Tag Archive: Sulle

Viaggi, trasporti e cibo: la stangata sulle vecanze degli italiani

AGI – Le vacanze estive si tradurranno in un vero e proprio salasso per gli italiani. Il Codacons fa i conti e sottolinea come gli aumenti dei prezzi riguardano tutte le voci di spesa, dai voli ai traghetti, alla pizza e ai gelati. Per quanto riguarda i trasporti, nell’ultimo mese l’associazione dei consumatori fa notare che le tariffe dei biglietti aerei internazionali sono salite del +160,2% su base annua, addirittura del +168,4% i voli europei (+26,9% quelli nazionali); i prezzi dei traghetti salgono del 9,1%, la benzina è aumentata del 10,5% e il gasolio del 20%.

Proibitivo noleggiare un’automobile: le tariffe dei noleggi sono aumentate quasi del +25% rispetto al 2021. Per dormire in albergo si spende in media il 16,6% in più rispetto al 2021, mentre un pacchetto vacanza completo è rincarato in media del 5,7%.

Costosissimo mangiare: i prezzi degli alimentari sono saliti nell’ultimo mese del 10%, mentre bar e ristoranti hanno ritoccato i listini in media rispettivamente del +4,6% e +4,8%. Non si salvano nemmeno pizza e gelati: una cena in pizzeria costa il 5,4% in più, gelaterie e pasticcerie hanno alzato i prezzi del 5%.

Anche la cultura è più cara: visitare musei, monumenti storici costa in media il 3,6% in più. “Le vacanze estive 2022 saranno un salasso per gli italiani, e chi parte dovrà mettere mano al portafogli spendendo sensibilmente di più rispetto allo scorso anno – afferma il presidente Carlo Rienzi – Basti pensare che in base alle stime del Codacons il costo di una vacanza di 10 giorni, tra spese per spostamenti, pernottamenti, cibi e servizi, passerà da una media di 996 euro a persona del 2021 ai circa 1.195 euro del 2022, con un incremento che potrebbe raggiungere i 199 euro procapite”. 


Viaggi, trasporti e cibo: la stangata sulle vecanze degli italiani

Giorgetti accelera sulle crisi aziendali, ArcelorMittal e Alitalia le priorità

AGI – Il governo accelera sui tavoli di crisi. La giornata ha visto il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, impegnato su due tra le vertenze più calde del momento, quella di ArcelorMittal e quella di Alitalia. Sul primo fronte, il titolare del dicastero di via Veneto ha sottolineato che  “serve una politica industriale e non una mera politica finanziaria”. I 400 milioni di euro “a carico di Invitalia”, ha aggiunto, arriveranno “se al Mef giungeranno le necessarie rassicurazioni nelle prossime settimane”.

Sul versante Alitalia, invece, nel corso del nuovo colloquio con la commissaria europea Margrethe Vestager, cui hanno partecipato anche i responsabili del Mef, Daniele Franco, e del Mims, Enrico Giovannini è stato definito l’obiettivo di avere una compagnia solida che possa iniziare ad operare al più presto nel segno della discontinuità. Aggiornamenti nei prossimi giorni alla luce di ulteriori approfondimenti tecnici. Dal canto suo la commissaria ha definito l’incontro come “costruttivo”. 

In totale sono 99 i tavoli di crisi ereditati dal governo Draghi per un totale di 55.817 lavoratori coinvolti. E per farvi fronte Giorgetti, di concerto con il ministro del lavoro, Andrea Orlando, ha creato un’apposita “Struttura per le crisi d’impresa”. Sarà questa la task force di riferimento per affrontare vertenze vecchie e nuove. 

Ex Ilva: Giorgetti, serve  un piano industriale

“Serve un piano industriale e non una mera politica finanziaria”, ha detto Giorgetti ai sindacati mentre si svolgeva un presidio dei lavoratori fuori dal dicastero. Il ministro ha confermato che i 400 milioni di euro a carico di Invitalia sono pronti, ma arriveranno soltanto dopo che si sarà concluso l’approfondimento del Mef. Giorgetti non ha sconfessato l’accordo siglato dal Governo Conte II, ma vuole vederci chiaro anche alla luce del giudizio aperto davanti al Consiglio di Stato che deciderà sulle sorti dello stabilimento a metà maggio.

Il governo sta guardando anche al piano industriale frutto dell’accordo di dicembre tra Ilva in amministrazione straordinaria, proprietaria degli impianti, e ArcelorMittal, gestore degli stessi. “Con ovvio garbo istituzionale” i ministri hanno manifestato che “non sono soddisfatti e non sono tranquilli rispetto all’accordo fatto il 10 dicembre e questa è una notizia”, ha riferito il segretario generale Fim Cisl, Roberto Benaglia.

“L’orizzonte – ha aggiunto – è che ministero e ministro vogliono riesaminare completamente l’accordo. Come potrà farlo, se si farà un nuovo accordo, questo è tutto da vedere”. Francesca Re David, segretario generale della Fiom, ha affermato che il governo “sta studiando il piano industriale che ha degli aspetti non li convince sino in fondo prima di un investimento forte attraverso le risorse del Recovery Fund”. 

Alitalia: verso revisione piano Ita

Giorgetti, insieme a Giovannini e Franco, è in prima linea nella soluzione del dossier Alitalia. Il governo sta accelerando l’interlocuzione con la Commissaria alla Concorrenza Vestager per avere il via libera alla cessione alla newco, Ita, del ramo aviation. Handling e manutenzione invece saranno messi a gara. “L’obiettivo della partenza della newco Ita è entro giugno-luglio. Per questo dobbiamo accelerare. Il fattore tempo è decisivo. È nostro interesse che Ita parta il prima possibile. Siamo già in ritardo, Ita doveva essere operativa già ad aprile”, ha detto Giorgetti nel corso di un’audizione su Alitalia la settimana scorsa. 

In ogni caso, il piano presentato lo scorso dicembre dal presidente Francesco Caio e dall’ad Fabio Lazzerini, è e sarà profondamente modificato. Almeno inizialmente sarà creata una struttura più snella con al massimo 45 aerei (52 nella versione di dicembre) con al massimo 4.500 dipendenti a fronte dei 5.500 del piano iniziale. 

Arriva la “Struttura”

Per la gestione delle crisi aziendali, il Mise ha pensato di avvalersi di un nuovo organismo di coordinamento, una “Struttura”, che avrà come compito quello di “supportare gli organi di vertice politico-amministrativo nell’individuazione e nella gestione delle crisi d’impresa”. Per ogni crisi aziendale, la Struttura si occuperà di fornire le necessarie analisi e gli approfondimenti, provvedendo anche al “confronto con le parti sociali e con le istituzioni interessate”.

Tali approfondimenti riguardano le caratteristiche dell’impresa, i suoi indicatori di bilancio, nonché lo stato di crisi e l’impatto economico ed occupazionale sul territorio. A quel punto, elaborerà “proposte di intervento”. Il Coordinatore viene nominato, con incarico rinnovabile di durata annuale, e la sua organizzazione comprenderà anche da due rappresentanti del ministero dello Sviluppo economico, due del ministero delle Politiche sociali e uno di Unioncamere.

Gli altri dossier ‘caldi’

Sono tanti e alcuni quasi ‘storici’, come Blutec, Bekaert, Embraco e Industria Italiana Autobus. Nella siderurgia spiccano, oltre all’ex Ilva, l’ex-acciaieria di Piombino oggi Jsw, l’ex-Alcoa di Portovesme e la Acciai Speciali di Terni, messa in vendita da ThyssenKrupp. Ma preoccupano anche il settore aeronautico e quello petrolchimico. Tra i tavoli caldi, c’è poi sicuramente il ‘caso’ dello stabilimento Whirlpool di Napoli, chiuso da ottobre scorso per volontà della multinazionale americana. A pochi giorni dal suo insediamento al Mise, Giorgetti aveva fatto sapere al presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, di star seguendo “personalmente” la situazione, “cercando di dare concretezza a una possibile soluzione”.

Su questo, vogliono vederci chiaro i sindacati, che esprimono “forte preoccupazione” per lo stallo della vicenda dovuto alla crisi di governo dei mesi precedenti e che per questo proseguono lo stato di agitazione chiedendo la convocazione di un tavolo nazionale.


Giorgetti accelera sulle crisi aziendali, ArcelorMittal e Alitalia le priorità

Eni e Politecnico di Torino inaugurano il laboratorio sulle energie marine

AGI – “Un centro ricerche tutto realizzato in Italia, con una collaborazione con l’Università di Torino che è iniziata negli anni Ottanta e che negli ultimi sei anni è diventata molto importante e molto proficua”. Così l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, che oggi con la presidente Eni Lucia Calvosa e il ministro dell’Università Gaetano Manfredi ha inaugurato all’Energy Center del Politecnico di Torino il laboratorio di ricerca congiunto “More” – Marine Offshore Renewable Energy Lab, dedicato all’energia del mare, che rappresenta la più grande fonte energetica rinnovabile al mondo. Si stima, infatti, che le onde potrebbero sviluppare una potenza lungo le coste terrestri, a livello globale, pari a 2 TeraWatt, circa 18 mila miliardi di chilowattora all’anno, ossia quasi il fabbisogno annuale di energia elettrica del pianeta. Inoltre, l’energia da onde è prevedibile, più modulata delle altre fonti rinnovabili e più continua. 

Dalle onde un’energia che può ‘sfamare’ il pianeta

Il laboratorio concretizza, dunque, ulteriormente la collaborazione tra Politecnico di Torino ed Eni, sancita a gennaio scorso con il rinnovo di un accordo di partnership che, come ha ricordato Descalzi, “copre circa 45-50 milioni di euro per i prossimi quattro anni” a cui si aggiunge un investimento di 2 milioni di euro per l’istituzione di una cattedra universitaria specifica sull’Energia del Mare, che avrà l’obiettivo di formare ingegneri specializzati nella progettazione, realizzazione e utilizzo delle nuove tecnologie che saranno sviluppate proprio nel laboratorio. Il More Lab permetterà di ampliare il campo d’azione congiunta allo studio di tutte le fonti di energia marina, andando a investigare non solo il moto ondoso ma anche l’eolico e solare offshore, le correnti oceaniche e di marea e il gradiente salino. Il laboratorio vede anche l’integrazione con il Marine Virtual Lab presso il centro di supercalcolo HPC5 a Ferrara Erbognone e l’area di test a mare aperta a Ravenna, dove si sta valutando la fase “pre-prototipale” del convertitore di moto ondoso “ISWEC” (Inertial Sea Wave Energy Converter”, il primo impianto al mondo di generazione elettrica-ibrida e distribuita da moto ondoso e fotovoltaico. 

“In un settore come quello dell’energia rinnovabile e della sostenibilità, lo sviluppo di soluzioni innovative e realizzate in stretta collaborazione con il mondo industriale – quindi pronte per essere impiegate sul mercato – è quanto mai centrale per il nostro Ateneo”, ha commentato il Rettore del Politecnico Guido Saracco. “I laboratori e i progetti di ricerca e innovazione sviluppati con Eni nei MORE Lab – ha aggiunto – saranno cruciali nei prossimi anni per contribuire in modo significativo a trovare soluzioni per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e riduzione delle emissioni che l’Europa si è data”.

Coinvolti circa 50 ricercatori

La struttura torinese farà rete anche con il sito di test del Politecnico a Pantelleria, dove vengono testati altri aspetti della stessa tecnologia, in un ecosistema come quello isolano che mira all’autonomia energetica. “L’energia da moto ondoso ha una prospettiva soprattutto in un paese come l’Italia che è una penisola” ha spiegato Descalzi, aggiungendo che “l’impegno di Eni nello sviluppo di tecnologie che avranno un ruolo chiave nel processo di decarbonizzazione diventa sempre più concreto grazie al lavoro di ricerca condotto insieme al Politecnico di Torino nei More Lab, che ci permetterà di ottimizzare le tecnologie per renderle sempre più efficienti, competitive e accelerare il processo di industrializzazione delle energie marine”. Saranno circa 50 i ricercatori coinvolti, tra personale di ruolo e dottorandi un/tesisti del Politecnico, con cui Eni si interfaccerà. Il Centro, inoltre, avrà a disposizione una vasca di prova navale e dei laboratori all’avanguardia per lo sviluppo e dry test dei prototipi e un centro di calcolo ad alte prestazioni.

Agi

Nissan è cauta sulle nozze tra Fca e Renault. Ma non si oppone

La finestra per un’operazione più larga, che coinvolga oltre a Fca e Renault anche i partner giapponesi, resta aperta, anche se da Yokohama, dove ha sede il quartier generale di Nissan, c’è ancora cautela e voglia di capire prima gli eventuali termini. Sono queste, di fatto, le considerazioni che si respirano dopo l’incontro in Giappone fra il presidente del gruppo francese, Jean-Dominique Senard, Hiroto Saikawa, che guida Nissan, e Osamu Masuko, alla testa di Mitsubishi.

“Potrebbero esserci opportunità ma le voglio valutare da vicino, con gli interessi di Nissan in mente”, ha spiegato Saikawa prima dell’incontro. La posizione, seppur informalmente, è stata fatta filtrare anche più tardi, spiegando che il gruppo giapponese, che ha il 15% di Renault ma senza diritti di voto, “non si oppone” alla fusione ma al momento non la sosterrà nemmeno attivamente. Anche l’ad di Mitsubishi ha sottolineato: “Se avessero avuto l’intenzione di lasciarci fuori non sarebbero venuti fin qui per spiegarci la loro posizione”.

I dubbi di Nissan

In realtà, sottolineano alcuni osservatori che nei mesi scorsi hanno seguito la partita interna all’alleanza franco-giapponese, da un coinvolgimento di tutte le parti ci potrebbero essere diversi vantaggi per Nissan, che ha difeso strenuamente la propria indipendenza di fronte ai tentativi di Renault, che ne detiene oltre il 40%, di arrivare a una vera e propria fusione. La struttura dell’operazione infatti prevede che ci sia una holding in Olanda: secondo le indiscrezioni emerse, se entrasse nella partita, il gruppo giapponese avrebbe circa il 7,5% delle azioni, ma con diritto di voto. Peserebbe, in pratica, quanto lo Stato francese, che vedrebbe così affievolita la propria presa sulla casa automobilistica di Tokyo, il cui cui cruccio principale è mantenere una propria identità e indipendenza.

L’ingresso di Nissan nella partita non sarebbe solo importante per le economie di scala e per arrivare a creare il più grande produttore mondiale a livello di vendite: a essere particolarmente utili sarebbero le sue tecnologie sul fronte dell’ibrido e dell’elettrico, oltre alla presenza nei mercati orientali, a partire da quello cinese. Al tempo stesso in Giappone guardano con preoccupazione a possibili sovrapposizioni sul mercato statunitense con l’azienda italiana, per cui gli Usa sono uno dei mercati di riferimento. Per un ingresso formale nel nuovo gruppo che si formerà se la fusione fra Fca e Renault andrà avanti c’è tuttavia tempo.

Un matrimonio che non convince tutti

Mentre i tre gruppi studiano come proseguire nell’operazione, arrivano tuttavia le prime prese di distanza: in Francia emergono alcune posizioni scettiche, sia pure per motivi diversi. Da un lato infatti Le Monde ha parlato di “matrimonio problematico” con “svantaggi che in questa fase superano i benefici” mettendo in evidenza supposte debolezze di Fca; dall’altro l’ad di Psa (Peugeot, ndr), Carlos Tavares, che pure aveva trattato con Fca, in una lettera interna al gruppo ripresa da Automotive News, ritiene l’operazione “opportunistica” con il gruppo italiano che ha sfruttato il momento di difficoltà del rivale.

Intanto in Italia i sindacati Fim, Uilm, Fismic, Uglm e Aqcfr hanno avanzato al Lingotto una richiesta unitaria di incontro, per conoscere le prospettive della fusione con Renault. L’azienda ha risposto dando disponibilità ad un incontro a carattere informativo “allorquando e non appena vi saranno le condizioni oggettive per iniziare ad affrontare i rilevanti temi indicati”. Anche i mercati continuano a guardare l’operazione: nella mattinata italiana i due gruppi giapponesi hanno chiuso in rialzo; Renault ha consolidato i guadagni dei giorni scorsi, mentre Fca ha lasciato sul terreno l’1,22%.

Agi

“Sulle startup in Italia solo proclami, la Francia abbraccia il futuro”

Loro Macron, noi micron. Sarebbe il titolo perfetto per raccontare la distanza tra noi e la Francia in tema di startup. Ieri su Agi.it Riccardo Luna ha scrittoquesto post "Startup, sveglia Italia! Siamo fermi al palo". La nostra è una vera "Emergenza Innovazione", che stiamo provando ad indagare, coinvolgendo i massimi esperti sull'argomento. Ma ci piacerebbe coinvolgere tutti, anche quelli che massimi esperti non sono. Se volete contribuire scriveteci qui:dir@agi.it A presto. 

"Le startup italiane hanno il potenziale per creare almeno 100mila posti di lavoro, se si fanno crescere. Ma così non è". Gianmarco Carnovale è un imprenditore romano (è amministratore delegato di Scuter) e presidente di Roma Startup, associazione che lo vede impegnato per contribuire alla crescita di un ecosistema favorevole all'innovazione nella Capitale. E' tra le voci più schiette della startup scene italiana, ne ha seguito l'evoluzione, ne conosce i freni, il potenziale. E, per ora, le promesse spesso disattese come testimoniano i dati degli investimenti in startup dei primi sei mesi del 2017. 

 

75 milioni nel primo semestre, prima decrescita dopo 3 anni. Che succede? 
"Succede che non succede niente: di fatto la nostra 'filiera delle startup' non è stata né propriamente stimolata né messa nelle condizioni di crescere di scala nell'offerta di capitale di rischio. Anzi, se vogliamo dirla tutta, al di là dei proclami ci sono stati veri disincentivi: negli ultimi 4 anni la tassazione sul capital gain (cioè quanto sono tassati i guadagni dalle vedite delle azioni, anche in startup, ndr) è cresciuta dal 12.50% al 26%. Inoltre i requisiti per aggregare investimenti sono stati irrigiditi da Banca d'Italia".

In che modo?
"Oggi per gestire 500 mila euro raccolti da dieci conoscenti per fare un invetimento in startup ha gli stessi oneri di vigilanza e governance di un fondo da mezzo miliardo. La stessa Banca d'Italia ci mette anche 18 mesi per autorizzare quei malaugurati che volessero avviare una nuova società di gestione del risparmio. E il nostro omologo dei "fondi di fondi" – ruolo svolto qui da FII – invece di essere un grande "serbatorio" per una quota della dotazione degli operatori di venture capital opera come piccolissimo serbatoio e con l'altra mano fa concorrenza ai propri beneficiari. Non solo disincentivi ma anche confusione di ruoli per anni, quindi crescita piatta, fino ad arrivare 2017 dove i pochi fondi italiani hanno quasi tutti terminato l'investment period e non avranno soldi da investire fino al 2018".

Quindi non è un calo che deve sorprendere. 
"È anche poco il calo che si è visto, se si togliessero dal calcolo i fondi esteri intervenuti in alcuni dei round maggiori vedremmo un calo ben più forte".

Si parla molto di startup come volano per la crescita economica, ma serve a poco. Quali sono le cause secondo te? 
"Le startup sono un volano per la crescita economica, per la redistribuzione di ricchezza, per l'efficientamento dei mercati. Quando le si sviluppa davvero. Il problema è che la classe politica di questo paese è legata ai vecchi poteri, a categorie economico-produttive che vogliono incamerare il fenomeno è possibilmente archiviarlo senza subire la disruption che l'innovazione porta. Se vuoi sintetizzo in 'protezionismo': non sia mai che venga fuori quel qualcuno che metta in crisi il modello di business di aziende del secolo scorso, bisogna impedirlo a nuovi imprenditori italiani e impedire l'accesso agli stranieri".

C'è una vulgata che comincia a diffondersi: le startup italiane non valgono molto, sono scarse. Quanto c'è di vero? 
"Questa sembra essere la soluzione narrativa in via di adozione da parte di tutti i signori che vogliono tentare di archiviare il finto tentativo di apertura al movimento startup – operato secondo modelli fantasiosi e inventati di sana pianta rispetto alle practice internazionali – come inadeguato all'Italia per una presunta minore qualità dei nostri founder. Fa ridere solo a sentirla".  

In Francia di Macron ha ingranato la sesta, e non è un Paese poi così diverso dall'Italia. 
"La Francia si è lanciata verso un abbraccio del domani forte e convinto, per cavalcare la tecnologia, mentre l'Italia naviga verso una totale e cieca protezione del passato, guidata da una classe politica convinta di potersi disinteressare del vero interesse collettivo e perfino fare nefandezze perchè quel che conta è controllare i titoli dei giornali e telegiornali per guidare l'opinione pubblica. Il brutto è che hanno in parte ragione perché questo è un paese di anziani che si informano così, ma diventa meno vero con ogni anziano che si digitalizza ogni giorno che passa". 

Secco: cosa dovremmo fare per invertire la tendenza?
"Di fare sul serio, seguendo le practice internazionali, copiando anzichè inventando di sana pianta modelli e schemi. E togliere fiato e visibilità ai benaltristi che confondono, intorbidiscono, e sguazzano nella confusione. La filiera delle startup e del venture business sono strettamente connesse e ben codificate, basta conoscerle per applicarne normativamente le logiche, ed inserire incentivi laddove si debba temporaneamente stimolare alcune categorie a fare delle cose in un certo modo. Servono interventi forti lungo tutta la filiera delle startup, sia a favore delle startup stesse che delle varie tipologie di soggetti che ne costituiscono il terreno di crescita, il concime e l'acqua. Abbiamo un vero Statista da qualche parte? Qualcuno che non solo come facciata pensi allo sviluppo del Paese, anziché alla spartizione delle sue spoglie? L'Italia ha tranquilllamente il potenziale per impiegare oltre 100mila persone in nuove startup tecnologiche in un ciclo virtuoso che crea e distribuisce ricchezza".  

Agi News