Tag Archive: banca

Nel 2021 quasi un italiano su due ha smesso di andare fisicamente in banca  

AGI – La strada della digitalizzazione nel settore bancario, anche a seguito della situazione creatasi con il Covid-19, sembra segnata: ne sono una conferma il 45% degli italiani che nel 2021 hanno diminuito o cessato il rapporto fisico con la filiale a favore di mobile e home banking rispetto al 2019. Percentuali che salgono al 50% e al 47% se si considerano rispettivamente le fasce d’età 18-29 anni e 30-44 anni.

Lo rivela l’Osservatorio Hybrid Lifestyle di Nomisma in collaborazione con CRIF, secondo cui gli italiani detengono la propria liquidità principalmente in un unico istituto di credito. In Italia ci sono circa 47,7 milioni di correntisti (fonte: Banca d’Italia), più della metà dei rispondenti ha rapporti con un unico istituto di credito (66%).

Gli italiani che hanno rapporti con più di un istituto di credito sono prevalentemente uomini e appartengono alla fascia d’età 30-44 anni. Secondo lo studio, il 68% degli italiani bancarizzati preferisce l’utilizzo del mobile banking (da smartphone) rispetto agli altri canali di contatto con l’istituto di credito. Un fenomeno che interessa maggiormente gli uomini (70% vs 66% donne) e le fasce d’età dei più giovani (74% tra i 18 e i 29 anni, 73% tra i 30 e i 44 anni).

Il 56% degli italiani preferisce l’uso dell’home banking (da pc) rispetto agli altri canali, si tratta in particolare dei “meno giovani” della fascia d’età 55-65 anni che hanno saputo trasformare una necessità in una virtù (63%).

Oltre alla propensione e alla intensità di utilizzo a cambiare è stata anche l’esperienza digitale: per il 64% è migliorata la fruizione dei servizi bancari online – quota di soddisfazione che sale al 68% tra coloro che hanno rapporti con più di un istituto.

Per un utente su 3, l’esperienza digitale, favorita dall’attuale situazione pandemica, è diventata elemento fondante della relazione in quanto fattore positivo in grado di rafforzare il livello di fiducia con il proprio istituto di credito, soprattutto tra coloro che hanno rapporti con più banche.

La trasformazione digitale e le mutate esigenze dei clienti – sempre più esigenti e smart – rappresentano una sfida – fa notare l’indagine – ma anche una grande opportunità per incrementare la loyalty e quindi una relazione di lungo periodo.

Per il 66% degli italiani l’elemento che maggiormente aiuterebbe ad incrementare la soddisfazione nei confronti del proprio istituti di credito è la gestione del conto corrente e delle operazioni semplice ed intuitiva. A richiederlo sono principalmente le donne (70% vs 62% uomini) e la fascia d’età dei meno giovani (55-65 anni 78% vs 18-29 anni 59%) che hanno approcciato la trasformazione digitale come “non nativi”.

Una gestione del conto intuitiva deriva da una interfaccia web altrettanto semplice, richiesta dal 40% degli italiani, ma anche sicura (38%). 

Importante è anche la visione complessiva del patrimonio da poter tenere sempre cotto controllo (34% scelta a risposta multipla), elemento riconosciuto particolarmente di valore dalla fascia d’età 30-44 (41%).
Nella stessa area di interesse rientrano quei servizi in grado di facilitare la gestione dell’economia familiare, come l’analisi delle spese, con la categorizzazione per tipologia merceologica, grafici di trend (27%) – 36% per i più giovani tra i 18 e i 29 anni – e la possibilità di collegare i conti correnti posseduti presso altri istituti, per visualizzare il patrimonio totale (26%).

Esigenze lato domanda che trovano sempre più un riscontro nell’offerta di alcuni istituti di credito che danno un servizio di aggregazione di conti con un livello di sicurezza elevato, nel pieno rispetto degli standard previsti dalla direttiva europea PSD2 in ambito open banking.

Ing


Nel 2021 quasi un italiano su due ha smesso di andare fisicamente in banca  

Caixa e Bankia studiano la fusione, nascerebbe la più grande banca spagnola

AGI – Le banche spagnole Bankia e CaixaBank hanno annunciato che stanno valutando la possibilità di una fusione. L’ufficializzazione è arrivata nella notte dopo che per tutta la giornata di ieri si erano susseguite le voci sulle possibili nozze. La conferma dei rumors circolati nelle ultime ore ha messo le ali ai due titoli in Borsa e acceso l’interesse degli investitori sull’intero settore bancario. Le azioni di Caixa stanno salendo di quasi il 15%, mentre quelle di Bankia avanzano di oltre il 27%

Il matrimonio tra la terza e la quarta banca del Paese darebbe vita al primo istituto di credito spagnolo, con una capitalizzazione di Borsa pari a circa 16 miliardi e attivi per 650 miliardi. La fusione sarebbe dominata da Caixa che non solo detiene circa il doppio degli attivi di Bankia, ma ha anche una capitalizzazione di mercato tripla rispetto alla rivale: 12,2 contro 3,95 miliardi di euro.

Le nozze, per il momento da celebrare soltanto tramite scambio azionario senza intervento di contanti, avrebbero anche un grosso significato politico, con Bankia controllata al 61,8% dal governo di Madrid dopo il salvataggio del 2012 e Caixa da una fondazione locale strettamente legata all’estabishment politico catalano. Il successo o il fallimento dei colloqui sono dunque strettamente legati anche all’evoluzione delle relazioni tra Catalogna e governo centrale.

La speculazione di una possibile nuova ondata di fusioni nel settore bancario spagnolo ha spinto al rialzo tutti i  titoli del comparto, in particolare quelli delle banche minori che potrebbero essere oggetto di ulteriori tentativi di scalata: Banco de Sabadell sale di oltre l’11% e Bankinter sfiora una balzo del 7%. Ma del movimento stanno beneficiando anche i due colossi del credito iberico, Bbva e Santander, con guadagni attorno al 5%.

La Banca di Spagna ha fatto sapere di essere a conoscenza dell’intenzione annunciata dai consigli di amministrazione di CaixaBank e Bankia di negoziare una fusione e che la analizzerà insieme alle autorità di vigilanza europee se i colloqui “daranno frutti”. “Il ruolo delle autorità di vigilanza è quello di valutare la fattibilità dei progetti di fusione che vengono presentati”, hanno spiegato fonti dell’istituto centrale spagnolo. Se i negoziati avranno esito positivo, la Banca analizzerà l’operazione nel quadro del meccanismo di vigilanza, hanno concluso le stesse fonti. 

Agi

Perché adesso la Banca d’Italia lancia l’allarme sullo spread

"Il rialzo dei tassi di interesse sul debito pubblico registrato da maggio rischia di vanificare l’impulso espansivo atteso dalla politica di bilancio". L'allarme è contenuto nella Rapporto sulla stabilità finanziaria della Banca d'Italia, secondo cui il governo, nel valutare una maggiore crescita tendenziale dello 0,6% nel 2019 grazie all'effetto positivo della legge di bilancio "presuppone" moltiplicatori "piuttosto elevati". In ogni caso, scrivono i tecnici di via Nazionale, "l’effettivo impatto sulla crescita e quindi sul peso del debito dipenderà dalle misure specifiche e dal mantenimento della fiducia degli investitori".

Più interessi, più spread, più debito

Bankitalia calcola che l’incremento dei tassi all’emissione dei titoli di Stato ha determinato negli ultimi sei mesi un’espansione della spesa per interessi di quasi 1,5 miliardi rispetto a quella che si sarebbe avuta con i tassi che i mercati si aspettavano in aprile; costerebbe oltre 5 miliardi nel 2019 e circa 9 nel 2020 se i tassi dovessero restare coerenti con le attuali aspettative dei mercati. Inoltre, sottolinea il rapporto, "un rialzo pronunciato e persistente dei rendimenti, a parità di tassi di crescita nominale dell’economia, aumenta il rischio che la dinamica del debito si collochi su una traiettoria crescente".

"L’incertezza sull’orientamento delle politiche economiche e di bilancio ha determinato forti rialzi dei rendimenti dei titoli pubblici; vi hanno contribuito timori degli investitori riguardo a un’ipotetica ridenominazione del debito in una valuta diversa dall’euro", prosegue il Rapporto, secondo cui "le condizioni di liquidità del mercato secondario dei titoli di Stato sono più tese rispetto ai primi mesi dell’anno ed è aumentata la volatilità infragiornaliera delle quotazioni".

Cosa vorrà dire uno spread più alto

Gli effetti negativi dell'aumento dello spread sono ben elencati nel rapporto. "Incrementi elevati e persistenti dei premi per il rischio sui titoli di Stato", scrivono i tecnici di via Nazionale, "ostacolano il calo del debito pubblico in rapporto al prodotto, incidono sul valore della ricchezza delle famiglie, frenano e rendono più oneroso il credito al settore privato, peggiorano le condizioni di liquidità e la patrimonializzazione di banche e assicurazioni".

In ogni caso, aggiunge Bankitalia, "diversi fattori stanno attenuando le ripercussioni delle turbolenze finanziarie sull’economia. L’indebitamento del settore privato risulta tra i più bassi nell’area dell’euro, l’avanzo commerciale è ampio e la posizione debitoria netta verso l’estero si è pressoché azzerata. L’elevata vita media residua del debito pubblico rallenta la trasmissione dell’aumento dei rendimenti dei titoli di Stato al costo medio del debito".

E tuttavia, non manca di avvertire il documento, "il rialzo dei premi per il rischio sui titoli di Stato, se protratto nel tempo, avrebbe ripercussioni negative sul sistema finanziario e aumenterebbe i rischi per la stabilità". In particolare, "incrementi elevati e persistenti" dello spread "ostacolano il calo del rapporto debito/Pil, riducono il valore della ricchezza delle famiglie, frenano e rendono più oneroso il credito al settore privato, peggiorano le condizioni di liquidità e la patrimonializzazione di banche e assicurazioni".

Anche le banche rischiano

"Nel settore bancario prosegue il miglioramento della qualità del credito e il recupero della redditività, ma anche il processo di rafforzamento dei bilanci delle banche risente negativamente delle tensioni sul mercato del debito sovrano, che hanno determinato un peggioramento degli indicatori di liquidità e di patrimonializzazione”, rileva ancora il documento della Banca d’Italia, secondo cui "la flessione delle quotazioni dei titoli di Stato ha determinato una riduzione delle riserve di capitale e di liquidità e un aumento del costo della provvista all’ingrosso".

Il forte calo dei corsi azionari degli intermediari "ha determinato un marcato aumento del costo del capitale", aggiungono i tecnici di via Nazionale, che avvertono: se le tensioni nel mercato dei titoli di Stato dovessero protrarsi, le ripercussioni sulle banche potrebbero essere rilevanti, soprattutto per alcuni intermediari di media e piccola dimensione".

Sul fronte degli Npl, Bankitalia rileva che il flusso di nuovi crediti deteriorati, valutato in rapporto al totale dei prestiti in bonis, si colloca all’1,7 per cento, dopo aver toccato nel secondo trimestre dell’anno il valore minimo dal 2006. Il calo registrato negli ultimi anni, che ha riguardato sia i prestiti alle famiglie sia quelli alle imprese, afferma Palazzo Koch, è stato favorito dalla crescita economica, dal basso livello del costo del credito e dalla prudenza delle banche nell’assunzione dei rischi.

Nel primo semestre dell’anno le banche italiane hanno ridotto del 13 per cento la consistenza dei crediti deteriorati lordi, a 225 miliardi. La diminuzione, si legge nel rapporto, è in larga parte riconducibile alle cessioni di prestiti in sofferenza (20 miliardi, contro 42 nell’intero 2017).

 

Agi News

Come è nata l’inchiesta sulla Banca Popolare di Vicenza

È il 22 settembre 2015 quando la Guardia di Finanza esegue una serie di perquisizioni presso gli uffici della Banca Popolare di Vicenza. Le ipotesi di reato, aggiotaggio e ostacolo delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, fanno intuire che si è di fronte ad un'inchiesta che avrebbe scosso l'intera BpVi, se non l'intero sistema bancario italiano. Un'inchiesta sfociata in un processo del quale si tiene oggi la prima udienza.

Le indagini prendono il via da alcuni esposti presentati da soci e correntisti della banca Popolare ma anche e soprattutto dalla decisione dell'ex direttore generale Samuele Sorato di valutare azioni legali nei confronti dell'allora presidente Gianni Zonin per alcuni attriti nella gestione della Banca. I magistrati che per due anni – fino al rinvio a giudizio per sette vertici della banca dello scorso settembre – hanno indagato sulla vicenda hanno spiegato che gli indagati "in tempi diversi, diffondevano notizie false e realizzavano operazioni simulate e altri artifici idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni BpVi e a incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale del Gruppo bancario". Non solo. Avrebbero anche concesso finanziamenti finalizzati all'acquisto e alla sottoscrizione di azioni, per un controvalore complessivo di 963 milioni, anche assumendosi l'impegno di riacquisto dei titoli per determinare una apparenza di liquidità del titolo sul mercato secondario. Ma ci sarebbe anche la partita delle "operazioni baciate", la diffusione di notizie false e un camuffamento delle fragilità interne e delle reali condizioni dell'istituto di credito.

Migliaia i risparmiatori coinvolti

Sullo sfondo dell'inchiesta compaiono le storie di migliaia e migliaia di risparmiatori, spesso pensionati o normali famiglie, che avevano affidato alla BpVi i risparmi di una vita sicuri di sottoscrivere obbligazioni "blindate" e in realtà tenuti all'oscuro dei reali profili di rischio delle azioni acquistate. Nel marzo 2016 il nuovo management, guidato dall'ad Francesco Iorio, porta in assemblea il progetto di trasformazione della banca in Spa, supportato da un aumento di capitale da 1,5 miliardi propedeutico anche alla quotazione in Borsa. A causa dello scarso supporto dei soci storici, che hanno visto il valore dell'azione crollare, e dell'assenza di nuovi investitori disposti a entrare l'operazione di rafforzamento patrimoniale sembra destinata a fallire.

A intervenire, sottoscrivendo l'intero importo dell'aumento, con l'emissione di 15 miliardi di nuove azioni a 0,10 euro, sarà il Fondo Atlante. Nel fondo converge anche Veneto Banca, coinvolta in una vicenda simile a quella della BpVi. Nella notte fra domenica 25 e lunedì 26 giugno 2017 Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca vengono poste in liquidazione coatta amministrativa e i tre commissari liquidatori nominati dalla Banca d'Italia per ciascuna delle due banche firmano i contratti di cessione a Intesa Sanpaolo, al prezzo simbolico di un euro, di un insieme di attività e passività facenti capo alle due banche fallite. Ne nasceranno una "bad bank" a cui restano alcuni asset e la maggior parte dei crediti deteriorati (le stime parlano di 18 miliardi di euro), che dovranno essere valorizzati dalla Sga, e una "good bank" da 26,1 miliardi di euro di crediti in bonis e altri crediti per circa 4 miliardi di euro non classificati come deteriorati, ma giudicati ad alto rischio, che finira' in pancia al gruppo milanese. 

Agi News

Quali compiti svolge il Governatore della Banca d’Italia e chi può diventarlo

Il primo novembre scadrà il mandato di Governatore della Banca d'Italia di Ignazio Visco. Sul nome del prossimo numero uno di Bankitalia è già in atto una nutrita querelle politica. Scrive il Corriere della Sera: “Il Pd all’attacco del governatore Bankitalia. Ora la battaglia — non è una novità l’avversione di Matteo Renzi nei confronti del «numero uno» di via Nazionale il cui mandato scade a fine mese — si sposta in Aula alla Camera. L'Aula di Montecitorio ha approvato la mozione del Pd sulle iniziative di competenza del governo in merito alla nomina del Governatore della Banca d'Italia, come riformulato su richiesta del governo. I voti a favore del documento di indirizzo sono stati 213, 97 i contrari, 99 le astensioni. Ad astenersi sono stati i deputati di Fi e Mdp; contro si sono invece espressi quelli di Si, M5S e Fdi. Tutte respinte le altre mozioni, a partire da quella di M5S, che miravano direttamente a impegnare il governo a non confermare il governatore uscente Ignazio Visco alla guida di Bankitalia". Ma cosa fa un Governatore della Banca d'Italia? E che poteri ha?

Cosa fa il Governatore, chi può diventarlo

Il Governatore della Banca d'Italia presiede l'assemblea dei partecipanti e ha il compito di garantire il rispetto di leggi, regolamenti e statuto, far eseguire le deliberazioni del Consiglio superiore cui può avanzare ogni proposta che giudichi utile alla Banca e sovrintendere l'amministrazione centrale e gli stabilimenti periferici. Dispone, sentito il direttorio, le nomine, le promozioni, le assegnazioni, i trasferimenti e gli incarichi del personale di grado superiore. Deve essere cittadino italiano, non può appartenere ad altri istituti di credito né essere parlamentare né ricoprire altra carica politica. 

Prima era un incarico 'a vita', ora è stato ridimensionato

Fino al 2005 la carica di governatore era a vita, proprio per sottolinearne la totale autonomia nei confronti del Governo, poi il suo ruolo è stato ridimensionato. La riforma fu decisa dopo lo scandalo di "Bancopoli" che portoò alle dimissioni di Antonio Fazio. Ora l'incarico dura sei anni ed è rinnovabile una sola volta. La nomina è disposta con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio, previa deliberazione del consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d'Italia. Lo stesso procedimento si applica anche per la revoca. 

Chi ha governato la Banca d'Italia finora

Sebbene la Banca d'Italia sia stata fondata nel 1893, la carica di governatore è stata istituita soltanto nel 1928. In precedenza le sue funzioni erano assegnate al direttore generale. Da allora sono i dieci i governatori a essersi succeduti alla guida di Palazzo Koch:

  • Bonaldo Stringher (1928-1930),
  • Vincenzo Azzollini (1931-1944),
  • Luigi Einaudi (1945-1948),
  • Donato Menichella (1948-1960),
  • Guido Carli (1960-1975),
  • Paolo Baffi (1975-1979),
  • Carlo Azeglio Ciampi (1979-1993),
  • Antonio Fazio (1993-2005),
  • Mario Draghi (2005-2011),
  • Ignazio Visco (2011-).

Agi News

Stato pronto a salvare Mps ma banca vuol fare da sola

Roma – In attesa che dal Cda di oggi emerga qualche indicazione che faccia maggiore chiarezza sulla strada da percorrere per salvare il Monte dei Paschi di Siena, sulla vicenda regna ancora l'incertezza. Il primo elemento di dubbio scaturisce dal fatto che, come detto dal Cda, nessuna comunicazione ufficiale sia arrivata alla banca dalla Bce riguardo al diniego sulla proroga al 20 gennaio dei termini per la ricapitalizzazione da 5 miliardi. Eppure la comunicazione della Vigilanza guidata da Daniele Nouy sarebbe stata la prassi. In ogni caso, dopo la diffusione dell'indiscrezione del rifiuto alla proroga, venerdì il titolo ha cominciato a perdere in Borsa a rotta di collo chiudendo in calo del 10,55%. Allo stesso tempo si è rafforzata l'ipotesi di un salvataggio dello Stato (il Tesoro ha gia' il 4%) per la banca più antica del mondo.

Cosa succede a Mps dopo il no della Bce

Zanetti, soluzioni sono a portata di mano
Sempre venerdì fonti governative riferivano come il decreto 'omnibus' per il sistema bancario, comprendente anche l'ombrello per Mps, fosse pronto. Al termine del Cda, i consiglieri hanno tenuto a sottolineare che vanno avanti tutte le attività propedeutiche al completamento dell'aumento di capitale. Il presidente dell'istituto, Alessandro Falciai, ha evidenziato che "salveremo il Monte dei Paschi di Siena sicuramente". Sulla stessa linea le dichiarazioni del viceministro dell'Economia, Enrico Zanetti, secondo cui la questione Mps "dovrà vedere una soluzione nel giro di pochi giorni, il governo ha seguito la vicenda e soluzioni sono a portata di mano, bisogna portarle a compimento". 

Mps ha 544 anni, è la banca più antica del mondo

Soluzione di mercato o intervento dello Stato
E la soluzione potrebbe essere proprio questa: vedere se l'aumento di capitale, senza intervento pubblico, abbia successo, in caso contrario entrerebbe in gioco lo Stato. Il tutto in tempi brevi, al massimo la prossima settimana. La soluzione di mercato è stata messa a punto da Jp Morgan e Mediobanca, e contava sull'investimento del Fondo del Qatar (Qatar Investment Authority) e di hedge fund americani. Poi la bocciatura del referendum costituzionale e l'incertezza politica che ne è scaturita ha complicato le cose.

Burden sharing lo scoglio dell'intervento pubblico
Lo scoglio dell'intervento pubblico è rappresentato dal burden sharing (condivisione dei costi) a carico di chi possiede obbligazioni subordinate, misura prevista dalle regole Ue. Il problema è come tutelare i risparmiatori retail, circa 60mila possessori di un bond emesso nel 2008 con scadenza 2018. Altro scoglio da superare è l'autorizzazione della Consob all'allentamento dei vincoli Mifid imposti agli obbligazionisti retail. In altri termini permettere la conversione dei bond in azioni senza che il risparmiatore reatail perda il denaro investito. 

Agi News