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Privacy, la spina nel fianco di Facebook è questo avvocato austriaco di 30 anni

Max Schrems è un legale austriaco, 30enne, che da sette anni punta il dito contro Facebook. Schrems sta portando avanti una battaglia contro il network di Mark Zuckerberg per violazione dei diritti sulla protezione dei dati degli utenti. Il giovane Max si è ritrovato quasi per caso a fare il Davide contro Golia. Tutto è iniziato quando appena 23enne, decise di fare un semestre di studio per la laurea all'università di Santa Clara, nel bel mezzo della Silicon Valley, e, mosso dalla curiosità su come Facebook proteggeva i dati degli utenti, ha focalizzato la sua tesi proprio sul tema del rispetto della privacy da parte del social nel Vecchio continente.

Indagando per la tesi, Max ha scoperto che la società di Zuckerberg era a conoscenza di tantissime informazioni private degli utenti, che non scomparivano neppure con la cancellazione dal social network. In particolare, Schrems è rimasto scioccato nell'apprendere che il social network aveva accumulato 1.200 pagine sul suo conto, rastrellando tutti i suoi Like e ogni messaggio privato che avesse mai inviato.

Dopo la tesi l'avvocato ha presentato 22 denunce contro Facebook, sostenendo che il gruppo operava in aperta violazione della legge europea sulla protezione dei dati, minando il diritto fondamentale alla privacy. Già nel 2011, Schrems sosteneva che Facebook era un "monopolio" e che per contrastarla occorreva un'attenzione particolare da parte dei regolatori. Poi ha messo in piedi il gruppo "Europe versus Facebook", aprendo nei Tribunali di mezza Europa lo scontro contro Facebook, accrescendo via via la sua fama e diventando per il gruppo di Zuckerberg una specie di incubo.

Ovviamente l'affaire Facebook-Cambridge Analytica, che ha visto salire a 87 milioni i profili di utenti Facebook violati e manipolati, ha contribuito a rafforzare la fama di Schrems. Nell'agosto 2014 ben 25 mila utenti si sono affidati al lui, per intentare una class action contro il gigante Usa. La Corte Suprema austriaca interpellata sulla possibilità di intentare una class action a Facebook, ha chiesto alla Corte di Giustizia Ue un parere, per sapere se la magistratura austriaca avesse competenza sull'argomento. E lo scorso dicembre la Corte del Lussemburgo ha fatto sapere che l'avvocato trentenne di Salisburgo può rivolgersi a un tribunale austriaco per fare causa a Facebook Irlanda, ma solo a titolo personale e non per contro di altri soggetti e cioè non tramite una class action.

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Schrems non è però tipo da perdersi d'animo. Ora ha lanciato None of Your Business, un'organizzazione non-profit che ha l'obiettivo di sfidare più aziende con azioni legali sulla privacy, autorizzate dalla minaccia di nuove multe più pesanti in base alla legislazione che entrerà in vigore in Europa a maggio. Intervistato dal Financial Times, Schrems si è messo a ridere quando gli hanno chiesto se con le sue cause intendesse fare la morale a Facebook.

"No, non la penso così", ha risposto, spiegando che i Tribunali non servono per dare lezioni di morale, ma possono limitare la capacità delle grandi aziende di manipolare le nostre vite private e possono incrinare la convinzione tipica di quelli come Facebook che "noi siamo della Silicon Valley e sappiamo cosa è giusto per tutti gli altrì. Il modo con cui Cambridge Analytica ha violato i dati degli utenti Facebook non lo sorprende. "Ora dicono che è una hack – spiega al Ft – sette anni fa la chiamavano configurazione. Se fin da allora avessero seguito la legge, non saremmo a questo punto".

Già nel 2015 Facebook ha limitato l'accesso ai dati da parte degli sviluppatori e, a seguito delle ultime rivelazioni, ha promesso ulteriori miglioramenti in difesa della privacy. Ma secondo Schrems non basta, perchè il problema è nell'enorme quantità di dati posseduti da Facebook. "Cambridge Analytica – osserva – è un reparto per bambini rispetto a quello che è realmente fa Facebook", "il vero problema – ribadisce – è quello della privacy".

Cosa cambierà con la nuova legge sulla privacy

La legge sulla privacy in Europa sta per subire un cambiamento decisivo. Il regolamento generale sulla protezione dei dati entrerà in vigore il 25 maggio, armando i regolatori della possibilità di imporre multe extra-large, che potranno superare i 20 milioni di dollari, o arrivare fino al 4% del fatturato globale, che per Facebook significherebbe sanzioni superiori agli di 1,5 miliardi di dollari. Inoltre, la nuova normativa consentirà azioni legali sul modello delle class action, cioè permetterà ai consumatori di unirsi per proteggere il loro diritto alla privacy. Una class action, rileva Schrems, potrebbe rivelarsi mortale anche per un colosso come Facebook: "Se 50 milioni di persone le facessero causa per 2.000 dollari ciascuna, l'effetto sarebbe letale" perchè l'azienda dovrebbe far fronte a un risarcimento danni di cica 100 miliardi di dollari.

"Anche per Facebook – dice l'avvocato – questa sarebbe una quantità di soldi semplicemente folle". E anche per questo ora Facebook "sta esaminando più da vicino i dati che sta raccogliendo". In passato Schrems ha sempre avuto difficoltà a pagare gli avvocati e a far fronte alle spese legali nella sua battaglia contro Facebook: la creazione di None of Your Business, punta proprio a superare questa impasse e a rendere più facile in futuro avviare le cause giudiziarie collettive a protezione della privacy.

Parte del problema, osserva Schrems, è che le questioni legali riguardanti la privacy e i termini di servizio delle aziende in proposito sono spesso incomprensibili per una persona di media cultura. "Come può un utente lavorare per 10 ore al giorno, poi tornare a casa e capire come funziona l'algoritmo di Facebook? Non lo capisco io che me ne occupo da sette anni".

Come emerge dall'intervista al Ft, Schrems non è un tipo anti-tech: usa ancora Facebook e impiega molte emoji su Twitter. Per la sua campagna anti-Facebook ha adottato un'app che aiuta gli utenti a richiedere i propri dati da Facebook. Inoltre, ha appena tre anni in meno di Mark Zuckerberg, il fondatore del social network. A parte questo però c'è ben poco che lo avvicina al capo di Facebook. Zuckerberg è pieno di soldi ed è convinto che connettere le persone su un social network globale diffonda la democrazia. Schrems invece è cresciuto a Salisburgo e forse queste sue radici mitteleuropee lo rendono così sensibile alla privacy. Inoltre non è per niente ricco, ha due appartamenti, uno in cui vive e un altro che affitta e col quale integra il suo reddito.

Finora, conclude, "sono stato l'unico europeo che ha cercato di far rispettare i suoi diritti con Facebook. Ma se dimostro che un'azione del genere può essere eseguita da uno studente dal suo ufficio di casa, allora tutti potranno capire quanto sia assurda questa realtà" e fare causa sulla privacy ad aziende come Facebook diventerà una cosa normale. 

Leggi anche: Oltre Cambridge Analytica. Così funziona il mercato della sorveglianza distribuita

Agi News

Secondo l’Ocse chi comincia a lavorare oggi andrà in pensione dopo i 71 anni. L’analisi

In Italia, a chi entra oggi nel mercato del lavoro, la flessibilità per accompagnare l'uscita dal lavoro "sarà offerta solo dopo i 67 anni". Chi ha iniziato a lavorare in Italia nel 2016 a 20 anni, in base alla legge che lega l'età pensionabile alle aspettative di vita, andrà in pensione a 71,2 anni, contro i 74 anni della Danimarca e i 71 dell'Olanda. In Irlanda e Finlandia andrà in pensione a 68 anni, mentre in tutti gli altri Paesi Ocse l'età pensionabile sarà raggiunta prima. È quanto emerge dal rapporto Ocse 'Pension at Glance', come si legge sul Quotidiano Nazionale.

Attualmente l'età pensionabile in Italia è di 66,6 anni, ma salirà a 67 anni a partire dal 2019 proprio in base all'ultima revisione sulle aspettative di vita dell'Istat. L'organizzazione di Parigi invita invece tutti i governi a introdurre più flessibilità in vista dell'accesso alla pensione. In particolare, secondo l'Ocse, per alcuni paesi questa necessità "diventa urgente". 

L'Ocse rileva che nei 35 Paesi membri dell'organizzazione solo Italia, Danimarca, Finlandia, Olanda Portogallo e Slovacchia hanno introdotto il calcolo dell'aspettativa di vita nella legislazione previdenziale e che questo aumenterà l'età pensionabile in media di 1,5 anni per gli uomini e di 2,1 anni per le donne. Lo scrive anche Il Sole 24 Ore.

L'Ocse evidenzia anche che il tasso di sostituzione, cioè la percentuale di stipendio medio accumulato nel corso di una vita lavorativa che va a formare la pensione, nei 35 Paesi Ocse è attualmente del 63%, mentre il Italia sale al 93,2%, contro un minimo del 29% in Gran Bretagna e un massimo del 102% in Turchia. Ocse evidenzia che negli ultimi due anni il passo delle riforme previdenziali nei 35 Paesi membri ha "rallentato" e che gli interventi sono stati "meno ampi". Ciò è avvenuto perchè il "miglioramento delle finanze pubbliche ha diminuito le pressioni" sulla necessità di rivedere i parametri per accedere alla pensione.

"In alcuni Paesi – si legge nel rapporto – in un contesto di invecchiamento della popolazione e di incombente riduzione del lavoro, questa necessità diventa urgente. Solo così le politiche previdenziali possono rispondere alle domande di flessibilità senza mettere a repentaglio la sicurezza economica degli anziani".  Nel rapporto l'Ocse evidenzia che "quasi i due terzi dei cittadini dell'Ue" chiedono più part time e di unire pensioni parziali e lavoro, piuttosto che andare definitivamente in pensione. Tuttavia i tassi di adozione di queste richieste sono "relativamente bassi".

In Europa, secondo l'Ocse, "circa il 10% delle persone tra i 60 e i 69 anni combina lavoro e pensione" e nei Paesi Ocse "circa il 50% dei lavoratori sopra i 65 anni lavoro part time". "Questi livelli sono stati stabili negli ultimi 15 anni" si legge nel rapporto Ocse.  La spesa previdenziale nei 35 Paesi dell'Ocse è aumentata del 2,5% a partire dal 1990. è quanto si legge nel rapporto Ocse sulle pensioni. In Italia la spesa per le pensioni è già oltre il 15%, anche se "le prospettive di lungo termine sono migliorate e il ritmo della spese già anticipate è notevolmente diminuito".

 

Agi News

In 5 anni non compileremo più il 730. La rivoluzione del Fisco annunciata da Ruffini

Meno tasse, nel senso del numero delle imposte, niente più condoni, niente più dichiarazione dei redditi, nemmeno quella precompilata. Lo Stato ha abbastanza dati per fare da solo i calcoli in tasca ai contribuenti, basta incrociarli bene. È questa la rivoluzione del Fisco in 5 anni annunciata dal direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Ruffini, in una intervista a Repubblica.

“Nel momento in cui il Fisco possiede tutti i dati, ti presenta l'elaborazione di quegli stessi dati e tu da controllato diventi controllore del fisco. Ti fornisco un servizio e hai il diritto di vedere se ho lavorato bene", spiega. Per abolire completamente la dichiarazione dei redditi, dice Ruffini, ci vorranno cinque anni.  "L'Italia ha, senza dubbio, un numero di imposte superiore alla media europea. In Svizzera ci sono 25 leggi fiscali, la Germania ha 35 testi unici. Noi abbiamo 388 leggi e 396 decreti attuativi. Solo il testo unico delle imposte sui redditi ha 76 mila parole. Dal 1994 il numero di caratteri è più che raddoppiato. Dal 1986 ha subito 1.200 modifiche. Ma tutti i Paesi, Stati Uniti compresi, lamentano gli stessi problemi".​

Dice ancora il direttore delle Entrate: “Quando il Fisco commette un errore, può e deve restituire i soldi con gli interessi. Quest'anno, per esempio, abbiamo già restituito 10 miliardi di Iva e 2 di imposte sui redditi. Ma il tempo sottratto non lo si può restituire alle imprese e ai cittadini. Né a chi lavora qui dentro. E il tempo ha una sua sacralità". Aggiunge: "Il termine 'Fisco amico' non mi piace. Gli amici si scelgono. Il Fisco può essere al massimo un parente, visto che i parenti non si scelgono. Ma a patto che non sia indigesto né invadente. Il recupero dell'evasione è uno degli ambiti operativi dell'Agenzia, ma non l'unico. Centinaia di miliardi entrano spontaneamente: poi, certo, ce n'è anche una parte che entra grazie ai recuperi. Dobbiamo cambiare visione: l'interlocutore di Agenzia non dovrà essere un codice fiscale, ma il cittadino. Con la C maiuscola".

Sulla Rottamazione delle cartelle

"Rottamazione, lo dico da tributarista, non è tecnicamente un condono. L'Agenzia delle entrate – Riscossione non riscuote solo le imposte evase e non sempre chi riceve le cartelle si può definire evasore. A Bologna mi è capitato un signore con una cartella di 6 mila euro di mense scolastiche non pagate, multe dell'autobus e dell'autostrada: aveva perso il lavoro. Era un evasore? Il 53% ha debiti non superiori a 1.000 euro. Credo che dare ai cittadini la possibilità di mettersi in regola senza un salasso di sanzioni e interessi non sia sbagliato".

Il Fisco incassa alla fine circa il 10% dei 817 miliardi di euro di crediti accertati. Dice Ruffini: "Non c'è un Paese che abbia un magazzino così vasto, soprattutto per il tempo, 17 anni. Non sono solo crediti fiscali ma molto di più. Ad esempio multe e contributi previdenziali, calcolati dal 2000 al 2017, che per una serie di motivi non sono mai né recuperati né restituiti agli enti creditori. Imprese fallite, persone scomparse o senza reddito. Il paradosso è la sommatoria degli anni (…) Nel 2016 abbiamo vinto sette cause su dieci. Il problema è anche lì quanto si incassa dopo aver vinto".
 

Sul recupero dell'evasione

"Il ruolo di Agenzia è come il tutor in autostrada. Non serve a fare multe, ma a far rispettare i limiti. Le tasse dobbiamo pagarle tutti. Il giusto. L'attività dell'Agenzia è valutare i profili di rischio. La riorganizzazione interna varata pochi giorni fa, che ora è nelle sapienti mani del ministro Pier Carlo Padoan, prevede un meccanismo tale da individuare le tipologie di contribuenti con particolare attenzione al rischio. Per capire qual è il settore dove più facilmente si può nascondere l'evasione. Il nuovo modello guarda alla realtà fuori da questa porta e pone al centro i servizi ai cittadini". “Se andiamo verso un sistema che rende tutto più semplice, deve aumentare il dato della compliance spontanea rispetto al recupero di evasione".

Sulla riduzione del contante circolante

"Negli anni passati non ha determinato un calo dell'evasione. Il problema è la sua tracciabilità. Per esempio, introducendo una norma che esclude dalle detrazioni i pagamenti in contanti se non sono tracciati. Molto più efficace è la fattura elettronica".

Sulla necessità delle tasse

"La bellezza non è una categoria applicabile alle tasse. Le tasse sono il prezzo che paghiamo per vivere in questa società. E vorrei che quando arriva una lettera dell'Agenzia non sia un momento di scompenso cardiaco, perché noi lavoriamo a recuperare risorse per dare concretezza ai diritti dei cittadini: allo studio, alla salute, ai servizi".

Leggi qui l'intervista completa a Repubblica

Agi News

Gentiloni indica Visco. I sei anni sotto assedio del numero uno di Bankitalia

Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha indicato il nome di Ignazio Visco per la carica di governatore di Bankitalia. Domani il Consiglio superiore di Bankitalia si riunirà alle 8.30. Poi il premier porterà il nome del nuovo Governatore in Cdm per la delibera che verrà sottoposta al Capo dello Stato Sergio Mattarella (Il Sole 24 Ore). Sembra finito quindi il braccio di ferro per la nomina del numero uno di Bankitalia, il cui mandato scadrà il primo novembre. La nomina finale spetta al Presidente della Repubblica, mentre l'organismo di via Nazionale si riunirà domattina per valutare la proposta di Gentiloni (La Repubblica).

Il 'Ciampi boy'

I sei anni di Visco sono stati sei anni sotto assedio. Prima della crisi economica, poi di quella bancaria, infine dei partiti che a gran voce ne hanno chiesto la testa. Non si può dire che il primo mandato da governatore della Banca d'Italia di Ignazio Visco sia stato semplice. Ma lui, da buon 'Ciampi boy' (Il Foglio) ha sempre tenuto la barra dritta e rivendicato con forza il ruolo stabilizzatore svolto da via Nazionale "nonostante i venti contrari". Anche sulle banche. Che "non sono andate a rotoli" sebbene l'Italia abbia vissuto negli ultimi dieci anni "la crisi peggiore della sua storia", come forse neanche in tempo di guerra.
 
È stata Palazzo Koch, nella ricostruzione di Visco, a far emergere il marcio che si annidava nei bilanci di Mps e delle banche venete. Ed è pronto a dimostrarlo, forte di una documentazione di oltre 4.000 pagine, anche davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta presieduta da Pier Ferdinando Casini, cui ha dato immediata disponibilità ad essere ascoltato (Huffington Post).

Sei anni, mai una polemica diretta

Per il resto, in questi sei anni, mai una polemica diretta. Piuttosto il silenzio, come di fronte ai massicci attacchi di questi giorni. Succeduto a un 'monumento' europeo come Mario Draghi, Visco ha sempre scelto la strada dell''understatement'. E quando si è trattato di difendere il proprio ruolo e l'autonomia dell'istituto centrale lo ha fatto con numeri e tabelle, da economista e uomo delle istituzioni qual è. Magari qualche sassolino dalle scarpe se lo potrebbe togliere a conferma certificata, ma non sarebbe nello stile di questo napoletano 'anomalo', che spesso nasconde dietro la freddezza dei dati la sua timidezza caratteriale. D'altronde fa parte del suo 'karma' non essere mai il 'preferito'.

Non lo era di certo nell'ottobre del 2011, quando fu nominato governatore e la battaglia sembrava giocarsi tutta tra l'allora direttore generale della Banca d'Italia, Fabrizio Saccomanni, e Lorenzo Bini Smaghi, costretto a lasciare la Bce per far posto a Draghi. Fu un compromesso, la classifica vittoria dell'outsider, quello che lo portò a fare il doppio balzo da vicedirettore generale allo studio da governatore.

Tutta la vita in Bankitalia

Bankitalia, insieme agli studi economici, è stata tutta la sua vita. Classe 1949, Visco è entrato per la prima volta a via Nazionale nel 1972. Dopo un corso di perfezionamento presso la University of Pennsylvania, nel 1974 viene assegnato al Servizio Studi di cui diviene responsabile nel 1990. Tra il 1997 e il 2002 l'unica parentesi extra-Banca, da capo economista dell'Ocse a Parigi. Nel 2004 viene nominato funzionario generale dell'istituto, prima come direttore centrale per le Attivita' estere e, dal 2006, come Direttore centrale per la Ricerca economica. Nel 2008 Draghi, che lo ha sempre stimato tanto da presenziare alle sue ultime 'Considerazioni finali' quasi a benedirne la riconferma, lo promuove vicedirettore generale. Poi, nel 2011, l'inizio del primo mandato da governatore. 

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Statali: in 6 anni tagli alla spesa per 12,6 miliardi

In sei anni, dal 2009 al 2015, la spesa per i dipendenti statali si è ridotta di 12,6 miliardi di euro. Lo dice la Ragioneria generale dello Stato nel suo Annuario statistico. Negli ultimi 8 anni gli occupati sono diminuiti di 220.000 unità

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Un imprenditore italiano di 22 anni scrive all’Ue: “I soldi di Google investiteli in startup”

L'Ue ha imposto a Google una multa da 2,42 miliardi di euro. Ma che ne sarà (se li incasserà) di questi soldi? Matteo Blasi, uno sviluppatore 22enne di Bolzano, un'idea ce l'ha: “L’Europa li reinvesta nelle giovani startup digitali”. Un percorso alla Robin Hood che toglie ai grandi (Mountain View è stato accusata di abusato di posizione dominante) per dare ai piccoli. Per promuovere l'idea, Blasi ha lanciato anche una petizione su Change.org, rivolta al presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker.

“Per ottenere finanziamenti – spiega Balsi – oltre agli angel e ai venture capitalist, anche l’Unione europea mette a disposizione alcuni milioni di euro destinati alle startup innovative. Cifra però sempre molto lontana, ad esempio, dai 10 miliardi messi recentemente a disposizione da Macron per le sole startup francesi”. Il ragionamento non fa una piega. “La disponibilità di grossi capitali a cui le startup possono attingere – aggiunge – è da sempre il punto cardine per attrarre talenti e per sviluppare nuove e robuste comunità di imprese, fondamentali per arrivare a storie di successo. Il network di venture capitals in Silicon Valley e i grossi investimenti per promuovere il mondo startup israeliano ne sono l'esempio”. Certo, visti dall'ottica di un mercato italiano ancora asfittico, 2,43 miliardi sarebbero un bel tesoretto. Ma, al di là della fattibilità (tutta da verificare), trasferire un gruzzolo una tantum (come una maxi-multa) non risolverebbe certo il problema. E non renderebbe Milano come Tel Aviv.

Quella di Blasi, allora, è prima di tutto una provocazione. Destinare la somma alle startup sarebbe per l'Europa, dice, “un’occasione d’oro per dimostrare, senza particolare sforzo, l'effettivo interesse nel futuro dei suoi giovani imprenditori. Vediamo se saprà coglierla”. Poi, certo: oltre alla provocazione c'è anche il marketing. Blasi è il ceo di Flashbeing, un’applicazione italiana che racchiude in un’unica schermata tutte le principali attività professionali di una persona collegando notizie, chat e agenda. Nel 2014 ha chiuso un round da 250mila euro ed è in cerca di nuovi capitali. Un po' di visibilità non fa mai male. Anche grazie a una provocazione. 

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Arabia Saudita: piano per vendita 49% di Saudi Aramco in 10 anni

(AGI/AFP) – Riyad, 24 dic. – L’Arabia Saudita ha in programma la vendita del 49% della compagnia petrolifera nazionale Saudi Aramco nei prossimi 10 anni. Lo rivela il quotidiano Al-Eqtisadiah, secondo cui il ricavato sara’ destinato a costituire il piu’ grande fondo sovrano al mondo. Il Regno saudita e’ impegnato, dopo la crisi del prezzo del petrolio che ha provocato un forte incremento del deficit, a diversificare la propria economia, oltre a un deciso impegno per tagli di bilancio a fronte di un disavanzo che ha raggiunto i 97 miliardi di dollari nel 2015.
L’offerta pubblica iniziale (IPO) dovrebbe avvenire nel 2018, per una quota del 5% delle azioni della Aramco, che costituira’ il patrimonio di base per il nuovo fondo sovrano per una cifra di circa 2 mila miliardi di dollari. Nelle scorse settimane il presidente della Aramco, Amin Nasser, aveva annunciato che il prossimo anno la compagnia iniziera’ a pubblicare i suoi risultati trimestrali nell’intento di attirare potenziali investitori. (AGI)
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Euro: risale a 1,0452 dollari, dopo minimo da 14 anni

Roma – L'euro risale a 1,0451 dollari, dopo aver toccato ieri a New York un minimo dal gennaio 2003 (quasi 14 anni) a 1,0367 dollari. Per la prima volta dal 2002 si torna a parlare di parita' tra euro e dollaro. Decisive le mosse della Fed di mercoledi' sera, che hanno messo il turbo al biglietto verde. La Fed ha rialzato di un quarto di punto i tassi Usa. E' il secondo aumento in dieci anni e per il 2017 sono previsti tre aumenti, piu' dei due gia' messi in conto. Le aspettative di inflazione negli Usa sono in rialzo, meno in Europa, dove i prezzi restano bassi, seppure in moderata crescita. Lo yen guadagna qualcosa a 118,11 sul dollaro, dopo essere sceso al minimo da 10 mesi, sulla scia della Fed. L'aumento del costo del denaro deciso dalla Fed, peraltro atteso, si aggiuge al rafforzamento del dollaro iniziato dai primi di novembre, dopo la vittoria di Donald Trump negli Usa. Il presidente eletto promette tagli delle tasse e un forte aumento della spesa infrastrutturale, cioe' misure pro-cicliche destinate far aumentare l'inflazione. Oltre al dollaro anche Wall Street viaggia a livelli record sulla scia della Tramponomics. In Europa il trend non e' altrettanto positivo, frenato dalle incertezze politiche: Brexit, vittoria di Trump e esito del referendum in Italia. In Messico il peso, in forte deprezzamento sul biglietto verde, e' salito dell'1,7% dopo che la banca centrale ha annunciato il secondo ritocco al rialzo in un mese sui tassi. (AGI) .

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Lo sapevi? Il mobilificio santa lucia da 50 anni azienda leader nell’arredamento

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Il mobilificio santa lucia da 50 anni azienda leader nell’arredamento
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