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Riformare il catasto o no? Tra timori e dubbi, il dibattito si infiamma

AGI – La riforma del catasto divide partiti e parti sociali. La sola ipotesi ha provocato una levata di scudi e un intervento ‘tecnico’ è diventato un tema politico sulla strategia fiscale, sintetizzando il dibattito con l’eterno ‘tira e molla’: sì o no a più tasse-meno tasse. Favorevole al cambiamento la sottosegretaria all’Economia Maria Cecilia Guerra. Decisamente contrari Lega e Forza Italia. Matteo Salvini plaude al premier Draghi che “ha detto no a nuove tasse. Stoppando la voglia di tasse del Pd”. Il M5S ritiene che non sia una priorità per rilanciare l’occupazione e la crescita nel nostro Paese. La Confedilizia invece è sul piede di guerra mentre osservatori esterni, come Nomisma pensano che sarebbe utile per garantire una maggiore equità.

“Molti proprietari hanno paura che riforma significhi aumento delle imposte sugli immobili – spiega all’AGI Guerra – ma anche perché vi è una comunicazione falsata. In realtà, non si prospettano aumenti ma solo una migliore distribuzione dell’onere”. Inevitabilmente negli anni la situazione è cambiata e ci sono case che hanno acquisito un valore più alto perché ad esempio nella zona sono migliorati i trasporti o i servizi: una nuova fermata di metropolitana o un ospedale.

“Così  – fa notare Guerra – vi sono proprietari che pagano un’imposta non realistica rispetto al valore della casa mentre altri pagano in confronto di più perché ad esempio posseggono immobili in aree interne che hanno perso valore col tempo”. “Quindi – ribadisce la sottosegretaria – intervenire sul catasto non significa affatto aumentare le imposte ma fare un’operazione di verità e equità”. Perché allora M5S, Lega e Forza Italia si sono schierati assolutamente contro la riforma? “Perché è più facile dire ‘vogliamo ridurre le tasse’ che spiegare nel merito una riforma che alla fine farebbe pagare meno imposte alla maggioranza degli italiani. Le prime case restano esentate e chi pagherebbe di più è solo perché possiede un immobile che ha acquisito maggior valore. L’obiettivo è di prevedere imposte commisurate al valore del patrimonio, imposte giuste parametrate alla base imponibile vera. Si può fare gradualmente – conclude – senza cambiamenti repentini: ma è un tema di equità e non certo di aumento generalizzato delle tasse”. Sulla stessa lunghezza d’onda Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma: la riforma del catasto, dice all’AGI, “è assolutamente necessaria per assicurare equità”, perché “la sperequazione delle basi imponibili porta a uno squilibrio del prelievo”. 

Secondo Dondi, la riforma non si configurerebbe come una nuova patrimoniale, come alcuni accusano, perché “l’imposta esiste già: si tratta di compiere una redistribuzione. Certo – precisa – andando a modificare la base imponibile sorge il sospetto che possa esserci un aumento del carico fiscale ma viene promessa invarianza del gettito a livello nazionale, non però locale. Il presupposto è la riduzione dei divari tra i diversi territori, che non si può garantire a livello locale quanto invece a livello nazionale”. Molti però si sono scagliati contro il prospettato intervento prefigurando un aggravio delle imposte: “La riforma del catasto dovrebbe andare a ridefinire la distribuzione del carico fiscale: non capisco allora come si possa essere contro una distribuzione più equa, visto che ci sono territori e famiglie che pagano più di quanto dovrebbero. Se si segue l’impostazione dell’invarianza di gettito non vedo rischi di ulteriori aggravi”.  

Però, avverte Dondi, se si decidesse di avviare la riforma il processo non sarà semplice: “si tratta di passare dai vani ai metri quadrati, di realizzare un sistema di valori di riferimento affidabile. Tutto ciò richiederà tempo. Il lavoro di definizione delle basi imponibili è complesso ma bisogna iniziare se non si vuole mantenere un sistema iniquo e sperequato”. In alcuni territori – fa notare – i valori catastali non sono allineati ai valori di mercato ed anche all’interno di alcune città vi sono accatastamenti non aggiornati con il paradosso che in periferia si paga relativamente di più che in centro. “La paura di amenti fiscali è inopportuna – ribadisce l’ad di Nomisma – è un processo alle intenzioni non suffragato dalle dichiarazioni rese fin qui. Piuttosto, bisogna far sì che non ci sia più qualcuno che paghi più del dovuto”.  

Non la pensa così Confedilizia: “se c’è un’urgenza in campo immobiliare – afferma il presidente Giorgio Spaziani Testa – non è certo la riforma del catasto, bensì una netta riduzione della tassazione, specie quella di natura patrimoniale. Basti pensare al fatto che, dal 2012, l’Imu pesa 12/13 miliardi in più, ogni anno, rispetto all’Ici”. “L’esperienza insegna che ogni volta che si è pensato di intervenire sugli estimi catastali si è dato luogo ad aumenti di imposizione. Significativo, in questo senso, è quanto fece Matteo Renzi nel 2016: di fronte a un testo che a parole avrebbe lasciato invariato il gettito, verificò che i tecnici stavano predisponendo un vero e proprio salasso nei confronti dei proprietari e bloccò tutto. Lo ha raccontato bene, qualche giorno fa, l’allora viceministro dell’economia Zanetti. Del resto, se la riforma viene fatta per dare seguito alle richieste che provengono dall’Europa, l’aumento di tassazione é certo visto che nei documenti della  Commissione é espressamente indicato questo obiettivo”.

Quanto all’obiettivo di giustizia fiscale, Spaziani Testa nota che “le iniquità esistono nel catasto così come in tanti altri comparti. Ma esistono anche strumenti, attivabili dall’Agenzia delle entrate e dagli stessi Comuni, per correggerne molte. Perché non li utilizzano?”. Il governo dovrebbe invece ridurre il carico fiscale: “Si inizi – prosegue – eliminando la patrimoniale sugli immobili inagibili, che incredibilmente ancora ne sono soggetti, e nei piccoli centri, quelli in via di spopolamento, dove gli immobili hanno valore zero non essendo né abitabili né vendibili né affittabili. Togliere l’Imu nei Comuni fino a tremila abitanti costerebbe appena 800 milioni di euro”. 

Diversa la posizione dei sindacati: la Uil, che ha eseguito degli studi sul gettito Imu, ritiene necessaria la riforma del catasto per “riportare equità nella tassazione sul mattone, annunciata più volte nel corso degli ultimi anni e mai attuata. Una riforma – afferma il sindacato di via Lucullo – attesa da più di 30 anni, dato che l’ultima revisione degli estimi catastali è datata 1989, partendo da una revisione dei valori catastali vecchi, iniqui e che non corrispondono al reale valore degli immobili, eliminando i paradossi attuali per cui case di pregio nei centri storici hanno rendite catastali basse, mentre immobili situati in periferia e costruiti più recentemente hanno rendite catastali alte. Prestando, però, molta attenzione  perché questo processo di riforma non dovrà significare maggiori prelievi, ma una diversa e più equa ripartizione del prelievo fiscale sugli immobili.

 


Riformare il catasto o no? Tra timori e dubbi, il dibattito si infiamma

Tria cerca di dissipare i dubbi europei sull’economia italiana

“C’è un Def approvato da governo e Parlamento” e “il governo sta lavorando per attuare quello che c’e’ scritto nel Def”. E quel documento è stato approvato in Consiglio dei ministri anche da Matteo Salvini.

Giovanni Tria arriva a Bruxelles alla riunione dell’Eurogruppo preceduto dalle parole di fuoco del ministro dell’Interno che minaccia di ‘stracciare’ le regole su debito e deficit e dalle tensioni che soffiano sullo spread, e prova a rassicurare i partner europei preoccupati per la tenuta dei conti dell’Italia.

Il debito sarà quello previsto dal Def e Salvini lo ha votato, è il messaggio che il ministro dell’Economia porta al tavolo dei 19 per disinnescare le parole esplosive del capo della Lega.

“Campagna elettorale”

Quello che conta sono i documenti e gli impegni del governo sul debito e deficit sono scritti nero su bianco nel documento di economia e finanza.  
“In campagna elettorale i mercati finanziari sono un po’ in fibrillazione ma bisogna attenersi ai documenti”, ripete Tria, lasciando intendere che altro sono i proclami elettoralistici, altro gli impegni sottoscritti.

Tria bolla come ‘boutade da campagna elettorale’ l’ennesima ipotesi di uscita dell’Italia dalla zona euro e assesta un’altra stoccata al vicepremier quando i giornalisti chiedono se dopo il 26 maggio cambierà tutto come promette il ministro dell’Interno: “La Commissione resterà la stessa, per un po’”. 
L’esame dell’esecutivo all’Italia arriverà a giugno, dopo che la Commissione presenterà il suo ‘Country Report‘ per i vari Paesi. Le premesse non sono buone: le ultime previsioni di primavera hanno dipinto un quadro a tinte molto fosche dei fondamentali macro del Paese.

Dal Pil previsto in calo allo 0,1% nel 2019 al balzo del debito all’impennata del deficit oltre il 3% in caso di mancato aumento dell’Iva. E l’appello dei ministri delle Finanze dell’Eurozona che chiedono all’Italia il rispetto delle regole non lascia presagire molto di buono: dal tedesco Olaf Scholz al francese Bruno Le Maire al commissario Pierre Moscovici (il debito italiano al 140% del Pil? “Il 130% è già molto”, dice il responsabile Ue degli Affari economici) fino ai ‘piccoli’ danesi e lussemburghesi, la richiesta a Roma di tenere a posto i cordoni della borsa è unanime. 

Ma la bordata più pesante arriva dall’austriaco Hartwig Loeger che già alla vigilia dell’Eurogruppo, in una intervista aveva detto che l’Italia rischia di diventare ‘la nuova Grecia’, rilanciando le parole del cancelliere austriaco Sebastian Kurz. “Il collega dovrebbe pensare prima di parlare”, replica Tria. Ma Loeger incalza, “Tria dovrebbe trasmettere questo messaggio di saggezza a Salvini”, invece “ha ceduto”. L’Austria, ripete Loeger, chiederà alla Commissione questa volta di non fare sconti all’Italia e rimetterà sul tavolo la richiesta di sanzioni per chi non rispetta le regole.

Agi