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Snap, numeri da crisi. Che sta succedendo in casa del fantasma

AGI – Snap, la società madre di Snapchat, social delle foto a scomparsa, è ancora in grado di attirare nuovi utenti (+19% anno su anno), nonostante le pesanti difficoltà che attraversa come società: perdite per 360 milioni di dollari, contro i 72 milioni dello stesso periodo del 2021. 

È un po’ il quadro che è emerso dalla trimestrale presentata dalla compagnia di Evan Spiegel. Dunque i numeri. Snap ha chiuso gli ultimi tre mesi con ricavi pari 1,13 miliardi di dollari, in crescita del 6% ma sotto le attese degli analisti: è la prima volta che la società cresce a cifra singola dal debutto in borsa nel 2017. Le perdite, pesanti. Crescono però gli utenti, che salgono a 363 milioni. La crescita degli utenti “espande le nostre opportunità a lungo termine mentre navighiamo in questo ambiente macroeconomico volatile” ha spiegato Spiegel. 

Le perdite

A leggere nel dettaglio i numeri, è emerso che la perdita nel trimestre include 155 milioni di dollari di spese di ristrutturazione. Snap ad agosto ha confermato un piano per tagliare il 20% del personale.

Gli utenti crescono, però…

Luci e ombre anche sul fronte utenti. Se da una parte la compagnia amplia la propria base, è anche vero che le entrate medie per utente sono diminuite dell′11%: più utenti, per essere chiari, che valgono meno.

Cura dimagrante dolorosa

È evidente dai numeri rilasciati giovedì (ma anche da quelli del trimestre precedente) che la società ha bisogno di un cambio di passo. Non a caso, ad agosto, Snap ha annunciato che avrebbe licenziato il 20% dei circa 6.000 dipendenti dell’azienda nell’ambito di un importante piano di ristrutturazione. Che però pesa. Il TFR e i relativi costi hanno costituito una parte importante delle perdite di questo trimestre (155 milioni su 360). Meno dipendenti e anche tagli ai progetti che non sono decollati, come il drone Pixy e la produzione di spettacoli Snap Originals.

Meno budget dalla pubblicità

A fare la loro parte nel segno meno dei ricavi anche la contrazione del mercato pubblicitario. “La nostra crescita dei ricavi ha continuato a decelerare nel terzo trimestre e continua a essere influenzata da una serie di fattori che abbiamo notato nel corso dell’ultimo anno, tra cui modifiche alle politiche della piattaforma, venti contrari macroeconomici e maggiore concorrenza – è la spiegazione di Snap agli investitori  – stiamo scoprendo che i nostri partner pubblicitari in molti settori stanno riducendo i loro budget di marketing, soprattutto di fronte a venti contrari dell’ambiente operativo, pressioni sui costi guidate dall’inflazione e aumento dei costi del capitale”. E poi c’è sempre l’aggiornamento iOS 2021 di Apple che continua ad essere un ostacolo per società come Snap (ma anche per Facebook di Meta) di tracciare gli utenti sul Web, indebolendo l’attività di raccolta pubblicitaria online. 

Le previsioni

In questo quadro a tinte fosche, la compagnia di Spiegel non ha fatto previsioni per il prossimo trimestre (è già la seconda volta che fa questa scelta). Da Snap si fa sapere però che è probabile che la crescita dei ricavi continui a decelerare, perché storicamente è un momento dell’anno ”più dipendente dalle entrate pubblicitarie orientate al marchio”. Si aspetta poi un’ulteriore crescita degli utenti, la stima è 375 milioni.

Dove investire

Per uscire dall’angolo la società ha dichiarato che si concentrerà sulla crescita della sua base di utenti, sulla diversificazione delle sue fonti di reddito e sull’investimento in tecnologie di realtà aumentata.


Snap, numeri da crisi. Che sta succedendo in casa del fantasma

Crescita al palo e debito in salita. I numeri del Def

Crescita vicina allo zero e debito in salita. È un quadro pieno di incognite quello delineato dal Documento di economia e finanza varato dal governo (ovvero, il documento che pone le basi per la prossima legge di bilancio), al termine di un lungo braccio di ferro che ha visto al centro le stime di crescita, la flat tax e lo stop all’aumento dell’Iva. 

Alla fine, nel giorno in cui anche il Fondo monetario internazionale ha tagliato le stime di crescita per l’Italia (0,1% nel 2019), è prevalsa la linea più prudente e realistica del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, bersaglio di nuove tensioni, durante la riunione del Cdm, attorno alle ipotesi di flat tax promosse dalla Lega e la loro compatibilità con il blocco delle clausole di salvaguardia dell’Iva. Il Pil programmatico per il 2019 è fissato allo 0,2% ma M5s e Lega hanno spinto fino all’ultimo per alzare l’asticella fino almeno allo 0,3-0,4%. Negli anni successivi la crescita dovrebbe attestarsi allo 0,7% nel triennio 2020-2022.

“Nessuna nuova tassa e nessuna manovra correttiva”, ha assicurato il governo in una nota stringata al termine della riunione, che si è conclusa senza la consueta conferenza stampa, e in cui si sottolinea che “il Documento di economia e finanza conferma i programmi di governo della legge di bilancio e il rispetto degli obiettivi fissati dalla Commissione Ue”. 

Il deficit, nello scenario programmatico, sale al 2,4% del Pil nel 2019 per poi avviare un percorso di graduale riduzione che dovrebbe portarlo all’1,5% nel 2022. Il deficit strutturale dovrebbe scendere dall’1,6% del Pil di quest’anno allo 0,8% nel 2022, convergendo verso il pareggio strutturale. In salita il debito che si attesterà al 132,6% nel 2019, al 131,3% nel 2020 e 130,2% nel 2021. 

Numeri che non sono in linea con quanto auspicato dai due partiti di maggioranza ma che prendono atto della reale situazione del Paese, ha tenuto a sottolineare la Lega, e che “non mettono in discussione il programma di governo che sarà attuato, anche se – fanno notare fonti governative del partito di Matteo Salvini – a questo punto la realizzazione del contratto richiederà piu’ tempo”. 

Il nodo della flat tax

I margini stretti di finanza pubblica limitano il raggio d’azione dell’esecutivo e rischiano di acuire le tensione all’interno della maggioranza. Al centro del lungo vertice che ha preceduto la riunione lampo del Consiglio dei ministri, iniziato con dure ore di ritardo, la flat tax, cavallo di battaglia leghista, tornato alla ribalta per l’urgenza politica dettata dalle elezioni europee alle porte. La Lega ha spinto fino all’ultimo per dare un segnale subito e ‘blindare’ l’operazione nel Def. “La flat tax si farà”, ha assicurato Matteo Salvini al termine della riunione sottolineando che la tassa unica è citata nel documento “in due passaggi”. 

Dal canto suo, il leader M5s Di Maio ha voluto sottolineare che la flat tax inserita nel Def è “indirizzata al ceto medio” e “non solo ai ricchi” rivendicando che “vince il buonsenso”. Nella versione post Cdm del Def, il riferimento alla flat tax sarebbe abbastanza generico: spariscono le ipotesi dei due scaglioni di aliquote al 15 e al 20% contenute in una prima bozza. 

Alla fine la sintesi politica ha portato a introdurre un’indicazione di massima alla “azione di riforma fiscale in progressiva attuazione di un sistema di flat tax come componente importante di un modello di crescita più bilanciato”. Il governo. ha spiegato il Mef in una nota, “intende continuare il processo di riforma delle imposte sui redditi in chiave flat tax andando a incidere in particolare sull’imposizione a carico dei ceti medi”.

Altro nodo gli oltre 23 miliardi di clausole di salvaguardia da disinnescare, oggetto di un confronto acceso tra i ministri del Movimento 5 stelle e il titolare del Tesoro Tria nella riunione di governo. I pentastellati, secondo quanto viene riferito, avrebbero chiesto garanzie sullo stop all’aumento dell’Iva nel 2020 e 2021 spingendo anche perché fosse esplicitato che il governo non farà ricorso a nuove tasse. “Non ci sarà alcun aumento dell’Iva”, ha assicurato anche Salvini.

Agi