Tag Archive: Trump

Il discorso di Powell delude Trump e i mercati

Nessuna svolta epocale, nessuna indicazione chiara sul futuro del tassi Usa, molta prudenza: il discorso del presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, al simposio di Jackson Hole ha finito ancora una volta per deludere Casa Bianca e mercati. L’istituto centrale statunitense, si è limitato a dire il numero uno della Fed, agirà “in modo appropriato” per sostenere il mantenimento dell’espansione economica del Paese.

Troppo poco per analisti e investitori e, soprattutto, per Donald Trump, irritato anche dai ripetuti rimandi alla guerra commerciale come causa principale del rallentamento economico globale. “Ho solo una domanda: chi è il nostro piu’ grande nemico, Jay Powell o il presidente Xi?”, ha twittato il tycoon che ha accusato la Fed di “non fare niente, come al solito”.

Anche Wall Street ha bocciato l’intervento del numero uno della Riserva federale, che ha peraltro inserito “la dissoluzione del governo italiano” tra i più recenti fattori di rischio geopolitico assieme agli scontri a Hong Kong e la possibilità di una ‘Hard Brexit‘. Dopo un’iniziale reazione positiva, tra gli investitori ha prevalso la delusione per un discorso che nulla ha chiarito sulla prossime scelte dell’istituto centrale a stelle e strisce e nulla ha aggiunto sulla possibilità di ulteriori tagli al costo del denaro e l’introduzione di nuovi stimoli economici. La recrudescenza della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina ha fatto il resto e il Dow Jones è arrivato a perdere oltre il 2%.

Il discorso di Powell è parso soprattutto non voler concedere niente alle pressioni di Trump che, a più riprese, ha chiesto un atteggiamento più coraggioso, arrivando a invocare un taglio di almeno 100 punti base dei tassi sui Fed Funds. E la secca sottolineatura dei rischi legati alle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina è apparsa quasi una critica diretta all’approccio scelto da Trump con Pechino.

Powell non ha mancato neanche di rilevare che “le prospettive per l’economia statunitensi dall’inizio dell’anno continuano a mantenersi favorevoli”. La sfida, ed è il massimo che ha concesso a chi si attendeva una chiara indicazione in direzione dell’allentamento, “è fare tutto ciò che la politica monetaria può fare per sostenere l’espansione in modo che i benefici di un forte mercato del lavoro si estendano maggiormente a quanti sono rimasti indietro e che l’inflazione si attesti stabilmente attorno al 2%”. Piatto troppo magro per saziare l’attesa degli investitori. 

Agi

Trump ha imposto nuovi dazi su 300 miliardi di merci cinesi 

Gli Stati Uniti si preparano a tassare praticamente tutte le importazioni cinesi sul proprio mercato. A sorpresa il presidente americano, Donald Trump, ha fatto cadere la scure: ha annunciato l’imposizione di nuovi dazi del 10% sulle importazioni di beni cinesi per un valore di 300 miliardi di dollari a partire dal primo settembre. E’ l’ultima salve di una battaglia crescente che dura da più di un anno tra le due maggiori economie mondiali. L’annuncio è stato una doccia fredda per mercati: a Wall Street gli indici azionari hanno subito virato in negativo ed il Dow Jones è precipitato di 300 punti, il prezzo del petrolio è crollato a New York e chiuso in calo del 7,9%.

Gli Usa già tassano al 25% circa 250 miliardi di beni cinesi, soprattutto materiali e componenti industriali. I nuovi dazi potrebbero colpire i consumatori statunitensi piu’ duramente, colpendo merci come IPhone e prodotti elettrici di largo consumo, giocattoli, scarpe da ginnastica.

Trump, che ha minacciato che i nuovi dazi potrebbero addirittura salire ulteriormente al 25%, ha accusato Pechino di non aver mantenuto due promesse: acquistare prodotti agricoli dagli Usa (la soia, soprattutto, che gli consente di mantenere il consenso elettorale tra gli agricoltori americani) e di non aver arginato l’esportazione del fentanyl, il potente oppiaceo che semina vittime negli Stati Uniti. La Cina “aveva accettato di acquistare prodotti agricoli dagli Stati Uniti in grande quantità, ma non lo ha fatto. Inoltre, il mio amico presidente Xi ha detto che avrebbe interrotto la vendita di fentanyl negli Stati Uniti. Questo non è mai accaduto e gli americani continuano a morire”.

Trump aggiunto comunque che le parti riprendereanno un “dialogo positivo”. L’annuncio è arrivato dopo che la ‘due giorni’ di colloqui a Shanghai tra le delegazioni cinese e americana, il primo faccia a faccia dopo la tregua siglata al G20. I colloqui si sono conclusi senza risultati concreti anche se Casa Bianca aveva parlato di incontri “costruttivi”. Non è chiaro che cosa abbia indotto Trump, che negli ultimi mesi e’ oscillato tra ottimismo e minacce di ulteriore escalation, a indurire la sua posizione: l’annuncio però è arrivato dopo che in mattinata il presidente aveva ricevuto il rapporto del segretario al Tesoro, Steven Mnuchin e del rappresentante commerciale, Robert Lighthizer, sui loro incontri a Shanghai.

Già a maggio Trump aveva scioccato i mercati aumentando le tariffe al 25% (dal 10%) su $ 200 miliardi di beni cinesi. La Cina aveva reagito con ritorsioni e le tensioni che ne erano derivate hanno anche influenzato la banca centrale americana, la Federal Reserve, che mercoledì ha tagliato i tassi di interesse per la prima volta in un decennio. I negoziati, che sono in un vicolo cieco da maggio, riprenderanno a settembre. 

Agi

Apple, Google e Macron. I nuovi bersagli di Trump

Si alza il pressing di Trump sui colossi digitali americani, al centro del contendere ci sono le relazioni con la Cina. Ma il presidente statunitense se la prende anche con Macron per la digital tax e minaccia dazi sui vini francesi.

“Non daremo ad Apple nessuna esenzione dai dazi per i componenti del Mac Pro prodotti in Cina”, ha twittato nel pomeriggio di ieri l’inquilino della Casa Bianca invitando la società di Cupertino a produrre negli Usa in modo da “non avere dazi”.

Apple will not be given Tariff waiver, or relief, for Mac Pro parts that are made in China. Make them in the USA, no Tariffs!

— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) July 26, 2019

Il no di Trump arriva in risposta alla decisione di Apple di spostare la linea di produzione del nuovo Mac Pro dal Texas alla Cina. La società aveva precedentemente spiegato che diversi componenti non potevano essere prodotti negli States.

Anche Mountain View finisce nel mirino dell’inquilino della Casa Bianca sempre per i suoi rapporti con Pechino. “Potrebbero esserci o no timori di sicurezza nazionale per quanto riguarda Google i suoi rapporti con la Cina. Se c’è un problema lo scopriremo, mi auguro sinceramente che non ci sia”, scrive sul suo profilo social. I tweet dell’inquilino della Casa Bianca arrivano nel giorno della trimestrale del colosso, senza però creare conseguenze. Anzi, con i risultati oltre le attese, il titolo a Wall Street ha registrato la sua migliore seduta dal 2015 con un balzo fino all’11%.

There may or may not be National Security concerns with regard to Google and their relationship with China. If there is a problem, we will find out about it. I sincerely hope there is not!!!

— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) July 26, 2019

Ma il presidente Usa se la prende anche con Macron e accusa il suo omologo francese di aver imposto una digital tax sulle grandi aziende tecnologiche americane, minacciando sostanziali ritorsioni e lasciando intendere che potrebbero colpire i vini francesi. “Se qualcuno deve tassarle, dovrebbe essere il loro Paese d’origine, gli Stati Uniti. Annunceremo a breve una sostanziale azione reciproca contro la stupidità di Macron. L’ho sempre detto che i vini americani sono meglio dei francesi”, aggiunge.

France just put a digital tax on our great American technology companies. If anybody taxes them, it should be their home Country, the USA. We will announce a substantial reciprocal action on Macron’s foolishness shortly. I’ve always said American wine is better than French wine!

— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) July 26, 2019

La Francia l’11 luglio ha approvato una digital tax che prevede un tributo del 3% sulle aziende digitali con un fatturato globale di oltre 750 milioni di euro e uno di 25 milioni generato in Francia. L’imposta colpirà circa 30 colossi tecnologici tra cui gli statunitensi Alphabet, Apple, Amazon e Facebook. Arriva puntuale la risposta da Parigi che risponde alle minacce di rappresaglia del presidente Usa attraverso le parole del ministro francese delle Finanze, Bruno Le Maire.

La Francia “attuerà le sue decisioni nazionali” sulla tassazione digitale, in applicazione di un accordo internazionale. “La tassazione universale delle attività digitali – spiega – è una sfida che riguarda tutti noi. Speriamo di raggiungere un accordo su questo argomento nel quadro del G7 e dell’OCSE. Nel frattempo, la Francia attuera’ le sue decisioni nazionali”. 

Agi

Dazi, Trump: allo studio nuove tariffe su auto straniere

Il presidente americano, Donald Trump, torna a minacciare di imporre nuove tariffe sulle auto prodotte all'estero, anche in risposta al piano della General Motors di chiudere cinque fabbriche e licenziare 15 mila lavoratori. In due tweet, il capo della Casa Bianca ha spiegato che è in corso la valutazione di estendere le tariffe in vigore sulle importazioni di piccoli mezzi commerciali aiuterebbe il settore. "Il motivo per cui il settore dei furgoni negli Usa è così florido è perché, per molti anni, ci sono state tariffe del 25% su quelli che entravano nel nostro Paese" ha twittato.

"Se facessimo lo stesso con le auto, molte più auto verrebbero costruite qui e la G.M. non chiuderebbe le sue fabbriche in Ohio, Michigan e Maryland", ha aggiunto invitando il Congresso "a farsi furbo". "I Paesi che esportano le loro auto qui hanno approfittato degli Usa per decenni. Il presidente ha grande potere sulla questione e ora è allo studio", ha quindi annunciato.

Agi News

Perché Trump ha deciso di rompere la tregua commerciale con la Cina

Donald Trump ha fatto saltare la tregua commerciale con la Cina proprio mentre chiede a Pechino un appoggio nei delicati negoziati nucleari con la Corea del Nord. La Casa Bianca annuncia che procederà sulla strada dei dazi, rinnovando l’intenzione di imporre tariffe del 25% sull’importazione di beni tecnologici cinesi per un valore di 50 miliardi di dollari. Non solo: imporrà limiti agli investimenti cinesi e all’acquisto di tecnologia.

Immediata ma composta la risposta del Ministero del Commercio di Pechino, che definisce la nuova presa di posizione del presidente americano “contraria al consenso raggiunto tra le due parti a Washington”.  Appena una settimana fa sembrava che fosse stata scongiurata la guerra commerciale tra le due principali economie del pianeta, quando il vice premier Liu He era volato a Washington per il secondo round di colloqui sul commercio; i due Paesi avevano raggiunto un accordo che prevedeva l’aumento delle importazioni Usa da parte di Pechino per ridurre il surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti (375 miliardi di dollari).

Trump, perso l’iniziale ottimismo, aveva detto di non essere contento: la tregua, per lui, era solo “all’inizio”. In quel momento era apparso chiaro come il negoziato per evitare la 'trade war' fosse entrato in una nuova fase delicata, sovrapponendosi a quello nucleare con la Corea del Nord.

Perché Trump ci ripensa

Secondo quanto scrive La Stampa, gli americani hanno raggiunto la pax commerciale per due motivi: primo, ottenere dal presidente cinese Xi Jinping un aiuto per convincere Kim Jong-un a procedere con il disarmo nucleare (lo avevamo scritto qui); secondo, la vittoria del ministro del Tesoro Steven Mnuchin  – convinto sostenitore della tregua – nella sfida interna che lo vedeva contrapposto al segretario al Commercio degli Stati Uniti, Wilbur Ross, e al consigliere Lighthizer.

Il dietrofront di Trump arriva proprio a pochi giorni dalla missione asiatica di Ross, atteso a Pechino il 2 giugno per il nuovo round di colloqui sul commercio. La Cina, ha ribadito la portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying, “non vuole una guerra ma non ha paura di combatterla”. Ma resta aperta al proseguimento dei negoziati.

L’annuncio delle nuove sanzioni da parte dell’imprevedibile presidente americano potrebbe essere volto a fare concessioni più concreti in vista della ripresa delle trattative. Una “mossa tattica”, secondo Lester Rosso, a capo dell’ufficio politico della Camera di Commercio americana in Cina.

La stampa cinese

Durissimi gli attacchi della stampa cinese. Il Global Times, uno dei giornali più intransigenti, descrive la mossa avventata degli Stati Uniti come frutta di una “delusione” e avverte che Washington potrebbe ritrovarsi a “ballare da sola”. Il China Daily torna a definire "prive di fondamento” le ripetute accuse rivolte a Pechino di forzare le aziende statunitensi che operano in Cina a trasferire la tecnologia. 

L'ombra di Kim

Non è escluso che dietro al passo indietro si celi l’ombra di Kim. Trump sospetta che Xi abbia convinto il leader nord-coreano a mettere in discussione il vertice di Singapore per ottenere maggiori concessioni sui delicati negoziati commerciali.  Dopo un tesissimo tira e molla, il summit ha ripreso quota. Usa e Corea del Nord hanno stabilito un contatto diretto: nelle ore scorse è volato a New York un emissario del dittatore, Kim Chang-son. Trump potrebbe dunque aver deciso di riaprire il fuoco con Pechino.

Nel mirino anche gli studenti cinesi

La rappresaglia si estende anche ai cittadini cinesi. Gli Usa si apprestano a imporre limiti su alcuni visti rilasciati in particolare a studenti di scienza e tecnologia  – 600 mila all’anno – per gli studi in settori che rientrano nel Made in China 2025. Del resto il piano industriale che punta sui big data è il vero bersaglio di Trump.  Gli studenti cinesi, scrive il South China Morning Post, non sono preoccupati dalle misure che saranno applicate dal prossimo 11 giugno. 

I dazi colpiranno tecnologia e strumenti per la medicina

La lista dei prodotti a cui saranno applicati dazi, secondo quanto riportato dalla Casa Bianca, sarà compilata in base all’elenco di prodotti tecnologici passibili di dazi resa nota ad aprile scorso, e verrà divulgata il 15 giugno prossimo, mentre le restrizioni agli investimenti e i controlli sulle importazioni verranno resi noti il 30 giugno prossimo. La decisione, spiega il comunicato emesso dalla Casa Bianca, è stata presa in base alla sezione 301 dello Us Trade Act del 1974, utilizzata per le indagini dello Us Trade Representative, Robert Lighthizer, su possibili violazioni della proprietà intellettuale. La mossa rientra nei passi messi in atto dagli Usa per “proteggere la tecnologia interna e la proprietà intellettuale da certe pratiche commerciali pesanti e discriminatorie della Cina”, conclude il comunicato.  

Zte e Qualcomm

La lezione di Zte, finita nel mirino di Washington (potrà tornare a fare business negli Stati Uniti a patto che paghi una multa di 1,3 miliardi di dollari e modifichi il management, mentre aumenta l’avversità dei senatori repubblicani) insegna alla Cina che deve affrettarsi a rendersi indipendente sul versante dello sviluppo tecnologico.  Uno dei settori nei quali gli americani temono di perdere l’egemonia è proprio l’intelligenza artificiale. Nel nuovo braccio di ferro tra Washington e Pechino rischia di restare stritolato anche il colosso dei processori Qualcomm, la cui proposta di acquisto dell’aziende cinese di semiconduttori NXP è in attesa dell’approvazione dell’antitrust cinese.

Agi News

Usa: la Camera approva la riforma fiscale di Trump

Con uno scarto di soli 22 voti, 227 a favore e 205 contrari, la Camera ha approvato la sua versione della riforma fiscale voluta dal presidente Usa Donald Trump. Il testo passa ora all'esame del Senato dove le cose sono più complicate perché la Camera alta sta lavorando ad una sua versione del testo ed anche perché alcuni senatori dello stesso Grand Old Party (Gop) non concordano con il principio. 
Il testo passato alla Camera prevede in sintesi un taglio delle tasse entro la fine dell'anno per 1.500 miliardi di dollari. Tagli che secondo i critici aiuteranno principalmente i piu' ricchi

Agi News

Perché i dazi di Trump contro il Canada fanno arrabbiare Theresa May

Theresa May sperava che la Brexit​ avrebbe rafforzato la relazione privilegiata del Regno Unito con lo storico alleato statunitense. 'Britain First' il motto dell'Albione che divorzia da Bruxelles. 'America First', quello del nuovo presidente degli Stati Uniti. Quando si parla di protezionismo, però, dalla comunione di intenti non risulta un'accresciuta sintonia, tutt'altro. Anzi, a Londra e a Washington spirano già venti di guerra commerciale.

Il casus belli è una sentenza del dipartimento di Giustizia che dà ragione al campione nazionale Boeing in una disputa contro la canadese Bombardier, accusata di concorrenza sleale, in quanto venderebbe sotto costo i propri aeromobili sul mercato Usa grazie ai ricchi sussidi incassati in patria. Gli Usa hanno annunciato quindi l'imposizione di dazi doganali del 220% per ogni velivolo di linea Bombardier C Series esportato in Usa. Una decisione che avrebbe un impatto assai pesante sul fatturato di Bombardier e metterebbe quindi a rischio ben 4 mila posti di lavori in Irlanda del Nord, dove il costruttore nordamericano ha un importante polo manifatturiero. May, solitamente riluttante nel criticare Trump, si è detta "amaramente delusa" e ha promesso di lavorare con la compagnia per salvaguardare gli operai, mille dei quali sono impegnati proprio nella costruzione dei C Series, in un impianto di Belfast.

"In serio pericolo" i contratti inglesi di Boeing

Il ruolo del poliziotto cattivo è invece toccato al ministro della Difesa, Michael Fallon, il quale ha avvertito che, se Washington confermerà le misure, Boeing potrà sognarsi i suoi ricchi contratti con l'aeronautica militare britannica (che comprendono, tra le altre, una fornitura di elicotteri Apache e una commessa per nuovi aerei da pattuglia da fornire in dotazione alla guardia costiera). "Questo non è il genere di comportamento che ci aspettiamo da un partner di lungo periodo", ha tuonato Fallon, "questo non è il comportamento che ci aspettiamo da Boeing e potrebbe mettere in serio pericolo i nostri futuri rapporti con Boeing". La minaccia di rappresaglie analoghe è stata sollevata dal governo canadese.

Per May si tratta inoltre di un notevole danno alla propria credibilità politica, già danneggiata dalla confusa trattativa con Bruxelles sulla Brexit e dall'accordo commerciale sfumato con il Giappone. La premier un mese fa si era infatti impegnata in prima persona per chiedere a Trump di bloccare la pratica contro Bombardier al dipartimento di Giustizia. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. È il protezionismo, bellezza.

Agi News

Trump lo vuole disdire ma Cop21 ci ha già cambiato la vita

Nessuno potrà dire "non mi riguarda". Una decisione degli Usa sulla partecipazione al Cop 21 avrà riflessi fino nel più remoto villaggio africano. L'annuncio di Trump su Cop21 è atteso per le 15 ora americana, l'intesa di Parigi di fine 2015 è già in vigore nei Paesi europei e ha già inciso su importanti scelte economiche. La Cina sta creando 13 milioni di posti di lavoro nel settore delle energie rinnovabili. Le grandi aziende energetiche hanno preparato e sviluppato piani di ricerca e sviluppo in questa direzione. La Green Economy è già una realtà tangibile anche per molte famiglie, a cominciare da quelle che hanno adeguato le proprie abitazioni.

L'esperto: un no cambierebbe lo scenario politico

  • L’Accordo di Parigi (o Cop21), oltre a spostare il monitoraggio sulle emissioni di gas serra al 2020, "creava la premessa del Club del 55%: ovvero i Paesi, ricchi, che emettono il 55% dei gas serra prodotti sul pianeta, diventano donatori di 180 miliardi di dollari da destinare ai Paesi più poveri perché aggiornino le proprie industrie e riducano le emissioni. Gli Usa da soli – spiega il professor Carlo Bollino – producono qualcosa come il 20% delle emissioni. Più o meno altrettante ne produce la Cina. Senza gli Stati Uniti nell'accordo cambia completamente la prospettiva del Club del 55%. Per rimpiazzare una nazione che da sola ‘vale’ il 20%, devo trovare altri 20 Paesi che producono l’1% a testa. Si ridisegna la mappa e si sposta la leadership politica, con la Cina che diventa il membro più importante del Club”.
  • La componente costi

Un altro effetto, è l’aumento dei costi marginali. “Se si sfilano gli Usa, viene a mancare una componente importante sul piano tecnologico. In questo caso, non è che aumentino del 20% i costi sostenuti dagli altri Paesi: l’incremento si aggirerebbe sul 35%. Perché diventano necessari maggiori investimenti in tecnologia”.

  • Alla ricerca di un vantaggio

Il terzo aspetto è quello che probabilmente costituisce il ‘movente’ di Trump: “Se non deve più preoccuparsi di contenere le emissioni, l’industria Usa  ha costi di produzione ridotti. Insomma, un tentativo di ridare competitività nell’ottica di “America First”, in casa mia comando io e mi faccio le mie regole”.

  •  Il 'rischio emulazione'

C’è infine l’aspetto politico: “Se non ci credono gli Usa, può darsi che qualcun altro si sfili. Se le rinnovabili diventano meno interessanti, anche altri Paesi possono decidere di lasciare”.

Effetti sull’Italia

Non sono facilmente quantificabili nell’immediato. Il nostro Paese ha ratificato l'accordo: lo ha firmato nell'aprile 2016 all'Onu. In ottobre Camera e Senato hanno approvato la legge di ratifica e l'11 dicembre 2016 è entrato definitivamente in vigore.

I riflessi sull'economia

L'applicazione dell'accordo Cop21 del 2015 ha comportato il rinnovo degli sconti fiscali (65%) sugli interventi di ristrutturazione edilizia per l'efficienza energetica. Quindi, gli effetti concreti e positivi sulla economia reale sono stati, in estrema sintesi:

  • Riqualificazione del patrimonio edilizio
  • Diffusione del fotovoltaico per le abitazioni
  • Sviluppo delle fonti alternative
  • Ricerca, occupazione e indotto nel settore delle rinnovabili
  • Ecobonus, sconto fiscale pari al 65% dei costi delle ristrutturazioni per la riqualificazione energetica delle abitazioni private
  • Sconto fiscale del 65% per l'installazione di pannelli fotovoltaici
  • Sviluppo dell'alta velocità ferroviaria
  • Sviluppo della mobilità metropolitana su ferro
  • Fondi statali per l'efficienza energetica degli edifici scolastici
  • Fondi statali per aggiornare gli edifici pubblici
  • Attivazione di un protocollo di ricerca sulla produzione di biocarburanti per aerei

Il governo, Renzi prima e Gentiloni poi, riserva un allegato del Def all'applicazione dell'accordo e il ministero dell'Ambiente prepara ogni anno una relazione al Parlamento.

Leggi anche:

Una scheda sintetica sulla Stampa di Torino.

Le sette ipotesi dal Corriere della Sera.

Gli scenari tratteggiati da Repubblica.

Agi News

Italia-Vietnam-Usa, così Vespa Piaggio supererà i dazi di Trump

Trump impone dazi sull'importanzione negli Usa della Vespa e la Piaggio studia le contromosse. Intervistato dal Corriere della Sera, il numero uno della società italiana produttrice del mitico scooter, Roberto Colaninno, commenta la decisione dell'amministrazione Usa: "Le guerre commerciali e valutarie non fanno bene a nessuno", dice il 73enne imprenditore che poi, commenta la minaccia Usa di imporre forti dazi su diversi prodotti di punta europei, fra cui la Vespa.

"Non possiamo fare la guerra all'America", dice Colaninno al Corriere della Sera. "Comunque non sono sicuro che saremo toccati. Piaggio produce le Vespe anche in Vietnam. E non è ancora chiaro se questi nuovi dazi colpiranno il marchio e i codici che identificano i prodotti o il Paese che li produce. Perche' se fosse una misura contro il Paese, noi potremmo aggirarla facilmente vendendo in America le Vespe prodotte in Vietnam".

Impatto dazi Usa su 2% del fatturato di Piaggio

L'eventuale introduzione da parte degli Usa di dazi punitivi nei confronti dell'Ue avrebbe conseguenze limitate per la Piaggio. Fonti dell'azienda di Pontedera spiegano all'Agi che l'impatto sarebbe contenuto ad appena il 2% del fatturato complessivo. La Piaggio nell'intero continente americano esporta in tutto circa 14.000 veicoli, pari al 5% del fatturato: se si escludono i veicoli esportati in Sud America e le moto di grande cilindrata, che non rientrano nell'ipotizzato provvedimento restrittivo di Trump, il numero si riduce a circa 5.000 che rappresenta appunto il 2% del fatturato. 
Gli scooter Piaggio maggiormente esportati negli Stati Uniti sono:

  • La Vespa
  • L'Mp3

La società in America ha due sedi, una a New York e l'altra a Pasadena, e non possiede una rete commerciale propria. Per la vendita dei suoi mezzi si affida a dealer e importatori locali. 


GALLERIA: dalla Vespa alla San Pellegrino, tutti i marchi nel mirino di Trump


Farinetti: questa battaglia ci farà male ma sulla carne ha ragione Trump

Intervistato da Repubblica, il patron di Eataly, Oscar Farinetti, commenta con enfasi la decisione di Trump: "La guerra dei dazi farebbe più vittime di una terza guerra mondiale. Per l'Italia sarebbe un disastro". L'azienda di Farinetti realizza più della metà del suo fatturato nei negozi Usa. Secondo Farinetti sulla questione della carne "duole dirlo, ma ha ragione Trump, è l'Europa che è in difetto perché tempo fa si era impegnata con un accordo commerciale a importare 45mila tonnellate di carne americana". Il problema, che sottolinea Farinetti, è che gli Usa si erano impegnati"a priodurre carne senza ormoni in fattorie dedicate", poi però, "quella carne non è stata acquistata dall'Europa". Una ritorsione, in partica, per un indotto insignificante, aggiunge Farinetti, "lo 0,6% del consumo europeo". Per uscire dall'impasse, a giudizio del patron di Eataly, "sarebbe necessario che i diplomatici italiani del ministero degli esteri chiedessero a Bruxelles di rispettare gli impegni presi. Nell'interesse del nostro Paese", aggiunge, perché la questione interessa poco ai Paesi del Nord Europa".


Per approfondire:

 

Agi News

Bill Gates è sempre il più ricco, Trump perde 220 posizioni

Bill Gates si conferma anche nel 2017 l'uomo più ricco del mondo, mantenendo il primato per il quarto anno consecutivo. La tradizionale classifica stilata da Forbes attribuisce al cofondatore di Microsoft un patrimonio pari a 86 miliardi di dollari, con il quale sopravanza il finanziere Warren Buffet a 76,5 miliardi e il fondatore di Amazon Jeff Bezos a 72,8 miliardi. Subito sotto il podio figurano il fondatore di Zara Amancio Ortega con 71,3 miliardi e quello di Facebook Mark Zuckerberg con 56 miliardi. Nella top ten mondiale entrano anche il magnate delle tlc messicano Carlos Slim con 54,5 miliardi, il fondatore di Oracle Larry Ellison con 56,4 miliardi, l'ad di Koch Industries Charle Koch con 48,3 miliardi, il fratello David Koch con la stessa cifra e l'ex sindaco di New York Michael Bloomberg con 47,5 miliardi. La donna più ricca del mondo è la francese Liliane Bettencourt: l'ereditiera e proprietaria del gruppo L'Oreal è quattordicesima assoluta con 40,3 miliardi. Le miliardarie più giovani sono le sorelle norvegesi Alexandra e Katharina Andersen, appaiate al 1.678esimo posto con 1,2 miliardi: 20 e 21 anni rispettivamente, a loro il padre ha trasferito il 42% (21% a testa) della compagnia di investimento di famiglia Ferd. Il più anziano risultava David Rockfeller, 581esimo con 3,3 miliardi, ma il centenario è morto proprio nel giorno della pubblicazione della classifica.

La vedova Ferrero guida la classifica italiana

La classifica italiana è guidata da Maria Franca Fissolo, che con 25,2 miliardi è ventinovesima a livello mondiale. La vedova Ferrero è seguita dal patron di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, con 17,9 miliardi (cinquantesimo nel mondo) e dall'imprenditore Stefano Pessina con 13,9 miliardi (ottantesimo al mondo). I tre sono anche gli unici connazionali nella top 100 mondiale e tengono alle loro spalle Massimiliana Landini Aleotti, 133esima al mondo con 9,5 miliardi, e Silvio Berlusconi, 199esimo con 7 miliardi. 

Completano i primi dieci posti della classifica nazionale Giorgio Armani con 6,6 miliardi, Augusto e Giorgio Perfetti con 5,8 miliardi, Paolo e Gianfelice Mario Rocca con 4,4 miliardi, Giuseppe De'Longhi con 3,8 miliardi e Patrizio Bertelli con 3,2 miliardi. 

Trump ha perso 200 milioni di dollari

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è invece scivolato di 220 posizioni, piazzandosi solo al 544esimo posto nella classifica, alla pari con altri 19 miliardari. Forbes stima la ricchezza del presidente americano in 3,5 miliardi di dollari, 200 milioni di dollari in meno rispetto a prima di diventare presidente, complice la frenata del mercato immobiliare a Manhattan, nella zona 'midtown'. "Il 40% della fortuna di Trump è legato alla Trump Tower e ad altri 8 edifici a circa un chilometro e mezzo di distanza. Ciò che accade in quel micro mercato impatta la ricchezza netta di Trump più di ogni altra parte del mondo", osserva Forbes. Il magazine segnala inoltre come Trump abbia donato 66 milioni di dollari alla sua campagna presidenziale e 25 milioni per patteggiare l'azione legale della Trump University. Per contro, "dall'elezione, l'iscrizione al suo resort di Palm Beach è raddoppiata a 200.000 dollari e gli attici nelle sua proprietà a Las Vegas sono schizzati a prezzi record mentre gli ospiti hanno pagato fino a 18.000 dollari a notte per stare nel suo hotel di Washington Dc durante l'inaugurazione". 

Agi News