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In 10 anni il terzo settore in Italia è cresciuto del 25%

AGI – Il ruolo del non profit cresce in Italia, anche durante la pandemia. Un universo che conta 375.000 istituzioni tra associazioni, fondazioni e cooperative sociali, in aumento del 25% rispetto a 10 anni fa. Gli italiani che partecipano ad attività associative sono 10,5 milioni, vale a dire 1 su 5 tra chi ha più di 14 anni. Il valore della produzione è stimato in 80 miliardi di euro e sfiora il 5% del Prodotto interno lordo.

Gli addetti sono 900.000 (70% donne), ai quali si aggiungono 4 milioni di volontari. E’ quanto emerge da una ricerca condotta da CNEL, Fondazione Astrid e Fondazione per la Sussidiarietà, in occasione della presentazione del volume “Una società di persone? I corpi intermedi nella democrazia di oggi e di domani”, in programma venerdi’ 28 maggio.

La ricerca conferma che la Penisola è uno dei Paesi con più “vitalità sussidiaria” in Europa, con un’associazione ogni 160 abitanti. Circa l’85% delle istituzioni del terzo settore è rappresentato da associazioni, il restante 15% sono cooperative sociali, fondazioni, sindacati o enti. Due terzi delle istituzioni non profit (65%) operano in cultura, sport e ricreazione; seguono l’assistenza sociale e la protezione civile (9%), le relazioni sindacali e imprenditoriali (6%), la religione (5%), l’istruzione e ricerca (40%) e la sanità (4%).

“Il vasto mondo del terzo settore e più in generale del privato sociale rappresenta una risorsa di enorme valore per il Paese e la sua economia, come abbiamo avuto modo di sperimentare durante l’emergenza sanitaria ed in particolare nei mesi difficili del lockdown, e porta un contributo determinante all’occupazione sia in termini quantitativi che qualitativi”, dichiara Tiziano Treu.

Il terzo settore, prosegue Treu – avrà un “ruolo strategico anche nell’attuazione del Pnrr. Per questo associazioni e imprese sociali vanno sostenute e tenuta in debita considerazione come più volte evidenziato in audizioni parlamentari e con documenti del Cnel presentati a Governo e Parlamento”. “Questa nuova ricerca – sottolinea Franco Bassanini – e ancor più ampiamente quella che presenteremo il 28 maggio al Cnel fanno emergere il ruolo cruciale delle comunità intermedie in un mondo in rapida trasformazione.

Nel quale la globalizzazione e le tecnologie digitali, e ora la pandemia, producono frammentazione e atomizzazione. Ma nel quale è sempre più evidente che, al contrario, solo la rivitalizzazione della trama delle comunità intermedie (ridefinite nei loro obiettivi e modi di operare) consentirà di far fronte alle sfide della sostenibilità sociale e ambientale e alla crisi di legittimazione e rappresentatività dei nostri sistemi democratici, indeboliti dalle pratiche illusorie della disintermediazione politica e sociale”.

“La pandemia – osserva Giorgio Vittadini – ha esaltato il ruolo del terzo settore che ha affiancato l’intervento pubblico in settori chiave come l’assistenza e la salute. Certo l’emergenza Covid ha penalizzato alcuni comparti come asili, centri diurni per invalidi, attività sportive e ricreative. Nonostante la crisi, privati ed enti pubblici hanno sostenuto con donazioni e contributi il terzo settore, riconoscendo il suo grande valore sociale e contribuendo a diffondere la cultura della sussidiarietà”.


In 10 anni il terzo settore in Italia è cresciuto del 25%

I prezzi delle case calano nel terzo trimestre, ma aumentano su base annua

AGI – Secondo le stime preliminari, nel terzo trimestre 2020 l’indice dei prezzi delle abitazioni (Ipab) acquistate dalle famiglie per fini abitativi o per investimento diminuisce del 2,5% rispetto al trimestre precedente e aumenta dell’1,0% nei confronti dello stesso periodo del 2019 (era +3,3% nel secondo trimestre 2020).

L’aumento tendenziale dell’Ipab è da attribuirsi soprattutto ai prezzi delle abitazioni nuove che accelerano la crescita, passando dal +2,7% registrato nel secondo trimestre al +3,0%, mentre i prezzi delle abitazioni esistenti crescono dello 0,7%, rallentando rispetto al trimestre precedente (era +3,6%).

In media, nei primi tre trimestri del 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019, i prezzi delle abitazioni aumentano del 2,0% con i prezzi delle abitazioni nuove che fanno registrare un +2,2% e quelli delle abitazioni esistenti (che pesano per più dell’80% sull’indice aggregato) che crescono del 2,0%.

Il tasso di variazione acquisito dell’Ipab per il 2020 è pari a +1,9% (+2,2% per le abitazioni nuove e +1,8% per le abitazioni esistenti).

Continua, quindi, il trend di crescita dell’Ipab, in un contesto di ripresa dei volumi di compravendita che aumentano del 3,1% nel terzo trimestre del 2020, come registrato dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate per il settore residenziale, dopo il -27,2% del secondo trimestre imputabile alle misure adottate per il contenimento del Covid-19 (in larga parte rientrate nel periodo estivo) che hanno drasticamente limitato la possibilità di stipulare i rogiti notarili soprattutto nel mese di aprile.

Su base congiunturale la diminuzione dell’Ipab è dovuta unicamente ai prezzi delle abitazioni esistenti che registrano un calo pari a -3,2% (dopo il +3,2 del trimestre precedente), mentre i prezzi delle abitazioni nuove aumentano, anche se meno del trimestre precedente (+1,1% dopo il +2,0% del secondo trimestre).

 


I prezzi delle case calano nel terzo trimestre, ma aumentano su base annua

Unicredit terzo incomodo nella fusione tra Deutsche Bank e Commerzbank

Come un fiume carsico, torna a riaffacciarsi per Unicredit l’ipotesi di un’operazione con Commerzbank, la seconda banca tedesca, che attualmente sta trattando una fusione con Deutsche Bank. A rilanciare questa prospettiva, che i mercati hanno accolto con una certa freddezza (il titolo Unicredit a Piazza Affari ha perso lo 0,66% giovedì e venerdì lo 0,69% a fronte di un andamento generalmente positivo dei bancari), è stato il Financial Times, secondo cui se l’operazione fra i due istituti tedeschi fallisse, la banca guidata da Jean Pierre Mustier potrebbe tornare a farsi avanti, riprendendo gli abboccamenti che c’erano stati nel 2017.

Presentando il bilancio al 31 dicembre, tuttavia, l’ad di Unicredit aveva detto a chiare lettere che, anche su un orizzonte temporale più lungo del piano Transform 2019 che è su base organica, non vedeva operazioni europee per la banca negli anni immediatamente successivi, ovvero in quelli che saranno affrontati nel nuovo piano, che sarà presentato a Londra questo dicembre. Proprio in vista di questo appuntamento il manager francese ha rivoluzionato la prima linea della banca, eliminando la figura del direttore generale e costruendo un team di otto manager che, oltre a lavorare al nuovo piano, avranno anche il compito di metterlo in atto.

Non è un mistero che più volte, negli ultimi anni, Mustier abbia valutato operazioni straordinarie: nel 2017 guardò proprio a Commerbank, mentre lo scorso anno è stato il caso SocGen a tenere banco. A impedire che quest’ultima opzione venisse approfondita fu anche l’evoluzione della situazione politico-economica dopo le elezioni dello scorso 4 marzo, con le tensioni sull’asse Roma-Parigi e con l’impennata dello spread che tanto ha pesato sulle quotazioni degli istituti bancari italiani, rendendo più complicata un’operazione che già di suo presentava tutti i problemi di un’integrazione bancaria trasfrontaliera. 

Nel caso di Commerzbank, invece, va considerato che Unicredit ha già una presenza significativa in Germania. Lo scorso autunno, poi, circolarono indiscrezioni che parlavano di un piano di separazione delle attività italiane di Unicredit da quelle tedesche ed europee.
Anche nell’ipotesi di una fusione con Commerzbank secondo lo schema riportato dal FT ci sarebbe in qualche modo una separazione, visto che l’istituto manterrebbe la sede a Milano e la nuova entità tedesca rimarrebbe invece quotata a Francoforte.

Cosa dicono gli analisti

“Da un punto di vista industriale l’operazione con Unicredit avrebbe più senso di una fusione con Deutsche Bank”, notano gli analisti di Mediobanca, che tuttavia sottolineano come l’articolo del FT sia “più un modo di mettere pressione ai cda” dei due gruppi tedeschi, che dovrebbero prendere una decisione sul tema a stretto giro. Già nel 2017 le avances di Unicredit furono respinte dalla politica tedesca che, sottolineano ancora da piazzetta Cuccia, “anche oggi sarebbe un attore chiave vista la quota del 15% che il governo di Berlino detiene in Commerzbank”.

Rispetto ad allora, inoltre, lo spread fra carta italiana e carta tedesca è di 100 punti più alto, cosa che “verosimilmente rende la situazione politica ancora meno benevolente verso una fusione” di questo tipo. Anche gli analisti di Equita sono dubbiosi. “Siamo molto scettici su operazioni di M&A trasfrontaliere (nel settore bancario, ndr). Avremmo perplessità dal punto di vista operativo: Commerzbank ha una redditività che è la metà di quella di Unicredit”, notano fra le altre cose, indicando la necessità di trovare ampie sinergie per rendere vantaggiosa la mossa e rimarcando come siano difficili da ottenere.

Di certo, con il titolo a circa 12 euro, Mustier sente la pressione dei soci, a partire dai fondi internazionali che hanno sottoscritto l’aumento, per cercare di guidare la risalita del titolo. Stando da sola, prosegue il report di Equita, “Unicredit ha un potenziale di crescita”, che potrebbe concretizzarsi attraverso la pulizia di bilancio facendo risalire le quotazioni nel medio termine. 

Agi

Terzo Valico, Toninelli: fermarlo costa troppo, l’opera va avanti

Fermare il Terzo Valico (ovvero la ferrovia Tortona/Novi Ligure-Genova) costerebbe troppo, quindi l'opera va proseguita. Lo annuncia su Facebook il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli. "Il Terzo Valico non può che andare avanti. Ma farlo andare avanti non significa condurlo a termine così com’è, bensì rendere l’opera efficiente rispetto agli scopi", scrive Toninelli al termine dell'analisi costi-benefici. 

"Il costo dell’opera a finire, attualizzato a 30 anni, supererebbe i benefici per una cifra di 1 miliardo e 576 milioni", spiega il ministro ma aggiunge che "il totale dei costi del recesso ammonterebbe a circa 1 miliardo e 200 milioni di euro di soldi pubblici". Per questo l'opera deve andare avanti.

Agi News