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Meta in cerca di equilibrio: che cosa sta succedendo alla galassia Zuckerberg

AGI – Giugno 2021: Facebook entra nel trillion dollar club. Per la prima volta, la capitalizzazione della società supera i 1.000 miliardi di dollari, come solo Apple, Microsoft, Amazon e Alphabet erano riuscite a fare. Oggi la compagnia, che nel frattempo ha cambiato il nome in Meta, vale poco meno di 380 miliardi.

Dai massimi, toccati 13 mesi fa, ha perso più del 60%. Il valore attuale non si vedeva da novembre 2019, cioè dai tempi della tempesta Cambridge Analytica. Mark Zuckerberg, fondatore, ceo e azionista forte, è uscito dalla top 20 dei più ricchi del pianeta. Il suo patrimonio si aggira attorno ai 50 miliardi di dollari, dimezzato nel giro di un anno. Cosa sta succedendo? Nulla di nuovo. E forse è proprio questo il problema.

Fatturato in calo per la prima volta

La galassia Zuckerberg è sempre cresciuta. Sempre, fino al secondo trimestre 2022. Tra aprile e giugno, per la prima volta da quando è una società quotata, ha registrato un calo del fatturato anno su anno. Piccolo (-1%) e dovuto anche a cambi valutari sfavorevoli, ma tant’è.

Sia chiaro: Meta è ancora una macchina da soldi: nel secondo trimestre ha incassato 28,8 miliardi di dollari, con un margine operativo che – seppur calato in modo significativo – è al 29%, con un utile di 6,7 miliardi e una posizione che resta dominante in un mercato in crescita come quello della pubblicità online.

C’è però quel segno rosso, che peraltro potrebbe diventare più intenso. “Siamo entrati in una fase di flessione economica che avrà un grande impatto sul digital advertising”, ha affermato Zuckerberg a luglio, a margine della trimestrale. “È sempre difficile prevedere quanto profondo e lungo sarà questo ciclo, ma direi che la situazione sembra peggiorare”.

La società ha stimato infatti di incassare nel terzo trimestre (i cui risultati saranno diffusi il 26 ottobre) tra i 26 e i 28,5 miliardi di dollari. Visto che tra luglio e settembre 2021 Facebook (non ancora Meta) aveva generato 29 miliardi di dollari, sarà un altro periodo in calo, il secondo consecutivo. Nel migliore degli scenari, il fatturato potrebbe perdere meno del 2%; nel peggiore, più del 10%.

Altro segnale negativo: per la prima volta dalla sua fondazione, il gruppo intende ridurre la propria forza lavoro, congelando le assunzioni e ridimensionando alcuni team. Un’inversione di marcia repentina, visto che i dipendenti al 30 giugno erano 83.553, un terzo in più rispetto a un anno prima.

Pubblicità e privacy

I problemi e il calo in borsa erano già iniziati negli ultimi mesi dello scorso anno. Tra pandemia, post-emergenza, stagnazione e instabilità geopolitica, la pubblicità ha frenato. E Meta, come la maggior parte delle società che di pubblicità campano, ne ha risentito. 

Ma non c’è solo questo. Un duro colpo è arrivato da App Tracking Transparency, l’aggiornamento di iOS (il sistema operativo di Apple) che limita le capacità di produrre pubblicità personalizzate. Non è una misura che riguarda solo Facebook, ma è fisiologico che abbia un impatto maggiore sul leader di mercato. Come ammesso da Meta lo scorso febbraio, l’aggiornamento di Apple potrebbe costare 10 miliardi di dollari solo nel 2022.

La concorrenza “inedita”

E poi c’è la concorrenza. C’è sempre stata, è vero. Ma in passato lo strapotere di Facebook era tale da permettere a Zuckerberg di mettere in campo una strategia semplice: compra o distruggi. Ogni volta che un possibile concorrente si è affacciato sul mercato, Facebook lo ha comprato prima che diventasse una minaccia reale: è successo con Instagram e WhatsApp. Quando non ci è riuscito, ha copiato alcune funzionalità, come i contenuti temporanei: da quando le Storie sono arrivate su Facebook e Instagram, Snapchat – il social che le ha inventate e che Zuckerberg aveva provato ad acquisire quando era in fasce – è in crisi.

Adesso però c’è TikTok. Cresce a ritmi più rapidi, raggiunge una platea più giovane e registra tempi di permanenza molto più lunghi rispetto a Instagram e Facebook. In altre parole: ha tutto quello che molti inserzionisti cercano. E, pur essendo lontano dalla platea della galassia Zuckerberg (3,6 miliardi di persone), ha ormai raggiunto dimensioni globali.

A febbraio, il ceo di Meta aveva spiegato che alla base del rallentamento previsto nel 2022 ci fossero due fattori. “Il primo è la concorrenza. Le persone hanno molte opzioni su come spendere il loro tempo e app come TikTok stanno crescendo molto rapidamente”.

Il secondo è la “transizione verso i video brevi”, che stanno sostituendo formati “più remunerativi”. In altre parole: i Reel, i contenuti in stile TikTok che Meta ha importato, fanno guadagnare meno ma sono una strada obbligata.

Facebook, per una volta, insegue perché non può né comprare né distruggere. Lo ha ammesso anche il cfo del gruppo, David Wehner: si tratta di una concorrenza “inedita”, perché il social cinese è “chiaramente davanti” nella capacità di gestire e valorizzare i video brevi.

Un bilancio, un settore: la paura fa 97

Le restrizioni di Apple, la concorrenza di TokTok, gli umori degli inserzionisti, il pessimismo dei mercati stanno generando la tempesta perfetta. Ma non si tratta di contingenze. Questi fattori stanno rallentando Meta a causa di uno squilibrio strutturale: il gruppo dipende da un solo mercato, quello della pubblicità. È da lì che arriva il 97% del fatturato.

Nessun’altra compagnia nel club dei mille miliardi ha uno squilibrio così evidente. Apple ha un’offerta ampia di hardware e sta crescendo nei servizi; Amazon non è solo e-commerce ma anche cloud; Alphabet ammortizza il calo pubblicitario con Android e nuvola informativa; Microsoft spazia dai software per aziende ai videogiochi. I “venti avversi” (come li ha definiti la compagnia) ci sono, ma le raffiche fanno vacillare chi ha un solo punto d’appoggio.  

Il problema è che la dipendenza non accenna ad allentarsi: nel secondo trimestre 2015, il fatturato era molto minore (4 miliardi di dollari), ma la quota derivante dalla pubblicità molto simile: 95,6%. In sette anni sono successe tante cose, a Facebook, al digitale e al web. Ma Zuckerberg non è ancora riuscito a trovare una fonte di ricavi che alleggerisca il peso del digital advertising e, di conseguenza, ammortizzi potenziali rischi. 

Ci ha provato. Ha acquisito Oculus per puntare sulla realtà aumentata e mettere un piede nel mercato dell’hardware. Ha lanciato il primo dispositivo marchiato Facebook, Portal. Ha sondato il mondo delle valute digitali con Libra. Il progetto di costruire droni per portare connettività nel mondo è naufragato. Ma la ricerca continua. 

La scommessa Meta(verso)

La caccia all’equilibrio – ha spiegato Zuckerberg a luglio – si concentra su due “onde da cavalcare”: “l’intelligenza artificiale e, più a lungo termine, il metaverso”. Reality Labs, l’hub che include visori, soluzioni per la realtà virtuale e aumentata (metaverso compreso) è al momento – oltre alla pubblicità – l’unica voce di bilancio degna di nota.

Il settore promette, ma non è certo ricco nel breve periodo: nei primi sei mesi del 2022, Reality Labs ha incassato 1,1 miliardi di dollari, ma con una perdita operativa di 5,7 miliardi, che si aggiungono ai 10,2 miliardi evaporati nel 2021.

“La nostra speranza è che entro il prossimo decennio il metaverso raggiunga un miliardo di persone, ospiti centinaia di miliardi di dollari di commercio digitale e sostenga posti di lavoro per milioni di creatori e sviluppatori”, scriveva Zuckerberg un anno fa. Avrà ragione? Si vedrà. Al momento è certa solo una cosa: il metaverso è la sua più grande scommessa.

Non è un caso, quindi, che uno dei momenti più complicati (il più complicato?) nella storia di Facebook coincida con il cambio di denominazione in Meta. Oltre a sganciare la società da quel social network popoloso ma non più così popolare, Zuckerberg ha trasformato il nome del gruppo in una promessa di sostenibilità.


Meta in cerca di equilibrio: che cosa sta succedendo alla galassia Zuckerberg

Si allunga la lista dei marchi che “tolgono l’amicizia” a Zuckerberg

Continua ad allungarsi la lista di compagnie che, sull’onda della mobilitazione di Black Lives Matter (e in vista delle elezioni presidenziali), stanno ritirando le loro campagne pubblicitarie da Facebook e dalla sua controllata Instagram, accusando la compagnia di non fare abbastanza per contrastare l’odio online. A un elenco dove figurano pesi massimi come Unilever e Honda, si sono appena aggiunte Adidas e Rebook, scrive Cnbc. Hewlett-Packard, in un comunicato, ha poi fatto sapere che sospenderà la pubblicità su Facebook ed è in procinto di “rivedere” la propria strategia sui social media. Reuters riporta infine che Ford è in procinto di fermare gli spot per tutto luglio. 

La notizia più clamorosa riguarda però Microsoft, che ha sospeso la sua pubblicità su Facebook e Instagram negli Stati Uniti a maggio e recentemente ha esteso il provvedimento a livello globale. È quanto scrive in esclusiva Axios che cita una chat interna del gruppo. Tuttavia, a differenza dei molti inserzionisti che hanno recentemente aderito alla campagna di boicottaggio di Facebook, Microsoft è preoccupata per dove vengono mostrati i suoi annunci, non per le politiche di Facebook. Il risultato – scrive Axios – è comunque che un altro grande inserzionista in questo momento non sta rimpinguando le casse della piattaforma social.

Agi