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Gas: tocca 100 euro per megawattora, ai minimi da metà giugno 

AGI – Il prezzo del gas tocca i 100 euro per megawattora, ai minimi da meta’ giugno, il giorno dopo che i ministri europei dell’Energia hanno trovato la ‘quadra’ politica sul price cap a 180 euro per megawattora. L’intesa e’ stata raggiunta a maggioranza qualificata durante il Consiglio Affari Energia.

All’hub di riferimento per l’Europa, il Ttf, i future hanno toccato un minimo di 100,2 euro, in calo del 7,7%, per poi risalire a 104,6 euro, in calo del 3,63%. 

Gia’ la settimana scorsa il prezzo del gas naturale in Europa era sceso del 17%, con l’attenuarsi dei timori per le forniture dopo la prima ondata di freddo e con la domanda industriale che e’ destinata a diminuire durante il periodo festivo.

Lo stoccaggio di gas dell’Ue era all’84,2% della capacita’ al 17 dicembre, spinto dalle importazioni record di Gnl per questo periodo dell’anno e da un aumento della fornitura di energia eolica in Germania e della disponibilita’ nucleare in Francia. Allo stesso tempo, quasi 700 miliardi di euro di sostegno del governo alle imprese e alle famiglie hanno contribuito a gestire la crisi energetica che ha colpito l’Europa da quando la Russia ha invaso l’Ucraina.

Sul fronte politico, ieri a Bruxelles,i ministri dell’Energia hanno finalmente trovato un accordo sul price cap. Alla fine la Germania ha ceduto: il Consiglio Energia ha raggiunto un’intesa sul tetto al prezzo del gas. Il meccanismo di correzione del mercato scattera’ quando al Ttf di Amsterdam le quotazioni mensili del gas naturale andranno oltre la soglia di 180 euro a megawattora per tre giorni (lo scorso agosto aveva sforato i 300 euro) con una differenza di almeno 35 euro oltre il prezzo medio del gas naturale liquefatto in un “paniere” di mercati internazionali.

Il meccanismo verrebbe disattivato in caso di “rischi per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, la stabilita’ finanziaria, i flussi di gas all’interno dell’Ue o rischi di aumento della domanda di gas”. E’ il compromesso che ha convinto la Germania a votare a favore ma non e’ stato sufficiente per l’Ungheria, che aveva gia’ dichiarato un voto contrario “in ogni caso”. Hanno optato per l’astensione invece l’Austria e i Paesi Bassi. 


Gas: tocca 100 euro per megawattora, ai minimi da metà giugno 

Meta in cerca di equilibrio: che cosa sta succedendo alla galassia Zuckerberg

AGI – Giugno 2021: Facebook entra nel trillion dollar club. Per la prima volta, la capitalizzazione della società supera i 1.000 miliardi di dollari, come solo Apple, Microsoft, Amazon e Alphabet erano riuscite a fare. Oggi la compagnia, che nel frattempo ha cambiato il nome in Meta, vale poco meno di 380 miliardi.

Dai massimi, toccati 13 mesi fa, ha perso più del 60%. Il valore attuale non si vedeva da novembre 2019, cioè dai tempi della tempesta Cambridge Analytica. Mark Zuckerberg, fondatore, ceo e azionista forte, è uscito dalla top 20 dei più ricchi del pianeta. Il suo patrimonio si aggira attorno ai 50 miliardi di dollari, dimezzato nel giro di un anno. Cosa sta succedendo? Nulla di nuovo. E forse è proprio questo il problema.

Fatturato in calo per la prima volta

La galassia Zuckerberg è sempre cresciuta. Sempre, fino al secondo trimestre 2022. Tra aprile e giugno, per la prima volta da quando è una società quotata, ha registrato un calo del fatturato anno su anno. Piccolo (-1%) e dovuto anche a cambi valutari sfavorevoli, ma tant’è.

Sia chiaro: Meta è ancora una macchina da soldi: nel secondo trimestre ha incassato 28,8 miliardi di dollari, con un margine operativo che – seppur calato in modo significativo – è al 29%, con un utile di 6,7 miliardi e una posizione che resta dominante in un mercato in crescita come quello della pubblicità online.

C’è però quel segno rosso, che peraltro potrebbe diventare più intenso. “Siamo entrati in una fase di flessione economica che avrà un grande impatto sul digital advertising”, ha affermato Zuckerberg a luglio, a margine della trimestrale. “È sempre difficile prevedere quanto profondo e lungo sarà questo ciclo, ma direi che la situazione sembra peggiorare”.

La società ha stimato infatti di incassare nel terzo trimestre (i cui risultati saranno diffusi il 26 ottobre) tra i 26 e i 28,5 miliardi di dollari. Visto che tra luglio e settembre 2021 Facebook (non ancora Meta) aveva generato 29 miliardi di dollari, sarà un altro periodo in calo, il secondo consecutivo. Nel migliore degli scenari, il fatturato potrebbe perdere meno del 2%; nel peggiore, più del 10%.

Altro segnale negativo: per la prima volta dalla sua fondazione, il gruppo intende ridurre la propria forza lavoro, congelando le assunzioni e ridimensionando alcuni team. Un’inversione di marcia repentina, visto che i dipendenti al 30 giugno erano 83.553, un terzo in più rispetto a un anno prima.

Pubblicità e privacy

I problemi e il calo in borsa erano già iniziati negli ultimi mesi dello scorso anno. Tra pandemia, post-emergenza, stagnazione e instabilità geopolitica, la pubblicità ha frenato. E Meta, come la maggior parte delle società che di pubblicità campano, ne ha risentito. 

Ma non c’è solo questo. Un duro colpo è arrivato da App Tracking Transparency, l’aggiornamento di iOS (il sistema operativo di Apple) che limita le capacità di produrre pubblicità personalizzate. Non è una misura che riguarda solo Facebook, ma è fisiologico che abbia un impatto maggiore sul leader di mercato. Come ammesso da Meta lo scorso febbraio, l’aggiornamento di Apple potrebbe costare 10 miliardi di dollari solo nel 2022.

La concorrenza “inedita”

E poi c’è la concorrenza. C’è sempre stata, è vero. Ma in passato lo strapotere di Facebook era tale da permettere a Zuckerberg di mettere in campo una strategia semplice: compra o distruggi. Ogni volta che un possibile concorrente si è affacciato sul mercato, Facebook lo ha comprato prima che diventasse una minaccia reale: è successo con Instagram e WhatsApp. Quando non ci è riuscito, ha copiato alcune funzionalità, come i contenuti temporanei: da quando le Storie sono arrivate su Facebook e Instagram, Snapchat – il social che le ha inventate e che Zuckerberg aveva provato ad acquisire quando era in fasce – è in crisi.

Adesso però c’è TikTok. Cresce a ritmi più rapidi, raggiunge una platea più giovane e registra tempi di permanenza molto più lunghi rispetto a Instagram e Facebook. In altre parole: ha tutto quello che molti inserzionisti cercano. E, pur essendo lontano dalla platea della galassia Zuckerberg (3,6 miliardi di persone), ha ormai raggiunto dimensioni globali.

A febbraio, il ceo di Meta aveva spiegato che alla base del rallentamento previsto nel 2022 ci fossero due fattori. “Il primo è la concorrenza. Le persone hanno molte opzioni su come spendere il loro tempo e app come TikTok stanno crescendo molto rapidamente”.

Il secondo è la “transizione verso i video brevi”, che stanno sostituendo formati “più remunerativi”. In altre parole: i Reel, i contenuti in stile TikTok che Meta ha importato, fanno guadagnare meno ma sono una strada obbligata.

Facebook, per una volta, insegue perché non può né comprare né distruggere. Lo ha ammesso anche il cfo del gruppo, David Wehner: si tratta di una concorrenza “inedita”, perché il social cinese è “chiaramente davanti” nella capacità di gestire e valorizzare i video brevi.

Un bilancio, un settore: la paura fa 97

Le restrizioni di Apple, la concorrenza di TokTok, gli umori degli inserzionisti, il pessimismo dei mercati stanno generando la tempesta perfetta. Ma non si tratta di contingenze. Questi fattori stanno rallentando Meta a causa di uno squilibrio strutturale: il gruppo dipende da un solo mercato, quello della pubblicità. È da lì che arriva il 97% del fatturato.

Nessun’altra compagnia nel club dei mille miliardi ha uno squilibrio così evidente. Apple ha un’offerta ampia di hardware e sta crescendo nei servizi; Amazon non è solo e-commerce ma anche cloud; Alphabet ammortizza il calo pubblicitario con Android e nuvola informativa; Microsoft spazia dai software per aziende ai videogiochi. I “venti avversi” (come li ha definiti la compagnia) ci sono, ma le raffiche fanno vacillare chi ha un solo punto d’appoggio.  

Il problema è che la dipendenza non accenna ad allentarsi: nel secondo trimestre 2015, il fatturato era molto minore (4 miliardi di dollari), ma la quota derivante dalla pubblicità molto simile: 95,6%. In sette anni sono successe tante cose, a Facebook, al digitale e al web. Ma Zuckerberg non è ancora riuscito a trovare una fonte di ricavi che alleggerisca il peso del digital advertising e, di conseguenza, ammortizzi potenziali rischi. 

Ci ha provato. Ha acquisito Oculus per puntare sulla realtà aumentata e mettere un piede nel mercato dell’hardware. Ha lanciato il primo dispositivo marchiato Facebook, Portal. Ha sondato il mondo delle valute digitali con Libra. Il progetto di costruire droni per portare connettività nel mondo è naufragato. Ma la ricerca continua. 

La scommessa Meta(verso)

La caccia all’equilibrio – ha spiegato Zuckerberg a luglio – si concentra su due “onde da cavalcare”: “l’intelligenza artificiale e, più a lungo termine, il metaverso”. Reality Labs, l’hub che include visori, soluzioni per la realtà virtuale e aumentata (metaverso compreso) è al momento – oltre alla pubblicità – l’unica voce di bilancio degna di nota.

Il settore promette, ma non è certo ricco nel breve periodo: nei primi sei mesi del 2022, Reality Labs ha incassato 1,1 miliardi di dollari, ma con una perdita operativa di 5,7 miliardi, che si aggiungono ai 10,2 miliardi evaporati nel 2021.

“La nostra speranza è che entro il prossimo decennio il metaverso raggiunga un miliardo di persone, ospiti centinaia di miliardi di dollari di commercio digitale e sostenga posti di lavoro per milioni di creatori e sviluppatori”, scriveva Zuckerberg un anno fa. Avrà ragione? Si vedrà. Al momento è certa solo una cosa: il metaverso è la sua più grande scommessa.

Non è un caso, quindi, che uno dei momenti più complicati (il più complicato?) nella storia di Facebook coincida con il cambio di denominazione in Meta. Oltre a sganciare la società da quel social network popoloso ma non più così popolare, Zuckerberg ha trasformato il nome del gruppo in una promessa di sostenibilità.


Meta in cerca di equilibrio: che cosa sta succedendo alla galassia Zuckerberg

Facebook cambia nome e diventa Meta

AGI – “È tempo di avere un nuovo brand per la nostra società, che includa tutto ciò che facciamo. Io sono quindi orgoglioso di dirvi che da oggi il nome della nostra società sarà Meta”. Così Mark Zuckerberg, amministratore delegato di Facebook, durante l’apertura della conferenza annuale della società.  

“La nostra mission rimane la stessa, non cambieranno le nostre app e i loro nomi – ha spiegato Zuckerberg – ma ora abbiamo una nuova stella polare: portare invita il Metaverso. Da ora cominciamo a essere ‘Metaverse first’, non più Facebook first”.

Con il nuovo nome, Meta, Mark Zuckerberg ha presentato durante Facebook Connect anche il nuovo logo della holding.

È un simbolo dell’infinito, blu con sfumature sul chiaro a dare un effetto leggermente tridimensionale. A fianco del logo il nuovo nome della società, “Meta”, in grigio.

Zuckerberg ha detto durante la presentazione che la nuova società sarà “Metaverse first, non più Facebook fist”, ovvero continueranno sì a lavorare alle app di social network, ma sarà il metaverso il focus principale della società.

Il simbolo dell’infinito sembrerebbe riflettere il senso del rebranding, con Meta che viene dal termine greco ‘metà’ che significa oltre.

Facebook vola in borsa dopo la presentazione del progetto Metaverso e il rebranding della società: il titolo al Nasdaq guadagna il 3,32% a 322 dollari e contribuisce al rialzo dei tecnologici, che in questo momento segnano un +1,20%. 


Facebook cambia nome e diventa Meta

Crollano le prenotazioni ma l’Italia resta la meta più ambita

Crollano ovunque le prenotazioni aeroportuali per l’estate ma l’Italia resta comunque la meta più ambita. Lo afferma l’Enit, secondo cui si contano 407 mila prenotazioni (-68,5%), contro le 403 mila (-63,7%) della Spagna e le 358 mila della Francia (-66,3%).

“Le strutture ricettive – fa notare l’Enit – registrano una minore disponibilità di posti letto per il mese di giugno, un segnale che lascia ben sperare. E anche il prezzo medio delle camere in vendita sulle Ota (agenzie di viaggio online) che ha subito un calo generalizzato a febbraio e marzo, si sta risollevando in tutta Italia già in previsione del mese di giugno”.

L’analisi degli scenari economici a breve termine indica un recupero completo nel triennio: il turismo complessivamente avrà ripreso i volumi del 2019 e li supererà con un totale di visitatori del +4% rispetto al 2019, trend dettato dal turismo domestico. 

Per quanto riguarda gli arrivi aeroportuali, l’ufficio Studi Enit ha rilevato un andamento ancora molto debole, con perdite dal 1° gennaio al 26 aprile del 63,4% rispetto allo stesso periodo del 2019 (che sale a -94,7% da marzo e aprile), proseguendo il trend di maggiore profondità di calo dovuto alla domanda internazionale fermata dalle restrizioni antivirus. Scendono gli arrivi dal mercato cinese allo -77,4% (valore massimo) e dagli Usa (-71,7%), contro il calo inferiore del -54,5% registrato dalla Russia.

L’ascolto social Enit evidenzia però come ci sia, nonostante il Covid, il desiderio di vacanze e la ricerca della parola turismo. Dal 18 marzo al 30 aprile, si contano un totale di 617,4 mila mention della Penisola – di cui 32,6 mila comparse sul web e 584,8 mila dai social – che hanno prodotto 186,4 milioni di interazioni, una campagna promozionale spontanee da 331 milioni di euro.

Nel corso delle ultime due settimane è cresciuta progressivamente l’incidenza percentuale delle citazioni che contengono riferimenti al tema “turismo”. Le reazioni dell’ultima settimana mostra 20.800 di gradimento, 3.700 di empatica tristezza, 1.400 di affetto e 1.300 di stupore. 

Agi

Da metà gennaio dazi per 3 miliardi su pasta, vino e olio italiani

Sono pronti a scattare nuovi dazi Usa su prodotti base della dieta mediterranea con la conclusione il 13 gennaio della procedura di consultazione avviata dal Dipartimento del Commercio (USTR) sulla nuova lista allargata dei prodotti europei da colpire che si allunga tra l’altro a vino, olio e pasta Made in Italy oltre ad alcuni tipi di biscotti e caffè esportati negli Stati Uniti per un valore complessivo di circa 3 miliardi.

È quanto emerge da una analisi della Coldiretti in occasione della scadenza del termine fissato dal Federal Register nell’ambito della disputa nel settore aereonautico che coinvolge l’americana Boeing e l’europea Airbus dopo che il Wto ha autorizzato gli Usa ad applicare un limite massimo di 7,5 miliardi di dollari delle sanzioni alla Ue.

Con la nuova black list Trump – sottolinea la Coldiretti – minaccia di aumentare i dazi fino al 100% in valore e di estenderli a prodotti simbolo del Made in Italy, a quasi tre mesi dall’entrata in vigore il 18 ottobre 2019 dei dazi aggiuntivi del 25% che hanno colpito per un valore di mezzo miliardo di euro prodotti italiani come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Asiago, Fontina, Provolone ma anche salami, mortadelle, crostacei, molluschi agrumi, succhi e liquori come amari e limoncello.

La nuova lista ora interessa i 2/3 del valore dell’export del Made in Italy agroalimentare in Usa che è risultato pari al 4,5 miliardi in crescita del 13% nei primi nove mesi del 2019, secondo l’analisi della Coldiretti. Il vino – precisa la Coldiretti – con un valore delle esportazioni di quasi 1,5 miliardi di euro in aumento del 5% nel 2019 è il prodotto agroalimentare italiano più venduto negli States mentre le esportazioni di olio di oliva sono state pari a 436 milioni anch’esse in aumento del 5% nel 2019 ma a rischio è anche la pasta con 305 milioni di valore delle esportazioni con un aumento record del 19% nel 2019 secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat relativi ai primi nove mesi dell’anno.

Gli Stati Uniti – continua la Coldiretti – sono il principale consumatore mondiale di vino e l’Italia è il loro primo fornitore con gli americani che apprezzano tra l’altro il prosecco, il pinot grigio, il lambrusco e il chianti che a differenza dei vini francesi erano scampati alla prima black list scattata ad ottobre 2019.

Se entrassero in vigore dazi del 100% ad valorem sul vino italiano una bottiglia di prosecco venduta in media oggi al dettaglio in Usa a 10 dollari ne verrebbe a costare 15, con una rilevante perdita di competitività rispetto alle produzioni non colpite. Allo stesso modo si era salvato anche l’olio di oliva Made in Italy anche perché – riferisce la Coldiretti – la proposta dei dazi aveva sollevato le critiche della North American Olive Oil Association (NAOOA) che aveva avviato l’iniziativa “Non tassate la nostra salute” per chiedere al Dipartimento Usa al commercio estero (USTR) di escludere l’olio d’oliva europeo dalla lista di prodotti colpiti.

Nella petizione si sottolinea che l’olio d’oliva è uno degli alimenti più salutari tanto che la stessa Food and Drug Administration statunitense (FDA) lo ha riconosciuto come un alimento benefico per la salute cardiovascolare, oltre che componente principale della dieta mediterranea che, se fosse seguita secondo studi scientifici, comporterebbe un risparmio di 20 miliardi dollari in trattamento per molti disturbi oltre alle malattie cardiache, tra cui cancro, diabete e demenza.

Ora però con la pubblicazione della nuova black list Trump sembra aver ignorato fino ad ora le sollecitazioni dall’interno e dall’esterno degli Usa e mette a rischio – denuncia la Coldiretti – il principale mercato di sbocco dei prodotti agroalimentari Made in Italy fuori dai confini comunitari e sul terzo a livello generale dopo Germania e Francia.

“Una eventualità devastante per il Made in Italy agroalimentare contro la quale la Coldiretti si è immediatamente attivata all’indomani dell’avvio della procedura lo scorso 12 dicembre con un serrato confronto a livello nazionale, comunitario ed internazionale per scongiurare una deriva dannosa per gli stessi consumatori americani per i quali sarebbe più caro garantirsi cibi di alta qualità importanti per la salute come dimostra con l’iscrizione della dieta mediterranea nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanita’ dell’Unesco il 16 novembre 2010” ha affermato Ettore Prandini il presidente della Coldiretti che in vista della missione della prossima settimana a Washington è in costante contatto con il Commissario UE al Commercio Phil Hogan per sensibilizzarlo sull’importanza della difesa di un settore strategico per l’UE che sta pagando un conto elevatissimo per dispute commerciali che nulla dovrebbero avere a che vedere con il comparto agricolo.

“L’Unione Europea ha appoggiato gli Stati Uniti per le sanzioni alla Russia che come ritorsione ha posto l’embargo totale su molti prodotti agroalimentari, come i formaggi, che e’ costato al Made in Italy oltre un miliardo in cinque anni ed e’ ora paradossale che l’Italia si ritrovi nel mirino proprio dello storico alleato, con pesanti ipoteche sul nostro export negli Usa” ha concluso Prandini nel sottolineare che “per l’Italia al danno si aggiunge la beffa poiché il nostro Paese si ritrova ad essere punito dai dazi Usa nonostante la disputa tra Boeing e Airbus, causa scatenante della guerra commerciale, sia essenzialmente un progetto franco-tedesco al quale si sono aggiunti Spagna ed Gran Bretagna”.

Agi

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