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Panasonic vende intera partecipazione in Tesla per 3 miliardi

AGI – L’azienda tecnologica Panasonic ha venduto la sua intera partecipazione nel produttore statunitense di veicoli elettrici Tesla per circa 400 miliardi di yen (3 miliardi di euro) come parte di una revisione strategica dei suoi investimenti.

La vendita, che è venuta alla luce dopo che l’azienda giapponese ha presentato la sua relazione annuale sui titoli alle autorità di regolamentazione, è stata effettuata nell’anno fiscale giapponese 2020 (che termina il 31 marzo 2021). Ciononostante, una portavoce della società ha confermato a Efe, che la transazione “non influisce sulla partnership con Tesla”.

“Continueremo a mantenere buone relazioni. Abbiamo anche notificato a Tesla che le azioni sono state vendute”, ha aggiunto.

Panasonic destinerà i fondi raccolti nell’affare “per futuri investimenti di crescita“, anche se non ha specificato quali.I media locali ipotizzano che parte dei fondi potrebbe essere usata in operazioni come l’acquisizione della società di software statunitense Blue Yonder, annunciata in aprile.

Le azioni di Panasonic si sono rivalutate oggi del 4,92% dopo aver appreso dell’operazione, il cui valore è quasi cinque volte il valore stimato delle azioni dell’esercizio 2019.

La società giapponese è un fornitore di Tesla dal 2009 e un anno dopo ha investito circa 2.400 milioni di yen (18 milioni di euro) nel produttore di veicoli elettrici: in sostanza, si trattava di un’iniezione di capitale per Tesla che ha anche contribuito all’espansione del business delle batterie al litio per le auto giapponesi.

Il valore delle azioni Tesla precedentemente detenute da Panasonic è stato stimato in circa 80,8 miliardi di yen (610 milioni di euro) nel suo rapporto annuale sui titoli per il suo anno finanziario 2019. Il recente aumento del valore azionario di Tesla ha ampliato la sua capitalizzazione di mercato grazie alla spinta del business dei veicoli elettrici come alternativa per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e conformarsi alle mutevoli normative circolatorie in materia a livello globale.


Panasonic vende intera partecipazione in Tesla per 3 miliardi

Imu: a giugno andranno all’Erario 9,8 miliardi

AGI – Con l’acconto del prossimo 16 giugno si verseranno 9,8 miliardi di euro per l’Imu, il cui gettito complessivo annuo sarà di 19,6 miliardi di euro. Il suddetto gettito tiene conto dell’abolizione delle rate Imu, introdotte nel corso del 2021, per alcuni immobili strumentali alla produzione individuati nei vari Decreti per contrastare la pandemia.

Saranno chiamati ai versamenti oltre 25 milioni di proprietari di immobili diversi dall’abitazione principale (il 41% sono lavoratori dipendenti e pensionati). È quanto emerge dal Rapporto Imu 2021 elaborato dal Servizio Uil Lavoro, Coesione e Territorio.    

Il costo medio complessivo dell’Imu su una “seconda casa”, ubicata in un capoluogo di provincia – spiega Ivana Veronese, Segretaria Confederale Uil – sarà di 1.070 euro (535 euro da versare come acconto di giugno) con punte di oltre 2 mila euro nelle grandi città.

La media dell’aliquota applicata per le seconde case (Imu) – commenta Ivana Veronese – ammonta al 10,6 per mille e in molti Comuni (480 municipi di cui 18 Città capoluogo) è in vigore “la ex addizionale Tasi”, fino a un massimo dello 0,8 per mille, introdotta per finanziare negli scorsi anni le detrazioni per le abitazioni principali, così da portare in questi Comuni l’aliquota Imu fino all’11,4 per mille.    

Chi possiede una seconda pertinenza dell’abitazione principale della stessa categoria catastale (cantine, garage, posti auto, tettoie), dovrà versare l’Imu con l’aliquota delle seconde case, con un costo medio annuo di 55 euro (28 euro di acconto), con punte di 110 euro annui.    

Se si prendono in considerazione i costi Imu sulle prime case cosiddette di lusso (abitazioni signorili, ville e castelli) – continua Ivana Veronese, sempre ubicate in un capoluogo di provincia, il costo medio è di 2.623 euro (1.311 euro per l’acconto), con punte di oltre 6 mila euro nelle grandi Città. 


Imu: a giugno andranno all’Erario 9,8 miliardi

Google investirà altri 7 miliardi negli Usa: obiettivo 10.000 nuovi posti di lavoro

AGI – Google ha annunciato investimenti per oltre 7 miliardi di dollari negli Stati Uniti nel 2021, puntando alla creazione di 10 mila nuovi posti di lavoro. “Progettiamo di investire più di 7 miliardi in uffici e data center in tutti gli Stati Uniti e creare 10.000 posti di lavoro a tempo indeterminato quest’anno”, ha detto l’amministratore delegato, Sundar Pichai, in una nota.

I nuovi posti di lavoro saranno creati ad Atlanta, Washington, Chicago e New York, ha precisato Sundar Pichai. Mentre l’estensione dei data center di Google sono previsti anche in Nebraska, South Carolina, Virginia, Nevada e Texas. Grazie soprattutto ai record della pubblicità online durante il lockdown mondiale e alle vacanze natalizie, Alphabet, la società madre di Google, ha superato di gran lunga le aspettative registrando ricavi pari a 15,2 miliardi nell’ultimo trimestre 2020, piu’ del 50% rispetto all’anno precedente.

Ma l’annuncio del gigante tecnologico arriva mentre la società affronta diverse cause legali negli Stati Uniti per pratiche anticoncorrenziali, lanciate alla fine del 2020. In particolare, lo scorso ottobre il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e una dozzina di stati hanno intentato una causa civile contro Google. L’accusa per il gruppo è di detenere un “monopolio illegale” sulla ricerca e la pubblicità online. Secondo i procuratori, l’azienda di Mountain View impedisce ai potenziali concorrenti di guadagnare una quota di questi mercati assicurandosi, per esempio, di essere il motore di ricerca predefinito.

 


Google investirà altri 7 miliardi negli Usa: obiettivo 10.000 nuovi posti di lavoro

L’estate senza turisti stranieri costa all’Italia 11,2 miliardi

AGI – “L’estate senza stranieri in vacanza in Italia costa 11,2 miliardi al sistema turistico nazionale per le mancate spese nell’alloggio, nell’alimentazione, nei trasporti, divertimenti, shopping e souvenir”. Lo denuncia la Coldiretti in base ai dati Bankitalia in riferimento all’importanza del via libera al certificato vaccinale europeo per l’estate annunciato dal presidente del Parlamento Europeo David Sassoli.

“L’Italia – sottolinea la Coldiretti – è fortemente dipendente dall’estero per il flusso turistico con ben 23,3 milioni di viaggiatori stranieri che la scorsa estate hanno dovuto rinunciare a venire in Italia per effetto delle limitazioni e alle preoccupazioni per la diffusione del contagio. Si tratta un vuoto pesante che è costato al sistema turistico nazionale ben 11,2 miliardi di euro per le mancate spese degli stranieri nel periodo da giugno a settembre che purtroppo non vengono compensate dalla svolta vacanziera patriottica degli italiani”.

“I turisti dall’estero da Paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna o la Cina hanno tradizionalmente una elevata capacità di spesa ma che adesso sono anche quelli che stanno procedendo velocemente nella campagna di vaccinazione – prosegue Coldiretti – ad essere colpite sono state soprattutto le città d’arte che sono le storiche mete del turismo dall’estero ma in difficoltà anche gli oltre 24mila agriturismi nazionali dove gli stranieri in alcune regioni secondo Campagna Amica rappresentano tradizionalmente oltre la metà degli ospiti nelle campagne. Si tratta di un costo che grava sul sistema turistico nazionale per le mancate spese nell’alloggio, nell’alimentazione, nei trasporti, divertimenti, shopping e souvenir”. 


L’estate senza turisti stranieri costa all’Italia 11,2 miliardi

Il Regno Unito ha varato un nuovo piano da 4,6 miliardi di sterline per le aziende colpite dal covid

AGI – Il Regno Unito lancia un nuovo piano da 4,6 miliardi di sterline (quasi 5,1 miliardi di euro) per aiutare le aziende colpite dalla crisi innescata dal Covid.

“Il nuovo aiuterà le imprese a superare i mesi a venire – e soprattutto servirà a mantenere i posti di lavoro, in modo che i lavoratori possano essere pronti a tornare quando saranno in grado di riaprire”, ha spiegato in un comunicato il ministro delle Finanze, Rishi Sunak.

Negozi, bar e ristoranti riceveranno fino a 9.000 sterline, a vantaggio di centinaia di migliaia di aziende per un valore di 4 miliardi di sterline, secondo il comunicato del ministero delle Finanze. Il governo sta anche istituendo un fondo di 600 milioni di sterline per coloro che non avrebbero diritto a questo nuovo aiuto.

“Annunciamo nuove iniezioni di denaro per aiutare imprese e posti di lavoro fino alla primavera”, ha detto Rishi Sunak, citato nel comunicato stampa. “La nuova variante del virus rappresenta una sfida enorme per noi e anche se il vaccino viene distribuito dobbiamo adottare misure più rigorose”, ha aggiunto.

Il premier britannico Boris Johnson ha annunciato ieri sera il ritorno al lockdown di tutta l’Inghilterra da oggi per lottare contro la diffusione del nuovo ceppo del coronavirus, più contagioso. Questa nuova misura, rigorosa come quella messa in atto la scorsa primavera, prevede la chiusura delle scuole e, se le condizioni lo consentiranno, durerà fino a metà febbraio.

Il governo britannico ha già sborsato circa 300 miliardi di sterline per mantenere a galla l’economia dall’inizio della crisi sanitaria, a costo di un disavanzo e debito pubblico in ascesa senza precedenti. E a metà dicembre aveva deciso di prorogare il regime di disoccupazione parziale fino alla fine di aprile. 


Il Regno Unito ha varato un nuovo piano da 4,6 miliardi di sterline per le aziende colpite dal covid

Natale di magra, la spesa per i regali scenderà del 18% a 7,3 miliardi

Natale di magra per gli italiani che quest’anno spenderanno 7,3 miliardi di euro per i regali, il 18% in meno rispetto ai 9 miliardi del 2019. La stima è della Confcommercio, secondo cui almeno un quarto degli italiani non acquisterà nulla, anche perché le occasioni vedersi con amici e parenti saranno limitate, rendendo impossibile lo scambio dei tradizionali pacchetti. La spesa media pro capite sarà di 164 euro, in leggero calo rispetto ai 169 euro del 2019, ma l’aumento delle spese inferiori ai 300 euro (dal 91,6% al 94,2%) e la riduzione di quelle superiori ai 300 euro (-31%), di fatto, riducono il valore degli acquisti.

Tra chi farà i regali (il 74,2% dei consumatori), generi alimentari (68%) e giocattoli (51,2%), seppure in flessione rispetto allo scorso anno, si confermano come la tipologia più gettonata, ma a registrare la maggiore crescita rispetto al 2019 sono gli abbonamenti a piattaforme streaming (+10,5%) e i buoni regalo digitali (+7,2%). Pesante calo, invece, per l’acquisto di biglietti per spettacoli e concerti (-26%) e per i trattamenti di bellezza (-25%) a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia.  

A causa dell’incertezza conseguente al Covid perde inoltre appeal l’acquisto anticipato dei regali a fine novembre. A pensarci, sfruttando le occasioni offerte da Black Friday e Cyber Monday, è stato il 20% dei consumatori contro il 26% dell’anno scorso, mentre aumenta dal 51,3% al 61% la quota di chi preferisce aspettare la prima metà di dicembre. Soltanto il 17,3% della tredicesima sarà destinato ai regali, mentre la maggior parte (oltre il 67%) verrà utilizzata per spese per la casa, risparmio, tasse e bollette.

 “Sarà un Natale ‘gelido’ sul fronte dei consumi, con acquisti in discesa in tutti i settori. Il 28% degli italiani, il numero più elevato di sempre, non farà quest’anno alcun regalo per l’impossibilità ad incontrare amici e parenti o a causa delle difficoltà economiche attuali”, commenta il Codacons.

Secondo l’associazione dei consumatori, a ridursi sarà anche la spesa per gli addobbi della casa (-15%) e, per la prima volta, i consumi alimentari subiranno un tonfo (-10%, pari a circa -500 milioni di euro tra Natale e Capodanno) a causa delle limitazioni legate al Covid e del ridotto numero di persone nelle case durante pranzi e cenoni. La spesa degli italiani per il Natale passerà dai 386 euro a famiglia del 2019 ai circa 308 euro del 2020, con una contrazione media del 20%.

Ma a risentire della situazione attuale sarà anche la ristorazione: lo scorso anno 5,6 milioni di italiani optarono per il classico cenone della Vigilia al ristorante e 5 milioni circa per il pranzo del 25 dicembre. Quest’anno, sia per le restrizioni sul fronte dei cenoni, sia per la paura di contagi, la spesa per cene e pranzi fuori casa precipiterà del 65%, con una contrazione di circa 490 milioni di euro tra Natale e Capodanno. Drastico crollo anche per i viaggi di fine anno, eventi e spettacoli, con una spesa in picchiata del -85% sul 2019.


Natale di magra, la spesa per i regali scenderà del 18% a 7,3 miliardi

Il lockdown è costato alla Lombardia 35 miliardi. Uno studio

L’analisi dell’osservatorio Covid Analysis, con una elaborazione basata sul peso delle diverse attivita’ economiche usando come fonte l’Istat e rielaborando i dati in base alle proiezioni nei territori italiani sino al livello comunale, ha stimato le perdite economiche della fase uno: la Lombardia arriva a oltre 35 miliardi di mancato fatturato, di cui -16,291 miliardi dell’industria e – 19,430 per i servizi.

Il dato viene stimato anche incrociando il numero di imprese che hanno chiuso nel periodo dal 22 marzo al 27 aprile. Il risultato che emerge, ad esempio, per Brescia e provincia e’ un “conto” da 4,948 miliardi di mancato fatturato, di cui 3,327 nell’industria e 1,621 miliardi del mondo dei servizi. Secondo Covid Analysis nel comparto dell’industria si sono fermate 19445 imprese (8670 sono rimaste attive), per un totale di 136 mila addetti, mentre nei servizi lo stop ha riguardato 38.058 attivita’ produttive (42.034 hanno continuato a lavorare) e oltre 93 mila addetti. Brescia e’ seconda nell’impatto economico del lockdown: conseguenze piu’ critiche si sono avute a Milano (15,737 miliardi di mancato fatturato, di cui ben 11,7 nei servizi), poi seguono Monza (2,9 miliardi di euro), Varese (2,1 miliardi). A Bergamo e provincia si sono persi 3 miliardi e 615 milioni di euro. Como (1,4 miliardi), Mantova (1,2 miliardi), Lecco (1,2 miliardi), Cremona (973 milioni), Pavia (752 milioni), Sondrio (346 milioni) e Lodi (339 milioni) chiudono la classifica lombarda.

Agi

Le aziende italiane hanno già perso 18 miliardi di ricavi

Le aziende italiane sono ormai senza liquidità: il lockdown disposto per contenere i contagi ha portato a una caduta dei ricavi quantificabile in circa 18 miliardi di euro, di cui 11,5 miliardi a carico delle imprese del commercio, del turismo e della ristorazione. Per arginare questo shock è necessario agire sulla leva del credito, ma i meccanismi di agevolazione ai prestiti messi in campo dal Cura Italia non stanno funzionando. A lanciare l’allarme è Confesercenti.

L’emergenza sanitaria da coronavirus, si legge in una nota, è arrivata in una situazione già difficile: solo lo scorso anno, lo stock dei prestiti alle imprese è diminuito di circa 16 miliardi di euro. E il prosciugamento della liquidità causato dal lockdown è destinato a peggiorare: già adesso, su base annua, è plausibile attendersi una contrazione dei consumi delle famiglie di circa 30 miliardi di euro. 

Il problema del credito

“La sospensione delle attività è necessaria per vincere il contagio, e la salute pubblica rimane la priorità”, commenta la presidente di Confesercenti, Patrizia De Luise. “Occorre però sostenere le imprese con un’iniezione rilevante di liquidità, per permettere loro di far fronte all’azzeramento dei ricavi e agli obblighi nei confronti di fornitori e dipendenti. Purtroppo, nonostante il Cura Italia abbia messo a disposizione misure per favorire l’accesso ai prestiti, troppe imprese non riescono ad ottenere risposte positive dagli istituti di credito. E anche le banche disponibili si stanno scontrando con un eccesso di burocrazia che, di fatto, impedisce loro di utilizzare gli strumenti messi a disposizione con il decreto. Imprese ed autonomi sono allo stremo. Bisogna dare fiato alle imprese per aiutare anche chi lavora”, osserva ancora De Luise.

“Servono soluzioni concrete: chiediamo all’Abi un impegno per sbloccare la situazione. Al governo chiediamo invece di garantire l’attuazione delle misure adottate, ma anche di trovare ulteriori soluzioni per facilitare e velocizzare l’accesso alla liquidità delle imprese. A partire dalle garanzie: è urgente sbloccare subito la piena potenzialità del Fondo Centrale, superando i limiti imposti dal regolamento europeo ‘de minimis’ sugli aiuti di Stato. L’Unione europea si è già pronunciata favorevolmente sulla possibilità: l’esecutivo deve solo notificare la decisione. È un intervento necessario, altrimenti molte imprese saranno tagliate fuori dai benefici introdotti con il Cura Italia”, conclude la presidente di Confesercenti.

Agi

Da metà gennaio dazi per 3 miliardi su pasta, vino e olio italiani

Sono pronti a scattare nuovi dazi Usa su prodotti base della dieta mediterranea con la conclusione il 13 gennaio della procedura di consultazione avviata dal Dipartimento del Commercio (USTR) sulla nuova lista allargata dei prodotti europei da colpire che si allunga tra l’altro a vino, olio e pasta Made in Italy oltre ad alcuni tipi di biscotti e caffè esportati negli Stati Uniti per un valore complessivo di circa 3 miliardi.

È quanto emerge da una analisi della Coldiretti in occasione della scadenza del termine fissato dal Federal Register nell’ambito della disputa nel settore aereonautico che coinvolge l’americana Boeing e l’europea Airbus dopo che il Wto ha autorizzato gli Usa ad applicare un limite massimo di 7,5 miliardi di dollari delle sanzioni alla Ue.

Con la nuova black list Trump – sottolinea la Coldiretti – minaccia di aumentare i dazi fino al 100% in valore e di estenderli a prodotti simbolo del Made in Italy, a quasi tre mesi dall’entrata in vigore il 18 ottobre 2019 dei dazi aggiuntivi del 25% che hanno colpito per un valore di mezzo miliardo di euro prodotti italiani come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Asiago, Fontina, Provolone ma anche salami, mortadelle, crostacei, molluschi agrumi, succhi e liquori come amari e limoncello.

La nuova lista ora interessa i 2/3 del valore dell’export del Made in Italy agroalimentare in Usa che è risultato pari al 4,5 miliardi in crescita del 13% nei primi nove mesi del 2019, secondo l’analisi della Coldiretti. Il vino – precisa la Coldiretti – con un valore delle esportazioni di quasi 1,5 miliardi di euro in aumento del 5% nel 2019 è il prodotto agroalimentare italiano più venduto negli States mentre le esportazioni di olio di oliva sono state pari a 436 milioni anch’esse in aumento del 5% nel 2019 ma a rischio è anche la pasta con 305 milioni di valore delle esportazioni con un aumento record del 19% nel 2019 secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat relativi ai primi nove mesi dell’anno.

Gli Stati Uniti – continua la Coldiretti – sono il principale consumatore mondiale di vino e l’Italia è il loro primo fornitore con gli americani che apprezzano tra l’altro il prosecco, il pinot grigio, il lambrusco e il chianti che a differenza dei vini francesi erano scampati alla prima black list scattata ad ottobre 2019.

Se entrassero in vigore dazi del 100% ad valorem sul vino italiano una bottiglia di prosecco venduta in media oggi al dettaglio in Usa a 10 dollari ne verrebbe a costare 15, con una rilevante perdita di competitività rispetto alle produzioni non colpite. Allo stesso modo si era salvato anche l’olio di oliva Made in Italy anche perché – riferisce la Coldiretti – la proposta dei dazi aveva sollevato le critiche della North American Olive Oil Association (NAOOA) che aveva avviato l’iniziativa “Non tassate la nostra salute” per chiedere al Dipartimento Usa al commercio estero (USTR) di escludere l’olio d’oliva europeo dalla lista di prodotti colpiti.

Nella petizione si sottolinea che l’olio d’oliva è uno degli alimenti più salutari tanto che la stessa Food and Drug Administration statunitense (FDA) lo ha riconosciuto come un alimento benefico per la salute cardiovascolare, oltre che componente principale della dieta mediterranea che, se fosse seguita secondo studi scientifici, comporterebbe un risparmio di 20 miliardi dollari in trattamento per molti disturbi oltre alle malattie cardiache, tra cui cancro, diabete e demenza.

Ora però con la pubblicazione della nuova black list Trump sembra aver ignorato fino ad ora le sollecitazioni dall’interno e dall’esterno degli Usa e mette a rischio – denuncia la Coldiretti – il principale mercato di sbocco dei prodotti agroalimentari Made in Italy fuori dai confini comunitari e sul terzo a livello generale dopo Germania e Francia.

“Una eventualità devastante per il Made in Italy agroalimentare contro la quale la Coldiretti si è immediatamente attivata all’indomani dell’avvio della procedura lo scorso 12 dicembre con un serrato confronto a livello nazionale, comunitario ed internazionale per scongiurare una deriva dannosa per gli stessi consumatori americani per i quali sarebbe più caro garantirsi cibi di alta qualità importanti per la salute come dimostra con l’iscrizione della dieta mediterranea nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanita’ dell’Unesco il 16 novembre 2010” ha affermato Ettore Prandini il presidente della Coldiretti che in vista della missione della prossima settimana a Washington è in costante contatto con il Commissario UE al Commercio Phil Hogan per sensibilizzarlo sull’importanza della difesa di un settore strategico per l’UE che sta pagando un conto elevatissimo per dispute commerciali che nulla dovrebbero avere a che vedere con il comparto agricolo.

“L’Unione Europea ha appoggiato gli Stati Uniti per le sanzioni alla Russia che come ritorsione ha posto l’embargo totale su molti prodotti agroalimentari, come i formaggi, che e’ costato al Made in Italy oltre un miliardo in cinque anni ed e’ ora paradossale che l’Italia si ritrovi nel mirino proprio dello storico alleato, con pesanti ipoteche sul nostro export negli Usa” ha concluso Prandini nel sottolineare che “per l’Italia al danno si aggiunge la beffa poiché il nostro Paese si ritrova ad essere punito dai dazi Usa nonostante la disputa tra Boeing e Airbus, causa scatenante della guerra commerciale, sia essenzialmente un progetto franco-tedesco al quale si sono aggiunti Spagna ed Gran Bretagna”.

Agi

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Trump ha imposto nuovi dazi su 300 miliardi di merci cinesi 

Gli Stati Uniti si preparano a tassare praticamente tutte le importazioni cinesi sul proprio mercato. A sorpresa il presidente americano, Donald Trump, ha fatto cadere la scure: ha annunciato l’imposizione di nuovi dazi del 10% sulle importazioni di beni cinesi per un valore di 300 miliardi di dollari a partire dal primo settembre. E’ l’ultima salve di una battaglia crescente che dura da più di un anno tra le due maggiori economie mondiali. L’annuncio è stato una doccia fredda per mercati: a Wall Street gli indici azionari hanno subito virato in negativo ed il Dow Jones è precipitato di 300 punti, il prezzo del petrolio è crollato a New York e chiuso in calo del 7,9%.

Gli Usa già tassano al 25% circa 250 miliardi di beni cinesi, soprattutto materiali e componenti industriali. I nuovi dazi potrebbero colpire i consumatori statunitensi piu’ duramente, colpendo merci come IPhone e prodotti elettrici di largo consumo, giocattoli, scarpe da ginnastica.

Trump, che ha minacciato che i nuovi dazi potrebbero addirittura salire ulteriormente al 25%, ha accusato Pechino di non aver mantenuto due promesse: acquistare prodotti agricoli dagli Usa (la soia, soprattutto, che gli consente di mantenere il consenso elettorale tra gli agricoltori americani) e di non aver arginato l’esportazione del fentanyl, il potente oppiaceo che semina vittime negli Stati Uniti. La Cina “aveva accettato di acquistare prodotti agricoli dagli Stati Uniti in grande quantità, ma non lo ha fatto. Inoltre, il mio amico presidente Xi ha detto che avrebbe interrotto la vendita di fentanyl negli Stati Uniti. Questo non è mai accaduto e gli americani continuano a morire”.

Trump aggiunto comunque che le parti riprendereanno un “dialogo positivo”. L’annuncio è arrivato dopo che la ‘due giorni’ di colloqui a Shanghai tra le delegazioni cinese e americana, il primo faccia a faccia dopo la tregua siglata al G20. I colloqui si sono conclusi senza risultati concreti anche se Casa Bianca aveva parlato di incontri “costruttivi”. Non è chiaro che cosa abbia indotto Trump, che negli ultimi mesi e’ oscillato tra ottimismo e minacce di ulteriore escalation, a indurire la sua posizione: l’annuncio però è arrivato dopo che in mattinata il presidente aveva ricevuto il rapporto del segretario al Tesoro, Steven Mnuchin e del rappresentante commerciale, Robert Lighthizer, sui loro incontri a Shanghai.

Già a maggio Trump aveva scioccato i mercati aumentando le tariffe al 25% (dal 10%) su $ 200 miliardi di beni cinesi. La Cina aveva reagito con ritorsioni e le tensioni che ne erano derivate hanno anche influenzato la banca centrale americana, la Federal Reserve, che mercoledì ha tagliato i tassi di interesse per la prima volta in un decennio. I negoziati, che sono in un vicolo cieco da maggio, riprenderanno a settembre. 

Agi