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Il Pil nel primo trimestre è andato meglio del previsto

AGI – Nel primo trimestre il Pil è andato meglio del previsto: a certificarlo è l’Istat che ha rivisto al rialzo le precedenti stime. In dettaglio, il prodotto italiano è aumentato dello 0,1% a livello congiunturale, vale a dire rispetto al precedente trimestre) ed è diminuito dello 0,8% a livello tendenziale, vale a dire nei confronti del primo trimestre dello scorso anno.
Oltre a essere più favorevoli delle precedenti stime, i dati diffusi dall’Istat mostrano un deciso miglioramento rispetto all’ultimo trimestre del 2020, quando si registrò un calo congiunturale dello 0,8% e tendenziale del 6,5%.

Al termine del primo trimestre – che ha avuto due giornate lavorative in meno di quello precedente e una in meno rispetto ai primi tre mesi del 2020 – la variazione acquisita per il 2021 è pari a +2,6%. 

Il moderato recupero dell’attività produttiva, spiega l’Istituto di statistica, è sintesi di un aumento del valore aggiunto dell’agricoltura e dell’industria e di una contrazione del terziario che in alcuni comparti ha risentito ancora degli effetti delle misure di contrasto dell’emergenza sanitaria. 

Il quadro della domanda è caratterizzato da una spinta della componente interna, alimentata dal recupero degli investimenti e dal nuovo contributo positivo delle scorte, mentre un contributo negativo è venuto dall’estero per la crescita delle importazioni a fronte di una sostanziale stazionarietà delle esportazioni. Le ore lavorate sono diminuite dello 0,2% in termini congiunturali, mentre i redditi pro capite sono aumentati dell’1,5%.

Nel dettaglio, rispetto al trimestre precedente, i consumi finali nazionali hanno registrato una diminuzione dell’1%, mentre gli investimenti fissi lordi sono cresciuti del 3,7%. Le importazioni sono aumentate del 2,3% e le esportazioni sono scese dello 0,1%.    

La domanda nazionale al netto delle scorte ha sottratto 0,1 punti percentuali alla crescita del Pil: -0,7 i consumi delle famiglie e delle Istituzioni sociali private, -0,1 la spesa delle amministrazioni pubbliche, +0,7 gli investimenti. La variazione delle scorte ha contributo positivamente per 0,8 punti percentuali, mentre il contributo della domanda estera netta è stato negativo per 0,6 punti percentuali.    

L’aumento degli investimenti ha riguardato tutte le componenti: la spesa per impianti, macchinari e armamenti è cresciuta del 3,5% (di cui la componente di mezzi di trasporto del 4,4%), quella delle abitazioni e dei fabbricati non residenziali e altre opere, rispettivamente, del 4,8% e del 5,2% e la componente dei prodotti di proprietà intellettuale dello 0,4%.

Gli investimenti in risorse biologiche coltivate sono risultati stazionari.

La spesa delle famiglie ha registrato una diminuzione in termini congiunturali dell’1,8%. In particolare, gli acquisti di beni durevoli sono diminuiti dello 0,9%, quelli di servizi del 4,2%, quelli dei beni semidurevoli del 3,6%, mentre quelli di beni non durevoli sono cresciuti dell’1,9%.    

Si registrano crescite congiunturali del valore aggiunto di agricoltura e industria pari, rispettivamente, al 3,9% e all’1,8%, mentre i servizi registrano un calo dello 0,4%. i servizi di informazione e comunicazioni, le attività finanziarie e assicurative e quelle professionali sono cresciuti rispettivamente dello 0,1%, 0,2% e del 4,3%, mentre il valore aggiunto è diminuito del 2,3% nel comparto che raggruppa commercio, trasporto, alloggio e ristorazione, dell’1% nelle attività immobiliari, dello 0,4%  nell’amministrazione pubblica, difesa, istruzione e sanità e dell’1,7% nel raggruppamento delle attività artistiche, di intrattenimento e degli altri servizi.     

L’Istat ricorda che nel primo trimestre del 2021, il Pil è aumentato in termini congiunturali dell’1,6% negli Stati Uniti ed è diminuito dello 0,1% in Francia e dell’1,8% in Germania. In termini tendenziali, si è registrata una crescita dello 0,4% negli Stati Uniti e dell’1,2% in Francia e una diminuzione del 3,1% in Germania.

Nel complesso, il Pil dei paesi dell’area Euro è diminuito dello 0,6% rispetto al trimestre precedente e dell’1,8% nel confronto con il primo trimestre del 2020.


Il Pil nel primo trimestre è andato meglio del previsto

I prezzi delle case calano nel terzo trimestre, ma aumentano su base annua

AGI – Secondo le stime preliminari, nel terzo trimestre 2020 l’indice dei prezzi delle abitazioni (Ipab) acquistate dalle famiglie per fini abitativi o per investimento diminuisce del 2,5% rispetto al trimestre precedente e aumenta dell’1,0% nei confronti dello stesso periodo del 2019 (era +3,3% nel secondo trimestre 2020).

L’aumento tendenziale dell’Ipab è da attribuirsi soprattutto ai prezzi delle abitazioni nuove che accelerano la crescita, passando dal +2,7% registrato nel secondo trimestre al +3,0%, mentre i prezzi delle abitazioni esistenti crescono dello 0,7%, rallentando rispetto al trimestre precedente (era +3,6%).

In media, nei primi tre trimestri del 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019, i prezzi delle abitazioni aumentano del 2,0% con i prezzi delle abitazioni nuove che fanno registrare un +2,2% e quelli delle abitazioni esistenti (che pesano per più dell’80% sull’indice aggregato) che crescono del 2,0%.

Il tasso di variazione acquisito dell’Ipab per il 2020 è pari a +1,9% (+2,2% per le abitazioni nuove e +1,8% per le abitazioni esistenti).

Continua, quindi, il trend di crescita dell’Ipab, in un contesto di ripresa dei volumi di compravendita che aumentano del 3,1% nel terzo trimestre del 2020, come registrato dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate per il settore residenziale, dopo il -27,2% del secondo trimestre imputabile alle misure adottate per il contenimento del Covid-19 (in larga parte rientrate nel periodo estivo) che hanno drasticamente limitato la possibilità di stipulare i rogiti notarili soprattutto nel mese di aprile.

Su base congiunturale la diminuzione dell’Ipab è dovuta unicamente ai prezzi delle abitazioni esistenti che registrano un calo pari a -3,2% (dopo il +3,2 del trimestre precedente), mentre i prezzi delle abitazioni nuove aumentano, anche se meno del trimestre precedente (+1,1% dopo il +2,0% del secondo trimestre).

 


I prezzi delle case calano nel terzo trimestre, ma aumentano su base annua

Il Pil dell’Eurozona è calato del 12,1% nel secondo trimestre

AGI – Il Coronavirus e le misure prese dagli stati europei per frenarne la diffusioni hanno affossato il pil dell’area euro nel secondo trimestre, con un calo, rispetto a quello precedente, del 12,1%. A certificarlo è Eurostat,  che evidenzia anche un calo dell’11,7% del prodotto interno lordo dell’Unione Europea. Si tratta dei cali più ampi dal 1995, quando ha inizio la serie storica. Considerato che nel primo trimestre c’era già stata una contrazione dell’economia del 3,6% nell’area euro e del 3,2% nell’Ue, l’Europa è ufficialmente in recessione. 

Gli effetti su occupazione e commercio

Una frenata simile del Pil si fa sentire anche sulle dinamiche del mondo del lavoro: il numero di occupati nell’area euro è sceso nel secondo trimestre del 2,8% rispetto al primo trimestre, mentre nell’intera Ue il calo è stato del 2,6%; nei primi tre mesi dell’anno il tasso di occupazione era sceso rispettivamente dello 0,2 e dello 0,1%. 

Sul fronte delle esportazioni, invece, a giugno 2020 le misure di contenimento del Covid-19 messe in atto dagli Stati europei continuano hanno continuato ad avere un impatto significativo sul commercio internazionale, anche se “ci sono segni di miglioramento sul mese precedente”. La prima stima di Eurostat per l’export dell’area euro a giugno parla di un calo del 10% sullo stesso mese del 2019 a quota 170 miliardi. In calo del 12,2% le importazioni, pari a 149,1 miliardi. Con queste dinamiche l’Eurozona ha registrato 21,2 miliardi di surplus commerciale con in resto del mondo in lieve aumento sui 19,4 miliardi del giugno 2020. Il commercio all’interno dell’area euro è calato a 150,6 miliardi a giugno, con un calo del 7,3% sullo stesso mese del 2019. 

I dati Bankitalia su debito ed entrate tributarie

Sul fronte italiano da registrare i dati pubblicati dalla Banca d’Italia sul debito pubblico e sulle entrate nei primi sei mesi dell’anno. A fine giugno il debito delle Amministrazioni pubbliche era pari a 2.530,6 miliardi, con un incremento di 20,5 miliardi rispetto al mese precedente che riflette sostanzialmente il fabbisogno del mese (20,6 miliardi). Il debito delle Amministrazioni centrali è aumentato di 21,7 miliardi, quello delle Amministrazioni locali è diminuito di 1,2 miliardi e quello degli Enti di previdenza e’ rimasto sostanzialmente stabile. Rispetto al mese precedente, la vita media residua del debito è rimasta costante a 7,3 anni e la quota del debito detenuta dalla Banca d’Italia è aumentata di 0,7 punti percentuali, al 19,2 per cento.

Con la sospensione di alcuni versamenti fiscali disposta dai decreti approvati a partire dal mese di marzo e del peggioramento del quadro macroeconomico legata alla pandemia da Coronavirus, rallentano invece le entrate tributarie. A giugno quelle contabilizzate nel bilancio dello Stato sono state pari a 26,2 miliardi, in diminuzione del 19,9 per cento (-6,5 miliardi) rispetto al corrispondente mese del 2019. Nei primi sei mesi del 2020 le entrate tributarie sono state pari a 169,9 miliardi, in diminuzione del 10,3 per cento (-19,4 miliardi) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. 

Agi

Gli Usa entrano ufficialmente in recessione: -32,9% nel secondo trimestre

L’economia Usa si è contratta del 32,9% congiunturale annualizzato nel secondo trimestre, contro un atteso -34,7% e dopo il -5% dei primi tre mesi. Gli Stati Uniti quindi entrano ufficialmente in recessione nel secondo trimestre.

Il Pil registra una contrazione del 32,9% congiunturale annualizzata, dopo il -5% dei primi tre mesi. Gli analisti si aspettavano una contrazione del 34,7%. Avendo registrato due trimestri consecutivi col segno meno, gli Stati Uniti sono quindi in recessione dal momento in cui sono stati imposti lockdown in tutto il Paese per rallentare la diffusione del coronavirus.

L’economia è prevista in ripresa nel terzo trimestre, anche se la nuova ondata di coronavirus rischia di rallentare parecchio il ritmo della crescita, soprattutto nel confronto annuale. 

Agi

Il trimestre deludente che ha fatto crollare Twitter

Qualcosa è andato storto: “Venti contrari”, così li definisce la società, hanno condizionato il terzo trimestre di Twitter, chiuso con un fatturato inferiore alle attese e con un utile in calo del 95% rispetto allo stesso periodo del 2018. Il titolo cede quasi il 20% nelle contrattazioni di pre-apertura.

Il fatturato 

Tra luglio e settembre, Twitter ha incassato 823,7 milioni di dollari, decisamente al di sotto delle stime degli analisti, che toccavano gli 874 milioni. Si tratta comunque di un incremento del 9% anno su anno, grazie “alla forza del mercato Usa di settembre”. Un mese che ha attutito la caduta, provocata da “venti contrari”. Di mezzo c’è stata una stagionalità di luglio e agosto “maggiore del previsto”, ma anche intoppi sulle performance di alcuni prodotti.

“Abbiamo scoperto alcuni bug”, fa sapere Twitter, cui dice di aver “rimediato”. Nel trimestre hanno però condizionato la capacità di raggiungere gli utenti con annunci mirati e quella di condividere i dati con i partner. “Abbiamo anche scoperto che alcune personalizzazioni e impostazioni dei dati non hanno performato come atteso”. Lo confermano gli incassi pubblicitari, cresciuti a un ritmo inferiore rispetto al fatturato di gruppo (+8%, a 702 milioni di dollari). L’insieme dei guai, secondo le stime della compagnia, avrebbero ridotto la crescita del fatturato “almeno del 3%”.

Utili a picco

Il fatturato deludente è arrivato, a cascata, fino all’ultima riga di bilancio. Passando per i margini: il risultato operativo è stato di 44 milioni (più che dimezzato anno su anno), anche perchè le spese del trimestre (780 milioni) sono aumentate del 17% rispetto al 2018. Il margine operativo lordo è così passato dal 12 al 5%. Twitter resta in utile, ma dopo gli ultimi periodi di vacche grasse, il risultato netto è striminzito: 36,5 milioni. Tra luglio e settembre 2018 era stato di 789 milioni.

I venti contrari continueranno 

Ad appesantire il quadro ci sono anche le previsioni per il trimestre in corso. I “venti contrari” continueranno. Anzi, saranno più forti. Nonostante Twitter sia intervenuta e abbia osservato un miglioramento a settembre, si attende comunque che le folate proseguano tra ottobre e novembre. Tanto da ridurre la crescita del 4%, un punto percentuale in più rispetto a luglio-settembre. Il peggio deve, quindi, ancora venire. Motivo: i problemi sono sorti nel corso del terzo trimestre e non lo hanno coperto completamente. Mentre si faranno sentire sull’intero quarto periodo. Il fatturato atteso è tra i 940 e il miliardo di dollari, con un risultato operativo tra i 130 e 170 milioni.

Gli utenti accelerano

Dati finanziari così negativi hanno offuscato un elemento positivo: la crescita degli utenti. Quelli “quotidiani paganti” (cioè chi usa Twitter ogni giorno e viene raggiunto da pubblicità) sono stati 145 milioni. Corrispondono a un progresso del 4% rispetto al trimestre precedente e del 17% anno su anno. La crescita degli utenti sta quindi accelerando: era stato del 9 e del 14% nei primi due trimestri del 2019.

Azioni in picchiata

Il titolo di Twitter è andato in picchiata, con un calo attorno al 20%. Pesano i dati finanziari, ma il tonfo è così fragoroso anche perché la società era reduce da trimestri positivi che avevano permesso al titolo di apprezzarsi del 35% da inizio 2019, portando la capitalizzazione oltre i 30 miliardi. La trimestrale è quindi costata quasi 6 miliardi di dollari. 

Agi

Ue, Tria non sorpreso: previsioni non tengono conto del I trimestre

Non è sorpreso il ministro dell’Economia Giovanni Tria dopo la pubblicazione delle previsioni sul Pil, diffuse dalla Commissione europea. Incontrando la stampa dopo la conferenza “Forum de Paris: Debito sostenibile, una crescita durevole”, svoltasi oggi nella capitale francese, Tria ha detto che le stime di Bruxelles “corrispondono alle previsioni già fatte nel nostro Def, quindi ce l’aspettavamo, mi pare che saranno confermate”.

Il titolare del Mef ha anche spiegato perché, a suo parere, le stime differiscono da quelle del governo italiano. “Sembra ci sia leggermente meno ottimismo per l’anno prossimo ma dal punto di vista delle previsioni, con gli errori di stima, è quasi identico. Tengo anche presente che nelle previsioni della Commissione Ue non si è tenuto conto, perché sono state chiuse prima, dei dati del primo trimestre del Pil italiano che non erano negativi”.

Agi

Apple taglia del 10% la produzione di iPhone. In vista un altro trimestre difficile

Ancora tagli, ancora notizie che suggeriscono un primo trimestre 2019 complicato per Apple. La Mela avrebbe comunicato ai suoi fornitori una riduzione della produzione del 10% tra gennaio e marzo. Lo aveva già fatto a novembre. Allora la sforbiciata (o, meglio, la rinuncia ad ampliare la produzione secondo i piani) sarebbe stata persino più abbondante, ma avrebbe riguardato soprattuto l'iPhone XR (lo smartphone più economico della gamma). Questa volta toccherebbe anche XS e XS Max.

 Lo afferma Nikkei Asian Review. La notizia confermerebbe che Apple non solo non si attende una ripresa delle vendite, ma è convinta di avere davanti un periodo difficile. Non ci sono le condizioni per ipotizzare uno scatto di reni: la Mela presenta i nuovi iPhone in autunno, la fine del loro ciclo vitale è ancora lontanissimo e il quadro economico-politico (mercato degli smartphone debole, rallentamento cinese, tensioni Pechino-Washington) non lascia intravedere rivoluzioni.

La crisi degli iPhone

Sommando i tagli del primo trimestre 2019 con quelli già applicati alla fine dello scorso anno, il volume di produzione pianificato per tutti gli iPhone (comprese le versioni precedenti) dovrebbe essere di 40-43 milioni di unità. Cioè il 20% in meno rispetto ai 52,21 milioni di iPhone da Apple tra gennaio e marzo 2018. Cogliere le cifre esatte sarà praticamente impossibile, anche perché Cupertino ha annunciato che non rivelerà più il numero di unità vendute. Una scelta dovuta alla volontà di oscurare il punto debole (le difficoltà nella diffusione) per esaltare quello favorevole (il fatturato complessivo, che lievita visto il prezzo degli iPhone esploso negli ultimi due anni).

La revisione delle stime sul fatturato annunciata il 2 gennaio, la prima negli ultimi 16 anni, potrebbe non essere quindi il punto più basso nella stagione di Apple. Non solo a livello commerciale ma anche finanziario: il titolo della Mela ha perso il 40% dei massimi ed è ancora sotto pressione. Il fatto che il taglio della produzione tocchi tutti e tre i nuovi iPhone non consente più di imputare l'insuccesso al solo XR: sarebbe dovuto essere lo smartphone capace di risollevare le unità vendute senza incidere troppo sull'incasso medio per ogni dispositivo, ma non ha trovato il giusto equilibrio tra prezzo (comunque elevato) e qualità dell'offerta.

Il domino dei fornitori

La nuova sforbiciata del 10% è un dato complessivo: ci saranno fornitori che, in base al mix di prodotti offerti, dovranno reggere a una taglio maggiore. E altri per i quali la correzione sarà più blanda. In ogni caso, l'insuccesso della Mela si ripercuote a cascata sui fornitori. Nel 2019 Foxconn, il principale assemblatore di iPhone, taglierà i costi per 20 miliardi di yuan (quasi 3 miliardi di dollari) a causa di una domanda debole e di un anno che si annuncia “molto difficile”. Lumentum, società che produce sensori per il riconoscimento facciale, ha tagliato pesantemente le stime dell'ultimo trimestre dell'anno a causa di una riduzione degli ordini da parte di “uno dei principali clienti”.

Dopo la correzione di inizio anno, il domino dei tagli è ricominciato. Largan Precision, che fornisce lenti per le fotocamere, ha dichiarato che le vendite di dicembre sono calate del 34% anno su anno e del 20% rispetto a novembre. È stato il mese con il fatturato più basso degli ultimi cinque anni. Un altro fornitore di Taiwan, Catcher Technology (produttore di parti della scocca), a dicembre ha registrato un calo del fatturato del 28% anno su anno. E si attende segno meno anche tra gennaio e marzo. “

Prevediamo che le condizioni di mercato di fine 2018 continueranno nel 2019”, ha dichiarato la società, descrivendo le prospettive sulla domanda (cioè le vendite di iPhone) “altamente incerte e volatili”. Per una compagnia, come Apple, restia a pubblicare dettagli sulle performance dei propri dispositivi, i segnali che arrivano dalla catena produttiva sono fondamentali. Le indicazioni arrivate tra novembre e dicembre da Foxconn e Lumentum si sono rivelate attendibili e hanno anticipato i dati ufficiali. Quelle che stanno emergendo in queste ore non lasciano presagire nulla di buono nel futuro prossimo di Cupertino.   

Agi News

Pil: Istat, crescita frena, +0,2% nel II trimestre +1,1% anno

Rallenta il Pil nel secondo trimestre. L'Istat stima che, tra aprile e giugno, il prodotto interno lordo corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, sia aumentato dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e dell'1,1% su base annua. L'Istat evidenzia la frenata sottolineando che si tratta di un incremento inferiore a quello dei 6 trimestri precedenti: il dato trimestrale e' il piu' basso dal terzo trimestre 2016. La variazione acquisita per il 2018 e' pari a +0,9%.

Agi News