porto sicuro a cui attraccare. Il domino non è dunque finito.

La sfida per la guida del Leone

Nella finanza italiana, poi, c’è un’altra importante partita in vista della quale i giocatori stanno posizionando le proprie pedine, ed è quella che riguarda l’asse Mediobanca-Generali. Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone, rispettivamente terzo e secondo socio del Leone di Trieste, in vista del rinnovo del cda del prossimo anno si sono rafforzati anche al piano superiore, diventando nettamente il primo e potenzialmente il secondo azionista di Piazzetta Cuccia.

Non è un mistero negli ambienti finanziari che i due imprenditori-finanzieri abbiano messo nel mirino l’attuale ad di Generali, Philippe Donnet e che la loro presenza come soci forti di Mediobanca sia destinata ad avere un peso, sia pur indiretto, sulle scelte che il cda del Leone sarà chiamato a fare in vista della stesura della lista per il proprio rinnovo da presentare agli azionisti il prossimo anno. 

Del Vecchio, poi, è anche il primo socio italiano di Unicredit, ma per ora non si è espresso sulla mossa di Orcel. A benedirla, invece, è arrivato un altro dei soci storici dell’istituto, fondazione Cariverona, che ha parlato di mossa coraggiosa.


Dopo Unicredit – Mps occhi su Banco Bpm. Si accende la partita su Generali

Dopo 27 anni Jeff Bezos lascia la guida di Amazon

AGI – Jeff Bezos, l’uomo più ricco del mondo, inizia una nuova fase della sua carriera dopo aver costruito un colosso globale da una modesta libreria online, Amazon. A 57 anni, domani l’uomo d’affari lascerà il posto di ceo al suo luogotenente Andy Jassy per dedicarsi ad altri progetti, a cominciare dal viaggio nello spazio programmato per il 20 luglio. Bezos tuttavia manterrà un ruolo chiave nella società che ha fondato 27 anni fa rimanendo presidente esecutivo del consiglio di amministrazione. 

Lodato per le tante innovazioni che hanno cambiato interi settori economici, Bezos è stato anche duramente criticato per alcune pratiche commerciali anticoncorrenziali o per il trattamento dei suoi dipendenti. Che si tratti di vendita di libri, cloud computing o consegna a domicilio, “Bezos è un leader che guida il cambiamento”, afferma Darrell West, del Center for Technology Innovation presso la Brookings Institution.

“Ha dato impulso a molti servizi che le persone ora danno per scontati, come lo shopping online, le ordinazioni e le consegne”, osserva. Tutto è iniziato nel garage di Jeff Bezos, che si occupava personalmente dei pacchi, e ora Amazon vale più di 1.700 miliardi di dollari in Borsa e nel 2020 ha generato un fatturato di 386 miliardi di dollari. È un gruppo tentacolare, dall’e-commerce, al cloud computing, ai generi alimentari, dall’intelligenza artificiale alla produzione cinematografica.

Bezos “ha l’istinto di trovare ciò che funzionerà” nel mercato del futuro, ha affermato Roger Kay, analista di Endpoint Technologies Associates. L’azienda ha soppiantato i suoi rivali scegliendo i primi anni di “reinvestire tutti i profitti nella crescita”, ricorda Kay. Una strategia che a volte ha lasciato perplessi gli investitori ma che ora “appare del tutto logica”, sottolinea.

Per Bob O’Donnell di Technalysis Research, Jeff Bezos “non è stato il primo o l’unico” nella nicchia del business online “ma lui lo ha capito meglio di tutti e ha lavorato per migliorarlo”. Il numero uno di Amazon ha “compreso l’importanza di avere infrastrutture”, sia che si tratti della vasta rete di magazzini sia della flotta di camion, osserva O’Donnell. “Molte altre aziende non volevano spendere soldi per questo tipo di lavoro dietro le quinte”. La fortuna dell’azienda è stata anche la sua: anche dopo aver ceduto parte delle sue azioni di Amazon all’ex moglie dopo il divorzio, Jeff Bezos ha un patrimonio di circa 200 miliardi di dollari secondo la rivista Forbes.

Ora rinuncerà alla gestione quotidiana della sua azienda per dedicare più tempo ad altri progetti come l’altra società Blue Origin, che effettuerà il primo volo di turismo spaziale il 20 luglio con lo stesso Bezos a bordo. L’imprenditore possiede anche il quotidiano Washington Post e ha dichiarato di voler dedicare tempo e denaro alla lotta al cambiamento climatico. 

Lascia anche perché Amazon, che impiega più di 800.000 persone negli Stati Uniti dopo aver visto le attività aumentare durante la pandemia, viene criticata per il trattamento dei dipendenti e dalle autorità di regolamentazione.
Amazon si difende dicendo che la paga oraria minima è di 15 dollari oltre a vari benefici, ma i critici denunciano l’ossessione per l’efficienza e il fato di trattare i dipendenti come macchine. Nell’ultima lettera agli azionisti ad aprile, e dopo il tentativo fallito di realizzare un magazzino del suo gruppo in Alabama, Bezos ha riconosciuto che il gruppo doveva fare di più per i suoi dipendenti impegnandosi che Amazon sarebbe diventato “il miglior datore di lavoro sulla Terra”.

Preoccupati per il crescente controllo su interi settori dell’economia, le autorità di regolamentazione stanno prendendo in considerazione misure per ridurre le dimensioni di Amazon. Di conseguenza il colosso potrebbe quindi diventare “vittima del proprio successo”, afferma Kay. Anche se il gruppo dovesse essere spacchettato in diverse entità, ognuna di esse “prospererà nel proprio mercato”, prevede l’analista. “Posso facilmente immaginare uno scenario in cui la somma delle parti risulta essere maggiore del tutto unito. Gli azionisti non dovrebbero soffrirne”, assicura. 


Dopo 27 anni Jeff Bezos lascia la guida di Amazon

Come cambierà lo shopping dopo l’epidemia

Sono 16,4 milioni gli italiani convinti che cambieranno in maniera permanente le proprie abitudini di acquisto in seguito all’epidemia di Coronavirus e soprattutto in conseguenza alla percezione del rischio di contagio.

È quanto emerge dal nuovo report realizzato dalla società di consulenza globale Alvarez & Marsal in collaborazione con Retail Economics e basato su un campione di 6,000 consumatori appartenenti a 6 paesi  europei: Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Svizzera.

Ma come devono essere letti questi dati? “I consumatori Italiani e Spagnoli sono molto più preoccupati dei loro omologhi Nord Europei – dice Alberto Franzone, managing director di Alvarez & Marsal – sia sulle loro disponibilità finanziarie, sia sul mantenimento del posto di lavoro. Questo ha comportato un drastico taglio di tutti i consumi giudicati non essenziali”.

Per cosa hanno continuato a spendere gli italiani

Gli italiani, infatti, hanno continuato a spendere solo per il cibo (+15%) mentre hanno decurtato tutte le altre categorie d’acquisto: giù del 75% vestiti e scarpe, -50% per i mobili, -20% libri e giornali: hanno resistito solo i consumi di quei prodotti legati al maggior tempo trascorso tra le mura domestiche, come ad esempio elettronica di consumo, pc portatili o attrezzature per la ginnastica in casa. 

Sul versante del digitale l’Italia e la Spagna soffrivano di un notevole ritardo negli acquisti on line, rispetto ai paesi del Nord Europa: la percentuale sul totale è pari soltanto al 6.3% e 5.4% rispettivamente, confrontati con il 20.4% del Regno Unito e l’11.7% della Germania. “In Italia la pandemia ha accelerato la transizione, con 1 miliardo di euro di maggiori acquisti on line previsti nel 2020 – proseguono da Alvarez & Marsal –  del campione di consumatori intervistati, ben il 55% ha dichiarato di aver fatto acquisti su Internet per la prima volta durante questo periodo”.

Cosa cercano i consumatori

Nel post-pandemia i bisogni dei consumatori sono mutati, ma cosa cercano oggi le persone durante la loro esperienza di acquisto? “Il primo rilevante aspetto è la ricerca di sicurezza – risponde Franzone – devono essere garantite le condizioni igieniche, con priorità anche su convenienza di prezzo, qualità e ampiezza di scelta”.

E in questo cambiamento d’approccio l’età non rappresenta un elemento secondario, secondo il managing director della società di consulenza globale “i consumatori hanno approcci all’acquisto molto diversi : i gruppi di consumatori più giovani (ad esempio Gen Z e Millennial) apprezzano ancora molto l’esperienza fisica in negozio, utilizzato per scoprire prodotti di nicchia e poi condividerli sui social.

Per i consumatori più anziani che ancora apprezzano l’interazione interpersonale durante lo shopping, un’esperienza più impersonale (ad esempio un assistente che indossa una maschera) potrebbe rivelarsi più problematica. Questo è un ulteriore elemento che potrebbe dare ancora più spinta al passaggio agli acquisti online”.

Cosa fare delle giacenze?

Un passaggio che appare sempre più fluido, dove i confini tra store online e store offline sono sempre meno definiti “Questo percorso era sicuramente già in atto – commenta Franzone – con la diffusione del cosiddetto omnichannel, e l’utilizzo di piattaforme come Farfetch che utilizzano le giacenze e le logistiche dei negozi fisici. Sicuramente la digitalizzazione farà ulteriori grandi progressi, a partire da un maggior utilizzo della realtà aumentata per migliorare la customer experience, fino all’utilizzo dei data analytics e di sistemi di CRM per meglio conoscere le esigenze del consumatore e migliorare la sua esperienza in negozio”.

Ora non resta che domandarsi se esiste una “ricetta”, un indirizzo per i retailer che oggi si trovano davanti al cambiamento “Senza dubbio i retailer devono rinegoziare i contratti di affitto, indicizzandoli ai corrispettivi (come è successo in Gran Bretagna con un utilizzo enorme delle procedure di CVA – Company Voluntary Arrangement) – affermano da Alvarez & Marsal – devono poi ripensare gli spazi, e conseguentemente l’offerta di prodotto, per adeguarla alla minore disponibilità sugli scaffali. Devono adeguare l’esperienza in negozio (il “cerimoniale di vendita”), anche attraverso nuovi strumenti tecnologici (disponibilità di magazzino su tablet) e attraverso strumenti di realtà aumentata. Infine devono conoscere meglio le esigenze e i comportamenti della loro clientela: in questo contesto l’utilizzo di sistemi di CRM e Big Data diventerà decisivo”.

Agi

Dopo il fatto in casa, ecco il derivato di serie: cosa sapere su Emui 10 di Huawei

Due prodotti, la stessa filosofia. Dopo aver presentato il sistema operativo fatto in casa (HarmonyOS), Huawei ha lanciato la sua nuova versione di Android: Emui 10. Non è certo una sorpresa: il gruppo ha ribadito più volte che la collaborazione con Google (di cui Emui è figlio) è l’opzione preferita, tanto che HarmonyOS rivolge per il momento lo sguardo altrove (smart speaker e smartwatch).

Due strade, lo stesso orizzonte

In attesa che il quadro si schiarisca, Huawei procede lungo due tracce parallele. Non si toccano ma sono molto simili, come gli slogan con cui sono stati presentati i due sistemi operativi. Se HarmonyOS doveva rispondere a “un’esperienza intelligente su tutti i dispositivi e in ogni scenario”, la nuova versione di Emui punta a “permettere una ‘smart live’ in ogni scenario”. Praticamente la stessa cosa. Che sia un sistema operativo fatto in casa o derivato di Android, l’obiettivo di Huawei non cambia: si punta a far dialogare con meno attrito possibile più dispositivi. Il gruppo ha sottolineato in una nota che il futuro sarà caratterizzato da dispositivi intelligenti diversi e, di conseguenza, le loro applicazioni sono destinate a intersecarsi, se non a fondersi: “Gli utenti devono avere la stessa esperienza e l’accesso allo stesso servizio con qualsiasi dispositivo, indipendentemente da dove si trovino. Di conseguenza, gli sviluppatori devono affrontare grandi sfide nell’adattamento multi-dispositivo”.

Arriva la modalità “dark”

Oltre ai ritocchi grafici tipici di ogni nuova versione, la funzione che forse fa meglio cogliere questo aspetto riguarda chiamate e videochiamate, che potranno essere effettuate non solo da smartphone ma anche dagli altoparlanti intelligenti. Tra le funzionalità che ambiscono a un maggiore dialogo tra dispositivi c’è il mirroring. In pratica, quello che compare sul display dello smartphone sarà utilizzabile come fosse un pc, tramite collegamento wireless. Arriva, sull’onda della tendenza che la sta portando ovunque, anche la modalità “dark”, cioè scura per le ore notturne e per far riposare gli occhi. In attesa di testare il sistema operativo con mano, Emui 10 promette di essere più veloce rispetto al suo predecessore e di avere un consumo energetico inferiore. La versione beta sarà testata su P30 e P30 Pro dall’8 settembre. I primi smartphone Huawei ad arrivare in commercio con la nuova versione definitiva saranno i nuovi dispositivi della gamma Mate.

Un messaggio a Google (e a Trump)

La presentazione di Emui 10 è stata anche l’occasione per diffondere alcuni numeri: il sistema operativo di Huawei derivato da Android ha 500 milioni di utenti attivi ogni giorno, in 216 Paesi e in 77 lingue. Le statistiche mostrano tassi di aggiornamento del 79% per di Emui 8.0 e dell’84% per Emui 9.0. Gli utenti che aggiorneranno con la versione 10 dovrebbero essere circa 150 milioni. Informazioni come queste non sono un’anomalia. Nel contesto in cui vengono pronunciate, però, potrebbero essere un messaggio. Mezzo miliardo di utenti attivi vuol dire (al netto delle metriche differenti) avere un bella fetta dei 2,5 miliardi di dispositivi su cui gira Android (dato reso pubblico da Google lo scorso maggio). Non è un messaggio ostile, anche perché il nemico non è Mountain View (che dalla rottura con Huawei ci perderebbe). Il gruppo di Shenzhen ha parlato di “atteggiamento cooperativo e aperto”. Due aggettivi che si rivolgono agli sviluppatori, ma vanno dritti negli Stati Uniti.  

Agi