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Sui social lo sciopero è più forte della paura del Covid

AGI –  Lo sciopero generale proclamato da Cgil e Uil, con l’assenza della Cisl, ha portato 10mila persone in Piazza del Popolo a Roma, secondo i dati di fonti vicine alla Questura. “Insieme per la giustizia” è lo slogan scelto dalle due sigle sindacali. Lavoratori pubblici e privati di diversi settori, dal trasporto ferroviario e aereo, a quello cittadino, personale delle autostrade, i corrieri, i lavoratori della logistica, i portuali e gli autotrasportatori, tutti a manifestare e protestare contro la legge di bilancio presentata dal Governo.

Assenti, invece, i lavoratori della sanità, della scuola e delle poste. Oltre alla manifestazione nazionale svoltasi a Roma, ci sono state altre iniziative analoghe a Bari, Cagliari, Milano e Palermo.

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#Bombardieri: Abbiate rispetto delle persone che sono scese in piazza: non volevano bloccare il Paese ma ottenere risposte dal Governo.⁰@PpBombardieri #TagadaLa7

— Uil Nazionale (@UILofficial) December 16, 2021

 

La comunicazione e la condivisione online non sostituiscono l’implementazione delle reti solidali, ma certamente le piattaforme digitali possono essere molto utili a costruire mobilitazioni reali nelle piazze. Con gli algoritmi di intelligenza artificiale di Kpi6* abbiamo analizzato le migliaia di conversazioni sul web, e il sentiment ossia l’andamento delle emozioni, ricavabili all’interno dei contenuti pubblicati sullo #sciopero.
Di #ScioperoGenerale si è iniziato a parlare in modo consistente già alcuni giorni prima della manifestazione nelle piazze, sin dall’inizio del mese di dicembre quando la mobilitazione è stata annunciata.

Discussioni sia sull’opportunità di scioperare, ma anche sulle varie tematiche di tipo economico, inerenti la manovra di bilancio, il lavoro e la ripresa economica. Una discussione ampia, articolata sull’effettivo valore e robustezza della crescita del prodotto interno lordo, sugli effetti del covid sull’economia e gli obiettivi concreti che lo sciopero può ottenere. Infatti le conversazioni spesso non includono menzioni alle sigle sindacali. Come se lo sciopero fosse sganciato dai promotori e in realtà sia stato il pretesto per aprire una discussione allargata, sulle azioni del Governo e le prospettive economiche.

Tra le sigle sindacali la Cgil è la più menzionata, con valori pressoché identici a quelli che caratterizzano la Uil, mentre la Cisl ha ottenuto un basso volume di visibilità all’interno delle conversazioni, nonostante il clamore provocato dalla mancata adesione allo sciopero.

Parlare tanto di un fenomeno sociale o di un protagonista politico, non necessariamente porta visibilità positiva, infatti il sentiment associato a Cgil e Uil è nettamente negativo, al 90%. In molti contestano l’opportunità di scioperare in una fase ritenuta delicata come quella attuale, anche in relazione alla possibile diffusione dei contagi e di nuovi focolai. 

Gli hashtag maggiormente associati allo sciopero, sono #CGIL e #UIL, mentre le frasi e le parole più presenti all’interno dei contenuti sono orientate alla protezione dei diritti e allo sviluppo dell’occupazione: “disaccordo Governo”, “manovra bocciata”, “chiediamo insieme giustizia” e “sciopero sacrosanto”. Ma c’è anche chi fa sentire una voce favorevole all’esecutivo, infatti tra le conversazioni emerge “manovra combatte il precariato”.

Le conversazioni sono di altro tipo quando si associano alla Cisl: “Responsabilità” e “dialogo”, sono le parole più rappresentate. Ma una parte dell’audience definisce la scelta di non partecipare allo sciopero una “scelta incomprensibile”, a conferma di come l’idea di vedere il fronte sindacale non compatto, provochi comunque disappunto.

Gli argomenti collegati allo sciopero, dei quali si parla sul web, sono raggruppabili in cinque categorie:
·         Lavoratori
·         Draghi e Governo
·         Legge di bilancio
·         Pensioni e pensionati
·         Covid e probabilità di contagi

Le categorie del rischio sanitario e di nuovo focolai è quella che ha provocato meno conversazioni, mentre il tema del lavoro e del precariato, oltre alle discussioni sul Governo, sono quelle più popolate con i contenuti degli utenti.

La prevalenza delle forze politiche, in generale, non ha sostenuto  lo sciopero, sebbene rispettandone la piena legittimità, e raccogliendo i vari spunti di riflessioni portati avanti nelle piazze.

Ancora livore da #Salvini contro i lavoratori di questo Paese e contro i sindacati.
Nessun stupore per la sua reazione: d’altronde sono i suoi consulenti ad essere orgogliosi quando riescono a licenziare gli operai e a chiudere delle fabbriche in Italia#SCIOPEROgenerale pic.twitter.com/1iOJBZMyLP

— nicola fratoianni (@NFratoianni) December 16, 2021

Uno sciopero si rispetta, sempre. Tuttavia, è meglio che i lavoratori – nel decidere se aderire o no – si basino sulle informazioni corrette, e non sulla propaganda. Ne va della qualità del nostro spazio pubblico. pic.twitter.com/zepW30icUg

— Luigi Marattin (@marattin) December 15, 2021

La politica non può ignorare lo #scioperogenerale, serve un segnale concreto per la dignità dei lavoratori. Sul #salarioMinimo chiediamo a tutti i partiti, a partire dal Pd, di rompere gli indugi. Basta perdere tempo: in Parlamento c’è la proposta del @Mov5Stelle.

— Carlo Sibilia (@carlosibilia) December 16, 2021

Osservando la geo distribuzione delle conversazioni sull’intero territorio nazionale, notiamo che in Lombardia e Lazio si è parlato molto dello sciopero; molto meno nel resto d’Italia, anche in quelle regioni dove i lavoratori hanno manifestato, a Bari, Cagliari, Palermo.

* Analisti: Gaetano Masi, Marco Mazza, Giuseppe Lo Forte, Pietro La Torre; Design: Cristina, Addonizio; Giornalista, content editor: Massimo Fellini


Sui social lo sciopero è più forte della paura del Covid

La mossa di Wizz Air: prezzi dei biglietti più bassi per stimolare la domanda

AGI – Wizz Air abbasserà i prezzi dei biglietti per incoraggiare le persone a volare nei prossimi mesi e per le vacanze invernali: una mossa che potrebbe sbaragliare la concorrenza ma che riporterebbe l’aviolinea in perdita dopo aver registrato un utile trimestrale per la prima volta dall’inizio della pandemia.

La compagnia aerea quotata a Londra ha riportato un utile operativo di 57 milioni di euro nei tre mesi fino alla fine di settembre, e ha riferito che il numero di passeggeri era tornato a livelli quasi normali durante le settimane più trafficate dell’estate.

Non solo Wizz, anche Ryanair e Lufthansa sono tornate agli utili la scorsa estate. Ma l’amministratore delegato della compagnia aerea, Jozsef Varadi, ha fatto sapere che la compagnia avrebbe bisogno di “stimolare la domanda” e quindi ha deciso di tagliare le tariffe.

Con il taglio delle tariffe, e visti i costi delle materie prime, l’ad si aspetta che la società registri di nuovo una perdita operativa di 200 milioni di euro nel trimestre in corso. Non solo, il ‘rosso’ di bilancio potrebbe continuare nel primo trimestre del prossimo anno. Wizz ha registrato una perdita netta di 120,9 milioni di euro per i sei mesi fino alla fine di settembre, la metà della perdita dell’anno precedente. La compagnia aerea ha riportato un profitto di 371,5 milioni di euro nel periodo equivalente del 2019. 


La mossa di Wizz Air: prezzi dei biglietti più bassi per stimolare la domanda

In Italia i costi per avviare una startup sono tra i più cari in Europa

AGI – Mettere in piedi una startup in Italia costa quasi 10 volte di più rispetto alla Germania, oltre 15 volte di più rispetto a quanto si spende in Francia, quasi 7 volte in più che in Spagna e ben 188 volte in più della Croazia.

È quanto mette in evidenza uno studio del Centro studi di Unimpresa sui costi delle startup nell’Unione europea, secondo il quale in Slovenia l’avvio di un’attività imprenditoriale è addirittura a “costo zero”.

Secondo il documento, che ha preso in considerazione una serie di studi suii costi imprenditoriali nell’Unione europea, per avviare un attività d’impresa occorrono, tra spese legali, adempimenti amministrativi e oneri fiscali, 4.155 euro in Italia, 2.207 euro nei Paesi Bassi, 2.109 euro in Austria, 2.046 in Belgio, 1.886 euro a Cipro, 679 euro in Finlandia, 627 euro in Spagna, 528 euro a Malta, 446 euro in Germania, 328 euro in Polonia, 312 in Ungheria, 270 euro in Francia, 244 euro in Lettonia, 227 euro in Portogallo, 219 euro in Svezia, 177 euro in Slovacchia, 174 euro in Grecia, 149 euro in Estonia, 134 euro nella Repubblica Ceca, 93 euro in Danimarca, 76 euro in Lituania, 72 euro in Irlanda, 63 euro in Bulgaria, 32 euro in Romania, 22 euro in Croazia e 0 euro in Slovenia. L’Italia è dunque il paese più caro nell’Ue per avviare una startup, con costi pari al doppio di quelli necessari nei Paesi Bassi (seconda posizione dello speciale ranking), in Austria (terza) e Belgio (quarto). 

“Quella dell’abbattimento delle spese per le start up è una delle maggiori sfide che il governo guidato da Mario Draghi deve realizzare con il Piano nazionale di ripresa e resilienza: non intendo alzare troppo l’asticella e sostenere che dobbiamo arrivare al ‘costo zero’ della Slovenia, ma certamente sono necessari interventi per liberare e incentivare lo spirito imprenditoriale del Paese, per far emergere il valore straordinario del made in Italy”, commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.

“È un record di cui non possiamo vantarci, è uno dei tanti spread che rendono l’Italia assai meno competitiva nel contesto dell’Unione europea: si tratta di un divario da ridurre quanto prima e il Recovery Fund, con i suoi 191 miliardi di euro, va impiegato con lungimiranza anche in questa direzione”, aggiunge.

Secondo Spadafora, “di divari ne abbiamo tanti: sul fronte fiscale, sui tempi della giustizia civile, sulle infrastrutture fisiche e pure su quelle tecnologiche, ma anche sul versante dell’efficienza della pubblica amministrazione. Una lunga lista di fattori che hanno zavorrato la nostra economia per decenni, tenendo la crescita sempre a livelli da prefisso telefonico”. 


In Italia i costi per avviare una startup sono tra i più cari in Europa

L’economia tedesca cresce più del previsto 

AGI – L’economia tedesca è cresciuta più del previsto nel secondo trimestre dell’anno sulla scia dell’allentamento delle restrizioni anti Covid-19 che ha spronato i consumatori ad attingere a risparmi record accumulati durante il lockdown invernale, mentre lo Stato ha messo ‘benzina’ con un enorme stimolo finanziato dal debito.

Su base annua, la locomotiva tedesca si è espansa del 9,4% nel secondo trimestre, lasciando l’attività economica del 3,3% al di sotto dei livelli pre-crisi del quarto trimestre del 2019. L’economia tedesca è cresciuta invece dell’1,6% rispetto al trimestre precedente. Il dato è stato rivisto al rialzo rispetto alla stima preliminare. 

Il consumo privato è cresciuto del 3,2% tra aprile e giugno, contribuendo per 1,6% punti percentuali alla crescita complessiva e spingendo il tasso di risparmio al 16,3%. Nel primo trimestre, quando negozi, bar e ristoranti sono rimasti chiusi, quel tasso ha toccato il massimo storico del 22%. I consumi pubblici si sono espansi dell’1,8%, contribuendo al tasso di crescita complessivo per lo 0,4%.

La spesa statale per attutire l’impatto della crisi del coronavirus, finanziata con nuovi prestiti senza precedenti, ha creato un buco da un 80,9 miliardi di euro (95 miliardi di dollari) nelle finanze pubbliche nella prima metà dell’anno.

Questo equivale a un deficit del settore pubblico del 4,7% del Pil, al top da 26 anni. Carsten Brzeski di Ing Bank ha definito questo dato “il lato negativo della rapida ripresa economica”. “Lo stimolo dovrebbe aiutare a riportare l’economia ai livelli pre-crisi prima della fine del 2021, ma lascerà al nuovo governo un pesante fardello da sostenere”, aggiunge Brzeski. 


L’economia tedesca cresce più del previsto 

Sempre più digitali i clienti delle banche italiane

AGI – Digitalizzazione dei servizi e sicurezza dei clienti per le banche operanti in Italia vanno di pari passo: aumenta, infatti, l’utilizzo dei canali digitali e parallelamente si rafforza l’impegno del Mondo Bancario contro i crimini informatici grazie alle iniziative perseguite, in risposta alle restrizioni derivanti dal Covid-19, anche in collaborazione con le associazioni dei consumatori.

L’UTILIZZO DEI CANALI DIGITALI NEL 2020
Dall’indagine contenuta nel decimo Rapporto annuale realizzato da Abi Lab, il Consorzio per la ricerca e l’innovazione per la banca promosso dall’Abi, che fa il punto sullo sviluppo e sulle potenzialità del Digital Banking emerge che per le banche intervistate i clienti attivi su Mobile sono cresciuti del 15% nel 2020. A trainare la tendenza i clienti che accedono al Mobile Banking da app (applicazioni) per smartphone. In crescita del 56% anche il volume totale delle operazioni dispositive su Mobile Banking: tra queste, bonifici e giroconti +72%. Complessivamente nel campione oggetto di analisi il PC è ancora il canale che registra più volumi (173 milioni di operazioni dispositive nel 2020) sebbene il Mobile (con 171 milioni) si stia avvicinando sempre più al sorpasso.

Inoltre, l’impatto della pandemia si è tradotto in un aumento degli accessi medi mensili per il cliente, rispettivamente +31% per il Mobile e +14% per l’Internet Banking. Tutti gli istituti del campione offrono servizi tramite Internet Banking e app per smartphone, il 40% offre app anche sui tablet e il 16% sui dispositivi indossabili (wearable).

DA OGNI BANCA IN MEDIA 2,6 APP
Mediamente ogni banca offre 2,6 app (a campione costante il 76% ha mantenuto invariato il numero, il 12% lo ha aumentato e il 12% lo ha diminuito). Infatti, oltre che con app “classiche”, le diverse funzionalità possono essere offerte anche con app ad hoc focalizzate su determinate funzionalità e segmenti di clientela. Relativamente ai sistemi operativi, la totalità delle app censite è fruibile sia da IoS che Android. Sia per le app di Mobile Banking che per i portali di Internet Banking lo studio sottolinea una forte attenzione per le funzionalità legate ai Pagamenti, in particolare i bonifici istantanei, già offerti dal 52% delle banche e gli strumenti di gestione finanza personale (57% già disponibili da app, 52% da Internet Banking). L’area del comparto del credito si conferma l’ambito in cui l’offerta via Internet Banking è più sviluppata rispetto a quella tramite app, basti pensare che le funzionalità collegate alla gestione dei prestiti e dei mutui sono proposte rispettivamente dal 43% e dal 33% del campione.

Sempre più banche offrono servizi basati su piattaforme API (Application Programming Interface), in particolare finalizzate all’aggregazione di informazioni: il servizio di aggregazione conti (Account Aggregation) è offerto dal 19% delle realtà sul Mobile e un altro 33% si aggiungerà entro la fine dell’anno; da PC è attivo il 14% a cui si aggiungerà un 24%.

CRESCONO GLI INVESTIMENTI DIGITALI DELLE BANCHE
La forte attenzione del mondo bancario per Internet e Mobile Banking trova conferma anche nelle previsioni di investimento per il 2021: il 75% delle banche intervistate ha segnalato un aumento per il Mobile (nel 21% dei casi un forte aumento) e il 41% per l’Internet Banking (8% in forte aumento). Le aree su cui vengono canalizzati maggiormente gli sforzi sono il miglioramento dell’esperienza utente, l’efficientamento dei sistemi e la sicurezza informatica. Nell’ambito delle strategie di sviluppo dell’offerta digitale assume un ruolo rilevante la collaborazione con le Fintech, già attiva per il 58% del campione (con un ulteriore 13% entro il 2021).

L’IMPEGNO DELLE BANCHE CONTRO I CRIMINI INFORMATICI
Si rafforza ulteriormente l’impegno del mondo bancario nella lotta ai crimini informatici, attraverso presidi tecnologici, iniziative di formazione del personale e campagne di sensibilizzazione della clientela. In quest’ottica, a supporto ulteriore di questo impegno, l’Abi e 17 Associazioni dei consumatori hanno inviato una lettera all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni  per sollecitare un maggiore coordinamento nel contrasto alle frodi informatiche. In questi mesi di emergenza Covid sono state portate avanti una serie di iniziative volte a supportare gli operatori del settore finanziario e a rilevare nuove possibili minacce. Tali attività si affiancano alle iniziative delle banche, che numerose hanno attivato campagne di sensibilizzazione rivolte ai dipendenti proprio per sollecitare l’attenzione sulle misure da adottare nel lavoro tra le mura domestiche.

Dall’ultimo studio di Abi Lab sulla sicurezza emerge che la maggior parte delle banche intervistate ha indicato un aumento della spesa per il 2021 destinata sia alla sicurezza dei canali remoti, sia al rafforzamento dei sistemi di monitoraggio e protezione interni alla banca.

I CONSIGLI AGLI UTENTI
La sicurezza informatica, tuttavia, passa anche attraverso la collaborazione dei clienti delle banche. Per operare online in modo comodo e sicuro, infatti, è importante seguire alcune semplici regole: cambiare periodicamente la password dell’email, dei social network, dell’internet banking e dei siti per gli acquisti online; aprire solo le email provenienti da indirizzi noti; accedere a Internet solo dal proprio computer; installare o aggiornare l’antivirus; contenere la diffusione delle informazioni personali online; usare password diverse per siti diversi. 


Sempre più digitali i clienti delle banche italiane

L’economia italiana si è dimostrata più resiliente del previsto

AGI – L’economia italiana va meglio delle aspettative. Si è mostrata più resiliente del previsto e per questo le stime economiche dell’estate della Commissione europea hanno ritoccato al rialzo il Pil di quest’anno: +5% (nei dati di primavera era del 4,2%). Una cifra da “boom economico”, l’ha definita il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni.         

Viene invece rivista leggermente al ribasso la stima per l’anno prossimo (4,2 invece del 4,4%) ma il dato è condizionato da un eccesso di prudenza che ha portato i tecnici di Bruxelles a non calcolare l’apporto che arriverà dalle riforme contenute nel Piano nazionale di ripresa e resilienza ma solo dagli investimenti.     

Secondo questi numeri, il Pil italiano dovrebbe tornare ai numeri pre-crisi nel corso del 2022 in leggero ritardo rispetto ad altri Paesi europei che ci riusciranno già quest’anno. “Non possiamo accontentarci di un rimbalzo che ci faccia tornare alla situazione precedente, dobbiamo utilizzare anche gli investimenti, le riforme del Pnrr reso possibile dai grandi finanziamenti europei, per avere una crescita stabile, duratura, sostenibile”, ha precisato Gentiloni.     

Il vento di ottimismo a Bruxelles non riguarda solo l’Italia. Vengono rivisti al rialzo anche i dati dell’eurozona e dell’Ue, 4,8% nel 2021 e 4,5% nel 2022 per entrambe. Rispetto alle previsioni economiche di primavera, il tasso di crescita per il 2021 è significativamente più alto nell’Ue (+0,6 punti percentuali, era 4,2%) e nell’area dell’euro (+0,5), mentre per il 2022 è leggermente superiore in entrambe le aree (+0,1, sul 4,4%).      

Il Pil tornerà al livello pre-crisi nell’ultimo trimestre del 2021 sia nell’Ue che nell’eurozona. Per l’area dell’euro, si tratta di un trimestre in anticipo rispetto alle previsioni di primavera. La crescita dovrebbe rafforzarsi a causa di diversi fattori. In primo luogo, l’attività nel primo trimestre dell’anno ha superato le aspettative.

In secondo luogo, un’efficace strategia di contenimento del virus e progressi con le vaccinazioni hanno portato a un calo del numero di nuovi contagi e ricoveri, che a loro volta hanno permesso agli Stati membri dell’Ue di riaprire le loro economie nel trimestre successivo. Questa riapertura ha beneficiato in particolare le imprese del settore dei servizi.

I consumi privati ​​e gli investimenti, grazie anche al Recovery, dovrebbero essere i principali motori della crescita, sostenuti dall’occupazione che dovrebbe muoversi di pari passo con l’attività economica. La forte crescita dei principali partner commerciali dell’Ue dovrebbe avvantaggiare le esportazioni di beni dell’Unione, mentre le esportazioni di servizi dovrebbero risentire dei rimanenti vincoli al turismo internazionale.    

Anche la stima sul tasso di inflazione per quest’anno e per il prossimo è stata rivista al rialzo. Si prevede che ci sarà una pressione al rialzo sui prezzi al consumo pari al 2,2% per quest’anno (+0,3 punti percentuali rispetto alle previsioni di primavera) e dell’1,6% nel 2022 (+0,1 punti percentuali). L’aumento è dovuto “all’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime, alle strozzature della produzione dovute a vincoli di capacità e carenza di alcuni componenti di input e materie prime, nonché a una forte domanda sia in patria che all’estero. Queste pressioni – spiega l’esecutivo europeo – dovrebbero attenuarsi gradualmente man mano che i vincoli alla produzione verranno risolti e con la convergenza tra la domanda e l’offerta.    

Migliorano “lentamente” anche le condizioni del mercato del lavoro, tuttavia “le prospettive dipendono non solo dalla velocità della ripresa, ma anche dai tempi di ritiro del sostegno politico e dal ritmo con cui i lavoratori vengono reintegrati tra i settori e le imprese”, ha spiegato Gentiloni che vede il ritiro del blocco dei licenziamenti italiano come parte delle “politiche incoraggiate a livello europeo di un ritiro selettivo e graduale delle misure di sostegno”.


L’economia italiana si è dimostrata più resiliente del previsto

Costo del lavoro, in Italia tra i più alti dei paesi Ocse 

AGI – Tasse sul lavoro in Italia sono in ribasso, ma sono ancora troppo alte tra i paesi Ocse: tra il 2019 e il 2020, il cuneo fiscale arretra dal 47,9% al 46%, attestandosi di 11,4 punti sopra la media Ocse, che è del 34,6% (dal 35% del 2019).

Una quota che colloca il nostro paese al quarto posto nell’area, dietro a Belgio, Germania e Austria, a pari merito con la Francia. E’ quanto si legge nel rapporto ‘Taxing Wages‘ dell’Ocse.

Più nel dettaglio, il cuneo fiscale in Italia è sceso di 1,91 punti percentuali tra il 2019 e il 2020, attestandosi al 46% per un lavoratore medio single senza figli.

Si tratta del quarto cuneo fiscale più alto tra i 34 paesi dell’area Ocse, dopo il Belgio (51,5%, la Germania (49%) e l‘Austria (47,3%), mentre la Francia è anch’essa al 46%.

In fondo alla classifica troviamo il Cile, con un cuneo fiscale al 7%.  La media dell’area Ocse è in calo dello 0,39% al 34,6%

Tornando all’Italia, il costo del lavoro in Italia è di circa 49.000 mila euro per ogni singolo lavoratore, sopra la media dell’area Ocse (quasi 45.000 mila euro), al diciannovesimo posto tra i paesi più avanzati.

Dal rapporto emerge anche che in Italia il salario medio lordo è di oltre 37 mila euro (37.178 euro), al di sotto di quello medio Ocse pari a 39.188 euro.

Inoltre, i salari lordi italiani sono tassati del 29% contro il 24,9% della media Ocse. Solo nel 2020, il costo del lavoro in Italia si attesta a 48.919 euro l’anno per ogni lavoratore single senza figli, considerando le tasse sul reddito e i contributi delle imprese e dei lavoratori. Si tratta del diciannovesimo costo del lavoro più alto tra i 34 paesi dell’area Ocse.

Inoltre, in Italia il peso maggiore del costo del lavoro è sulle spalle delle imprese, i cui contributi rappresentano il 24% del totale, mentre i contributi dei lavoratori pesano per il 7,2% e la tassazione sul reddito per il 14,8%.


Costo del lavoro, in Italia tra i più alti dei paesi Ocse 

La Gran Bretagna di Johnson crescerà più dell’America di Biden

AGI – Goldman Sachs, in una nota alla clientela, rivela che il Pil del Regno Unito quest’anno crescerà di un “sorprendente” +7,8% quest’anno, più che negli Stati Uniti. Il Fmi ha previsto che la Gran Bretagna, la quinta economia mondiale, nel 2021 cresca del 5,3%. Tuttavia rispetto a quelle previsioni ci sono stati segni di un’accelerazione nel ritmo della ripresa britannica, grazie alla rapidità con cui sono stati distribuiti i vaccini, che attualmente sono stati somministrati a più della metà della popolazione.

Secondo Goldman, il Pil Usa aumenterà del 10,5% e toccherà il picco della sua crescita nel secondo trimestre dell’anno, grazie all’impatto degli 1,9 miliardi di dollari di stimoli fiscali varati dall’amministrazione Biden e alle riaperture. Goldman prevede anche un’inflazione Pce core in rialzo, in via temporanea, oltre il target della Federal Reserve, fissato al 2%. Per il secondo semestre del 2021, le stime sul Pil Usa sono di un’espansione s pari a +7%. 


La Gran Bretagna di Johnson crescerà più dell’America di Biden

Draghi: il Recovery Plan è la sfida per un Paese più moderno

AGI – Il governo stima che nel 2026, anno di conclusione del Recovery plan, “il prodotto interno lordo sarà del 3,6 per cento più alto rispetto all’andamento tendenziale e l’occupazione di quasi 3 punti percentuali”. È quanto si legge nella premessa alla bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza a firma di Mario Draghi, pubblicata da Il Foglio.  

Gli investimenti previsti nel Piano, sottolinea Draghi nella premessa del testo ancora non definitivo, “porteranno inoltre a miglioramenti marcati negli indicatori che misurano la povertà, le disuguaglianze di reddito e l’inclusione di genere, e un marcato calo del tasso di disoccupazione giovanile. Il programma di riforme potrà ulteriormente accrescere questi impatti”. 

Il 40 per cento circa delle risorse del Piano sono destinate al Mezzogiorno, a testimonianza dell’attenzione al tema del riequilibrio territoriale”, afferma ancora Draghi. Il Piano, si legge ancora, “è in piena coerenza con i sei pilastri del Next Generation Eu e soddisfa i parametri fissati dai regolamenti europei, con una quota di progetti ‘verdi’ pari al 38 per cento del totale e di progetti digitali del 25 per cento”.

“La supervisione politica del Piano è affidata a un comitato istituito presso la Presidenza del Consiglio a cui partecipano i ministri competenti”, specifica ancora la bozza. “Il governo ha predisposto uno schema di governance del Piano – si legge nel testo – che prevede una struttura di coordinamento centrale presso il ministero dell’Economia. Questa struttura supervisiona l’attuazione del piano ed è responsabile dell’invio delle richieste di pagamento alla Commissione europea, invio che è subordinato al raggiungimento degli obiettivi previsti”.

Questa struttura di coordinamento è affiancata da “una struttura di valutazione e una struttura di controllo. Le amministrazioni sono invece responsabili dei singoli investimenti e delle singole riforme e inviano i loro rendiconti alla struttura di coordinamento centrale. Il governo costituirà anche delle task force locali che possano aiutare le amministrazioni territoriali a migliorare la loro capacità di investimento e a semplificare le procedure”. 

“L’Italia deve combinare immaginazione e creatività a capacità progettuale e concretezza. Il governo vuole vincere questa sfida e consegnare alle prossime generazioni un Paese più moderno, all’interno di un’Europa più forte e solidale”, dice ancora il presidente del Consiglio.  

Il minor incremento del Pil rispetto agli altri Paesi europei registrato negli ultimi vent’anni e il “deludente” andamento della produttività sono “problemi che rischiano di condannare l’Italia a un futuro di bassa crescita da cui sarà sempre più difficile uscire. La storia economica recente dimostra, tuttavia, che l’Italia non è necessariamente destinata al declino“, si legge ancora nella bozza, che ricorda: “Nel secondo Dopoguerra, durante il miracolo economico il nostro paese ha registrato tassi di crescita del pil e della produttività tra i più alti d’Europa. 

“Il Pnrr – sottolinea ancora il premier – è parte di una più ampia e ambiziosa strategia per l’ammodernamento del Paese. Il governo intende aggiornare e perfezionare le strategie nazionali in tema di sviluppo e mobilità sostenibile; ambiente e clima; idrogeno; automotive; filiera della salute”. 

Presso la Presidenza del Consiglio, si afferma nella bozza, “viene costituito un apposito Ufficio per la razionalizzazione e semplificazione delle leggi e dei regolamenti, per permettere una continuità di proposte e di interventi nel processo di semplificazione normativa”. Più in generale, sottolinea Draghi, “la riforma finalizzata alla realizzazione e semplificazione della legislazione abroga o modifica leggi e regolamenti che ostacolano eccessivamente la vita quotidiana dei cittadini, le imprese e la Pubblica amministrazione”. Questa riforma “interviene sulle leggi in materia di pubbliche amministrazioni e di contratti pubblici, sulle norme che sono di ostacolo alla concorrenza, sulle regole che hanno facilitato frodi o episodi corruttivi. E’ potenziato il Dipartimento affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio”. 


Draghi: il Recovery Plan è la sfida per un Paese più moderno

La Ue rischia 2 anni di Pil perso, serve più ambizione. Dice Fabio Panetta

AGI – La pandemia di coronavirus lascerà all’economia europea danni maggiori di quelli che vediamo ora. Parte da questa riflessione la lunga intervista di Fabio Panetta al quotidiano spagnolo ‘El Pais’, in cui il membro del Consiglio esecutivo della Bce chiede maggiore ambizione nella politica monetaria e fiscale per stimolare l’inflazione e la crescita nella zona euro.

“C’è un po’ meno incertezza, ma è ancora alta. La distribuzione del vaccino sta accelerando, ma è ancora lenta. E la pandemia sta avanzando rapidamente in alcuni paesi, influenzando le prospettive di crescita. – è la premessa – anche se quest’anno gli Stati Uniti riguadagneranno il livello pre-crisi, la zona euro non lo farà prima della metà del 2022“.

Avverte Panetta: “Potremmo aver definitivamente perso due anni di crescita. L’inflazione rimarrà al di sotto del nostro obiettivo del 2% a medio termine, contrariamente a quanto accade negli Stati Uniti, nel Regno Unito o in Canada. Dobbiamo essere più ambiziosi per aumentare il potenziale di crescita e avvicinare l’inflazione al nostro obiettivo. E dobbiamo dare ai consumatori e agli investitori maggiori garanzie sulle prospettive dell’economia europea”. 

Per Panetta in generale “non sarebbe saggio scommettere su un rapido recupero. Ci sono rischi che possono impedire la realizzazione dei miglioramenti pianificati – avverte – e anche se riusciamo a uscire presto dalla pandemia, ci renderemo conto che il danno all’economia è maggiore di quello che vediamo ora. Nulla impedisce alla zona euro di avere una robusta ripresa, ma per questo l’economia deve essere sostenuta con il livello appropriato di stimolo monetario e fiscale. La prudenza ci dice che è meglio iniettare troppi stimoli che non essere all’altezza”.

Inoltre, per il membro italiano del direttivo della Banca centrale, esiste “un rischio significativo di divergenza” nella ripresa tra i vari Paesi dell’Unione. “La pandemia ha colpito ogni paese in modo diverso a seconda della sua esposizione ai settori più colpiti – ragiona – ma c’è stata una risposta europea comune. Se utilizziamo saggiamente i 750.000 milioni di euro dello strumento di ripresa dell’Ue – Next Generation Eu – l’uscita dalla crisi può essere più omogenea. Questo strumento dovrebbe essere collegato alle riforme necessarie in ogni paese. Se i fondi vengono investiti in settori in crescita pensando al futuro, la ripresa sarà più equilibrata. In caso di successo, questo piano potrebbe essere il prototipo di un futuro strumento fiscale comune”. 

Il piano di stimolo statunitense è ambizioso, soprattutto quest’anno, e questo spiega in gran parte perché la sua traiettoria di crescita si sta allontanando da quella europea. Mantenere calda l’economia giova all’occupazione, agli investimenti e alla produttività. E un recupero più rapido aiuta i membri più svantaggiati della società. In Europa dobbiamo ora attuare lo strumento di recupero dell’UE in modo che la Commissione possa presto sborsare i fondi. E dovremmo considerare nuovi impulsi fiscali in modo che la domanda torni più rapidamente al suo potenziale.    

Confrontando la situazione in Europa e negli States osserva poi: “Il piano di stimolo statunitense è ambizioso, soprattutto quest’anno, e questo spiega in gran parte perché la sua traiettoria di crescita si sta allontanando da quella europea. Mantenere calda l’economia giova all’occupazione, agli investimenti e alla produttività. E un recupero più rapido aiuta i membri più svantaggiati della società. In Europa dobbiamo ora attuare lo strumento di recupero dell’Ue in modo che la Commissione possa presto sborsare i fondi. E dovremmo considerare nuovi impulsi fiscali in modo che la domanda torni più rapidamente al suo potenziale”.    

Insiste Panetta: “Abbiamo bisogno che le risorse europee vengano liberate rapidamente“.

E sull’inflazione ha sottolineato: “Negli Stati Uniti, l’inflazione ritorna a livelli sani perché la politica monetaria e quella fiscale collaborano fortemente. La previsione di inflazione nella zona euro è insoddisfacente. L’inflazione aumenterà temporaneamente quest’anno, ma per ragioni cicliche svanirà nel 2022. Tuttavia, con un mix di politiche più dinamico anche noi potremmo beneficiare dei miglioramenti dell’economia globale”.      

Data l’entità della crisi, la Bce dovrebbe espandere il proprio arsenale di misure? “Abbiamo margini di manovra – risponde Panetta – perché abbiamo utilizzato solo una parte del programma di 1,85 miliardi di euro. Ma se spendiamo quei soldi e perdiamo ancora l’obiettivo, dobbiamo fare di più. Non possiamo accontentarci di un’inflazione dell’1,2% nel 2022 e dell’1,4% nel 2023. E l’argomento secondo cui l’orizzonte temporale può essere allungato non è convincente. La Bce non raggiunge il suo obiettivo da troppi anni. Se aspettiamo, sarà ancora più costoso in quanto renderebbe più difficile ancorare le aspettative di inflazione e rischieremmo una riduzione permanente del potenziale economico”. 


La Ue rischia 2 anni di Pil perso, serve più ambizione. Dice Fabio Panetta