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Le aziende e startup italiane che rendono il food delivery più sostenibile

AGI – Quanto incide il lavoro di distribuzione delle grandi multinazionali del delivery sulla sostenibilità complessiva, sull’ambiente e la qualità della vita complessivamente? Non ultima, quella dei rider che ci lavorano e che recentemente hanno dato vita ad un movimento di rivendicazione dei propri diritti ottenendo pronunce giuridiche favorevoli che ne tutelano i tempi e le modalità del lavoro.

Alla domanda iniziale risponde un’indagine dell’Osservatorio eCommerce B2C del Politecnico di Milano, secondo il quale il mercato del Food delivery è in forte espansione, in seguito ai due anni di pandemia e solo nel 2020 è arrivato a occupare una quota compresa tra il 20 e il 25% dell’intero mercato delle consegne a domicilio.

Ciò ha delle conseguenze dirette e immediate sul settore della logistica, che ha un’incidenza fino al 30% per esempio sul traffico urbano, specie per quanto riguarda l’ultimo miglio delle consegne. I furgoni sono ingombranti e occupano spazio pubblico non indifferente, specie nei centri storici, aumentando le criticità del traffico e quindi della viabilità urbana. Ma tutto questo ha anche una ripercussione direttamente proporzionali sulla qualità dell’aria, a causa delle emissioni degli scarichi.

Tuttavia il mercato del Food delivery, sempre secondo il Politecnico di Milano, vale sul piano complessivo 1,5 miliardi di euro e nel 2021 ha avuto un’impennata del 59%, complice appunto la pandemia che già aveva dato il suo contributo di spinta al settore. Ancora poco regolamentato, quello del delivery enogastronomico rischia però di diventare sempre più centrale nella nostra dimensione quotidiana, ciò che richiama la necessità di una maggiore sostenibilità complessiva del settore, attraverso azioni di innovazione.

Piccoli esempi di sostenibilità possibile

Nell’ottica di una maggiore efficienza, alcune piattaforme di distribuzione si sono mosse per cercare di rendere più agevole e meno impattante l’ultimo miglio, che si rivela anche il momento più costoso dell’intera consegna. Perciò c’è chi ha deciso di usare solo mezzi leggeri come bici e motorini per far arrivare nelle nostre case i prodotti che vengono ordinati dai clienti (l’azienda è la milanese Blink).

E se in Italia oggi come oggi circa il 67% ha di fatto solo potenzialmente accesso ai servizi di delivery, la bergamasca TvbEat-Almé punta a coprire le zone soprattutto provinciali dalle quali le multinazionali se ne stanno un po’ alla larga per difficoltà di copertura. Nata inizialmente nella provincia di Bergamo, TvbEat è poi cresciuta fino a coprire Lodi, Cremona, Tortona, Alessandria e più di 50 comuni più piccoli.

Insomma, c’è chi come la romana Deliverart, cerca di creare soluzioni per rendere più efficiente il servizio di asporto: aggrega tutti gli ordini che arrivano da sito web, app, telefono e piattaforme di delivery in un’unica piattaforma, automatizza il processo suggerendo l’orario migliore in base al carico di lavoro, crea il percorso più veloce per la consegna e mette a disposizione una banca dati con statistiche, storico ordini, performance dei corrieri, prodotti più venduti e clienti più affezionati, e chi per esempio nel campo delle bevande punta a cambiare il paradigma con cui vengono acquistate acqua e bevande proponendo un servizio ecologico a prezzi competitivi organizzando anche un servizio di ritiro del vuoto a rendere. Come la milanese Bevy. Insomma, l’esigenza estrema di sostenibilità, alla fine aguzza l’ingegno.  


Le aziende e startup italiane che rendono il food delivery più sostenibile

In Italia i costi per avviare una startup sono tra i più cari in Europa

AGI – Mettere in piedi una startup in Italia costa quasi 10 volte di più rispetto alla Germania, oltre 15 volte di più rispetto a quanto si spende in Francia, quasi 7 volte in più che in Spagna e ben 188 volte in più della Croazia.

È quanto mette in evidenza uno studio del Centro studi di Unimpresa sui costi delle startup nell’Unione europea, secondo il quale in Slovenia l’avvio di un’attività imprenditoriale è addirittura a “costo zero”.

Secondo il documento, che ha preso in considerazione una serie di studi suii costi imprenditoriali nell’Unione europea, per avviare un attività d’impresa occorrono, tra spese legali, adempimenti amministrativi e oneri fiscali, 4.155 euro in Italia, 2.207 euro nei Paesi Bassi, 2.109 euro in Austria, 2.046 in Belgio, 1.886 euro a Cipro, 679 euro in Finlandia, 627 euro in Spagna, 528 euro a Malta, 446 euro in Germania, 328 euro in Polonia, 312 in Ungheria, 270 euro in Francia, 244 euro in Lettonia, 227 euro in Portogallo, 219 euro in Svezia, 177 euro in Slovacchia, 174 euro in Grecia, 149 euro in Estonia, 134 euro nella Repubblica Ceca, 93 euro in Danimarca, 76 euro in Lituania, 72 euro in Irlanda, 63 euro in Bulgaria, 32 euro in Romania, 22 euro in Croazia e 0 euro in Slovenia. L’Italia è dunque il paese più caro nell’Ue per avviare una startup, con costi pari al doppio di quelli necessari nei Paesi Bassi (seconda posizione dello speciale ranking), in Austria (terza) e Belgio (quarto). 

“Quella dell’abbattimento delle spese per le start up è una delle maggiori sfide che il governo guidato da Mario Draghi deve realizzare con il Piano nazionale di ripresa e resilienza: non intendo alzare troppo l’asticella e sostenere che dobbiamo arrivare al ‘costo zero’ della Slovenia, ma certamente sono necessari interventi per liberare e incentivare lo spirito imprenditoriale del Paese, per far emergere il valore straordinario del made in Italy”, commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.

“È un record di cui non possiamo vantarci, è uno dei tanti spread che rendono l’Italia assai meno competitiva nel contesto dell’Unione europea: si tratta di un divario da ridurre quanto prima e il Recovery Fund, con i suoi 191 miliardi di euro, va impiegato con lungimiranza anche in questa direzione”, aggiunge.

Secondo Spadafora, “di divari ne abbiamo tanti: sul fronte fiscale, sui tempi della giustizia civile, sulle infrastrutture fisiche e pure su quelle tecnologiche, ma anche sul versante dell’efficienza della pubblica amministrazione. Una lunga lista di fattori che hanno zavorrato la nostra economia per decenni, tenendo la crescita sempre a livelli da prefisso telefonico”. 


In Italia i costi per avviare una startup sono tra i più cari in Europa

Il governo lancia gli ‘appalti innovativi’ per stimolare startup e imprese

Il pubblico come leva strategica per sviluppare l’innovazione in Italia. È questo l’obiettivo di un protocollo d’intesa firmato dal ministero dello Sviluppo economico, il ministero dell’Università e della Ricerca e il ministero per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione.

Un primo atto con cui il governo riconosce agli appalti pubblici la capacità di “stimolare una crescita intelligente e inclusiva, dopo l’attuale fase di emergenza causata dal Covid-19”. I tre Ministeri si sono impegnati a promuovere l’utilizzo di “procedure d’appalto per l’innovazione”.

A differenza degli appalti tradizionali, spiega il Mise, “attraverso gli appalti innovativi lo Stato non acquista prodotti e servizi standardizzati già disponibili sul mercato, ma stimola le aziende e il mondo della ricerca a creare nuove soluzioni per rispondere alle sfide sociali più complesse”. A cominciare da quelle sanitarie, ambientali, culturali, formative ed energetiche.

Il governo ha individuato e riconosciuto agli ‘appalti innovativi’ la capacità di aumentare la competitività delle startup e delle imprese, ma anche una leva strategica “per modernizzare le infrastrutture e i servizi della pubblica amministrazione, nonchè accrescere gli investimenti nella ricerca pubblica”.

Sviluppo economico, Ricerca e Innovazione quindi si sono impegnati a sostenere le pubbliche amministrazioni intenzionate a lanciare appalti innovativi incoraggiando la partecipazione alle gare di startup, piccole medie imprese e centri di ricerca. All’Agenzia per l’Italia Digitale (Agid) sono affidati invece i compiti di promozione e attuazione degli appalti.

Il primo programma individuato dai dicasteri è Smarter Italy, che parte con una dotazione finanziaria iniziale di 50 milioni di euro e prevede il lancio di gare d’appalto con scopo di soddisfare le esigenze espresse dalle città e dai borghi. Tre le aree di intervento individuato: mobilità sostenibile (smart mobility), beni culturali e benessere delle persone.

@arcangeloroc

Agi

“Le Ico delle startup sono la più grossa truffa finanziaria di sempre”

"Le Ico sono la più grande truffa di sempre". Parola di Jordan Belfort. L'uomo che ha ispirato The Wolf of Wall Street, film di Martin Scorsese con Leonardo Di Caprio, punta il dito contro le "Initial coin offering". Si tratta di un metodo di finanziamento che le startup stanno usando sempre di più: raccolgono moneta virtuale (come bitcoin) e in cambio offrono dei "gettoni digitali" (detti token) che si apprezzano o perdono valore in base al successo della società.

Su BlogItalia: "I venditori di sogni, e di bolle. Occhio alle ICO"

Il mercato delle Ico cresce. In pochi giorni, alcuni progetti hanno raccolto milioni, ingolosendo nuove imprese a fare lo stesso. Dall'inizio dell'anno, scrive il Financial Times, 202 operazioni hanno ottenuto 3 miliardi di dollari. Con o senza un progetto compiuto. Sì, perché le Ico non hanno una regolamentazione e, di conseguenza, permettono alle società di incassare anche in assenza di un prodotto concreto (e talvolta anche senza un'idea precisa). Dall'altra parte, gli investitori sono privi di tutele. Se la startup fallisce, non produce nulla o perde valore, l'investimento va perduto senza possibilità di rivalsa. Per questo Belfort parla di una bolla che prima o poi "scoppierà in faccia alle persone".

Per approfondire: Le Ico come strumento per finanziare una startup

Non tutte le startup usano le Ico solo per spillare soldi. Anzi, sottolinea, "probabilmente l'85% non ha cattive intenzione. Ma basta un 5-10% di persone che provi a farlo perchè tutto diventi un disastro".

Belfort, condannato a 22 mesi di carcere per frode e riciclaggio a causa delle sue disinibite condotte finanziarie, di "cattive intenzioni" se ne intende. Ma dice che le Ico "sono peggio di qualsiasi cosa abbia mai fatto". E non è il solo a criticarle. La Cina le ha vietate, mentre le autorità britanniche, per ora, si sono limitate a mettere in guardia gli investitori. Ad avallare le convinzioni dei critici c'è, in questi giorni, il caso Tezos. La startup, nata per costruire "una nuova blockchain" (la tecnologia su cui viaggiano le monete digitali), ha raccolto 232 milioni in bitcoin (una cifra cresciuta fino a 400 milioni grazie all'apprezzamento della criptovaluta).

Ma i suoi fondatori stanno già bisticciando sulla spartizione dei fondi e al momento il progetto si è arenato. Risultato: il valore dei titoli che scommettono sul futuro della compagnia è crollato del 75% e due studi statunitensi stanno raccogliendo adesioni per avviare un'azione legale collettiva. "Adesso tutti vogliono entrare in questo mercato", spiega The Wolf of Wall Street, oggi autore e conferenziere di successo. "Non dico che le criptovalute siano una cattiva idea. Il problema sono le persone che la 'bastardizzanò". 

Agi News

Nei primi 9 mesi del 2017 investiti 93,8 milioni in startup italiane (-31%)

Il rallentamento, questa volta, sa di inchiodata: gli investimenti in startup italiane hanno perso in un anno quasi un terzo del proprio volume. Tra gennaio e settembre 2017, la raccolta è stata di 93,8 milioni di euro: è il 30,9% in meno rispetto ai primi nove mesi del 2016, quando il dato aveva toccato i 135,8 milioni. Dopo il –13% registrato nel primo semestre, l'ecosistema appesantisce ulteriormente il proprio ritardo. Colpa di un secondo trimestre debole e di un terzo ancor meno generoso.

Il peso dei mesi estivi

Luglio e agosto non hanno registrato operazioni di rilievo. E così settembre ha dovuto reggere da solo le sorti dell'intero trimestre. Con sei operazioni chiuse. Se si conta l'intero round chiuso da Satispay (18,3 milioni), il conteggio arriva a 32,6 milioni. In realtà, però, la startup guidata da Alberto Dalmasso aveva già ottenuto già a maggio impegni per oltre 14,5 milioni. Se si considera solo la differenza (3,8 milioni), il totale del trimestre ammonta ad appena 18,1 milioni. Tradotto: una sola startup (Satispay) ha raccolto in un singolo round (per quanto da record per un'italiana) più di tutte le altre in un intero trimestre. Ad ogni modo, al di là della scelta del periodo nel quale includere il fundraising di Satispay, nulla cambia sul dato degli investimenti complessivi ottenuti nei primi nove mesi del 2017.

Tra luglio e settembre spiccano altri due deal superiori al milione: Genenta Science e Clairy. Cui si aggiunge Green Energy Storage, grazie a una campagna di equity crowdfunding. Al conteggio trimestrale, infatti, partecipano anche queste ultime. Sono state 13, hanno apportano 3,3 milioni e rappresentano una delle poche note liete del periodo.

I round oltre il milione

Satispay – 12 milioni attesi, 18,3 raccolti (14,5 dei quali già a maggio): il round di Satispay è uno di quelli che raramente si è visto in Italia. Vi hanno partecipato Banca Etica, Banca Sella Holding (attraverso Sella Ventures), il venture capital Shark Bites e Iccrea Banca. Il sistema di pagamento mobile sviluppato da Satispay porta così la raccolta complessiva a 26,8 milioni e la valutazione a 66 milioni.

Genenta Science – Genenta Science, società che sviluppa terapie geniche per la cura dei tumori, ha ottenuto 7 milioni di euroda investitori italiani (tra i quali, con 580 mila euro, il Club degli Investitori), britannici, svizzeri e membri del board. La raccolta complessiva arriva così a 17 milioni di euro. Le nuove risorse consentiranno a Genenta di aprire un ufficio nel LaunchLabs, incubatore all'interno dell'Alexandria Center for Life Science di New York. E di avviare le sperimentazioni su una seconda indicazione tumorale oltre al mieloma multiplo.

Clairly – Clairy ha ottenuto 2 milioni di grant dal programma Horizon2020 SME2 dell'Unione Europea. La società, fondata nel 2016 da Alessio D'Andrea, Paolo Ganis, Vincenzo Vitiello, è nata all'interno di Talent Garden Pordenone. Ha sviluppato un vaso intelligente capace di combinare tecnologia e piante per migliorare (e monitorare) la qualità dell'aria tra le stanze di casa.

Green Energy Storage – Green Energy Storage ha sviluppato un sistema di accumulo per le energie rinnovabili. La società trentina ha scelto la strada dell'equity crowdfunding, puntando a una raccolta minima di 250 mila euro per una quota del 2,7%. Sulla piattaforma Mamacrowd ha ottenuto 1,2 milioni di euro (un milione dei quali già incassati). Un record per una campagna italiana.  

Agi News

Cosa fanno le 26 migliori startup italiane, secondo Tech Tour

Il Tech Tour è una di quelle occasioni in cui gli investitori sbirciano nell'ecosistema italiano (qui il nostro colloquio con il suo organizzatore Marco Trombetti). Un'opportunità per le startup di casa nostra, anche perché questo evento itinerante non ha cadenza fissa: da qui è passato di rado (cinque volte in un ventennio) e mai per due anni consecutivi. Questa volta, invece, dopo l'edizione di novembre 2016, investitori internazionali, venture capital, imprese e business angel sono tornati a Roma l'11 e il 12 settembre. Davanti a loro si sono presentate 26 società (tra startup ai primissimi passi e scaleup), selezionate tra le 155 candidate per essere tra le più innovative e ricche di potenzialità del panorama nazionale. Le regioni rappresentate sono state sette: nove startup hanno sede nel Lazio, sei in Lombardia, tre in Campania e Veneto, due in Emilia-Romagna e Piemonte, una in Trentino Alto Adige. Ecco quali sono e che cosa fanno.

  1. Beintoo è una "mobile data company" che raccoglie informazioni e, grazie alla geolocalizzazione, permette ai clienti di misurare e ottimizzare le loro campagne. Delle startup selezionate, è quella che ha raccolto i round più ricchi: 7,55 milioni di dollari.
     
  2. BluImpression è una piattaforma che analizza il comportamento delle persone in ambienti fisici. Grazie a intelligenza artificiale e big data, può stimare il pubblico intercettato da uno spot o da un cartellone pubblicitario.
     
  3. Buzzoole è una piattaforma di Influencer Marketing con sede a Napoli. È in grado di connettere i brand ai giusti influencer della rete grazie all'utilizzo dei big-data. Assieme a Beintoo, è una delle due italiane tra le 15 scaleup europee selezionate per il programma Startup Europe Comes to Silicon Valley di Mind the Bridge ed EIT Digital. 
     
  4. Competitoor ha sviluppato uno strumento per il B2B dedicato ai negozi online. Consente ai marchi e ai responsabili delle vendite di tracciare i prezzi dei concorrenti e di essere avvisati in caso di variazioni.
     
  5. D-Eye, startup con sede a Padova e incubata da M31, sviluppa dispositivi e applicazioni medicali applicabili agli smartphone. Ha creato un sistema portatile che si aggancia ai dispositivi creando una fotocamera oftalmica per lo screening della vista.
     
  6. Direttoo è una piattaforma, fondata da Diego Pelle e Chiara Mastromonaco, che collega i ristoratori direttamente con fornitori e produttori. Facilita la gestione del business anche grazie a un sistema di monitoraggio delle spese.
     
  7. Enerbrain, fondata a Torino nel 2015, ha sviluppato una soluzione IoT per monitorare gli sprechi energetici di un edificio, indicando gli interventi per ottimizzare le risorse. E offrendo dati in tempi ridotti.
     
  8. Filo ha creato un portachiavi intelligente (che può essere agganciato anche a zaini, valigie o a qualsiasi cosa si voglia tenere sotto controllo). Grazie a un'app, consente di sapere dov'è l'oggetto. E, nella direzione opposta, basta schiacciare Filo per far squillare e ritrovare lo smartphone.
     
  9. Gr3n ha inventato un processo che permette di riciclare plastica in modo più profittevole, a vantaggio delle imprese del settore. È alla ricerca di 3 milioni di euro per passare dallo sviluppo del pilota all'applicazione industriale.
     
  10. Inventia sviluppa soluzioni di Customer Engagement multicanale che accompagnano gli utenti lungo tutto il percorso d'acquisto. Dall'assistenza (che miscela intervento umano e bot) fino alla transazione. È già stata selezionata da ScaleIT 2016 e da una call di GrowItUp.
     
  11. Manet, accelerato da Luiss Enlabs, è una soluzione mobile destinata agli hotel e ai loro clienti. I viaggiatori hanno a disposizione informazioni, chiamate e connessione illimitate. Le strutture ricettive possono offrire ai clienti un pacchetto personalizzato che enfatizzi i servizi proprie e dei partner commerciali.
     
  12. MioAssicuratore è un broker assicurativo online, che assiste gli utenti nella scelta, la comparazione e la sottoscrizione di polizze. Grazie a machine learning e a un algoritmo proprietario, MioAssicuratore calcola il premio in tempo reale.
     
  13. Nextwin (altra accelerata da Luiss Enlabs) si rivolge agli appassionati di sport e scommesse. Ha creato una piattaforma una piattaforma per puntare monete virtuale su singoli eventi (una sorta di fantacalcio del betting) e Invictus, uno strumento (su abbonamento, da usare per puntate reali) che analizza i big data e consiglia le giocate migliori.
     
  14. Oval, fondata dall'ex contry manager di Uber Benedetta Arese Lucini, è una piattaforma che aiuta gli utenti a gestire meglio i propri risparmi. Mettendo da parte piccole somme in automatico e monitorando le proprie spese. Ad aprile ha incassato un round da 1,2 milioni di euro partecipato da Intesa Sanpaolo e b-venture.
     
  15. Prestiamoci è una piattaforma di prestiti tra privati che consente di concludere l'intero processo online e in modo rapido. Fondata nel 2007, ha ottenuto 3,4 milioni e la fiducia di Innogest. Al momento, ha registrato 837 prestatori attivi e importi complessivi superiori ai 7 milioni.
  16. Sailsquare è stata battezzata come l'Airbnb delle barche. La startup, fondata da Simone Marini e Riccardo Boatti, mette in connessione skipper e proprietari di imbarcazioni con i turisti interessati a organizzazione un viaggi a vela.
     
  17. Scooterino si propone come la Uber degli scooter, la prima in Europa. Nata a Roma, si è estesa a Firenze, Genova e Milano. È un'app che mette in connessione chi ha bisogno di un passaggio con chi circola nelle vicinanze.
     
  18. Sellf è un assistente digitale, rivolto a professionisti e piccoli imprenditori, che facilita la gestione dei clienti e delle trattative e contribuisce a organizzare il tempo del team addetto alle vendite. Partecipata da H-Farm, a luglio ha vinto l'edizione 2017 di Edison Pulse.
     
  19. SpinVector elabora soluzioni in realtà aumentata per offrire esperienze immersive in settori diversi, dai videogiochi online agli eventi che “portino lo show dal palco all'audience”.
     
  20. Travel Appeal si rivolge a musei, hotel, ristoranti e località turistiche. Analizza in tempo reale le recensioni, le conversazioni sui social media, i prezzi, le tendenze di mercato ed il territorio e fornisce previsioni e suggerimenti per migliorare attività e reputazione online.
     
  21. Walliance è la prima piattaforma italiana di equity crowdfunding dedicata al mercato immobiliare. È nata in Trentino nel luglio 2016 e punta a rendere il real estate un'opportunità anche per piccoli investitori.
  22. Wanderio si rivolge ai viaggiatori per proporre le migliori soluzioni che consentano loro di raggiungere la loro meta (aerei, treni, bus). Gli utenti possono prenotare e pagare direttamente sulla piattaforma. Nel luglio 2016 ha chiuso un round guidato da Europcar.
     
  23. Wellness & Wireless sviluppa servizi digitali (web, app e software) rivolti a sport e benessere. Tra i prodotti offerti ci sono Yukendu, un coach personale e mobile per il dimagrimento, e SuperOp, app che migliora le performance sportive a partire dal monitoraggio della pressione sanguigna.
     
  24. Wiman è stata fondata da Massimo Ciuffreda nel 2012. È nata per semplificare l'accesso e la condivisione gratuita di connessioni wifi. Mappa e, grazie al machine learning, valuta la qualità delle connessioni libere.
     
  25. WinOwine è un “club” online dove i soci possono acquistare vini di qualità. I prodotti vengono selezionati dal team e, all'inizio, proposti per una sola settimana. Se apprezzati, sono ammessi stabilmente al catalogo, con spedizioni entro 48 ore.
     
  26. Yocabè è un distributore online per i brand della moda, focalizzato sui marchi italiani di medie dimensione che ambiscano a raggiungere clienti su scala globale. Yocabè si propone come unico interlocutore digitale delle aziende, perché in grado di occuparsi di vendite, logistica, assistenza clienti multi-lingua e spedizioni internazionali. 

Agi News

Startup: Satispay chiude round da 18,3 milioni di euro

Satispay, startup italiana che ha sviluppato un sistema di mobile payment indipendente e alternativo ai circuiti tradizionali, ha chiuso il terzo round di finanziamento. Con un target iniziale di 12 milioni di euro, l'aumento di capitale ha raggiunto i 18,3 milioni, portando così la raccolta complessiva a 26,8 milioni e la valutazione della società a 66 milioni. 

Agi News

“La politica non può più pensare alle startup come ammortizzatori sociali”

Loro Macron, noi micron. Sarebbe il titolo perfetto per raccontare la distanza tra noi e la Francia in tema di startup. Su Agi.it Riccardo Luna ha scritto questo post "Startup, sveglia Italia! Siamo fermi al palo". La nostra è una vera "Emergenza Innovazione", che da oggi proviamo a indagare, coinvolgendo i massimi esperti sull'argomento. Ma ci piacerebbe coinvolgere tutti, anche quelli che massimi esperti non sono. Se volete contribuire scriveteci qui: dir@agi.it A presto.

"Il venture? Un passatempo. La politica smetta di guardare alle startup come ammortizzatore sociale, non può essere così". Renato Gianlombardo è un'avvocato milanese. Di recente ha costituito un gruppo di lavoro specializzato nel venture capital (GOP4 Venture), e si occupa di raccolta di capitali, assistenza agli imprenditori, ai centri di ricerca. Ha commentato ad Agi i risultati sugli investimenti italiani nel primo semestre. 

 

Sono stati 75 milioni nel primo semestre gli investimenti in startup primo calo del 13% dopo 3 anni. Che succede? 
“Succede che il settore del venture capital non è ancora stato preso sul serio. Schiacciato da una cultura bancaria che finanzia l’impresa con un solido track record o con solide garanzie e dal fatto che gli operatori finanziari non sono interessati alle micro-operazioni. E nel settore l’operazione di maggior valore del 2016 è stata di 7 milioni di euro. Insignificante per il mondo della finanza. Inoltre, l’interesse degli operatori con grandi disponibilità finanziarie è assente e spesso è un passatempo per coloro che operano da business angels. 

Un passatempo? 
“E’ un po’ come giocare al casino. Il settore finanziariamente è del tutto irrilevante. Quanto all’intervento pubblico, dopo alcune iniziative, invero molto limitate nell’ammontare messo a disposizione del settore, il flusso di investimenti in fondi si è fermato e le risorse dei venture capital si stanno prosciugando”.

Si parla molto di startup come volano per la crescita economica, ma serve a poco. Quali sono le cause secondo lei? 
“Una seria politica sulle startup e sull’innovazione richiede misure ed incentivi che insistano per un lungo periodo di tempo sia sui sistemi principali che a livello di sottosistema. Gli operatori e gli investitori li devono conoscere, ne devono apprezzare i benefici e si devono fidare che non vengano rimessi in discussione l’anno successivo. Nel Regno Unito ci sono voluti vent’anni. Le startup immettono nella nostra società una nuova cultura d’impresa che è indiscutibilmente parte integrante del terzo millennio. Piuttosto bisogna capire cosa si sa fare senza inseguire illusioni o immaginare di avere un ruolo dove invece ci sono già giganti planetari”. 

Ci fa un esempio di "illusione"?
“E il caso dell’ICT dove largamente importiamo idee che spesso non sono innovative ma comunque utili ad un aggiornamento del livello dei servizi del nostro Paese. Credo invece che si possa giocare un ruolo nel settore degli spin off di ricerca. Purché si avvii in tempi rapidi un processo di riforma normativa, disinnescando il conflitto di interesse che condiziona lo spin off accademico”. 

Quale conflitto di interesse? 
“Mi spiego. Vanno rese autonome le unità di valorizzazione della ricerca in modo che i migliori brevetti siano disponibili per il mercato degli investitori in tempi compatibili con le loro aspettative. Oggi invece il processo di valorizzazione è lento è troppo spesso sottoposto a logiche accademiche allineate più alla ricerca di base che alla creazione di un’impresa. Insomma nella nostra università si coltivano ancora principalmente due o tre cose: il sogno di concorrere per il Nobel, il posto fisso del ricercatore e, in qualche caso,  anche l’esigenza di finanziare le proprie cattedre. Comprende che con questi presupposti il mercato degli spin off è assolutamente incapace di esprimere le potenzialità pur rilevanti che possiede. Sono stato recentemente in Silicon Beach nel sud della California dove stanno implementando un modello di startup che valorizza le vocazioni culturali e imprenditoriali, sociali di quel territorio: gaming, entertainment, social media company. Ecco questo può essere un modello. Evitare di inseguire i fasti della Silicon Valley e concentrarsi sulle proprie competenze e sulle vocazioni del proprio territorio”.

Come mai è così difficile trovare investitori per sviluppare un'infrastruttura di venture capital adeguata al mercato italiano?
“I capitali viaggiano insieme alla credibilità di chi li usa. Se non abbiamo un ecosistema che dimostra di avere le idee chiare non avremo investitori che affideranno le proprie risorse al sistema Italia. La comunità del venture capital si è fino ad oggi sviluppata essenzialmente tramite attività pro-bono, di soggetti visionari che hanno immaginato di poter supportare gli startupper agendo come menthor, tutor, incubatori, angels, legali, advisor finanziari. Quanto all’intervento pubblico abbiamo forse la legge sulle startup più avanzata in Europa, crowdfunding incluso. Ciononostante non riusciamo ad essere attrattivi. Questa è la prova il pubblico può essere una condizione necessaria ma non sufficiente. Anzi questa tipologia di intrvento può essere controproducente se comincia a giocare la partita in concorrenza con i venture capital o con gli altri operatori finanziari. Comunque a mio parere le difficoltà sono analoghe a quelle che vedono l’Italia in difficoltà nell’attrazione degli investimenti. Con un’aggravante. Il nostro Paese negli ultimi vent’anni non è mai stato percepito come una start up nation neanche in Italia”.

Molti lamentano l'assenza di investitori istituzionali, è vero? 
“Ci sono. Ma dobbiamo intenderci altrimenti generiamo confusione. Questi, sono investitori che impiegano le loro risorse in funzione degli scopi istituzionali dell’ente. E’ di tutta evidenza come ci sia una differenza tra gli investimenti di una banca e gli investimenti di una cassa di previdenza o di un fondo pensione. Se non si comprende che la prima tende a generare profitto per i propri azionisti e i secondi mirano a mantenere il capitale per pagare le pensioni non abbiamo chiaro il quadro di riferimento”. 

C'è un'idea che comincia a diffondersi: le startup italiane non valgono molto, sono scarse. Quanto c'è di vero? 
"Una startup può valere poco, molto o anche nulla. Dipende da vari fattori e dagli obiettivi che ci si propone. Se si immagina di investire ogni volta in una potenziale Google, allora le startup italiane valgono quasi tutte nulla, ma se si immagina di farle fare un dignitoso percorso imprenditoriale con politiche di marketing corrette e una visione imprenditoriale adatta al nostro mercato con una proiezione internazionale, ove possibile, allora può valere il giusto o anche molto rispetto al capitale iniziale. Il dato culturale più complicato da superare nel nostro Paese è l’insuccesso”. 

Ovvero?
“Chi ha insuccesso è bannato, messo fuori gioco, isolato. Mentre, il fallimento è un elemento naturale delle startup. Tutte le classifiche o i report non parlano mai di quante start up sono fallite e di cosa hanno fatto i founders nell’esperienza successiva. Questo sarebbe il dato più significativo anche per esorcizzare la paura del fallimento e credo sia anche utile per poter investire proprio su coloro che hanno imparato di più dagli errori. Una frase celebre recita: non perdo mai, o vinco o imparo”.

Piccola sintesi: cosa manca secondo lei all’Italia? 
“Abbiamo detto che la legislazione e all’avanguardia e la politica fiscale può essere una leva ma non sarà il motivo principale per il quale investire. Parlare di barriere culturali in questo Paese è come parlare di frigoriferi al polo nord. Il resto non ha un valore rilevante. Io penso invece che ci siano alcune cose da fare o evitare. La politica deve evitare di immaginare che le startup siano un ammortizzatore sociale ed evitare di creare ecosistemi in modo randomico. Ci sono due poli che si stanno cominciando lentamente ad affermare Roma e Milano".

Milano ok, ma anche Roma? 
“Certo. Roma comincia ad essere attraente per startup e investitori e mentre Milano esercita la sua vocazione finanziaria. Si pensi che a fronte della quasi totale presenza di venture capital sulla piazza di Milano, nel 2016 nel Lazio si sono realizzati 16 investimenti in start up mentre in Lombardia solo 30. Quindi si tratta di puntare e qualificare e far conoscere l’offerta di start up. Per invertire la tendenza bisogna offrire un prodotto di elevata qualità sia sul piano tecnologico o innovativo sia sul piano delle risorse e del capitale umano disponibile. Inoltre penso che si debba decisamente puntare sugli spin off accademici o di ricerca. Nel 2016 si sono registrati 92 deals per un ammontare complessivo di 200 milioni, l’85% dei quali sono private enterprises, il 5% corporate venture e il 10% university spin off. Abbiamo settori di grande valore nei quali dovremmo cominciare a specializzarci e farci conoscere a livello internazionale e nei quali l’università e i centri di ricerca possono dare un contributo essenziale. Cito i settori a maggior crescita nel 2016 (ICT escluso): filiera della salute, alimentazione, robotica e meccatronica, turismo”.   

Agi News

“Sulle startup in Italia solo proclami, la Francia abbraccia il futuro”

Loro Macron, noi micron. Sarebbe il titolo perfetto per raccontare la distanza tra noi e la Francia in tema di startup. Ieri su Agi.it Riccardo Luna ha scrittoquesto post "Startup, sveglia Italia! Siamo fermi al palo". La nostra è una vera "Emergenza Innovazione", che stiamo provando ad indagare, coinvolgendo i massimi esperti sull'argomento. Ma ci piacerebbe coinvolgere tutti, anche quelli che massimi esperti non sono. Se volete contribuire scriveteci qui:dir@agi.it A presto. 

"Le startup italiane hanno il potenziale per creare almeno 100mila posti di lavoro, se si fanno crescere. Ma così non è". Gianmarco Carnovale è un imprenditore romano (è amministratore delegato di Scuter) e presidente di Roma Startup, associazione che lo vede impegnato per contribuire alla crescita di un ecosistema favorevole all'innovazione nella Capitale. E' tra le voci più schiette della startup scene italiana, ne ha seguito l'evoluzione, ne conosce i freni, il potenziale. E, per ora, le promesse spesso disattese come testimoniano i dati degli investimenti in startup dei primi sei mesi del 2017. 

 

75 milioni nel primo semestre, prima decrescita dopo 3 anni. Che succede? 
"Succede che non succede niente: di fatto la nostra 'filiera delle startup' non è stata né propriamente stimolata né messa nelle condizioni di crescere di scala nell'offerta di capitale di rischio. Anzi, se vogliamo dirla tutta, al di là dei proclami ci sono stati veri disincentivi: negli ultimi 4 anni la tassazione sul capital gain (cioè quanto sono tassati i guadagni dalle vedite delle azioni, anche in startup, ndr) è cresciuta dal 12.50% al 26%. Inoltre i requisiti per aggregare investimenti sono stati irrigiditi da Banca d'Italia".

In che modo?
"Oggi per gestire 500 mila euro raccolti da dieci conoscenti per fare un invetimento in startup ha gli stessi oneri di vigilanza e governance di un fondo da mezzo miliardo. La stessa Banca d'Italia ci mette anche 18 mesi per autorizzare quei malaugurati che volessero avviare una nuova società di gestione del risparmio. E il nostro omologo dei "fondi di fondi" – ruolo svolto qui da FII – invece di essere un grande "serbatorio" per una quota della dotazione degli operatori di venture capital opera come piccolissimo serbatoio e con l'altra mano fa concorrenza ai propri beneficiari. Non solo disincentivi ma anche confusione di ruoli per anni, quindi crescita piatta, fino ad arrivare 2017 dove i pochi fondi italiani hanno quasi tutti terminato l'investment period e non avranno soldi da investire fino al 2018".

Quindi non è un calo che deve sorprendere. 
"È anche poco il calo che si è visto, se si togliessero dal calcolo i fondi esteri intervenuti in alcuni dei round maggiori vedremmo un calo ben più forte".

Si parla molto di startup come volano per la crescita economica, ma serve a poco. Quali sono le cause secondo te? 
"Le startup sono un volano per la crescita economica, per la redistribuzione di ricchezza, per l'efficientamento dei mercati. Quando le si sviluppa davvero. Il problema è che la classe politica di questo paese è legata ai vecchi poteri, a categorie economico-produttive che vogliono incamerare il fenomeno è possibilmente archiviarlo senza subire la disruption che l'innovazione porta. Se vuoi sintetizzo in 'protezionismo': non sia mai che venga fuori quel qualcuno che metta in crisi il modello di business di aziende del secolo scorso, bisogna impedirlo a nuovi imprenditori italiani e impedire l'accesso agli stranieri".

C'è una vulgata che comincia a diffondersi: le startup italiane non valgono molto, sono scarse. Quanto c'è di vero? 
"Questa sembra essere la soluzione narrativa in via di adozione da parte di tutti i signori che vogliono tentare di archiviare il finto tentativo di apertura al movimento startup – operato secondo modelli fantasiosi e inventati di sana pianta rispetto alle practice internazionali – come inadeguato all'Italia per una presunta minore qualità dei nostri founder. Fa ridere solo a sentirla".  

In Francia di Macron ha ingranato la sesta, e non è un Paese poi così diverso dall'Italia. 
"La Francia si è lanciata verso un abbraccio del domani forte e convinto, per cavalcare la tecnologia, mentre l'Italia naviga verso una totale e cieca protezione del passato, guidata da una classe politica convinta di potersi disinteressare del vero interesse collettivo e perfino fare nefandezze perchè quel che conta è controllare i titoli dei giornali e telegiornali per guidare l'opinione pubblica. Il brutto è che hanno in parte ragione perché questo è un paese di anziani che si informano così, ma diventa meno vero con ogni anziano che si digitalizza ogni giorno che passa". 

Secco: cosa dovremmo fare per invertire la tendenza?
"Di fare sul serio, seguendo le practice internazionali, copiando anzichè inventando di sana pianta modelli e schemi. E togliere fiato e visibilità ai benaltristi che confondono, intorbidiscono, e sguazzano nella confusione. La filiera delle startup e del venture business sono strettamente connesse e ben codificate, basta conoscerle per applicarne normativamente le logiche, ed inserire incentivi laddove si debba temporaneamente stimolare alcune categorie a fare delle cose in un certo modo. Servono interventi forti lungo tutta la filiera delle startup, sia a favore delle startup stesse che delle varie tipologie di soggetti che ne costituiscono il terreno di crescita, il concime e l'acqua. Abbiamo un vero Statista da qualche parte? Qualcuno che non solo come facciata pensi allo sviluppo del Paese, anziché alla spartizione delle sue spoglie? L'Italia ha tranquilllamente il potenziale per impiegare oltre 100mila persone in nuove startup tecnologiche in un ciclo virtuoso che crea e distribuisce ricchezza".  

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Startup: SoftBank pronta a investire in Deliveroo

(AGI) – Milano, 4 lug. – Vision Fund, fondo d’investimento controllato da SoftBank, sarebbe pronto a investire in Deliveroo, servizio per la consegna a domicilio di cibo. Lo scrive SkyNews. Le fonti parlano di “forte interesse” e di un’operazione che si avvia ormai verso la “definizione dei dettagli”. Le societa’ coinvolte non hanno dato conferma ufficiale. Non e’ ancora chiaro quanto ampia sara’ la quota che SoftBank decidera’ di acquisire. Le fonti, pero’, prospettano una valutazione che sfiora i 2 miliardi di dollari. Se le cifre fossero confermate, nel giro di pochi mesi Deliveroo avrebbe quasi raddoppiato il proprio valore: lo scorso agosto, la societa’ aveva incassato un round da 275 milioni di dollari che l’aveva proiettata nel gruppo degli ‘unicorni’, le startup che valgono piu’ di un miliardo.
SoftBank ha creato Vision Fund con l’obiettivo di trasformarsi, in un decennio, nel principale investitore al mondo nel settore tecnologico. Il fondo e’ partecipato da Saudi Arabian Public Investment Fund, dal fondo sovrano di Abu Dhabi e da alcuni grandi gruppi come Apple, Qualcomm, Foxconn e Sharp. Deliveroo sarebbe il suo primo passo nel settore del food delivery. Un mercato sempre piu’ concorrenziale, tra attori nati nel comparto e nuovi arrivati. Ai primi appartengono Just Eat e Delivery Hero (controllante di Foodora). Ai secondi Uber Eats e Amazon, con Prime, Fresh e con la recente acquisizione di Whole Foods. (AGI)
Di2/Mau

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