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A maggio l’inflazione Usa è stata oltre le attese

AGI – Corre l’inflazione negli Stati Uniti oltre le attese: a maggio su base annuale ha registrato un rialzo del 5%, contro il 4,2% precedente, e oltre le attese del 4,7%. Si tratta dell’aumento più sostenuto da agosto 2008. Su base mensile è cresciuta dello 0,6%, contro lo 0,4% stimato e lo 0,8% di aprile. L’inflazione ‘core’ è salita dello 0,7% contro lo 0,4% previsto. 


A maggio l’inflazione Usa è stata oltre le attese

È stata presentata la nuova 500

AGI – “Oggi parliamo di rinascita, rinasce la 500, rinasce un simbolo, rinasce un sogno italiano, a 63 anni dalla prima generazione”. Lo ha dichiarato il responsabile del brand Fiat di Fca Olivier Francois presentando al Lingotto la nuova 500, svelata nella sala della Pinacoteca Agnelli con tanto di mascherina.

“Il Covid – ha detto Francois – ci ha abituato a parlare di un “prima” e di un “dopo”, vero? Bene, io non sono qui per parlarvi di storia, ma per raccontarvi come la 500 può dare il suo contributo a un domani migliore”. “Fatemi dire – ha aggiunto – che questa mascherina, la 500 la porta con orgoglio. Perché è il simbolo dell’impegno di Fca per la ripartenza”.

La nuova Fiat 500 elettrica, presentata al Lingotto di Torino avrà un prezzo, al netto degli incentivi, da 19.900 per la versione “Entry”, 23.700 per la “Mid” e 25.200 per la “High”. Dice Francois: “Questi sono prezzi con gli incentivi a cui tutti noi abbiamo accesso. Ma per quelli che rottamano, costa addirittura meno di una 500 attuale”.

“Abbiamo voluto dare una forte dimostrazione di concretezza in questo periodo difficile che stiamo vivendo facendo vedere che portiamo avanti i progetti e gli impegni presi”, ha aggiunto il presidente di Fca John Elkann. “Oggi avete visto un prodotto che è fabbricato qui e siamo al Lingotto dove c’è questo importante progetto di volergli dare un futuro in un momento difficile come questo. Questa pista sarà trasformata in quello che sarà il più grande parco sospeso e questo si iscrive nel progetto più generale della 500 e dimostra un impegno importante non solo per l’Italia ma anche per Torino”.

Agi

È stata sospesa la cessione dello stabilimento Whirlpool di Napoli

Procedura di cessione dello stabilimento di Napoli sospesa fino e non oltre il 31 ottobre. È quanto ha ottenuto il governo da Whirlpool, per riaprire il confronto. A breve il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli vedrà l’ad di Whirlpool Italia Luigi La Morgia, ma lo stesso ministro ha osservato che il segnale di sospensione “non è il massimo” e sarebbe stato preferibile l’interruzione; ora si tratta di andare “a vedere le carte”.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha spiegato che “ritiene non soddisfacenti e non risolutivi i contenuti della lettera” inviata all’esecutivo dai vertici dell’azienda, per annunciare la sospensione: l’interlocuzione servirà a capire “se ci siano ulteriori elementi di novità, con particolare riguardo al superamento definitivo del precedente piano di reindustrializzazione”.

Il governo si dice determinato a mettere in campo tutte le azioni necessarie, per quanto di propria competenza, per mantenere questo presidio industriale e sollecita i vertici della multinazionale a far chiarezza su quali siano gli ostacoli e le difficoltà che impediscono la prosecuzione del progetto e degli impegni già assunti. L’intento è creare tutte le condizioni perché venga mantenuto sul territorio il presidio industriale e vengano salvaguardati i livelli occupazionali.

Sindacati sul piede di guerra

Dopo l’incontro con il premier e Patuanelli a palazzo Chigi, i sindacati restano sul piede di guerra e riuniscono le assemblee dei lavoratori: scioperi, presidi, manifestazioni non hanno spostato “di un millimetro” la posizione dell’azienda e la sospensione ” a orologeria” suona come “un’offesa” ai lavoratori e alle istituzioni. La procedura ex articolo 47 sul trasferimento di ramo d’impresa, avviata il 18 settembre, prevede che la cessione avvenga a partire da 25 giorni, quindi la scadenza sarebbe stata il 12 ottobre; ma nella lettera di avvio di procedura – hanno fatto notare i sindacati – l’azienda aveva già scritto che la cessione sarebbe stata perfezionata entro il 31 ottobre.

Whirlpool da parte sua si dice pronta a riprendere il confronto e “la discussione di merito sul progetto identificato, che dia un futuro di lungo periodo al sito di Napoli e ai suoi 400 lavoratori”. Il progetto è la cessione alla svizzera Prs (Passive refrigeration solutions) che produce containair refrigerati per conservazione di beni deperibili. Una azienda che secondo Fim, Fiom e Uilm, non fornirebbe sufficienti garanzie per un futuro produttivo ai dipendenti. La questione non è il mantenimento nell’immediato dei livelli occupazionali, perché l’accordo del 2018 obbliga Whirlpool a non fare licenziamenti fino al 2020, dal momento che ha ottenuto gli ammortizzatori sociali per l’intero gruppo (salvo fuoriuscite volontarie).

Il nodo è il rispetto degli accordi firmati nel 2015 e nel 2018, che prevedevano la produzione di lavatrici a Napoli. Se si lascia vendere lo stabilimento campano – è il ragionamento dei sindacati – si apre la porta della dismissione di tutti gli impianti dell’azienda in Italia, con circa 6.000 posti di lavoro a rischio. Riconosce che “c’è un problema di gestione delle emergenze” anche il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, secondo cui le emergenze vanno gestite in modo da “non andare avanti solo per traumi”. Per Boccia “occorre una visione più lunga e larga del paese”; “la questione industriale è la grande questione nazionale e il lavoro è l’ elemento di coesione del paese. Ripartire da questo diventa un elemento essenziale nell’interesse del Paese e dell’Europa”. 

 

Agi

“Esiste una Teoria per ridare un’anima al capitalismo. È stata scritta molti anni fa”

“Il problema è sempre quello: salvare il capitalismo da se stesso”. Il libretto è sottile, più un pamphlet che un trattato, e le pagine hanno preso col tempo un tono di colore che dà sul paglierino. Sul frontespizio il simbolo della casa editrice: un lupo. “L’editore era il marito di Virginia Woolf, Leonard. Si conoscevano dai tempi di Cambridge”, racconta Giorgio La Malfa, anche lui uscito da Cambridge, ma sessant’anni dopo i fatti. 

The End of Lassez-faire, il libro che sfoglia con cura (è un pezzo ormai raro) è solo uno dei tremila volumi della sezione economica della fondazione dedicata a suo padre Ugo, partigiano azionista, segretario del Partito Repubblicano. Uno dei padri laici dell’Italia democratica.

Libri ovunque, nella sede della Fondazione Ugo La Malfa: un bel contrasto con la politica dell’urlo che si è venuta imponendo negli anni, fatta di scarsa riflessione e intensa adrenalina, problemi complessi e soluzioni semplici.

Semplici solo apparentemente, se non addirittura impraticabili. E i dilemmi di un capitalismo che ha portato alla crisi del 2008, senza generare gli anticorpi necessari ad impedire il suo ripetersi, restano tutti insoluti.

Anche per questo La Malfa, con il suo inglese parlato come una lingua madre e la sua profonda conoscenza dei processi dell’economia, riporta all’attenzione di politici e intellettuali gli insegnamenti di un grande padre dimenticato del Novecento. Si tratta di quel John Maynard Keynes che tratteggiò, profeta allora ascoltato, la riforma del capitalismo puro e duro.

Ne scaturì il “Trentennio d’oro” delle economie occidentali, dal ’45 al ’75: ricchezza creata e distribuita, conquiste sociali, vittoria sul modello marxista del socialismo reale. Che tempi.

Oggi gli scritti più importanti di Keynes, fra cui la Teoria generale dell’ocupazione dell’interesse e della moneta, tornano in Italia raccolti in un volume de I Meridiani Mondadori. Lo ha curato lo stesso La Malfa: oltre ai testi (valorizzati da una traduzione che rende giustizia al bell’inglese dell’originale) si possono sfogliare un approfondito saggio introduttivo ed una ricca annotazione dei testi di La Malfa e di Giovanni Farese.

“La ragione di fondo che ha portato alla pubblicazione di questo libro è duplice”, spiega La Malfa all’Agi, “Da una parte si tratta di dare ai giovani studiosi e intellettuali italiani un’opera dotata di un adeguato apparato critico. Dall’altra c’è un’esigenza di carattere politico. Di Keynes si deve tornare a valorizzare la visione complessiva dell’uomo, all’interno della quale proponeva soluzioni per i problemi dell’economia e della società. Era sì un economista, e di formazione era un matematico. Ma mentre si laureava in matematica studiava la filosofia. Non è un caso”.

Si direbbe il contrario dell’iperspecializzazione in voga adesso. Quasi una figura rinascimentale che riesce ad andare oltre i presunti dogmi della propria materia. 

“Giovedì prossimo verrà presentato questo volume all’Accademia dei Lincei. Ci sarà anche il Presidente della Repubblica. E questo mi fa molto piacere, è una presenza che ha un significato preciso rispetto al messaggio non solo economico ma anche sociale del pensiero di Keynes”.

Mattarella fin dall’inizio del settennato ha sottolineato l’idea della responsabilità sociale dell’impresa.

“Il punto di fondo del pensiero keynesiano è il rifiuto del fondamento utilitaristico dell’economia. Si può costruire una vera teoria economica sul concetto dell’uomo come puro homo economicus, ma si rischia di trascurare degli aspetti essenziali. L’economia, diceva Keynes, non è una scienza naturale, ma morale. Insomma: è parente dell’etica”.

E il capitalismo?

“Il capitalismo è una macchina molto efficiente, ma non efficiente in modo assoluto. Ha bisogno di un volante per essere indirizzato, per essere corretto nei suoi eccessi e nelle sue insufficienze. Non garantisce necessariamente la piena occupazione e la giustizia sociale, ad iniziare dai redditi. Spesso genera la stortura di redditi molto alti per pochi e molto bassi per molti. Senza considerare la disoccupazione”.

Una teoria quasi degna di Marx, che parlava dell’accumulazione di ricchezze sempre maggiori in un numero sempre minore di mani. Tutte mani capitaliste.

“In realtà Keynes conosce poco Marx e ne dà un giudizio sommariamente negativo. Conosce, però, e capisce bene Russia”.

La Russia comunista?

“Keynes, che nella prima parte della vita era stato omosessuale, a un certo punto conosce Lydia Lopokova, una bellissima ballerina classica dei Ballets Russes di Sergej Djagilev, la sposa e con lei visita e conosce a fondo la Russia”. 

Potenza dell’amore. E che impressione ha della Russia?

“Keynes ricostruisce bene due aspetti essenziali del comunismo: la sua totale inefficienza in termini economici pratici e la sua formidabile capacità di attrarre quanti, a partire dalle classi operaie, hanno di che lamentarsi del capitalismo. E dice: o troviamo il modo per rendere efficiente il capitalismo o l’attuazione del comunismo sarà irresistibile. Lo scriverà anche a Franklin Delano Roosevelt, poco dopo la sua elezione alla Casa Bianca: “Se lei dovesse fallire, in tutto il mondo sarà gravemente pregiudicato il cambiamento su basi razionali e in campo rimarranno a scontrarsi solo l’ortodossia e la rivoluzione”.

Roosevelt non fallì, per fortuna. Anzi, indicò la strada ad una intera generazione di politici del dopoguerra, anche in Italia.

“In Italia tutti i partiti del secondo dopoguerra sono keynesiani: democristiani, repubblicani, socialisti …  Tutti vogliono dare un’anima al capitalismo. Fanfani vara il piano casa all’interno di un progetto di società ben preciso, e anche per non far scivolare i meno abbienti verso il comunismo. Ora quello che deve emergere, anche da questo libro, è l’ispirazione politica del pensiero keynesiano, incentrata su un’idea ben precisa: come salvare il capitalismo da se stesso”.

Una volta il pericolo era che gli esclusi scivolassero verso il comunismo. Oggi si direbbe che il rischio è quello del populismo che invoca la propria sovranità sul bilancio dello Stato.

“A mio giudizio è lecito fare una spesa pubblica in deficit, ma per delle buone ragioni, cioè per degli investimenti. Ma non lo si può fare solo per ottenere due voti. Esiste anche un’altra lettera di Keynes, questa volta ad Hayek: in realtà la stima reciproca dei due era molto maggiore di quanto non si pensi. Keynes aveva appena finito di leggere “La strada per la schiavitù” di Hayek, e gli scriveva di essere d’accordo con lui sui pericoli della spesa pubblica: chi somministra alla società la medicina dell’intervento deve avere la cautela che hai tu”.

Comunque una posizione ben lontana dal reaganismo e dal thatcherismo. O dall’adorazione del pareggio di bilancio fine a se stesso.

“Anche chi in passato sosteneva l’austerità a tutti i costi adesso riconosce che quella cura non è servita a bloccare il debito pubblico. Questo è un punto.  Ma questo non costituisce una giustificazione per la dissipazione delle risorse pubbliche. Come in tutte le cose, bisogna avere capacità di discernimento”.

 Certo, in questi anni la sinistra ha molto ridotto la sua critica al capitalismo

“Oggi la più forte voce critica riguardo gli automatismi del mercato è rappresentata dal mondo cattolico. Una volta era il socialismo, ora non lo è più. Ho visto con molto interesse questa iniziativa di Papa Bergoglio, che ha convocato ad Assisi per una tre giorni, il prossimo anno, il mondo dell’economia e dell’impresa per dare un nuovo volto alla materia. Se venissi invitato ci andrei con grandissimo piacere a parlare di questi problemi.  La Chiesa una volta poteva apparire come portatrice di un rifiuto del capitalismo. Nel mondo contemporaneo, per l’appunto, si tratta di dargli un’anima”.

Colpisce, in Keynes, questa comunanza di sensibilità tra la cultura laica e quella cattolica o comunque religiosa.

“Nella biografia di Keynes ho ricordato che lui da parte di madre discendeva da una famiglia di predicatori battisti, usciti quindi dalla Chiesa Anglicana perché ispirati ad una visione più severa del cristianesimo. Lui non era credente, ma mantenne probabilmente un’impronta di questo tipo. Quanto alla madre, era una figura di grande spessore: il primo sindaco donna di Cambridge. Il cammino della modernità segue molte strade”.

E Giorgio La Malfa torna a sfogliare La fine del Lasseiz-faire. Un’idea, quella dell’“Arricchitevi!” di Guizot, che pare appartenere ad un mondo vecchio e lontano. O comunque non più in grado di rassicurare l’uomo contemporaneo.

Agi

La Tav è stata congelata. Quanto ci costerà lo stop? 

La Camera ha bocciato le quattro mozioni sulla Tav presentate dalle opposizioni (Pd, Forza Italia, FdI e NcI), mentre è stata approvata la mozione di maggioranza, targata M5s e Lega. Il testo impegna il governo a “ridiscutere integralmente il progetto della linea Torino-Lione”. I voti a favore sono 261, 136 i voti contrari.

La mozione presentata dai capigruppo alla Camera del Movimento 5 stelle (Francesco D’Uva) e Lega (Riccardo Molinari) decretava il ritorno del governo a quanto stabilito il contratto firmato all’indomani delle politiche dello scorso 4 marzo. I partiti di maggioranza si impegnano a “ridiscutere integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo Italia e Francia”, riabilitando l’analisi costi e benefici. Di fatto il governo prende tempo. Secondo La Stampa questo ‘prendere tempo’ costerebbe all’Italia circa 300 milioni di finanziamenti. 

Il motivo è che, spiega Pagella Politica che per AGI ha curato lo speciale sulla Tav, la sezione transfrontaliera della Tav ha un costo certificato di 8,6 miliardi di euro (in valuta 2012), o 9,6 miliardi di euro (rivalutazione del Cipe nel 2017, tenendo conto del possibile aumento dell’inflazione). 

Di questi soldi, 57,9 per cento sono a carico dell’Italia, 42,1 per cento della Francia. Vanno però considerati i contributi dell’Unione europea, che sono il 50 per cento per gli studi e il 40 per cento per i lavori.  Dal 2000 al 2015, l’Ue ha erogato finanziamenti a fondo perduto per un valore di circa 414 milioni di euro.

Tra il 2015 e il 2019, è previsto sempre dall’Ue un finanziamento per la sezione transfrontaliera di 813,7 milioni di euro: i beneficiari sono sia Francia che Italia, che hanno sottoscritto l’accordo con INEA (Innovation and Networks Executive Agency) della Commissione europea (qui il testo integrale).

Il 19 febbraio, Telt – società promotrice per la realizzazione della sezione transfrontaliera – ha pubblicato un comunicato stampa in cui dice che il consiglio di amminsitrazione ha deciso “un breve rinvio sulla pubblicazione dei bandi di gara”. Telt aggiunge anche che “nel corso del consiglio il rappresentante della Commissione Europea ha reso nota una comunicazione ufficiale di INEA (Innovation and Networks Executive Agency) che indica come condizione per la conferma dell’intera contribuzione di 813 milioni di euro la tempestiva pubblicazione dei bandi, mentre in caso contrario verrà applicata una riduzione di 300 milioni”.

Per approfondimenti: Tav, la verità dei fatti 

Agi

Mobike è stata venduta per 2,7 miliardi 

La società cinese Meituan Dianping ha acquisito la startup di bike sharing Mobike​. La cifra dell'operazione non è ufficiale, ma secondo TechCrunch dovrebbe essere di 2,7 miliardi di dollari.
Meituan Dianping è una società che offre diversi servizi digitali (dall'e-commerce alle consegne di cibo a domicilio), è in forte crescita ed è valutata intorno ai 30 miliardi di dollari. Nell'ottobre 2017 ha ricevuto un mega-round da 4 miliardi. Mobike continuerà a operare con un proprio marchio.

L'operazione segna un'ulteriore manovra nel bike sharing cinese, che dopo una fase di disordinata espansione si sta coagulando attorno a due protagonisti: Mobike e Ofo. Dietro ai quali però ci sono gruppo ben più grandi. L'affare Meituan Dianping-Mobike avvantaggia infatti Tencent, che è già azionista di entrambe le società. E si contrappone agli investimenti di Alibaba, che invece ha puntato su Ofo (la startup delle bici gialle approdata, come Mobike, anche in Italia). Il gruppo fondato da Jack Ma ha guidato un round da 866 milioni di dollari il 13 marzo e uno da 700 milioni lo scorso luglio.

Il bike sharing cinese, per quanto giovane, sta quindi attirando i capitali delle grandi società. Ofo​, fondata nel 2014, ha raccolto 2,7 miliardi di dollari. E Mobile (fondata nel 2015) ne aveva ottenuto 928 milioni prima dell'acquisizione da parte di Meituan Dianping.

Agi News