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La rivolta dei tassisti londinesi contro Uber

AGI – Migliaia di tassisti londinesi intendono citare in giudizio Uber per danni sostenendo che la compagnia di ride-hailing ha operato illegalmente. L’azione legale di gruppo potrebbe, in caso di successo, colpire la società per milioni di sterline.

La decisione, che è parte di una campagna pianificata quest’anno dai conducenti dei classici taxi neri londinesi, si basa sull’affermazione secondo la quale Uber non avrebbe seguito le regole del noleggio privato tra il 2012 e il 2018.

Uber ha dichiarato per tutta risposta che “opera legalmente a Londra e queste accuse sono completamente infondate. Siamo orgogliosi di servire questa grande città e i 45mila conducenti di Londra che si affidano alla nostra app per opportunità di guadagno”.

L’azione legale sarà lanciata dallo studio legale Mishcon de Reya. La RGL Management, che si occupa di questo tipo di contenziosi e che pure sta lavorando con i tassisti per portare avanti il caso, ha dichiarato che finora hanno aderito più di 4.000 tassisti.

Ci sarebbero inoltre circa 5.200 ulteriori registrazioni in fase di elaborazione, con centinaia di richieste al giorno, ha aggiunto RGL Management.

L’azienda punta a quota 30 mila conducenti idonei. Un guidatore a tempo pieno, con riferimento a quei sei anni, potrebbe richiedere circa 25 mila sterline (circa 28mila euro) in guadagni persi, ha chiarito Rgl. I partecipanti mirano a portare il caso all’Alta Corte di giustizia entro il primo trimestre del 2022.  


La rivolta dei tassisti londinesi contro Uber

Cosa cambia per tassisti e clienti con la sentenza dell’Antitrust su Mytaxi

Un tassista non può essere vincolato a lavorare per un solo servizio di radiotaxi. E' la sintesi della pronuncia dell'Antitrust secondo cui le clausole di esclusiva nei rapporti tra i principali operatori di radiotaxi attivi a Roma e Milano vincolano ciascun tassista a destinare tutta la propria capacità operativa, in termini di corse per turno, a un singolo radiotaxi e questo costituisce una limite per la concorrenza. 


Quali sono gli operatori coinvolti

Roma:

  • Radiotaxi 3570
  • Pronto Taxi 6645
  • Samarcanda

Milano:

  • Taxiblu
  • Yellow Tax Multiservice 
  • Autoradiotassì

 Tutto è partito da una segnalazione di Mytaxi, l'app sviluppata dal gruppo Daimler alla quale possono registrarsi i tassisti che, in base alle proprie esigenze, possono mettere a disposizione della piattaforma una quota variabile di corse.

Secondo l'Autorithy, queste clausole chiudono di fatto del mercato della raccolta e dello smistamento della domanda del servizio taxi a Roma e Milano, ostacolando l'accesso a nuovi operatori che adottano un diverso e innovativo modello di business, come appunto Mytaxi.

Tra l'altro, sostiene l'Autorità, le clausole di esclusiva non hanno alcuna giustificazione di natura giuridica o economica. 

Cosa cambia per i tassiti e i clienti

In buona sostanza, secondo l'Antitrust il tassista che si registra a una applicazione come Mytaxy non fa altro che usufruire liberamente del proprio lavoro, mettendolo a disposizione del cliente che gli pare e non di quello indicato dal servizio di radiotaxi cui ha aderito. In soldoni: potrà succedere che quando chiamate un taxi con una app se ne presenti uno che usualmente lavora per un radiotaxi, ma che ha deciso di destinare parte delle ore del suo turno a una sorta di 'libera impresa', cioè di lavorare per un certo numero di corse (o un certo lasso di tempo) a tariffe diverse e con modalità diverse rispetto a quelle di un servizio di radiotaxi.

Agi News

“Se Uber entra nel mercato anche i tassisti lavorano di più”

L’apertura del mercato a Uber o ad altre forme di mobilità alternativa è vincente per tutti, compresi i tassisti e gli Ncc”: ne è convinto Carlo Carminucci, direttore scientifico dell’Istituto Superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti (Isfort) che ne ha spiegato i motivi in un’intervista all’Agi. La battaglia tra i tassisti e Uber, che si arricchisce venerdì di una nuova pagina della vicenda giudiziaria   che sancirà se il colosso californiano potrà operare o meno in Italia, potrebbe essere una sconfitta per tutti. “Se l’offerta è ampia – sostiene Carminucci – i cittadini si abituano a lasciare a casa la propria auto e a muoversi in città con mezzi alternativi, scegliendo tutte le soluzioni a costi relativamente contenuti”. Magari, spiega il direttore scientifico di Isfort, “si potrà assistere a un iniziale livellamento dei costi, ma alla lunga tutti lavoreranno di più”.

Nelle città in cui i servizi alternativi all’auto privati funzionano, continua Carminucci, “si crea una perfetta integrazione in cui tutti ne beneficiano e il saldo finale è positivo. Laddove, invece, i servizi arrancano, sono inefficienti, si opta nella maggior parte dei casi per l’auto privata”.

La mobilità alternativa che piace agli italiani

Ma i cittadini sono davvero pronti per i servizi di mobilità alternativi? Sì, secondo l’ultimo rapporto sulla mobilità pubblicato da “Audimob”, l’osservatorio Isfort. In particolare, nonostante l’auto resti il mezzo di trasporto per eccellenza e l’Italia il Paese con il più alto tasso di motorizzazione in Europa (62,4 vetture ogni 100 abitanti contro le 40,5 della Danimarca), due intervistati su tre non solo non solo conoscono il car sharing (l’auto condivisa) ma si dicono pronti a utilizzarlo come alternativa all’uso della propria macchina (54,4% degli intervistati) e dei mezzi di trasporto pubblici (20,6%). A fine 2015 il car sharing contava 5.400 veicoli, 700mila iscritti, 6.500.000 noleggi e 50milioni di chilometri percorsi. “Per ora i numeri sono ancora bassi e il mercato è di nicchia, ma il car sharing ha altissime potenzialità”, si legge nel rapporto.

E “sebbene non abbiamo ancora dati effettivi, i trend e le abitudini degli intervistati lasciano prevedere che dal car pooling a Uber, le nuove offerte non stenteranno a decollare, producendo un effetto moltiplicatore”, sostiene Carminucci.

Come e perché si muovono gli italiani

In media in un giorno feriale, gli italiani impiegano 57,7 minuti per muoversi ed effettuano oltre 100 milioni di spostamenti percorrendo circa 1,2-1,4 miliardi di chilometri, stima il rapporto che evidenzia una tendenza alla contrazione negli ultimi 15 anni. Perdono terreno le principali motivazioni legate a lavoro e studio che oggi incidono solo per un terzo. A queste ragioni si affiancano "gli spostamenti per la gestione della famiglia e per la fruizione del tempo libero". Ma soprattutto, per muoversi gli italiani non hanno dubbi: scelgono la macchina. E’ così per l’80% degli “spostamenti motorizzati”, il restante è rappresentato da tutti gli altri mezzi di trasporto. Chi siede al volante della propria auto sono soprattutto gli uomini, tra i 30 e i 65 anni, occupati e laureati.

Le due route (e un motore), invece, sono il mezzo di gran lunga preferito dai giovani, studenti o lavoratori, di sesso maschile e che vivono in città. "La segmentazione evidenziata è del tutto conseguente a questo forte asse di identificazione (“giovani-maschi-urbani”). Infatti, gli spostamenti in moto sono in larga misura di breve distanza (3-10km; 71%% del totale) e si associano quasi esclusivamente a motivazioni di lavoro (51%) e tempo libero. Elevato il peso degli spostamenti in moto effettuati da chi abita nelle medie e grandi città. 

Si pedala da Bolzano a Pisa

Quanto alla bici, "la maggior parte degli spostamenti non supera i 2 km ma il presidio del corto raggio (3-10km) è significativo e crescente (oltre il 40% dei viaggi)". Si usa inoltre la bici con regolarità e per spostamenti di lavoro/studio o tempo libero. Scelgono il pedale soprattutto gli uomini (60% gli spostamenti “maschili”), le classi di età più mature (22,7% gli spostamenti “over 65”), chi abita al Nord (Nord-Est in particolare) e nei piccoli e medi centri.

Ai dati di Isfort si sommano quelli del "1° Rapporto sull’economia della bici in Italia e sulla ciclabilità nelle città", realizzato da Legambiente, secondo cui a salire in sella sono quasi esclusivamente gli italiani che vivono al Nord. "Almeno il 15% della popolazione di Cremona, Rimini, Pisa, Padova, Novara e Forlì utilizza quotidianamente la bici per i propri spostamenti. Poi ci sono ancora Ravenna, Reggio Emilia, Treviso e Ferrara con percentuali di abitanti che preferiscono il manubrio al volante che oscilanno tra il 22% e il 27%. Per arrivare infine al top di Pesaro e Bolzano, dove circa un abitante su tre pedala per raggiungere il luogo di lavoro o di studio", si legge nel rapporto. "Tra le grandi città  si distingue Milano, dove lo sviluppo del sistema dei trasporti pubblici, l’introduzione dell’Area C, la rifunzionalizzazione di alcuni spazi è stata accompagnata dalla crescita della ciclabilità (oggi il 6% dei milanesi si sposta in bici), mentre Roma è in coda al gruppo: nella Capitale solo 5 persone su mille usano la bici".

L'auto l'unica alternativa fuori città

Secondo l'Isfrot, l'auto resta l'unica soluzione se si vive fuori città con l'85% degli italiani che la scelgono. "Nello specifico la forbice più significativa interessa l’ampiezza dei comuni di residenza: nel 2016 l’indice ha sfiorato il 50% nelle aree urbane maggiori (con oltre 250mila abitanti) mentre si è fermato a meno della metà (22,9%) nei comuni più piccoli o a poco più della metà (27%) in quelli piccolo-medi (10-50mila abitanti). Da sottolineare che il gap è cresciuto moltissimo dal 2001, per l’effetto congiunto della caduta verticale dell’indice nei piccoli centri (quasi 11 punti nei comuni fino a 10mila abitanti) e la leggera crescita nelle grandi città. Meno evidenti le differenze del tasso di mobilità sostenibile, invece, tra le circoscrizioni territoriali; l’indice è diminuito ovunque tra il 2001 e il 2016 con una tenuta solo nelle regioni del Centro".

“La vera partita da giocare non è tanto tra taxi e Uber, un fenomeno importante ma di nicchia, ma sulla creazione di una rete di trasporto efficiente e sostenibile al di fuori dei centri storici delle grandi città e nelle periferie. Potenziando il trasporto su gomma, creando corsie preferenziali e costruendo parcheggi nei punti di snodo”, commenta Carminucci. 

Agi News