Alla fine i cinesi ci stanno rubando il lavoro o ne stanno creando di nuovo?

La Cina ruba lavoro agli altri? Nulla di più sbagliato: i dati raccontano una storia diversa e l’inarrestabile sviluppo cinese sta creando nuovi posti di lavoro. In tutto il mondo. Così un articolo apparso sull’agenzia Xinhua respinge indirettamente le accuse rivolte da più parti alla Cina – dalla concorrenza sleale alla mancanza di reciprocità – provando a smontare quelle che per l’agenzia di stampa statale sono false notizie, in un periodo di tensioni commerciali tra Pechino e Washington, e mentre nelle stesse ore l’Assemblea Nazionale del Popolo, il parlamento cinese, promette maggiori aperture agli investitori stranieri, più volte invocate anche dalle imprese europee. Proprio oggi il ministro degli Esteri, Wang Yi, ha dichiarato che la Cina “produrrà una risposta legittima e necessaria” in caso di guerra commerciale con gli Usa, ribadendo che il governo cinese è impegnato nel percorso di socialismo con caratteristiche cinesi e sottolineando il contributo della Cina a livello globale. "La Cina – ha detto Wang – è impegnata in una lunga marcia verso la modernizzazione e non ha la volontà o il bisogno di rimpiazzare l’America”. Nelle stesse ore sono stati resi noti i dati sull'export della Cina che vola a +11,2% a febbraio, mentre il surplus commerciale con gli Usa si riduce su base mensile, passando da 25,6 a 21 miliardi di dollari, pur raddoppiando rispetto ai 10,4 miliardi di dollari del febbraio 2017.

Il ragionamento del maggiore organo di stampa cinese parte da una questione di principio: “A rigor di logica – scrive Xinhua – nessun Paese può ‘rubare’ lavoro agli altri giacché ciascuno crea opportunità di lavoro per i propri cittadini sulla base del proprio sviluppo economico”. L’editoriale sottolinea poi come la Cina abbia sempre agito nel pieno rispetto delle regole internazionali; lo ha fatto quando era ancora un Paese sottosviluppato, continua a farlo oggi oggi che è diventata la seconda economia al mondo. Di più. La Cina ha sempre “lavorato con i partner commerciali per raggiungere risultati win-win”, un concetto molto caro alla leadership cinese. “Le aziende manifatturiere cinesi – si legge nel commento – espandono la propria presenza globale e assumono sempre di più lavoratori locali”. Ipse dixit. Così la retorica ufficiale prova dissipare i sospetti che si addensano sulla politica di investimento cinese. Un altro discorso riguarda invece il vorace acquisto di aziende strategiche americane ed europee che ha provocato anche a Bruxelles una levata di scudi. 

Xinhua cita l’esempio di Fuyao Group, azienda leader nella produzione di vetri auto, presente nella città di Moraine, nello stato dell’Ohio, con uno stabilimento di 470mila metri quadrati che dà lavoro a più di 2mila persone. Nel 2008, spiega Xinhua, la chiusura dell’impianto di assemblaggio della General Motors aveva causato la perdita di migliaia di posti lavoro ma “l’arrivo di Fuyao, il maggiore investimento cinese nella regione, è stato accolto come un fatto positivo dalla comunità locale”. Non sono mancati i problemi. Nel novembre dello scorso anno, scrive il New York Times, i lavoratori dello stabilimento di Fuyao hanno respinto in maggioranza, con 860 voti contrari e 444 a favore, la proposta di creazione di un sindacato interno, una vittoria per il management cinese dopo il durissimo braccio di ferro con l’agguerrita United Automobile Workers union che puntava a favorire politiche migliori per i dipendenti sul fronte di promozioni, ferie e aumenti. Un epilogo che però non ha messo a tacere le accuse sollevate da alcuni lavoratori, preoccupati da una gestione “rigida e arbitraria” dopo una raffica di licenziamenti per cattiva condotta. Fuyao – scrive Xinhua – punta a espandersi ulteriormente negli Stati Uniti e promette migliaia di assunzioni.

L’articolo sciorina altri dati ufficiali (qualcuno avrà forti dubbi sulla loro veridicità alla luce del vizio cinese di gonfiare i dati statistici interni, per stessa ammissione cinese). Secondo il China General Chamber of Commerce-USA, al 2016 la Cina ha investito oltre 20 miliardi di dollari in nove stati americani nel Midwest generando 45mila posti di lavoro. Se ci spostiamo in America Latina, i posti di lavoro creati dalle compagnie cinesi dal 1995 al 2016 sono stati 1,8 milioni, stando ai dati dell’International Labor Organization. Si tratta – sottolinea l’agenzia – di investimenti in settori vitali, quali alimentare, comunicazione, energia rinnovabile, che hanno “migliorato le infrastrutture locali e incrementato i consumi”.

Pechino sfoggia con orgoglio i primi risultati della Nuova Via Della Seta: 900 progetti di nuove infrastrutture, 780 miliardi di dollari generati dagli interscambi con i 60 paesi coinvolti, 200 mila nuovi posti di lavoro. Nell’ambito dell’iniziativa lanciata dal presidente Xi Jinping nel 2013 con l’obiettivo di collegare Asia, Africa ed Europa via terra e via mare, le aziende cinesi hanno investito circa 50 miliardi di dollari e aiutato a costruire 75 zone di cooperazione economica e commerciale in ben 24 Paesi. Sono i dati ufficiali del ministero del Commercio di Pechino.

Nei giorni scorsi lo stesso primo ministro Li Keqiang, nella sua relazione all’apertura dell’Assemblea Nazionale del Popolo, dopo aver annunciato il mantenimento del target di crescita intorno al 6,5% e l’innalzamento del budget militare, ha ribadito che la Cina intende concedere ulteriori aperture al mercato interno e ampliare la cooperazione industriale con altri Paesi. Tradotto: le aziende manifatturiere del gigante asiatico vogliono dominare sempre di più il mercato globale.

La Cina, conclude Xinhua, non è brava solo nel creare opportunità di lavoro nei Paesi dove investe, ma anche nell’attrarre talenti stranieri di cui ha bisogno per portare a termine il Piano di innovazione manifatturiera “Made in China 2025” che punta a trasformarla in pochissimi anni nel leader delle tecnologie più avanzate. Detto, fatto. “L’industria manifatturiera ad alta intensità tecnologica è cresciuta dell’11,7% negli ultimi cinque anni”, scrive Xinhua. Pechino ha sete di know-how ed è a caccia di talenti: solo nel 2016 sono stati 1.576 i professionisti stranieri a ottenere il permesso di residenza, in crescita del 163% rispetto all’anno precedente, stando ai dati elaborati dal ministero della Pubblica Sicurezza. I settori più richiesti? Tecnologia 5G, motori aeronautici, veicoli elettrici, nuovi materiali e macchinari. Avanti tutta. 

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