Tag Archive: Apple

Dire che gli iPhone resistono all’acqua non è proprio vero. E l’Antitrust multa Apple

Agi – L’authority per la Concorrenza ha sanzionato per 10 milioni di euro Apple International e Apple Italia per due distinte pratiche commerciali scorrette. La prima – spiega una nota dell’Antitrust – riguarda la diffusione di messaggi promozionali di diversi modelli di iPhone – iPhone 8, iPhone 8 Plus, iPhone XR, iPhone XS, iPhone XS Max, iPhone 11, iPhone 11pro e iPhone 11 pro Max – in cui veniva esaltata, per ciascuno dei prodotti pubblicizzati, la caratteristica di risultare resistenti all’acqua per una profondità massima variabile tra 4 metri e 1 metro a seconda dei modelli e fino a 30 minuti.

Secondo l’Autorità, però, nei messaggi non si chiariva che questa proprietà è riscontrabile solo in presenza di specifiche condizioni, per esempio durante specifici e controllati test di laboratorio con utilizzo di acqua statica e pura, e non nelle normali condizioni d’uso dei dispositivi da parte dei consumatori.

“La contestuale indicazione del disclaimer ‘La garanzia non copre i danni provocati da liquidi’, dati gli enfatici vanti pubblicitari di resistenza all’acqua – fa notare l’Autorità – è stata ritenuta idonea a ingannare i consumatori non chiarendo a quale tipo di garanzia si riferisse (garanzia convenzionale o garanzia legale), né è stata ritenuta in grado di contestualizzare in maniera adeguata le condizioni e le limitazioni dei claim assertivi di resistenza all’acqua”.

L’Antitrust ha inoltre ritenuto idoneo a integrare una pratica commerciale aggressiva il rifiuto da parte di Apple, nella fase post-vendita, di prestare assistenza in garanzia quando quei modelli di iPhone risultavano danneggiati a causa dell’introduzione di acqua o di altri liquidi, ostacolando in tal modo l’esercizio dei diritti ad essi riconosciuti dalla legge in materia di garanzia ossia dal Codice del Consumo. (AGI)Ing

Agi

Apple, Google e Macron. I nuovi bersagli di Trump

Si alza il pressing di Trump sui colossi digitali americani, al centro del contendere ci sono le relazioni con la Cina. Ma il presidente statunitense se la prende anche con Macron per la digital tax e minaccia dazi sui vini francesi.

“Non daremo ad Apple nessuna esenzione dai dazi per i componenti del Mac Pro prodotti in Cina”, ha twittato nel pomeriggio di ieri l’inquilino della Casa Bianca invitando la società di Cupertino a produrre negli Usa in modo da “non avere dazi”.

Apple will not be given Tariff waiver, or relief, for Mac Pro parts that are made in China. Make them in the USA, no Tariffs!

— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) July 26, 2019

Il no di Trump arriva in risposta alla decisione di Apple di spostare la linea di produzione del nuovo Mac Pro dal Texas alla Cina. La società aveva precedentemente spiegato che diversi componenti non potevano essere prodotti negli States.

Anche Mountain View finisce nel mirino dell’inquilino della Casa Bianca sempre per i suoi rapporti con Pechino. “Potrebbero esserci o no timori di sicurezza nazionale per quanto riguarda Google i suoi rapporti con la Cina. Se c’è un problema lo scopriremo, mi auguro sinceramente che non ci sia”, scrive sul suo profilo social. I tweet dell’inquilino della Casa Bianca arrivano nel giorno della trimestrale del colosso, senza però creare conseguenze. Anzi, con i risultati oltre le attese, il titolo a Wall Street ha registrato la sua migliore seduta dal 2015 con un balzo fino all’11%.

There may or may not be National Security concerns with regard to Google and their relationship with China. If there is a problem, we will find out about it. I sincerely hope there is not!!!

— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) July 26, 2019

Ma il presidente Usa se la prende anche con Macron e accusa il suo omologo francese di aver imposto una digital tax sulle grandi aziende tecnologiche americane, minacciando sostanziali ritorsioni e lasciando intendere che potrebbero colpire i vini francesi. “Se qualcuno deve tassarle, dovrebbe essere il loro Paese d’origine, gli Stati Uniti. Annunceremo a breve una sostanziale azione reciproca contro la stupidità di Macron. L’ho sempre detto che i vini americani sono meglio dei francesi”, aggiunge.

France just put a digital tax on our great American technology companies. If anybody taxes them, it should be their home Country, the USA. We will announce a substantial reciprocal action on Macron’s foolishness shortly. I’ve always said American wine is better than French wine!

— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) July 26, 2019

La Francia l’11 luglio ha approvato una digital tax che prevede un tributo del 3% sulle aziende digitali con un fatturato globale di oltre 750 milioni di euro e uno di 25 milioni generato in Francia. L’imposta colpirà circa 30 colossi tecnologici tra cui gli statunitensi Alphabet, Apple, Amazon e Facebook. Arriva puntuale la risposta da Parigi che risponde alle minacce di rappresaglia del presidente Usa attraverso le parole del ministro francese delle Finanze, Bruno Le Maire.

La Francia “attuerà le sue decisioni nazionali” sulla tassazione digitale, in applicazione di un accordo internazionale. “La tassazione universale delle attività digitali – spiega – è una sfida che riguarda tutti noi. Speriamo di raggiungere un accordo su questo argomento nel quadro del G7 e dell’OCSE. Nel frattempo, la Francia attuera’ le sue decisioni nazionali”. 

Agi

apple capitalizzazione record

Apple​ sarà la prima "trillion dollar company", cioè la prima società con una capitalizzazione superiore ai mille miliardi di dollari. Il traguardo è in vista da tempo, ma adesso è davvero a un passo: la Mela ha chiuso l'ultima seduta a 964,27 miliardi.

La spinta finale: conti e buyback

A spingere il titolo sono stati i dati dell'ultima trimestrale: fatturato oltre le attese, a 61,1 miliardi e in aumento del 16% anno su anno; utili a 2,73 dollari per azioni e 13,82 miliardi, il 25% in più del secondo trimestre 2017. Dalla diffusione dell'ultimo bilancio, il titolo ha guadagnato l'11,5%. Merito però non solo del conto economico ma anche del piano di riacquisto di azioni proprie per 100 miliardi di dollari. L'iPhone X e il suo prezzo hanno condizionato le unita' vendute (52,2 milioni di smartphone, solo il 3% in più rispetto a un anno fa) ma hanno fatto lievitare incassi totali e spesa media per ogni dispositivo (passata da 655 a 728 dollari). Lo squilibrio di un bilancio ancora troppo dipendente dagli iPhone è bilanciato dai risultati dei Servizi (tra i quali AppleCare, Apple Pay, App Store): sono cresciuti anno su anno del 31% e dell'8% in un solo trimestre. Quindi non solo crescono ma accelerano. E ormai sono (di gran lunga) la seconda voce di ricavi: 9,2 miliardi, pari al 15% del fatturato.

Una compagnia grande come uno Stato

A furia di snocciolare numeri, si rischia di perdere le dimensioni complessive raggiunte da Cupertino: 61,1 miliardi di fatturato in un trimestre significa macinare in 90 giorni il prodotto interno lordo di Paesi come Panama e Uruguay. Prendendo l'intera annata (il 2017, chiuso con 229 miliardi di dollari di ricavi) Apple 'vale' quanto il Portogallo.

I meriti di Cook

Se a Jobs​ (fondatore con Wozniak​) si riconosce la paternità stilistica di Apple, spesso si dimentica il ruolo cruciale di Tim Cook nel successo finanziario della società. Proseguendo sulla linea Jobs, ma imprimendo anche forti sterzate (come l'ampliamento dei formati degli smartphone), Cook è alla guida dal 2011. Per Recode, che nel 2017 lo ha inserito al quinto posto tra le personalità nel mondo tecnologico, è "ufficialmente un sottovalutato". Perché l'ombra di Jobs, più carismatico, copre i meriti dell'attuale ceo. Spiegate però dai numeri: negli ultimi cinque anni, il valore delle azioni Apple è triplicato.

Il fondatore dimenticato

Quando Apple toccherà i mille miliardi, ci sarà chi festeggerà e chi si mangerà le mani. Chissà come la prenderà Ronald Wayne, "il fondatore dimenticato". Oltre a Jobs e Wozniak c'era anche lui. Oggi ultraottantenne (quindi più anziano dei due colleghi) deteneva una quota del 10%. La vende nel 1976, appena la società incassa la prima commessa, per 800 dollari. Oggi varrebbe centinaia di milioni di dollari. Il traguardo dei mille miliardi potrebbe essere raggiunto il giorno del compleanno di Wyne, il 17 maggio.

Milionari con pochi risparmi

Per capire quanto sia stata ghiotta l'occasione di investire in Apple, basta fare i conti in tasca a chi abbia puntato sulla Mela qualche centinaio di dollari nel 1980. Nel corso degli anni, infatti, Apple è ricorsa per quattro volte al cosiddetto frazionamento azionario: per rendere la società piu' liquida e aprire il capitale a nuovi investitori, il gruppo ha diviso ogni azione in due nel 1987, nel 2000 e nel 2005. E addirittura le ha spezzettate in 7 parti nel 2014. Risultato: chi avesse comprato 100 titoli Apple 28 anni fa per 2.200 dollari (resistendo alla tentazione di vendere), oggi ne avrebbe 5.600. Che ai valori attuali varrebbero poco più di un milione di dollari. Senza contare i dividendi incassati.

La rimonta di Amazon

Ormai ci sono pochi dubbi sul fatto che sarà Apple a essere la prima "trillion dollar company". Ma potrebbe presto ritrovarsi in compagnia. Amazon è infatti a quota 780,77 miliardi. Ha superato Alphabet (altra papabile "trilionaria", a 765 miliardi). E cresce a un ritmo molto piu' sostenuto della Mela. Le azioni di Cupertino si sono apprezzate del 24% negli ultimi 12 mesi. Quelle di Amazon del 70%.

Agi News

Ma che differenza c’è tra lo streaming musicale di Amazon, Spotify e Apple?

Ottobre 2016: il battesimo negli Stati Uniti. Novembre 2016: arrivo in Inghilterra e Germania. Adesso arriva anche in Italia Amazon Music Unlimited, lo Spotify secondo Jeff Bezos. Il servizio è simile a quello dei concorrenti: è una piattaforma di musica in streaming in abbonamento. L'ascolto di brani e album è affiancato da radio personalizzate e prive di contenuti pubblicitari, basate su diversi generi come pop e rap. Come su Spotify ed Apple Music, sarà possibile selezionare brani in base al proprio umore, scegliendo – ad esempio – quelli adatti all’allenamento o al relax. È disponibile anche l'opzione offline: canzoni, dischi e playlist possono essere scaricati sui propri dispositivi per ascoltarli anche senza connessione internet. Anche in questo caso, un servizio simile a Spotify (nella versione Premium) e Apple Music.

Leggi anche gli articoli su Corriere della Sera, Wired  

Prezzi e condizioni

Amazon arriva in Italia con prezzi in linea con quelli dei concorrenti: Amazon Music Unlimited non ha una versione gratuita ma, secondo la tipica prassi per i servizi del gruppo, consente 30 giorni di prova senza sborsare nulla. Dopo il periodo di test, si attiverà automaticamente l'abbonamento: 9,99 euro al mese o 99 euro all'anno. I clienti di Prime avranno un piccolo sconto: 10 euro. Il costo mensile è identico a quello di Apple Music e Spotify. La piattaforma di Cupertino offre un periodo di prova più lungo (tre mesi). Spotify è accessibile anche gratis (senza vincoli di tempo), a patto di accettare alcune limitazioni: pubblicità tra un brano e l'altro, un numero contenuto di salti, audio di qualità inferiore e niente ascolto offline. Amazon Music Unlimited offre anche l'opzione Family: fino a sei componenti della famiglia possono condividere lo stesso abbonamento, a 14,99 euro al mese o 149 euro l'anno. Anche Apple Music offre un servizio analogo, allo stesso prezzo.

Il catalogo

Il catalogo di Amazon Music Unlimited è ampio: 50 milioni di brani, tra i quali quelli di Fabio Rovazzi, Francesco Gabbani, Fedez, Baby K, Taylor Swift, Ed Sheeran, Katy Perry, Coldplay, Vasco Rossi, Tiziano Ferro, Zucchero, Fabrizio de André, Elvis Presley e David Bowie. La mole è simile a quella di Apple Music e superiore a quella di Spotify, che si ferma 30 milioni di brani. Anche se dalla sua la piattaforma svedese ha la presenza in 61 Paese. Amazon aggiunge Italia, Spagna e Francia a Stati Uniti, Regno Unito e Germania.

In attesa di Alexa

Amazon Music Unlimited arriva però (al momento) tronco. Perché sarà compatibile con iOS, Android, Mac e pc, Fire. Ma non potrà essere usato con Echo e Alexa (cioè hardware e software che costituiscono l'assistente digitale di Amazon). In altre parole: la gestione vocale dell'app non potrà essere sfruttata, per la semplice ragione che Echo non è ancora in vendita nel nostro Paese e Alexa non supporta ancora la lingua italiana. Al momento, la differenza con le versioni estere sta nella lingua scritta e, come ha sottolineato il responsabile di Amazon Music Steve Boom, “playlist e radio sono curate dai nostri esperti di musica italiani”. Quindi con una composizione ad hoc per il Paese. L'arrivo di Alexa ed Echo, però, è solo questione di tempo. Ed è un'integrazione su cui Bezos punta molto. Lo dimostra il fatto che, negli Stati Uniti, i proprietari di un assistente digitale possono attivare l'abbonamento a voce e con un prezzo di 3,99 dollari al mese (cioè con uno sconto del 50%).

Leggi anche: Gli assistenti vocali di Amazon e Microsoft si parleranno (per tramare contro Google)

La strategia di Amazon

Amazon Music Unlimited, quindi, non porta ancora in Italia il suo principale plus (l'integrazione con i suoi assistenti digitali, che peraltro sono compatibili anche con Spotify). Non porta rivoluzioni rispetto ai concorrenti e non spinge su un prezzo al ribasso. La diffusione di un servizio di questo tipo è però coerente con la strategia autarchica di Bezos. Amazon, come dimostrano gli sconti agli utenti Prime (ovunque) e ai possessori di Echo (per ora sole negli Stati Uniti) procede nella costruzione di un ecosistema il più possibile indipendente, che convogli produzione, logistica, e-commerce, retail, hardware e servizi. Con l'intelligenza artificiale degli assistenti digitali al centro.   

 

Agi News

Ecco come Apple farà concorrenza alle major di Hollywood (e sfiderà Amazon)

Apple è pronta a investire un miliardo di dollari, a partire dal 2018, per realizzare e produrre contenuti media originali, in concorrenza con i grandi studio di Hollywood. Lo rivela il Wall Street Journal, secondo il quale si tratta di una cifra considerevole, pari a quanto ha speso nel 2013 Amazon nell'annunciare il suo ingresso nel campo della programmazione video e la metà di quanto ha speso l'anno scorso Time Warner per la tv ad alta qualità Hbo. Secondo fonti vicine all'operazione, Apple si appresterebbe a produrre in proprio almeno dieci grandi programmi televisivi, tipo "Game of Thrones" della Hbo. Gli show verrebbero trasmessi sul servizio di streaming musicale, oppure su un nuovo servizio di video che verrebbe creato ad hoc.

Progetto 'visionario' di Eddy Cue

Il progetto va incontro ai piano di programmazione video più volte annunciato da uno dei leader più visionari del gruppo, Eddy Cue. Il budget del progetto verrebbe gestito da due veterani di Hollywod, Jamie Erlichet e Zack Van Amburg, ingaggiati nel giugno scorso dalla Sony, proprio in vista di una futura programmazione video a livello globale della Apple. I due riportano direttamente a Cue, il quale gestisce il budget da 24 miliardi di dollari dei servizi Apple, nel quale è incluso iTunes.

Il business dei contenuti media negli Usa, si va facendo molto affollato, poichè oltre alle tv tradizionali e alle major di Hollywood, in pista ci sono Amazon, Netflix e, ora, anche Apple. Nella stagione 2016 almeno 17 grandi catene televisive, che trasmettono da diverse piattaforme, hanno realizzato 500 nuovi show di grande rilievo, il doppio rispetto rispetto a quelli prodotti nel 2011.

Le risorse illimitate di Apple

Apple, affacciandosi per ultima sulla scena, ha bisogno un grande 'hit', ciò di un grande colpo televisivo, per guadagnare visibilità. A giugno Apple ha lanciato su Apple Music "Planet of Apes", la nuova versione del "Pianeta delle Scimmie", e la scorsa settimana ha immesso sul mercato "Carpool Karaoke", ma entrambi i video hanno subito forti critiche. Tuttavia con i suoi 260 miliardi di dollari di liquidità e ricavi che nel 2016 hanno raggiunto di 215 miliardi di dollari, Apple dispone di risorse praticamente illimitate per il suo debutto sulla scena dei contenuti media.

Agi News

Il rarissimo e leggendario Apple I venduto a soli 110.000 euro

Un esemplare del leggendario Apple I, il primo pc creato nell'aprile del 1976 da Steve Jobs e Steve Wozniak, che solo dieci giorni prima avevano fondato in un garage Apple Computer, e' stato venduto all'asta in Germania per soli 110.000 euro, un prezzo molto inferiore alle attese.

A cinque anni dalla morte di Steve Jobs, "l'+hype+, l'eccesso di aspettativa, si è normalizzata" ha commentato Uwe Breker, il proprietario della casa d'aste che ha organizzato a Colonia la vendita del vecchio pc, un vero e proprio oggetto di culto, diventato ormai praticamente introvabile.

Nel 2013 l'asta toccò 560.000 euro

L'ultima vendita di un Apple I risale al 2013, quando venne ceduto per 560mila euro dalla stessa casa Breker, che stavolta, pur presentando un pc perfettamente funzionante, accompagnato da regolare fattura, libretto di istruzioni e attestati di proprietà, ha molto ammorbidito le sue richieste, prevedendo una forchetta iniziale tra i 180.000 e i 300.000 euro.

La storia dell'Apple I è ormai diventata leggenda, poiché dalla progettazione di quel pc è nata un'azienda che ha rivoluzionato il mondo. L'idea non fu di Jobs, ma del suo compagno di studi e futuro socio Wozniak il quale, fin dal 1975, si era messo in testa di costruire un computer economico, assemblandolo con pezzi di varia provenienza. Un anno dopo finalmente ci riuscì avendo comprato, a un prezzo più basso di quello di mercato, un processore e avendo incontrato Jobs, tecnicamente meno bravo di lui ma dotato di gusto, tenacia e senso degli affari.

La prima commissione, 50 pezzi

E' proprio il giovane Steve, appena 21enne, a procurarsi una commissione di 50 pezzi del preistorico pc da parte un piccolo negozio di informatica. Nasce cos^ Apple I che all'epoca costava 666,66 dollari, era collegabile a una tv e aveva già il logo della mela morsicata. Poi i due giovani nel '77 lanciano l'Apple II, più completo, dotato di testiera e grafica a colori e cambiano la storia dell'informatica. L'Apple I nel frattempo diventa un pezzo di antiquariato, nel mondo ce ne sono solo 8 ancora funzionanti e uno di questi rari esemplari viene comprato da John Dryder, un ingegnere californiano. "All'epoca – racconta Dryden – quell'acquisto rappresentava una delle prime occasioni di possedere un vero pc. Io avevo lavorato con dei computer ma erano enormi, con gigantesche unità centrali. E' stata dura decidere di metterlo all'asta – aggiunge – ma il momento è venuto… Sì, funziona ancora". Nel 1976 furono 200 gli Apple I messi in vendita da Steve Jobs e Steve Wozniak. L'acquirente dell'esemplare messo all'asta a Colonia è un ingegnere renano, che già possiede diversi pc d'antiquariato.

 

Leggi anche

 

Steve Jobs, il figlio del migrante siriano

Agi News