Tag Archive: storia

Storia di Zwap, piattaforma ispirata dal lockdown per trovare nuove opportunità di lavoro

AGI – Zwap è una piattaforma social web professionale, che utilizza i meccanismi dell’intelligenza artificiale, per mettere in contatto le persone che vogliono espandere la propria rete di contatti, per trovare nuove opportunità di lavoro, soprattutto come professionisti del digitale.

L’idea – contribuire a costruire “il futuro delle relazioni professionali” – è nata durante l’isolamento imposto ai tre giovani fondatori dal Covid.

Il sistema si differenzia da altri servizi web di rete sociale più noti, perché utilizza algoritmi per analizzare anche gli interessi, le passioni e gli obiettivi professionali affini tra gli iscritti e, in base agli orari e giorni indicati dagli stessi utenti, fissa incontri in videocall, per farli interagire tra loro.

Nata nel 2020 dall’intuizione di tre giovani under 30 – Federico Pedron, 26 anni, originario di Alghero (Sassari), Luigi Adornetto, 24enne di Roma e Luca Tamborino Frisari, 23 anni, di Bari – la startup ha sede in Sardegna, ad Alghero (Sassari), e attualmente conta circa 7 mila zwapper in Italia, distribuiti in più di 400 città italiane, di cui la maggior parte sono concentrati tra Milano, Roma e Torino, ma anche in capitali internazionali, come Londra e Berlino. 

L’identikit degli ‘zwapper’

L’età media degli iscritti, che hanno un background professionale medio di 2-3 anni, oscilla tra i 25 ai 45 anni. Le professioni più rappresentate sono quelle digitali: da chief marketing officer a startup founder e ceo, da giornalisti ad appassionati di prodotto, design e marketing.

Qualche giorno fa è stato chiuso un ‘round pre-seed’ per un finanziamento 200 mila euro, proveniente da alcuni investitori privati, che permetteranno alla startup di sviluppare ulteriormente il prodotto e di accelerare la crescita della piattaforma, prima a livello nazionale e poi anche all’estero.     

Già a dicembre 2021 Zwap aveva vinto il bando di finanziamento ‘Sardegna Startup Voucher’ dell’agenzia regionale Sardegna Ricerche, e si era aggiudicata 74 mila euro.

L’ispirazione durante il lockdown

Pedron spiega che l’idea di creare questa piattaforma web è partita da un’esigenza personale. “A marzo 2020, dopo un’esperienza di lavoro all’estero”, racconta l’ideatore di Zwap all’AGI, “sono rientrato in Sardegna e mi sono ritrovato catapultato nel bel mezzo dell’isolamento per il Covid. Insieme a Luigi e Luca, conosciuti online, ci siamo sentiti privati della possibilità di entrare in contatto con altri professionisti che ci avrebbero potuti ispirare e far accedere a nuove opportunità lavorative”.

Dopo la maturità classica ad Alghero, Pedron ha lasciato la Sardegna per proseguire gli studi all’università Cattolica di Milano, per iscriversi a una laurea triennale in Economia. Poi si è spostato a Dublino per la specialistica, con un master in Finanza. È rientrato Milano, dove ha iniziato a lavorare in una banca di investimenti.

Terminata questa prima esperienza professionale, Pedron è partito a Barcellona per lavorare in una nota azienda internazionale, che effettua il servizio di corriere a richiesta e acquista, ritira e consegna ai clienti i prodotti ordinati tramite la sua app.

Durante la pandemia, Pedron ha deciso di rientrare inizialmente in Sardegna, e di continuare a lavorare per la società spagnola da casa poi, quando la situazione sanitaria l’ha consentito, è ritornato di nuovo a Milano per lavorare per una startup che si occupa di micromobilità ed è specializzata in auto e monopattini elettrici.

“Durante questo periodo”, spiega Federico Pedron, “è nata Zwap e dopo sei mesi di lavoro intensi, a maggio 2020 io e gli altri due ragazzi abbiamo deciso di licenziarci dai nostri rispettivi lavori, per prenderci il rischio di portare avanti la nostra startup. Da quel momento abbiamo iniziato a lavorare a tempo pieno al nostro progetto. La nostra prossima sfida”, conclude, “è creare un team di giovani talenti e far conoscere il servizio il più possibile in Italia e all’estero”.


Storia di Zwap, piattaforma ispirata dal lockdown per trovare nuove opportunità di lavoro

Storia dell’azienda che assume solo ultra 50enni rimasti senza lavoro

Un'azienda al "contrario". Tra le numerose aziende che chiudono, ce n’è una che apre. Al contrario di chi offre lavoro precario, c'è chi mette in campo contratti a tempo indeterminato. A fronte di chi cerca di "giovani con esperienza", spunta chi assume soltanto cinquantenni reduci da disoccupazione, precariato e fallimenti.

La notizia arriva dal quotidiano La Nazione, che racconta come la MrKelp, azienda fiorentina nel settore dei multiservizi, si sia trasformata da semplice iniziativa imprenditoriale a caso più unico che raro.

Leggi ancheQual è il lavoro dei sogni degli italiani (secondo Linkedin)

Finora sono una ventina le persone assunte dalla MrKelp, guidata da tre coraggiosi imprenditori, Alessandro Marzocca, Simone Orselli e Serena Profeti. "Fin da subito abbiamo optato per assunzioni che privilegiassero l’inserimento di donne e uomini che avessero perso il proprio lavoro o dovuto cessare la propria attività a causa della crisi – spiega Alessandro Marzocca –. Vogliamo dare opportunità a persone sui cinquanta che si trovano in grande difficoltà, aiutandole ad inserirsi nuovamente nel mondo del lavoro".

Le storie 

Storie che raccontano di lavoro che sparisce, imprese che falliscono, stipendi e contributi non pagati. Di una vita dove rischia di venir meno la dignità di guardare in faccia la famiglia. Tra i neoassunti c'è Massimo che ha 56 anni e prima della crisi aveva un'azienda sua "Ho pensato che per me non ci sarebbe stato più spazio" – racconta – "Ci siamo rimessi tutti in discussione e, oggi, possiamo dire che la scommessa è vinta". E' così anche per Ercole, 57 anni senza speranza di poter tornare ad avere una busta paga "Erano cinque anni che non l’avevo più, sono riuscito a risollevarmi, a tornare vivere tranquillo". Carlo, invece, si è trovato a piedi dopo anni di contratti a tempo determinato. "Graduatorie improvvisamente chiuse e porta sbattuta in faccia a me e a molte altre persone. Posso garantire che stare senza lavoro, oggi, è qualcosa che non può esistere".

Cos'è MrKelp

"L’idea è nata da un gruppo di amministratori di condomini e immobili, a Firenze, che ha sentito l’esigenza di creare un servizio efficace e di qualità per le pulizie e le piccole riparazioni dei propri stabili" si presenta così sul sito ufficiale l'azienda toscana di multiservizi, nella sezione dedicata al Chi siamo. "Il compito principale di Mr. Kelp è quello di trovare soluzioni semplici e immediate per i problemi più diversi che, ogni giorno, possono venire alla luce nella gestione degli immobili".

I dati Istat

Secondo gli ultimi dati Istat, relativi al mese di agosto, si stima un aumento degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+0,3%, pari a +46 mila unità). L’aumento coinvolge principalmente gli uomini e si distribuisce in tutte le classi di età ad eccezione dei 35-49enni. Il tasso di inattività sale al 34,5% (+0,1 punti percentuali). Nell’anno, tuttavia sono aumentati gli occupati ultracinquantenni (+393 mila), mentre calano nelle altre classi d’età. Per i giovani tra i 15 e i 24 anni la percentuale dei disoccupati è del 31%. 

Agi News

Ma Savona vuole davvero il ritorno alla Lira? Breve storia del “Piano B”

Con una lettera Paolo Savona ha provato il 27 maggio a fugare i dubbi sulla sua posizione anti europeista. In un testo affidato a Scenarieconomici.it, sito a cui spesso il professore ha affidato le proprie riflessioni su economia, finanza e innovazione, dice: "Le mie posizioni sono note. Voglio un' Europa diversa, più forte ma più equa". Savona ha parlato di “polemiche scomposte” auspicando inoltre l'attribuzione "al Parlamento europeo di poteri legislativi sulle materie che non possono essere governate con pari efficacia a livello nazionale". Propone di "creare una scuola europea di ogni ordine e grado per pervenire a una cultura comune che consenta l'affermarsi di consenso alla nascita di un'unione politica". 

Parole però che non hanno tranquillizzato fino in fondo. Non sul tema più caldo, quello su cui molti si aspettavano qualche riga. Nella lettera infatti non si fa riferimento diretto all’euro, né alle sorti dell'Italia dentro o fuori la moneta unica. Savona è in questi giorni indicato da molti come l’ideatore di un piano B per risolvere la crisi dell’eurozona. Il primo, il piano A, prevedeva una riforma dell’area euro ma una sostanziale sopravvivenza della moneta unica. Il secondo, quello B appunto, una rottura ordinata dell’euro e un ritorno alla sovranità monetaria nazionale, alla libertà di creare moneta, di svalutare per favorire le esportazioni, in sintesi un ritorno ad una moneta nazionale come fu la Lira.

 

Ma Savona preferisce davvero la rottura dell'Euro?

In realtà Savona non sarebbe l’ideatore di questo piano di uscita ordinata dell’Italia dall’Euro, anche se ne parlò in alcune occasioni, come una puntata de L’infedele di Gad Lerner del 2012 che sta circolando molto sui social in queste ore. Savona, al minuto 8 di questo video ancora disponibile su Youtube, spiega alle telecamere che un piano per l'uscita ordinata dall'Euro e un ritorno ad una moneta nazionale, come era la Lira, era qualcosa che già l'ex ministro dell'economia Giulio Tremonti aveva preparato, dicendosi sicuro che anche Bankitalia, "conoscendola bene" aveva pronto un piano alternativo all'Euro in caso di emergenza: il famoso Piano B, che però non dice mai di preferire ad una riforma dell'Euro stando dentro l'Euro. 

In articolo sempre su Scenarieconomici.it pubblicato il 27 maggio si ricostruisce la storia del Piano B e della sua relazione con Savona, che oggi si dà per scontata: emerge che nel 2015, durante una conferenza alla Link University di Roma intitolata proprio “Un piano B per l’Italia, Paolo Savona fece solo l’introduzione alla discussione, dove però si concentrò solo sul piano A, quello che spesso ha detto di preferire, ovvero una serie di misure necessarie  “per rendere l’Euro una moneta veramente comune ed unitaria europea”.

Mentre in realtà il Piano B sarebbe stato il frutto del lavoro di un team di economisti non concepito come “una strada da percorrere, ma come un piano di emergenza a fronte di eventi monetari improvvisi e di rottura”. Una sorta di “Lancia di salvataggio” o di “Uscita d’emergenza” economica, spiega l’articolo che ricorda l’evento, “che viene progettata non per un suo normale utilizzo, ma per far fronte ad eventi imprevedibili ed indesiderati che, comunque, potrebbero accadere non per nostra volontà”.

 

@arcangeloroc

Agi News

Storia di La Perla, l’ultimo simbolo (sexy) del made in Italy acquistato all’estero

Pochi sanno che La Perla ha vestito, se di vestito si può parlare, anche l'attore Daniel Craig che nel 2006 nel film di 007 Casino Royale, indossò un costume da bagno Grigioperla. Cimelio che nel 2012 è stato poi battuto dalla casa d'aste Christiès in occasione del cinquantenario del primo film di James Bond, per 44.450 sterline (oltre 50 mila euro).

Comunque sia, La Perla è sempre stato sinonimo di lingerie di gran lusso, ed ora diventa un altro di quei gran pezzi del Made in Italy che se ne va, venduta al fondo olandese Sapinda.

Il nome dell'azienda venne ispirato da una scatola foderata in velluto rosso, simile ad un cofanetto da gioielliere, in cui erano inserite le prime collezioni. E quindi La Perla venne scelto come nome per simboleggiare l'armonia, il lusso e la femminilità.

Per oltre 60 anni, è stato così un marchio celebre principalmente per la produzione di lingerie, e poi in seguito anche di costumi da bagno, dalla linea estremamente raffinata e con materiali e tecnologie di pregio (ad esempio il ricamo Cornelly, il macramè, la seta soutache, l'antica tecnica del ricamo a frastaglio e la dentelle de Calais).

Guidata dalla fondatrice Ada Masotti dal 1954 al 1981, l'azienda passò alla sua morte al figlio Alberto Masotti che dopo aver conseguito una laurea in medicina, decise di dedicarsi interamente all'impresa di famiglia, guidandola dal 1981 al 2007.

2008. La Perla passa ad un fondo di San Francisco

Dopo un quarto di secolo, nell'ottobre del 2008 La Perla venne venduta a JH Partners, una private equity con sede a San Francisco e focalizzata sugli investimenti in aziende di servizi e marchi di lusso.

2013. L'acquisto da parte di Silvio Scaglia

Nel 2013 è ritornata italiana, essendo stata acquisita dall'imprenditore Silvio Scaglia, tramite la holding Pacific Global Management, che ha comprato l'azienda all'asta organizzata dal tribunale fallimentare di Bologna per 69 milioni di euro rilanciandola successivamente con un piano di sviluppo mirato al consolidamento dell'identità del marchio. Per questo scopo sono stati investiti 350 milioni.

Dopo l'interesse suscitato ai cinesi, è partita poi la trattativa in esclusiva con Fosun (proprietaria dei club Med e del Cirque de Soleil), scaduta a metà gennaio e infine naufragata. Secondo fonti vicine all'operazione, i motivi della rottura con Scaglia vertevano su investimenti e produzione.

Oggi la società che ha un quartier generale a Londra, 150 negozi monomarca sparsi nel mondo e 1.500 dipendenti, passa in mani olandesi. Il fatturato dell'azienda viaggia intorno ai 150 milioni di euro, mentre il pareggio di bilancio è fissato ad un fatturato di 220 milioni. Secondo alcuni calcoli, perde tra gli 80 e i 100 milioni di euro l'anno.

Gli altri brand di lusso passati in mani straniere

 La Perla è solo l'ultimo di una lunga lista di brand del lusso made in Italy che sono finiti in mani straniere. Tra gli altri casi più significativi, quello di Gucci acquisita dalla holding francese Kering nel 1999 per 3 milioni di dollari. Un affare che si è rivelato tale nel tempo visto che il fondo internazionale ha contato nel 2017 oltre 3 miliardi di ricavi supplementari e più di un miliardo di crescita del risultato operativo.

Risultati dovuti innanzitutto alla crescita di Gucci (da solo il marchio vale 6,2 miliardi di euro). Oltre Gucci, Kering ha successivamente acquisito nel 2001 il prestigioso marchio italiano di pelletteria Bottega Veneta, la quale negli ultimi anni ha contribuito molto ad aumentare i guadagni della multinazionale, anche se attualmente sta registrando un forte calo delle vendite dovuto – secondo Kering – alla diminuzione dei turisti soprattutto in Europa occidentale. C'è da segnalare che poi a sua volta Gucci ha acquisito Richard Ginori.

Kering ha acquisito Puma nel 2007 nella propria divisione Sport & Lifestyle per aggiungere nel 2013 nel suo portafogli tra i suoi brand anche Pomellato, società fondata nel 1967 da Pino Rabolini, e prestigioso marchio di gioielleria. Nel 2013 i francesi di Lmvh hanno invece acquisito Loro Piana, la prima azienda artigianale al mondo nella lavorazione del cashmere e delle lane più rare, sviluppando una rete di oltre 130 negozi esclusivi nel mondo per la distribuzione dei prodotti con il suo marchio. Costo dell'operazione: 2 miliardi.

Il gruppo francese guidato da Arnault aveva già rilevato all'epoca lo storico marchio di gioielli romano Bulgari con un'operazione da 4,3 miliardi di euro nel 2011 e poi anche Fendi.

Ha suscitato invece scalpore nel 2011 la vendita della storica catena di grandi magazzini milanesi, fondata nel 1865, La Rinascente ad una società thailandese, la Central Retail Corporation, il principale distributore del Paese orientale. Insomma, le griffe italiane fanno gola non solo alla Francia ma anche all'estremo Oriente considerato anche l'esempio di Krizia, storico marchio della moda made in Italy, che è passata di mano finendo sotto il controllo della cinese Shenzhen Marisfrolg Fashion Co Ltd, azienda leader sul mercato asiatico del pret-à-porter di fascia alta.

Infine, un altro caso eclatante è stato quello di Valentino Fashion Group (Vfg, che comprende il marchio omonimo e la licenza per il marchio M Missoni), passato nel 2012 per oltre 700 milioni di euro (i dettagli dell'operazione restano segreti) alla Mayhoola for Investment, società del Qatar riconducibile allo sceicco Hamad bin Kahlifa al Thani.

Da segnalare, invece, un'operazione finanziaria in cui l'acquirente è stata un'impresa tricolore. La Moncler, azienda d'abbigliamento che produce in particolare capi invernali fondata da un imprenditore francese nel 1952 e famosa per i suoi 'piuminì, è dal 2003 proprietà dell'imprenditore italiano Remo Ruffini. 

Agi News

Storia della Gibson, e perché adesso rischia il fallimento 

Il celebre produttore di chitarre Gibson, i cui strumenti sono passati nelle mani, tra gli altri, di John Lennon ed Elvis Presley, rischia la bancarotta. L'azienda con sede a Nashville, nel Tennessee, che ha più di cento anni (Orville Gibson cominciò a costruire mandolini nel 1894 a Kalamazoo, in Michigan), ha accolto oggi il nuovo chief financial officer Benson Woo, che cercherà di salvarla dal mare di debiti in cui rischia di affogare.

La società ha contestualmente diffuso una nota in cui riferisce che Gibson Brands, che vende anche sistemi audio per il grande pubblico e per professionisti, sta "attualmente" lavorando con una banca per stabilire un piano di rifinanziamento del debito. Secondo il 'Nashville Post', il gruppo dovrà pagare 375 milioni di dollari entro inizio agosto, quando scadrà il prestito obbligazionario.

Oltre a questo, un prestito bancario di 145 milioni scadrà in tempi brevi, a meno che non venga rifinanziato prima del 23 luglio. "Stiamo monetizzando gli assett che non hanno raggiunto risultati soddisfacenti", ha spiegato l'ad Henry Juszkiewicz, "è importante tornare al successo economico, solo così potremo rifinanziare la società".

Secondo Juszkiewicz la sezione strumenti musicali è ancora in salute ma non produce guadagni al livello delle aspettative. Da qui la revisione completa del bilancio e della strategia del gruppo, nella speranza di "ripagare completamente i debiti nei prossimi anni". Tra le star le cui dita hanno accarezzato e fatto vibrare le corde delle Les Paul, le SG, le Flying V Gibson, ci sono B.B. King, Keith Richards (Rolling Stones), Jimmy Page (Led Zeppelin), Bob Marley, Carlos Santana e molti altri.

Storia della Gibson e della storica rivalità con la Fender

La Gibson Guitar Corporation nasce oltre 120 anni fa. C'è chi dice che senza la Gibson probabilmente non ci sarebbe stato il rock. L'azienda nasce a Kalamazoo, nel Michighan, poi alla fine degli anni Settanta si trasferisce a Nashville, nel Tennessee, uno dei Templi della musica Usa. Le sue fabbriche producono chitarre acustiche, violini, banjoo, ma la sua storia è legata soprattutto alla nascita della chitarra elettrica.

Nel 1952 sforna la mitica Gibson Les Paul, tuttora prodotta con forma, materiali ed elettronica sostanzialmente invariati rispetto al modello originale. La Les Paul e la Fender Stratocaster si contendono la palma delle chitarre più famose della storia del rock: sono rivali, un pò come i Beatles e i Rolling Stones. Si tratta di due chitarre completamente diverse: la Stratocaster ha un suono tagliente, ma anche dolce, versatile, con un inclinazione al blues, è considerata la Rolls Royce delle chitarre; la Les Paul ha un suono più pastoso e ricco di bassi, adatta al rock e alle sonorità più distorte, è come a una Ferrari. La prima è più classica, la seconda è più dura, cattiva, rabbiosa, molti grandi musicisti le hanno suonate entrambe.

I fan della Gibson, i fan della Fender

Tra i fan della Gibson, per citarne solo alcuni, ci sono: B. B. King, Paul McCartney e George Harrison dei Beatles, Neil Young, il grande Jimmy Page dei Led Zeppellin, Keith Richards e Ronnie Wood dei Rolling Stones, Carlos Santana, Edge degli U2, Pete Townshend, chitarrista degli Who, che la distrugge sul palco nel 1976, Bob Marley, che viene addirittura sepolto assieme alla sua Les Paul e a una bibbia.

La Stratocaster invece è passata per le mani di Bob Dylan, Jimi Hendrix, che la brucia sul palco nel 1967, Eric Clapton, Kurt Cobain, David Gilmour dei Pink Floyd. Le corde di queste due chitarre tracciano la colonna sonora di questi ultimi 60 anni di musica e la Gibson, che ora rischia di scomparire, è nettamente la più anziana delle due: oltre 120 anni di storia, contro i 60 della Fender, nata nel 1949.

Il fondatore della Gibson Corpopration è Orville Gibson, nato in un paesino dello Stato di New York, che si trasferisce giovanissimo in Michigan. A Kalamazoo, Gibson inizia a lavorare in un negozio di scarpe, poi come cameriere, ma il suo hobby è intagliare il legno per ricavarne mandolini, che crea in un'unica stanza, adibita a laboratorio e a negozio. è il 1894, Gibson è un autodidatta, non lavora secondo una tecnica acquisita, la sua manualità è un dono, che gli permette di creare chitarre acustiche e mandolini.

Nel 1902, fonda la Gibson Mandolin-Guitar Manufacturing Company, insieme con altri cinque investitori. Orville muore nel 1918, a 62 anni, lasciando l'azienda a un gruppo di abili impiegati. Tra questi c'è il musicista e ingegnere del suono, Lloyd Loar, il creatore, nel 1922, della L-5, considerata il primo esempio di chitarra acustica moderna. Negli anni Trenta l'azienda introduce la sua prima chitarra elettrica. La leggendaria Es-150 arriva nel 1936, diventa lo strumento del grande musicista jazz Charlie Christian e poi di Billy B. King. Ancora oggi molti jazzisti la considerano la migliore chitarra mai prodotta.

'Les Paul' e l'incidente che cambia la storia della musica

Ma il miracolo musicale deve ancora arrivare. Alla fine degli anni Quaranta Gibson ingaggia Lester William Polfuss, detto 'Les Paul', innovatore delle tecniche di registrazione, sperimentatore di strumenti musicali. Nel 1948, dopo aver suonato con i più bei nomi del jazz dell'epoca, Lestern è coinvolto in un gravissimo incidente stradale in cui si frantuma il braccio destro.

I chirurghi gli dicono che non avrebbe mai più avuto l'uso normale del braccio: il gomito sarebbe rimasto bloccato qualunque fosse la posizione che gli volevano dare. Les Paul chiede di fissarglielo piegato, in modo da poter continuare a suonare la chitarra. E così fu. Sperimentatore musicale di eccezionale talento, per l'azienda, Les Paul realizza nel 1939 la prima solid body, una chitarra che chiama The Log, il tronco: non più una cassa armonica vuota, ma piena, in modo da permettere alle corde una sonorità completamente diversa. è da considerarsi l'antesignana della chitarra elettrica.

Tuttavia è anche qualcosa di talmente rudimentale per gli artigiani liutai della Gibson, che il progetto viene messo da parte fino al 1950 quando Leo Fender presenta la sua Broadcaster, l'antenata della Stratocaster. A quel punto per la Gibson diventa importante avere la sua versione di una solid body, da contrapporre a quella dei concorrenti californiani e l'azienda, nel 1952, accogliendo i suggerimenti di Les Paul, progetta la `Gibson Les Paul, la chitarra diventata il simbolo del rock&roll.

Quattro sono i modelli in cui la chitarra viene prodotta: Junior, Special, Standard e Custom. Nel luglio del 2005, in occasione dei suoi 90 anni, la Carnegie Hall di New York riserva a Les Paul un concerto memorabile, al quale prendono parte molti virtuosi della chitarra come Josè Feliciano, Peter Frampton, Steve Miller. Al termine del concerto la Gibson Corporation dona al grande inventore una Les Paul nuova fiammante, fatta su misura. è uno degli ultimi momenti felici, poi arrivano i debiti, e adesso il fallimento incombente. 

Agi News

Storia di Yoox, l’ex startup italiana che oggi vale 5,3 miliardi

5 ottobre 2015. Alle 9.00 del mattino la campanella di Piazza Affari suona il primo vero trionfo della digital economy italiana. In elegante abito scuro e volto visibilmente emozionato, Federico Marchetti, fondatore e amministratore delegato di Yoox, fa debuttare in Borsa la newco nata dopo la fusione con Net-A-Porter. Si chiama Ynap, un colosso dell'e-commerce capace di generare un volume d'affari da 2 miliardi l'anno e che adesso Richemont ha deciso di acquistare offrendo 38 euro per azione. 

Quel 5 ottobre, l'intero palazzo della Borsa fu addobbato con un fiocco nero. Come un enorme pacco regalo nel cuore di Milano. Era un po' il regalo che Yoox faceva all'intero settore della moda italiana, portandola online. E alcuni dei personaggi più influenti della moda italiana erano lì. Riuniti sul parterre (anche questo nero) che copriva le scale di Piazza Affari, salutano l'evento tra gli altri Renzo Rosso (Diesel), Lapo Elkann (Italia Independent) e il numero uno di Borsa Italiana Raffaele Jerusalemi.

"Quando ho fondato la mia startup ho ragionato sul fatto che L'Italia è il primo produttore di prodotti di alta moda, e il terzo consumatore al mondo. Ho cercato di portarla online", aveva detto allora ai cronisti Marchetti. E ci è riuscito. Perchè da allora, quando dopo la quotazione raggiunse un valore di 3,8 miliardi, Yoox divento ufficialmente il primo (e unico) unicorno italiano, ovvero una tech company con una valutazione superiore a un miliardo. Difficile crederlo, ma Yoox era una startup, anche se al tempo in cui di startup non si parlava molto, almeno in Italia. 

L'inizio, vero, in un garage

Dietro Yoox ci sono tutti i classici elementi della storia di una startup. E a guardarli bene si possono leggere tutti i passi, e gli eventi, che servono per crearne una di successo, e cosa oggi manca alle nuove digital company per fare lo stesso.

Partiamo da un'icona. La più classica di tutte: il garage. È davvero il posto da cui tutto è partito per Yoox. Un garage a Casalecchio di Reno, Bologna, dove Marchetti (che in realtà è nato 49 anni fa a Ravenna), ha lanciato Yoox.

Siamo alla fine del 1999 quando Federico Marchetti, allora trentenne, decide di lasciare il suo lavoro per fare un'azienda sua. Una laurea alla Bocconi, un master alla Columbia University, e poi la scelta di diventare imprenditore in proprio mentre collassava la net economy con lo scoppio della bolla dotcom che l'ha gonfiata. Proprio mentre i venture di allora, così propensi a finanziare qualsiasi tipo di startup che si occupasse di internet, chiudevano i rubinetti. 

 Marchetti per partire cerca i primi contatti sulle pagine gialle. "Allora Google non era ancora così usato per cercare numeri e contatti di persone", scherza. E gli capita sotto gli occhi il nome di Elserino Piol, l'uomo d'affari "geniale e ruvido" che ha finanziato imprese come Vitaminic, Click.it, ma soprattutto Tiscali con i due fondi legati di Kiwi. Il padre del venture italiano, per alcuni il "vero padre dell'Internet in Italia". In sintesi, l'uomo che più è stato in grado di far diventare business veri le più grandi innovazioni tecnologiche italiane.
 

Il primo finanziamento: 3 miliardi. Nasce Yoox, un nome particolare

 

Piol dà a Marchetti 3 miliardi di lire per cominciare. Una cifra enorme, quasi impossibile da racimolare oggi per qualsiasi startup nostrana che al massimo per iniziare può ambire a 100.000 euro. Ma nemmeno allora era così frequente. Però a Marchetti capita il colpaccio. "Tre miliardi sono tanti", ha detto in un'intervista a Repubblica nel 2014, "ma nemmeno troppi. In Gran Bretagna o in Germania i finanziamenti sfondano il tetto dei 10 milioni, è così che si fa crescere una startup. Non si fa un matrimonio coi fichi secchi". 

La società nasce a marzo 2000. Il nome è un pò sofisticato, ma per Marchetti era tra le cose nemmeno da discutere. La Y e la X sono in simboli che in medicina rappresentano l'uomo e la donna. In mezzo due "O" che sono la lettera più simile allo "0" che sta per il dna. Yoox nel nome vuole collegarsi al mondo maschile e femminile della moda, con un dna che la leghi a internet.

Aprono i battenti il 21 marzo, il primo giorno di primavera. La loro primavera. "La prima commessa? In Olanda, perchè Yoox nasce già con un respiro internazionale. La ricordo ancora è arrivata il 21 di giugno dello stesso anno", tre mesi dopo. Era il primo giorno d'estate. E ogni anno festeggiano il compleanno di Yoox il primo giorno d'estate con una mega festa con tutti i dipendenti, "la vera forza di Yoox".
 

Il Mago di Oz della moda italiana

In ufficio pare che chiamino Marchetti il Mago di Oz. Si impone, ha un carattere molto forte e un pò è temuto dai dipendenti, ma chi lo conosce bene sa che non c'è nulla da temere. è uno che deve prendere le decisioni. E non è mai facile farlo.

Yoox cresce. Conquista i giornali di mezzo mondo, è tra le più forti digital company europee. Il fatturato aumenta di anno in anno, con una progressione che una startup deve avere. Nove anni dopo è un colosso e sbarca in Borsa. La società all'inizio era di Marchetti per il 9,8%, mentre il 70% era in mano ai fondi Kiwi, con un 20% in possesso di altri investitori. Il 2009 è l'anno dell'Ipo al segmento Star della Borsa Italiana: le azioni valevano 4,3 euro per una valutazione di circa 95 milioni.

Negli anni successivi i fondi di venture hanno ridotto gradualmente la loro presenza nell'azionariato. Il flottante (le azioni scambiate in Norsa) fino al 2014 rappresentavano l'80% dell'intero pacchetto azionario. Wired Uk nota la sua storia e gli dedica una copertina riuscitissima. "Fashion goes Tech" (il fashion diventa tech), titolava il magazine su una sua immagine in giacca e cravatta con un cipiglio da uomo d'affari, ma con l'aria ancora scanzonata dello startupper.

Nel 2015 un'altra primavera. A fine marzo nasce la Yoox Net-a-porter dalla fusione tra la società del "ragazzo" di Ravenna (oggi 49 anni) con un altro colosso dell'ecommerce, Net-a-Porter. Nella nuova società il 50% delle quote erano in mano a Yoox, il resto a Richemont. La newco valeva 1,3 miliardi. Ma alla guida rimane Marchetti, mentre il capo di Net-a-Porter Natalie Massenet diventa presidente.

Richemont lancia l'Opa, valuta l'azienda 5,3 miliardi

Il 22 gennaio l'ultimo atto: Compagnie financiere de Richemont annuncia il lancio di un'Opa totalitaria su Yoox Net-A-Porter a un prezzo di 38 euro per azione. Il gruppo è già azionista di maggioranza relativa con una quota del 24,97%. Il prezzo rappresenta un premio del 25,6% rispetto alla chiusura di borsa di venerdì e del 27% rispetto al prezzo medio ponderato nei 3 mesi precedenti e sarà interamente pagato in contanti. Il 100% significherà per Marchetti e primi investitori l'exit, probabilmente definitiva. Che potrebbe magari significare l'inizio di una nuova avventura imprenditoriale.

L'esborso massimo per Richemont nel caso di adesione completa all'Opa lanciata su Yoox sarà di 5,7 miliardi di euro. L'offerta riguarda il 75,03% del capitale, vale a dire 68,463 milioni di azioni, più ulteriori 2,328 milioni di azioni che Yoox potrebbe emettere al servizio delle stock option per manager e dipendenti, ed eventualmente altre 2 milioni di azioni da emettere nel caso di un cambio di controllo.

Federico Marchetti si è impegnato ad apportare all'offerta tutte le azioni ordinarie di Yoox di cui è titolare, pari al 5,7% del capitale, oltre a tutte quelle che acquisirà prima della data di avvio dell'offerta. Il patto parasociale tra Richemont e Marchetti si risolvera' per mutuo consenso. L'offerta è finalizzata alla revoca del titolo dalla quotazione di borsa, che potrà derivare dal raggiungimento di una quota di almeno il 90% di Yoox o dalla fusione tra questa e Rlg Italia, la società veicolo di Richemont che lancerà l'offerta. 

Agi News

Storia dell’auto elettrica made in Puglia, nata dalla chiusura di una fabbrica di carrelli. Tua

Sabato 9 settembre alla Fiera del Levante è stata presentata ‘Tua’, la "prima macchina elettrica realizzata interamente in Italia". Progettata dalla Tua Industries, è realizzata interamente in alluminio – pesa soltanto 600 kg – ha un’autonomia di 200 km per ogni ricarica e dovrebbe debuttare sul mercato entro l’estate prossima. Lo stabilimento, ex Om Carrelli, inizierà in questi giorni ad assumere i 192 operai della vecchia gestione. Ma a regime la fabbrica dovrebbe occupare circa 440 addetti.  La presentazione di questa ambiziosa minicar non rappresenta soltanto un traguardo per la Puglia, dove risiede lo stabilimento in cui verrà prodotta, ma anche un giorno importante nella storia industriale italiana.

L'azienda in crisi, poi i dipendenti la salvano

Infatti le vicende di questa azienda iniziano lontano, con la Om Carrelli e una vertenza che si trascina da sei anni. A causa di previsioni economiche sfavorevoli, nel 2011 il gruppo Kion, leader mondiale nella produzione di carrelli industriali, aveva reso nota l’intenzione di abbandonare lo stabilimento di Modugno, lasciando a casa 320 operai. Dal 2008 al 2013 la società aveva perso 23 milioni di euro e, una volta usufruito di tutti i benefici economici e tenuto gli operai in cassa integrazione per mesi, aveva deciso unilateralmente di spostarsi ad Amburgo. La decisione era arrivata a casa degli operai da un momento all’altro, con una lettera. E così la tensione tra sindacati, Regione Puglia, Kion e gli operai, e a fine aprile all’occupazione dello stabilimento da parte dei lavoratori.

Ingressi presidiati e macchinari e carrelli per un valore di 12,5 milioni di euro ancora intrappolati nella fabbrica. A luglio due tir mandati dall’azienda erano riusciti a eludere la sorveglianza degli operai, tranciando un lucchetto e passando da un ingresso sul retro. Per i dipendenti l’occupazione della fabbrica e l’immobilizzazione del patrimonio al suo interno era un’azione strategica per ottenere che si discutesse del loro futuro. Il giorno intervennero le camionette della Digos e il sindaco di Modugno Nicola Magrone per riportare la calma.        

Il protocollo d'Intesa con in ministero dello Sviluppo

Ma nel 2015 un fondo statunitense ridisegna il destino di Modugno. La Lcv Capital Management, un gruppo d'investimento statunitense, inizia ad annusare l'aria su due siti chiave: Gioia Tauro e Modugno. All'inizio si era parlato di un investimento di 120 milioni per tutte e due, ma solo il progetto barese resterà in piedi. Il passo è breve: prima il protocollo d’intesa a Roma, presso il ministero dello Sviluppo Economico, che riaccende le speranze delle famiglie dei dipendenti. Poi a dicembre, con l’accordo tra il ministero e la Lcv-Tua Autoworks veniva varato il piano per la riconversione dello stabilimento di Modugno. “È stata una battaglia lunga cinque anni, non sono mancati momenti difficili, ma non abbiamo mollato mai al fianco dei lavoratori, dei sindacati e delle famiglie” aveva dichiarato Antonio Decaro, presidente della Giunta Regionale, annunciando per la prima volta che l’impianto avrebbe prodotto una “utilitaria a basso costo alimentata anche con motore elettrico”.

La nascita di Tua

Oggi ‘Tua’ è realtà e dà sollievo vedere un così felice epilogo per una storia tanto combattuta. Il lavoro tecnico è in uno stadio avanzato e la società sta procedendo con il rinforzo azionariale. “Grazie all'aiuto della Regione Puglia siamo abbastanza avanti” dice l'amministratore delegato della 'Lcv-Tua Autoworks', Giovanbattista Razelli, “a questa situazione è collegato il piano industriale e l'obiettivo è di chiudere entro questo mese con i nuovi soci, e di portare gli operai in addestramento in fabbrica prima della fine del 2017, con i relativi piani di produzione che saranno avviati e la consegna ai clienti, che, ad oggi, è possibile fissare prima delle ferie estive del prossimo anno.

La distribuzione sarà 'multicanale', dai clienti 'grandi aziende' al cosiddetto 'ultimo miglio' per i veicoli commerciali, sino ai privati che potranno acquistare 'on line'.

"Una macchina che arriva dalla cultura delle cose fatte bene"

‘Tua’ viene “dalla cultura delle cose fatte bene, ogni giorno, partendo da progetti umili e realizzabili” dice Michele Emiliano. “Come umile e realizzabile è il caso della OM carrelli, i cui operai e tecnici, che dopo aver subito la chiusura, hanno con il contributo attivo dello Stato, Regione e comuni di Bari e Modugno dato vita alla prima auto elettrica prodotta in Italia”. Non resta che fare gli auguri agli operai di Modugno, la cui tenacia è il primo carburante di cui si alimenta ‘Tua’.

Agi News

Caduta di un imperatore. Storia di Mr. Samsung 

Corruzione, falsa testimonianza e appropriazione indebita. Queste le accuse che hanno portato all’arresto del vice presidente di Samsung Lee Jae-yong , erede designato del primo produttore globale di smartphone, un impero industriale da oltre 80 miliardi di dollari, secondo solo ad Apple e Google.

Le manette sono scattate nell’ambito della maxi-inchiesta che ha portato alla destituzione della presidente della Corea del Sud, Park Geun-Hye. Secondo i giudici c'era il rischio che Lee potesse occultare, o distruggere prove importanti, essenziali per ricostruire lo scandalo politico che ha coinvolto Park, il primo presidente donna del Paese asiatico, una vicenda complessa, a base di tangenti e intrighi politici, dove Samsung gioca un ruolo importante, insieme ad altri 'chaebol', le grandi conglomerate a conduzione familiare che controllano, in maniera non sempre trasparente, gran parte dell'economia sudcoreana.

Chi è Lee Jae-yong

Il procedimento contro Lee rischia di durare a lungo, circa 18 mesi, e Samsung deve correre ai ripari, visto che Lee, 48 anni, è destinato a succedere al padre, Lee Kun-hee, dimessosi una prima volta nel 2008 per un’inchiesta sui di fondi neri della compagnia e tornato al potere due anni dopo, per poi lasciare ancora nel 2014 per un attacco di cuore.

E’ in questo momento che la guida dell’azienda passa a Lee junior. Nato a Washington, l’erede  si e' laureato all'Università di Seul, ha proseguito i suoi studi in Giappone e ha poi frequentato la Harvard Business School, senza però ricevere un diploma di dottorato. L’ingresso in azienda risale al 1991. Nel 2009 arriva la nomina a chief operating officier di Samsung Electronics, nel 2012 quella di vice presidente dell’intero chaebol.

Le tangenti versate alla sua confidente

Lee e' accusato dai giudici che indagano sul caso Park di aver versato tangenti a un oscuro personaggio, Choi Soon-Sil, confidente della presidente, priva di un incarico ufficiale e ribattezzata la 'Sciamana', o la 'Rasputin' sudcoreana.

La donna è finita sotto inchiesta per aver utilizzato la sua influenza su Park per estorcere denari alle grandi aziende sudcoreane. Pur di acquisirne i favori ed entrare nelle sue grazie, le grandi conglomerate sudcoreane avrebbero versato milioni di dollari a fondazioni private da lei create, uno scandalo che ha portato lo scorso dicembre alle dimissioni della presidente. Samsung sarebbe stata la più generosa: avrebbe donato oltre 30 milioni di dollari alla ‘sciamana’, più di Hyundai, SK, LG e Lotte.

A chi andavano i soldi

Samsung è anche sospettata di aver versato 2,8 milioni di dollari alla Widec Sport in Germania, una società controllata da Choi.

I soldi sarebbero serviti a sviluppare le attività della federazione nazionale di equitazione, in vista delle Olimpiadi di Tokyo del 2020, anche se poi cifre ingenti sarebbero servite per pagare il cavallo usato dalla figlia di Choi, Jeong Yu-ra, e i suoi allenamenti.

I rapporti tra Lee e Choi non si limitano alle tangenti ma si legano anche all'ascesa del giovane erede designato ai vertici del gruppo. La Rasputin di Seul infatti avrebbe fatto da intermediaria per convincere un importante azionista della compagnia, il fondo pubblico Nps, il quarto al mondo per valore di asset, ad approvare nel 2015 la fusione tra due divisioni di Samsung, Cheil Industries e Samsung C&T, una controllata attiva nelle costruzioni.

Il voto di Nps risultò decisivo per approvare la fusione, un'operazione, del valore di circa 8 miliardi di dollari, fortemente avversata dall'azionista Usa di Samsung, Elliot Associates, e che è servita per lanciare al verice Lee Jae-Yong. Lee infatti si e' ritrovato a controllare il 17% della nuova società, che a sua volta detiene la maggioranza di Samsung Electronics. Una strada verso la presidenza apparentemente spianata e interrotta da uno scandalo che ha fatto tremare i vertici dell’establishment politico ed economico sudcoreano. 

Agi News

Vino: il’taglio’ bordolese fra mito e storia del Fiorano Rosso’56

(AGI) – Roma, 30 set. – La piu’ vecchia bottiglia di taglio bordolese italiano, etichettata e reperibile sui mercati per la gioia dei collezionisti di tutto il mondo, risulta essere quella del Fiorano Rosso 1956 della Tenuta di Fiorano del Principe Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi. Il Fiorano Rosso e’, con molta probabilita’, il primo taglio bordolese in Italia proposto alla vendita al pubblico con una sua etichetta e che continua tutt’ora ad essere prodotto: il suo “genitore” fu il principe Alberico Boncompagni Ludovisi, la “continuita’”, con stessa etichetta, uvaggio, filosofia e maestranze in vigna e in cantina, e’ opera del nipote Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi.
La storia moderna della Tenuta di Fiorano risale alla prima meta’ del secolo scorso, a far data nel 1946. Negli stessi anni, anche il marchese Mario Incisa della Rocchetta aveva lavorato appassionatamente al “suo” taglio bordolese per la produzione del Sassicaia: la prima bottiglia in commercio del Sassicaia fu quella relativa all’annata 1968. Il Marchese Mario e il Principe Alberico frequentavano verosimilmente lo stesso ambiente aristocratico romano, per cui si puo’ dire che l’idea di voler produrre grandi vini in Italia – all’epoca identificati nel blend bordolese – si riconduce a quella cerchia molto legata alla Francia con la quale poter condividere una certa idea di qualita’, di bello e di rinascita dalla Guerra. L’impronta di una visione piu’ personale, tra Mario e Alberico, si puo’ cercare nella ricerca dei consulenti: il primo si avvale di professionisti internazionali e fa uso di barrique, il secondo segue una strada piu’ italiana avvalendosi anche della consulenza di Tancredi Biondi Santi e optando per l’utilizzo di botti grandi.
Dunque due storie fondamentali per la nascita di una nuova era del vino italiano, della quale, per fortuna, abbiamo ancora testimonianza concreta delle storiche origini: meno di un anno fa, l’8 novembre 2015, all’asta internazionale di vini ad Hong Kong, organizzata dalla Gelardini&Romani Wine Auction, il lotto 285, relativo ad una singola bottiglia di Fiorano Rosso 1956 ha fatto salire la febbre agli appassionati di vini storici; partendo da una base d’asta di 1,400 HKdlr e’ stato alla fine battuto a 9,000.00 HKdlr, pari ad un valore di circa 1.070 euro.
(AGI)
Red

Agi News