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Come è andato il secondo giorno di Di Maio in Cina

Secondo giorno di visita a Chengdu, nel sud-ovest della Cina, per Luigi Di Maio. Il vicepremier e ministro per il Lavoro e lo Sviluppo Economico ha inaugurato il Padiglione Italia alla Western China International Fair, dove l'Italia è Paese ospite d'onore. Di Maio era accompagnato dal vice premier cinese, Hu Chunhua. "Per me è stato un grande onore e un grande orgoglio essere qui a rappresentare il nostro Paese", ha scritto Di Maio su Instagram.

La tappa di Di Maio a Chengdu, nella provincia del Sichuan, è stata anche l'occasione per sottolineare il valore "strategico" della relazione bilaterale. È attesa nelle prossime ore la firma dell'accordo sino-italiano sugli investimenti nei Paesi terzi, e in particolare quelli africani.  Si tratta di un accordo sui cui la diplomazia italiana, guidata dall'ambasciatore italiano a Pechino Ettore Sequi, lavorava da tempo e che il sottosegretario allo Sviluppo economico, Michele Geraci, aveva annunciato al termine della sua prima missione esplorativa in Cina

L'intesa, ha aggiunto Di Maio, "ci eleva al ruolo di partner privilegiato della Cina", con cui Di Maio punta a rafforzare i rapporti economici con un altro accordo, che ritiene possibile entro fine anno, sull'iniziativa Belt and Road (Bri) di connessione infrastrutturale euro-asiatica, lanciato dal presidente cinese, Xi Jinping, nel 2013.

Cosa scrivono i giornali cinesi sulla visita di Di Maio

La stampa cinese ha colto il messaggio. Il Quotidiano del Popolo, massimo organo del Partito Comunista Cinese, dedica alla visita un articolo sul sito online dal titolo: “Peng Qinghua incontra Di Maio, vice premier italiano. Una testimonianza congiunta per la firma degli accordi di cooperazione tra Sichuan e Italia”. L’articolo riporta fedelmente le dichiarazioni del vice premier alla stampa, e sottolinea l’importanza degli accordi bilaterali Italia-Sichuan, che Di Maio ha firmato con Peng, per la provincia sud-occidentale che Pechino ha trasformato negli ultimi anni in un hub strategico con l’obiettivo di rivitalizzare l’economia dell’Ovest della Cina, meno sviluppato rispetto alla parte orientale, e di velocizzare i traffici delle merci ferroviari e fluviali nell’ambito del mastodontico progetto Belt and Road.

La visita di Di Maio campeggia nelle colonne della stampa locale, a partire dal Sichuan Daily. Segno che la leadership ha apprezzato che la prima visita istituzionale del vicepremier italiano abbia toccato il cuore pulsante del nuovo sviluppo cinese.

Il Daily Economic News titola invece: “Vice premier italiano: auspica una proficua collaborazione tra Italia e Cina e vuole facilitare l’ingresso delle merci nei rispettivi mercati”, un articolo che coglie il senso del messaggio del governo italiano, che per bocca di Maio ha sottolineato come prima della firma del Memorandum of Understanding per la cooperazione sulla Via della Seta debbano essere risolte "alcune questioni per noi dirimenti", tra cui l'abbattimento delle barriere non tariffarie per favorire le esportazioni, soprattutto dei prodotti dell'agro-alimentare, e le possibilità di investimento sia nei porti italiani che nella tecnologia.

Leggi anche: Di Maio è andato in Cina a collegare l’Italia alla Via della Seta

Un rapporto svela i commerci tra Italia e i Paesi Bri

Dati confortanti sull’interscambio commerciale tra l’Italia e i Paesi che si stendono lungo la Via della Seta (in tutto 53), arrivano dal rapporto Nomisma – Centro Studi sulla Cina Contemporanea "L'Italia e il progetto Bri, le opportunità e le priorità del sistema paese", cofinanziato dal ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e presentato presso la Camera dei deputati. Nel decennio compreso tra 2006 e 2016 il commercio intra-paesi Bri è aumentato dell'84% tra i paesi dell'area e del 17,6% tra l'Italia e l'area Bri.

La Cina movimenta il 23% degli scambi commerciali che avvengono nell'area. Al secondo posto per rilevanza si trovano India e Singapore, con una percentuale di scambio tre volte inferiore alla Cina (7%). La Bri, emerge dallo studio, ha un ruolo fondamentale per il commercio estero dei molti piccoli paesi che ne fanno parte. Ad esempio l'export del Bhutan è esposto per il 96% verso l'area, seguito dall'Afghanistan (92%), dal Laos (91%), Tajikistan (89%), Nepal (88%), Myanmar (81%); anche i paesi che commerciano meno vantano quote comprese tra il 40 e 30%.

Il rapporto concentra lo sguardo sull'Italia, e rileva che il deficit di bilancio commerciale verso i Paesi Bri si è ridotto nel tempo dagli circa 50 miliardi di dollari del 2011 agli 11 miliardi del 2016; ciò è in gran parte dovuto al calo del costo dei prodotti energetici. Infatti all'interno dell'area Bri si trovano molti Paesi Opec e la Russia.

Tra le prime categorie di prodotto esportate dall'Italia vi sono macchinari e apparecchi (25%), prodotti tessili, abbigliamento, pelli e accessori (12%), metalli di base e prodotti in metallo (10,9%), mentre l'Italia importa dai paesi Bri molti beni a domanda rigida come commodities, prodotti agricoli, metalli. Anche se la bilancia è in deficit, secondo quanto sottolineato nella ricerca, "un'intensificazione degli scambi sarebbe da considerarsi a favore dell'Italia".

I paesi dell'area Bri in cui l'Italia ha maggiore penetrazione sono quelli "europei" (che rappresentano il 53% dell'export italiano), seguiti dalla Cina verso la quale converge il 10% dell'export italiano.

Prossima tappa Shanghai

La firma del MoU sancirebbe l'ingresso ufficiale dell'Italia nella Nuova Via Della Seta. Nel frattempo, Di Maio ha confermato che sarà a Shanghai a novembre prossimo per la prima edizione della China International Import Expo, su cui il governo cinese punta moltissimo e alla quale è previsto anche un intervento dello stesso presidente cinese, Xi Jinping, in apertura.

Le opportunità di cooperazione con il Paese asiatico passano soprattutto, per Di Maio, attraverso le relazioni tra governi. "I nostri settori di mercato reclamano una maggiore presenza del governo nei rapporti con il governo cinese per rafforzare ulteriormente sia le partnership economiche sia quelle legate all'ambiente e alla cultura", ha dichiarato il vice premier, "ed è per questo che investiremo sempre di più nei rapporti g-to-g", ha assicurato il vicepremier. 

Ha collaborato Wang Jing

Leggi anche: Non solo guerra agli scafisti sui migranti: tutti i piani strategici dell'Italia in Africa

 

Agi News

Sui dazi Trump è pronto a dare un secondo schiaffo alla Cina (più forte del primo)

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, si prepara a mantenere la promessa di essere duro sulle questioni commerciali, e dopo i dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio, si appresta a sferrare una duro colpo su un altro settore che può fare male direttamente a Pechino, la proprietà intellettuale.

Le nuova misure che andrebbero a colpire le relazioni commerciali tra Cina e Stati Uniti potrebbero arrivare a breve, avvisano i funzionari di Washington che in forma anonima confermano le intenzioni di Trump e dello Us Trade Representative, Robert Lighthizer. 

Nel mirino ci sono prodotti importati dalla Cina per un valore complessivo di sessanta miliardi di dollari, 48,3 miliardi di euro, che potrebbero essere soggetti a dazi: in particolare, le tariffe andranno a colpire i settori della tecnologie e delle telecomunicazioni, ma più in generale, lo scopo delle nuove misure sarà quello di contrastare le politiche cinesi che costringono le aziende statunitensi a cedere la loro proprietà intellettuale per operare in Cina e altre pratiche ritenute ingiuste da Washington.

“La vera guerra commerciale deve ancora arrivare e non si combatterà sui metalli”, aveva avvertito nei giorni scorsi un articolo di Fortune, e il terreno del prossimo scontro potrebbe comprendere anche l’imposizione di restrizioni agli investimenti di gruppi cinesi che operano negli Usa.

Per il nuovo colpo alle politiche commerciali, gli Usa faranno ricorso alla sezione 301 dello Us Trade Act del 1974, in base al quale sono possibili indagini da parte dello Us Trade Representative per presunte negligenze nei confronti dei partner commerciali, con la possibilità di applicare sanzioni. 

Il partner commerciale sotto osservazione è la Cina, e dai primi riscontri di cui parlava il magazine Politico settimana scorsa, sono più di cento i prodotti cinesi su cui l’amministrazione Usa sta prendendo in considerazione l’ipotesi di applicare tariffe per l’importazione. Sempre secondo quanto scrive Politico, che cita un funzionario di Washington al lavoro sul dossier, lo Us Trade Representative intende utilizzare come base per l’applicazione delle tariffe il “Made in China 2025”, ovvero il gigantesco piano di coordinamento industriale e di sviluppo del manifatturiero varato dal governo cinese nel 2015. La motivazione è piuttosto semplice, secondo quanto spiegato al Washington Free Beacon da un funzionario Usa: se la Cina avrà il controllo delle industrie del futuro, a partire dai settori della robotica e dell’intelligenza artificiale, “l’America non avrà un futuro, almeno sul piano economico”.

Pechino, da parte sua, continua a promettere maggiore attenzione alle questioni relative alla proprietà intellettuale e risponde lanciando avvertimenti agli Stati Uniti, senza scendere nel dettaglio delle possibili contromisure. Il più pesante risale a settimana scorsa, quando il ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, aveva detto a chiare lettere che in caso di guerra commerciale, la Cina avrebbe prodotto una “risposta legittima e necessaria”. L’ultimo, di oggi, è del suo portavoce, Lu Kang, che ha ribadito che le relazioni bilaterali “non sono un gioco a somma zero”, tornando a chiedere un approccio “costruttivo” a Washington per gestire le divergenze commerciali.

Dai lavori dell’Assemblea Nazionale del Popolo, il parlamento cinese, è arrivata nelle scorse ore anche l’ennesima promessa di una maggiore attenzione ai casi relativi alla protezione della proprietà intellettuale: a formulare è stato Shen Changyu, capo dell’Ufficio Statale per la Proprietà Intellettuale, che come molti altri ministeri e commissioni governative sarà oggetto a una forte ristrutturazione, secondo il piano per la riorganizzazione del Consiglio di Stato, il governo cinese, presentato ieri. L’impegno cinese emerge anche dagli ultimi dati presentati dalla Corte Suprema del Popolo, il massimo organo giudiziario: nel 2017, i tribunali cinesi hanno affrontato oltre duecentomila casi (213.480) riguardanti la proprietà intellettuale, con un incremento del 40,4% rispetto al 2016, e complessivamente il doppio di quelli del 2013.

Troppo poco, però, per Washington, che ad agosto scorso aveva attivato la procedura per innescare le indagini in base alla sezione 301 dello Us Trade Act (alla quale non faceva ricorso dal 1995) proprio per colpire le pratiche ingiuste rispetto alla proprietà intellettuale o i furti di tecnologia subiti dai produttori statunitensi. Secondo quanto scrivono diversi media Usa, lo US trade Representative, Robert Lighthizer, avrebbe proposto dazi per trenta miliardi di dollari, ma lo stesso Trump avrebbe chiesto di alzare la somma, poi raddoppiata, ai sessanta miliardi di dollari di cui si parla oggi: una cifra che potrebbe aiutare a riequilibrare il deficit commerciale che Washington ha nei confronti di Pechino, e che lo scorso anno ha raggiunto quota 375 miliardi di dollari, 303 miliardi di euro.

Trump avrebbe la strada spianata per agire anche grazie agli ultimi rimescolamenti nel suo staff, e in particolare dopo l’addio del suo consigliere economico, Gary Cohn – che verrà sostituito dall’economista Larry Kudrow – e dopo la rimozione decisa ieri del segretario di Stato, Rex Tillerson, colpevole, agli occhi di Trump, anche di avere mostrato scetticismo sulle mosse di politica commerciale della Casa Bianca. Non tutti, però, la pensano così, e c’è già chi, tra i lobbisti di Washington, teme che le prossime misure in campo commerciale possano colpire le famiglie americane, con in più il rischio di una rappresaglia da parte di Pechino e di ingaggiare un confronto tra le due sponde del Pacifico che potrebbe non avere vincitori. A pesare, contro Trump, è anche l’assenza di coinvolgimento nella decisone degli alleati, soprattutto Giappone e Unione Europea: allo stesso tempo, il pugno duro contro la Cina potrebbe, sostengono alcuni, fargli guadagnare consensi al Congresso, più della decisione di imporre dazi sull’acciaio e sull’alluminio. 

Agi News

Quanto guadagna un fattorino di Deliveroo? Secondo l’azienda i rider sono felici

Si chiama gig economy; il nome può sembrare carino, addirittura quasi accattivante. Ma nella realtà non è altro che 'economia del lavoretto'. Una cosa che, nelle intenzioni di chi se l'è inventata, dovrebbe essere la sintesi stessa del lavoro temporaneo, ma che, in tempo di crisi, è diventato ripiego a medio termine di chi deve sbarcare il lunario. E che alla fine non si è più sentito nè tanto carino nè tanto temporaneo e ha cominciato a organizzarsi. E a protestare.

Fino al flash mob di venerdì sera davanti al quartier generale di Deliveroo – quelli in bicicletta con lo scatolone sulla schiena che consegnano cibo a domicilio, per intenderci –  in via Ettore Ponti a Milano. Come già successo a Londra nell'agosto 2016, i lavoratori, indossando 'maschere senza volto', hanno esposto striscioni con la scritta "siamo lavoratori, non schiavi".

Perché protestano

Al centro della protesta, la decisione della multinazionale londinese di abolire il salario minimo di 5,60 euro l'ora pagato ai fattorini che, "senza garanzie e tutele", effettuano le consegne di cibo. Il 31 dicembre i contratti scadranno e i 'riders', come si chiamano i pedalatori, temono sull'introduzione del cottimo

Come si racconta Deliveroo

La protesta è arrivata come una doccia fredda per la società leader del mercato globale del food delivery che opera oggi in 12 Paesi, lavora con oltre 35mila ristoranti partner e ha generato oltre un miliardo di euro di ricavi per il settore della ristorazione tra giugno 2016 e giugno 2017. In Italia – stando ai dati dell'azienda – questa crescita ha prodotto oltre 20 milioni di euro di aumento dei ricavi per i ristoranti e i loro fornitori. In Italia Deliveroo nell'ultimo anno è cresciuta rapidamente, e oggi conta su oltre 1.900 ristoranti partner nelle 10 città in cui opera. Con la sua attività, afferma Deliveroo, "sta attirando importanti investimenti e cresce rapidamente. Se in Italia continuasse per due anni a crescere ai ritmi dei ristoranti partner nel mondo tra giugno 2016 e giugno 2017, creerebbe circa 5mila opportunità di lavoro, 67 milioni di euro di valore aggiunto lordo per l'economia italiana e 5,5 milioni di euro sarebbero pagati al Fisco italiano"

Nel mondo

  • 12 Paesi
  • 35mila ristoranti
  • 1 miliardo di euro di ricavi
  • 20 milioni di aumento di ricavi per i partner e i fornitori

In Italia

  • 1.900 ristoranti partner
  • 11 città
  • 1.300 rider
  • In media in Italia un rider guadagna 9.60 euro lordi per ogni ora di lavoro

Leggi anche: quanto guadagna un magazziniere di Amazon?

Come reagisce alla protesta

"In un recente sondaggio, il 90% dei rider Deliveroo si dice soddisfatto del lavoro che svolge" scrive l'azienda in una nota, "Per questo sappiamo che questo gruppo (di manifestanti, ndr) non rappresenta il punto di vista della grande maggioranza dei rider che lavorano con Deliveroo in Italia. Nello stesso sondaggio il 90% dei rider ha affermato di apprezzare la flessibilità che offre il lavoro con Deliveroo e il 93% ha detto che consiglierebbe questo lavoro ad un amico. I rider apprezzano anche le condizioni economiche".

​Che cosa è la gig economy. E come funziona

A febbraio scorso con Deliveroo, collaboravano più di 700 rider – la maggior parte under 30 – che venivano pagati tra i 7 e gli 8 euro lordi l'ora (la variazione dipende dalla città in cui si lavora). Chi usa la bicicletta riceve 1-1,5 euro in più a consegna, mentre chi lavora con lo scooter ha un rimborso per la benzina.

Foodora opera in 4 città (Milano, Torino, Roma e Firenze) attraverso la collaborazione di circa 900 rider, tutti – sottolinea la società – regolarmente contrattualizzati, che hanno in media 23/24 anni. "Sono loro a decidere quando dare la disponibilità, proprio in modo da integrare questo lavoro con loro occupazione primaria, solitamente lo studio. E per questo sono loro stessi a richiedere una buona flessibilità, per esempio durante le sessioni di esami. I rider possano decidere in totale autonomia se e quando lavorare, indicando la loro disponibilità nelle diverse fasce orarie, e hanno anche la facoltà di non presentarsi per effettuare la consegna, anche all’ultimo momento e senza obblighi ulteriori", spiegava all'Agi Foodora. 

La società ha scelto di stipulare con i propri rider regolari contratti di collaborazione, piuttosto che pagare con ritenuta d'acconto o partita iva: "ciò vuol dire che Foodora paga regolarmente i contributi Inps e Inail previsti dal contratto, oltre ad offrire un’assicurazione integrativa per i danni a terzi e l’accesso alle convenzioni con le ciclofficine per la manutenzione del mezzo". Il compenso offerto ai rider di Foodora è di 4 euro a consegna. Mediamente vengono effettuate due consegne l’ora, quindi un rider di Foodora riceve un compenso medio di 8 euro lordi/ora (7,20 euro netti). 

Just Eat ha un modello di business differente rispetto alle altre realtà del comparto perché agisce da intermediario tra ristoranti e consumatori. La consegna è affidata direttamente ai locali affiliati che hanno già un servizio proprietario di consegna a domicilio e che gestiscono la flotta dei propri rider in totale autonomia sotto ogni aspetto. Le tariffe orarie dei partner di Just Eat variano tra gli 8 e gli 11 euro, prevedono un bonus per il lavoro nei giorni festivi e in presenza di maltempo e agevolazioni economiche sulla manutenzione delle biciclette/scooter. In alcune città italiane è attivo poi il servizio JUST EAT Delivery, che consente ai ristoranti che non hanno un servizio di consegne proprietario di affidarsi a JUST EAT anche per il trasporto. 

Agi News

Cosa fanno le 26 migliori startup italiane, secondo Tech Tour

Il Tech Tour è una di quelle occasioni in cui gli investitori sbirciano nell'ecosistema italiano (qui il nostro colloquio con il suo organizzatore Marco Trombetti). Un'opportunità per le startup di casa nostra, anche perché questo evento itinerante non ha cadenza fissa: da qui è passato di rado (cinque volte in un ventennio) e mai per due anni consecutivi. Questa volta, invece, dopo l'edizione di novembre 2016, investitori internazionali, venture capital, imprese e business angel sono tornati a Roma l'11 e il 12 settembre. Davanti a loro si sono presentate 26 società (tra startup ai primissimi passi e scaleup), selezionate tra le 155 candidate per essere tra le più innovative e ricche di potenzialità del panorama nazionale. Le regioni rappresentate sono state sette: nove startup hanno sede nel Lazio, sei in Lombardia, tre in Campania e Veneto, due in Emilia-Romagna e Piemonte, una in Trentino Alto Adige. Ecco quali sono e che cosa fanno.

  1. Beintoo è una "mobile data company" che raccoglie informazioni e, grazie alla geolocalizzazione, permette ai clienti di misurare e ottimizzare le loro campagne. Delle startup selezionate, è quella che ha raccolto i round più ricchi: 7,55 milioni di dollari.
     
  2. BluImpression è una piattaforma che analizza il comportamento delle persone in ambienti fisici. Grazie a intelligenza artificiale e big data, può stimare il pubblico intercettato da uno spot o da un cartellone pubblicitario.
     
  3. Buzzoole è una piattaforma di Influencer Marketing con sede a Napoli. È in grado di connettere i brand ai giusti influencer della rete grazie all'utilizzo dei big-data. Assieme a Beintoo, è una delle due italiane tra le 15 scaleup europee selezionate per il programma Startup Europe Comes to Silicon Valley di Mind the Bridge ed EIT Digital. 
     
  4. Competitoor ha sviluppato uno strumento per il B2B dedicato ai negozi online. Consente ai marchi e ai responsabili delle vendite di tracciare i prezzi dei concorrenti e di essere avvisati in caso di variazioni.
     
  5. D-Eye, startup con sede a Padova e incubata da M31, sviluppa dispositivi e applicazioni medicali applicabili agli smartphone. Ha creato un sistema portatile che si aggancia ai dispositivi creando una fotocamera oftalmica per lo screening della vista.
     
  6. Direttoo è una piattaforma, fondata da Diego Pelle e Chiara Mastromonaco, che collega i ristoratori direttamente con fornitori e produttori. Facilita la gestione del business anche grazie a un sistema di monitoraggio delle spese.
     
  7. Enerbrain, fondata a Torino nel 2015, ha sviluppato una soluzione IoT per monitorare gli sprechi energetici di un edificio, indicando gli interventi per ottimizzare le risorse. E offrendo dati in tempi ridotti.
     
  8. Filo ha creato un portachiavi intelligente (che può essere agganciato anche a zaini, valigie o a qualsiasi cosa si voglia tenere sotto controllo). Grazie a un'app, consente di sapere dov'è l'oggetto. E, nella direzione opposta, basta schiacciare Filo per far squillare e ritrovare lo smartphone.
     
  9. Gr3n ha inventato un processo che permette di riciclare plastica in modo più profittevole, a vantaggio delle imprese del settore. È alla ricerca di 3 milioni di euro per passare dallo sviluppo del pilota all'applicazione industriale.
     
  10. Inventia sviluppa soluzioni di Customer Engagement multicanale che accompagnano gli utenti lungo tutto il percorso d'acquisto. Dall'assistenza (che miscela intervento umano e bot) fino alla transazione. È già stata selezionata da ScaleIT 2016 e da una call di GrowItUp.
     
  11. Manet, accelerato da Luiss Enlabs, è una soluzione mobile destinata agli hotel e ai loro clienti. I viaggiatori hanno a disposizione informazioni, chiamate e connessione illimitate. Le strutture ricettive possono offrire ai clienti un pacchetto personalizzato che enfatizzi i servizi proprie e dei partner commerciali.
     
  12. MioAssicuratore è un broker assicurativo online, che assiste gli utenti nella scelta, la comparazione e la sottoscrizione di polizze. Grazie a machine learning e a un algoritmo proprietario, MioAssicuratore calcola il premio in tempo reale.
     
  13. Nextwin (altra accelerata da Luiss Enlabs) si rivolge agli appassionati di sport e scommesse. Ha creato una piattaforma una piattaforma per puntare monete virtuale su singoli eventi (una sorta di fantacalcio del betting) e Invictus, uno strumento (su abbonamento, da usare per puntate reali) che analizza i big data e consiglia le giocate migliori.
     
  14. Oval, fondata dall'ex contry manager di Uber Benedetta Arese Lucini, è una piattaforma che aiuta gli utenti a gestire meglio i propri risparmi. Mettendo da parte piccole somme in automatico e monitorando le proprie spese. Ad aprile ha incassato un round da 1,2 milioni di euro partecipato da Intesa Sanpaolo e b-venture.
     
  15. Prestiamoci è una piattaforma di prestiti tra privati che consente di concludere l'intero processo online e in modo rapido. Fondata nel 2007, ha ottenuto 3,4 milioni e la fiducia di Innogest. Al momento, ha registrato 837 prestatori attivi e importi complessivi superiori ai 7 milioni.
  16. Sailsquare è stata battezzata come l'Airbnb delle barche. La startup, fondata da Simone Marini e Riccardo Boatti, mette in connessione skipper e proprietari di imbarcazioni con i turisti interessati a organizzazione un viaggi a vela.
     
  17. Scooterino si propone come la Uber degli scooter, la prima in Europa. Nata a Roma, si è estesa a Firenze, Genova e Milano. È un'app che mette in connessione chi ha bisogno di un passaggio con chi circola nelle vicinanze.
     
  18. Sellf è un assistente digitale, rivolto a professionisti e piccoli imprenditori, che facilita la gestione dei clienti e delle trattative e contribuisce a organizzare il tempo del team addetto alle vendite. Partecipata da H-Farm, a luglio ha vinto l'edizione 2017 di Edison Pulse.
     
  19. SpinVector elabora soluzioni in realtà aumentata per offrire esperienze immersive in settori diversi, dai videogiochi online agli eventi che “portino lo show dal palco all'audience”.
     
  20. Travel Appeal si rivolge a musei, hotel, ristoranti e località turistiche. Analizza in tempo reale le recensioni, le conversazioni sui social media, i prezzi, le tendenze di mercato ed il territorio e fornisce previsioni e suggerimenti per migliorare attività e reputazione online.
     
  21. Walliance è la prima piattaforma italiana di equity crowdfunding dedicata al mercato immobiliare. È nata in Trentino nel luglio 2016 e punta a rendere il real estate un'opportunità anche per piccoli investitori.
  22. Wanderio si rivolge ai viaggiatori per proporre le migliori soluzioni che consentano loro di raggiungere la loro meta (aerei, treni, bus). Gli utenti possono prenotare e pagare direttamente sulla piattaforma. Nel luglio 2016 ha chiuso un round guidato da Europcar.
     
  23. Wellness & Wireless sviluppa servizi digitali (web, app e software) rivolti a sport e benessere. Tra i prodotti offerti ci sono Yukendu, un coach personale e mobile per il dimagrimento, e SuperOp, app che migliora le performance sportive a partire dal monitoraggio della pressione sanguigna.
     
  24. Wiman è stata fondata da Massimo Ciuffreda nel 2012. È nata per semplificare l'accesso e la condivisione gratuita di connessioni wifi. Mappa e, grazie al machine learning, valuta la qualità delle connessioni libere.
     
  25. WinOwine è un “club” online dove i soci possono acquistare vini di qualità. I prodotti vengono selezionati dal team e, all'inizio, proposti per una sola settimana. Se apprezzati, sono ammessi stabilmente al catalogo, con spedizioni entro 48 ore.
     
  26. Yocabè è un distributore online per i brand della moda, focalizzato sui marchi italiani di medie dimensione che ambiscano a raggiungere clienti su scala globale. Yocabè si propone come unico interlocutore digitale delle aziende, perché in grado di occuparsi di vendite, logistica, assistenza clienti multi-lingua e spedizioni internazionali. 

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Cosa metterebbe a rischio la tenuta delle pensioni secondo i ragionieri dello Stato

Limitare o differire gli automatismi (l'adeguamento del coefficiente di trasformazione in funzione della dinamica della mortalità e l'adeguamento dei requisiti di accesso alla speranza di vita a 65 anni) renderebbe il sistema pensionistico più debole e lo esporrebbe al rischio della discrezionalità politica. In altre parole: le pensioni in futuro sarebbero tecnicamente a rischio e subordinate a scelte politiche del momento, non più ad automatismi contributivi.

E' quanto sostiene la Ragioneria generale in un rapporto presentato oggi. Hanno spiegato i ragioneri dello Stato: "Anche interventi legislativi diretti non tanto a sopprimere esplicitamente gli adeguamenti automatici previsti dalla normativa vigente, ma a limitarli, differirli o dilazionarli, determinerebbero comunque un sostanziale indebolimento della complessiva strumentazione del sistema pensionistico italiano volta a contrastare gli effetti dell'invecchiamento della popolazione, in quanto verrebbe messa in discussione l'automaticità ed l'endogeneità degli adeguamenti stessi, per ritornare nella sfera della discrezionalità politica con conseguente peggioramento della valutazione del rischio Paese". Anche in presenza della soppressione permanente del meccanismo di adeguamento alla speranza di vita dei requisiti di accesso al pensionamento il requisito di vecchiaia "verrebbe comunque adeguato a 67 anni nel 2021, in applicazione della specifica clausola di salvaguardia introdotta nell'ordinamento su specifica richiesta della Commissione e della Bce, e successivamente mantenuto costante a tale livello".

Chi vorrebbe limitare gli automatismi di adeguamento alla speranza di vita

Scrive La Stampa: "Secondo la Ragioneria generale, inoltre, l’effetto della soppressione del meccanismo di adeguamento alla speranza di vita comporterebbe 'una maggiore spesa per pensioni in rapporto al Pil di dimensioni consistenti'.  Contrari agli adeguamenti sono i due ex ministri del Lavoro, Maurizio Sacconi (Ap) e Cesare Damiano (Pd), che chiedono di procedere in modo graduale. Sacconi, presidente della Commissione lavoro del Senato, ha scritto nel blog dell’Associazione amici di Marco Biagi che 'con il collega Damiano abbiamo ipotizzato non certo di cancellare il collegamento tra aspettativa di vita ed età di pensione ma di rallentare l’automatismo per garantire una minima fase di transizione alle generazioni adulte e una riflessione su quelle più giovani. Purtroppo non si sono registrate analoghe reazioni di difesa della sostenibilità previdenziale nel momento in cui la politica ha voluto deroghe per esodati, precoci, “gravosi”, bancari, giornalisti ed altri, nonostante abbiano comportato impegni di spesa per circa venti miliardi. Più si segmentano i pensionandi, più si creano ingiustizie. La buona politica deve essere capace di coniugare sostenibilità finanziaria e sociale".

Sul 'partito' di chi vorrebbe congelare o rallentare l'automatismo dell'adeguamento alla speranza di vita leggi anche l'articolo di Repubblica

Le previsioni su indennità di accompagnamento e pensioni invalidità

La spesa per indennità di accompagnamento è destinata a crescere gradualmente nei prossimi 50 anni, mentre quella per le pensioni di invalidità resterà sostanzialmente costante. La spesa per pensioni di invalidità si attesta intorno allo 0,2-0,3% del Pil per tutto il periodo di previsione (fino al 2070) raggiungendo il livello massimo nel 2039. Al contrario, la spesa per indennità di accompagnamento, rispetto al Pil, mostra una crescita costante passando dallo 0,8% nel 2016 all'1,3% nel 2070. "I due diversi andamenti – spiega lo studio – derivano, principalmente, dalla differente dinamica della struttura della popolazione interessata. Infatti, l'invecchiamento della popolazione implica, da una parte, un aumento della popolazione anziana, e quindi della platea dei percettori di indennità di accompagnamento e, dall'altra, una sostanziale stabilizzazione della popolazione con età inferiore al requisito anagrafico minimo richiesto per l'accesso all'assegno sociale, dove si collocano i potenziali percettori delle pensioni di invalidità civile". 

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Lo sapevi? Come arredare casa secondo il feng shui

Arredare casa

Come arredare casa secondo il feng shui
Scegliere di arredare la propria casa seguendo i principi di questa arte significa creare degli spazi gradevoli, confortevoli e ordinati. Abbiamo incontrato Eduardo Hess, maestro di feng shui (sarà uno dei relatori di Aurora Festival, 9-12 luglio …
http://www.marieclaire.it/Benessere/salute/Come-arredare-casa-secondo-il-feng-shui

Arredare casa

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