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Sono cominciati i saldi e i commercianti temono un grosso flop

AGI – Saldi invernali ai nastri di partenza, ma ad altissimo rischio flop. La stagione degli sconti commerciali prende il via oggi, ufficialmente, in Basilicata, Molise e Valle d’Aosta. Da lunedì in Abruzzo e Calabria, e da martedì 5 gennaio in Sardegna e Campania.

I saldi, quindi, partono con l’Italia in zona rossa, con divieti e restrizioni, a causa dell’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus, e di conseguenze la stragrande maggioranza dei negozi resterà con la saracinesca abbassata. Per questo alcune Regioni stanno valutando l’opportunità di rinviare di qualche giorno l’ok ai saldi, in attesa del cambio di colore.

Da giovedì 7 gennaio, quando probabilmente tutto il Paese potrebbe passare in zona gialla (ma alcune regioni sono a rischio ‘rosso’), è previsto il via in Lombardia, Piemonte, Sicilia, Puglia e Friuli Venezia Giulia; il 9 in Umbra, poli Lazio ed altre regioni, mentre a fine mese, tra 29 e 30, in Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Liguria. La durata varia da regione ea regione, e va da circa quattro settimane ad un massimo di due mesi.

Come sottolineato dalle principali associazioni di categoria, la crisi economica legata alla pandemia già nei mesi scorsi ha di fatto obbligato molte attività commerciali ad effettuare vendite promozionali, sconti eccezionali, approfittando anche della riapertura dei negozi nelle settimane in arancione a giallo. I commercianti, quindi, temono una stagione dei saldi invernali particolarmente sottotono.    

Secondo le stime dell’Ufficio Studi di Confcommercio anche quest’anno lo shopping dei saldi interessa oltre 15 milioni di famiglie. Ogni persona, anche a causa dell’effetto Covid, spenderà circa 110 euro, muovendo però in totale 4 miliardi di euro contro i 5 miliardi dell’anno scorso.

In ogni caso, per un corretto acquisto degli articoli in saldo, Federazione Moda Italia e Confcommercio ricordano alcuni principi di base sui saldi ai tempi del Covid:

1 – Cambi: la possibilità di cambiare il capo dopo che lo si è acquistato è generalmente lasciata alla discrezionalità del negoziante, a meno che il prodotto non sia danneggiato o non conforme (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Codice del Consumo). In questo caso scatta l’obbligo per il negoziante della riparazione o della sostituzione del capo e, nel caso ciò risulti impossibile, la riduzione o la restituzione del prezzo pagato. Il compratore è però tenuto a denunciare il vizio del capo entro due mesi dalla data della scoperta del difetto.
2 – Prova dei capi: non c’è obbligo. E’ rimesso alla discrezionalità del negoziante.
3 – Pagamenti: le carte di credito devono essere accettate da parte del negoziante e vanno favoriti i pagamenti cashless.
4 – Prodotti in vendita: i capi che vengono proposti in saldo devono avere carattere stagionale o di moda ed essere suscettibili di notevole deprezzamento se non venduti entro un certo periodo di tempo.
5 – Indicazione del prezzo: obbligo del negoziante di indicare il prezzo normale di vendita, lo sconto e il prezzo finale.
6 – Rispetto delle distanze: occorre mantenere la distanza di un metro tra i clienti in attesa di entrata e all’interno del negozio.
7 – Disinfezione delle mani: obbligo di igienizzazione delle mani con soluzioni alcoliche prima di toccare i prodotti.
8 – Mascherine: obbligo di indossare la mascherina fuori dal negozio, in store ed anche in camerino durante la prova dei capi.
9 – Modifiche e/o adattamenti sartoriali: sono a carico del cliente, salvo diversa pattuizione.
10 – Numero massimo di clienti in store: obbligo di esposizione in vetrina di un cartello che riporti il numero massimo di clienti ammessi nei negozi contemporaneamente.


Sono cominciati i saldi e i commercianti temono un grosso flop

L’Inps assicura, “le prestazioni non sono a rischio”

AGI – L’emergenza Covid ha richiesto da inizio anno risposte straordinarie, che hanno impegnato l’Inps in attività di sostegno al Paese che non hanno precedenti ma non ci sono pericoli per l’erogazione delle prestazioni. Lo assicura l’istituto in una nota in cui spiega che “l’equilibrio dei conti non è in discussione ed ogni aggravio generato dall’eccezionalità del periodo viene costantemente monitorato e ha garanzia di copertura nel complessivo controllo dei conti pubblici e nelle manovre di Governo e Parlamento”. “Il deficit particolare di questo anno, che segue un 2019 dai conti in attivo, non mette a rischio nè le future prestazioni, nè la validità delle misure a sostegno di cittadini e imprese”.

La rassicurazione di Boeri

Se il debito pubblico è sostenibile lo è sicuramente anche il bilancio dell’Inps”, ha affermato Tito Boeri, ex presidente dell’Istituto pensionistico, in un’intervista a La Stampa. A suo avviso è”fuorviante” guardare solo alla passività dell’ente che ha guidato dal 2014 al 2019: “Non significa nulla, perché molte delle spese vengono poi coperte dai trasferimenti dello Stato” ed è sempre possibile fare operazioni per appianare le perdite. Con la crisi innescata dal Covid “abbiamo avuto uno choc economico terribile, con una riduzione molto forte dei contributi che ha portato a questa situazione”, ha sottolineato Boeri. 

 

Agi

Martedì si decide sulla revoca ad Aspi. Mion: “Dall’azienda proposta seria ma non sono ottimista” 

AGI – Autostrade per l’Italia ha mandato la sua proposta al governo che avrà tre giorni per analizzarla nel dettaglio e poi, martedì prossimo, prendere una decisione definitiva in Consiglio dei ministri. L’offerta è arrivata sul tavolo del governo che, dalle prime indicazioni, la considera “decisamente migliore” rispetto a quella inviata a inizio giugno.

Il premier Giuseppe Conte nei giorni scorsi aveva chiesto “una proposta vantaggiosa” per lo Stato e da quello che filtra dai primi approfondimenti pare che questa sia arrivata. Complessivamente la proposta di Aspi vale 11 miliardi (3,4 miliardi piu’ 7,5 miliardi di investimenti da piano).

Il governo punta a un taglio di almeno il 5% delle tariffe, a indennizzi a Genova, a maggiori controlli sulla rete, a un’accelerazione sugli investimenti, a una manutenzione straordinaria. A inizio mese Aspi aveva offerto 2,8 miliardi di euro. Ora la cifra dovrebbe essere quella chiesta dall’esecutivo di 3,4 miliardi.

C’è poi la questione della governance di Autostrade per l’Italia. Il governo in più di un’occasione ha chiesto ai Benetton di fare un passo indietro sul controllo della società (oggi Atlantia ha l’88% di Autostrade). Sembra che la holding sia disposta a scendere sotto il 50% non piu’ attraverso una cessione tout court della quota ma con un aumento di capitale pari a circa 3 miliardi di euro per fare entrare nell’azionariato delle “nuove” Autostrade, Cdp, F2i, Poste Vita e alcune casse previdenziali. Le risorse fresche permetterebbero inoltre alla società di fare quegli investimenti necessari ad ammodernare la rete. In questo modo, inoltre Atlantia non sarebbe costretta a vendere “sotto prezzo” Aspi che, a causa del decreto Milleproroghe, ha visto il proprio valore precipitare a causa del taglio dell’indennizzo da corrispondere in caso di revoca della concessione da 23 miliardi a 7.

La misura approvata a gennaio dal Governo – unita al debito di 10 miliardi di Aspi – ha rappresentato un notevole vulnus sia per la riduzione dell’indennizzo ma anche perche’, di fatto, ha reso impossibile il finanziamento sul mercato a causa dei downgrade delle agenzie di rating.

Se tutte le caselle andranno al loro posto e se il Cdm martedì darà il via libera all’accordo il passo successivo sarà quello della messa a punto della governance della nuova società. In caso contrario la revoca sarà l’unica strada percorribile. 

Mion: “Proposta seria”

Da parte di Autostrade per l’Italia e Atlantia è arrivata al governo “una proposta seria” per chiudere la partita legata al futuro della concessione di Aspi, ma “non sono ottimista”. A dirlo all’AGI è Gianni Mion, presidente di Edizione, la holding della famiglia Benetton che è il primo azionista di Atlantia. I due gruppi, ha tenuto a sottolineare il manager, “hanno fatto un grande sforzo, anche professionale”; ora “non resta che aspettare”.

Barbara Lezzi: “Benetton fuori”

Per la senatrice M5s Barbara Lezzi il governo deve rifiutare la proposta di Aspi ed è “doveroso” che sia resa nota la posizione che prenderà ciascun ministro in Cdm martedì. “È stato molto chiaro il presidente Conte l’altro giorno quando ha parlato di Autostrade per l’Italia: ‘O arriva una proposta irrinunciabile da Aspi nelle prossime ore oppure il governo procedera’ con la revoca della concessione sulla rete autostradale'”, premette l’ex ministro per il Sud, in un lungo post su Facebook.

“La proposta è arrivata e prevede una diminuzione della partecipazione dei Benetton nella società e qualche promessa su investimenti e calo dei pedaggi”, continua Lezzi. “È una proposta alla quale il governo deve rinunciare per i motivi arcinoti che hanno causato il crollo del Ponte Morandi e la morte di 43 persone ma anche per comportamenti successivi alla strage”. In primo luogo, elenca, “i Benetton hanno presentato un esposto perché sono stati esclusi dalla ricostruzione del Ponte. In attesa della sentenza, hanno sempre e solo alzato la posta. Solo quando la Consulta ha sentenziato a favore di quella scelta di esclusione, hanno abbassato le penne”.

Della Vedova: “No a nazionalizzazioni”

“Conte orientato alla nazionalizzazione di Autostrade. Avrà un progetto industriale: piu’ efficienza nella gestione e risparmi per i contribuenti? No: la solita paura del populismo M5S che chiede vendetta e minaccia la crisi. Si nazionalizza ideologicamente, cosi’, alla venezuelana”. Lo scrive su Twitter il segretario di Piu’ Europa, Benedetto Della Vedova.

Boschi: “Revoca può danneggiare interesse dei cittadini”

“Stiamo cercando di portare un po’ di buonsenso e di ragionevolezza nelle discussioni dentro il Governo sulle concessioni autostradali, come su mille altri argomenti. Noi crediamo che si debba guardare anzitutto all’interesse dei cittadini. Chi ha sbagliato deve pagare e sono i tribunali a doverlo stabilire. Noi dobbiamo garantire ai cittadini che i servizi siano di qualità, quindi garantire che sulle reti autostradali ci sia manutenzione, ci siano investimenti e salvaguardare i posti di lavoro”. Lo ha detto Maria Elena Boschi, capogruppo di Italia Viva alla Camera nella giornata di sabato.

 

Agi

Quante sono le imprese che possono garantire il distanziamento fisico

AGI – Il 56,3% delle imprese (63,2% in termini di occupazione) ha già adottato l’adeguamento degli spazi di lavoro per assicurare il distanziamento fisico dei lavoratori, il 29,3% (26,7% degli addetti) non ha ancora provveduto ma afferma di poterlo fare, ma il 14,4% (10,1% di addetti) dichiara che gli spazi di lavoro risultano impossibili da adeguare. Lo riferisce l’Istat nel rapporto su situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria.

Dal punto di vista settoriale – fa notare l’Istat – l’adozione di questa misura risulta particolarmente difficoltosa nelle costruzioni, dove il 41,9% delle imprese ha provveduto all’adeguamento mentre il 29,4% afferma di non essere nella condizione di farlo. Le difficolta’ sono decisamente minori nel comparto del commercio: ha provveduto ad adeguare gli spazi lavorativi il 68,1% delle imprese e solo il 10,2% ritiene che non sia possibile.

La difficoltà a riadattare gli spazi di lavoro dipende poi molto dalla dimensione aziendale. A dichiararsi impossibilitate a farlo sono il 15,3% delle micro-imprese e l’11,6% delle piccole (che insieme rappresentano il 7,2% dell’occupazione complessiva). Fra le medie e le grandi, più di due imprese su tre hanno già provveduto alla riorganizzazione degli spazi (30,7% dell’occupazione) mentre solo il 7,4% delle medie e il 4,3% delle grandi affermano di non poterli adeguare (2,8% degli occupati).

A livello territoriale non emergono differenze significative, malgrado il lieve ritardo dell’Italia centrale e del Mezzogiorno dove è piu’ alta la quota di imprese che non si sono ancora adeguate pur essendo nelle condizioni di poterlo fare (31,6% e 34,0%) rispetto al Nord-ovest (26,2%) e al Nord-est (26,1%).

Agi

Sono oltre 43 mila i contagiati sui luoghi di lavoro

Sono 43.399 i contagi da nuovo Coronavirus di origine professionale denunciati all’Inail tra la fine di febbraio e il 15 maggio, circa seimila in più rispetto ai 37.352 della rilevazione del 4 maggio. Lo rende noto l’Inail. I casi di infezione con esito mortale registrati nello stesso periodo sono 171, 42 in piu’ rispetto al monitoraggio precedente, e circa la metà riguarda il personale sanitario e socio-assistenziale, con i tecnici della salute e i medici al primo posto tra le categorie più colpite.

L’età media dei lavoratori che hanno contratto il virus è di 47 anni, sale a 59 per i casi mortali

Come evidenziato dal terzo report sui contagi sul lavoro da Covid-19 elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto, l’età media dei lavoratori che hanno contratto il virus è di 47 anni per entrambi i sessi, ma sale a 59 anni (58 per le donne e 59 per gli uomini) per i casi mortali. Nove decessi su 10, in particolare, sono concentrati nelle fasce di età 50-64 anni (70,8%) e over 64 anni (19,3%). Il 71,7% dei lavoratori contagiati sono donne e il 28,3% uomini, ma il rapporto tra i generi si inverte nei casi mortali.

I morti tra gli uomini sono l’82,5% del totale, il primato negativo al Nord Ovest

I decessi degli uomini, infatti, sono pari all’82,5% del totale. L’analisi territoriale conferma il primato negativo del Nord-Ovest, con oltre la metà delle denunce complessive (55,2%) e il 57,9% dei casi mortali. Tra le regioni, invece, più di un’infezione di origine professionale su tre (34,9%) e il 43,9% dei decessi sono avvenuti in Lombardia. Rispetto alle attività produttive, il settore della Sanità e assistenza sociale, che comprende ospedali, case di cura e case di riposo, registra il 72,8% delle denunce (e il 32,3% dei casi mortali), seguito con il 9,2% dall’amministrazione pubblica, con le attività degli organi legislativi ed esecutivi centrali e locali.

Agi

I committenti pagano in ritardo e le Pmi sono in difficoltà

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Una piccola azienda su due segnala che i tempi di pagamento dei committenti privati si sono allungati a dismisura e questo sta mettendo a rischio la tenuta finanziaria di tantissimi autotrasportatori, produttori di imballaggi  e di una parte di  attività metalmeccaniche che, in questo periodo di lockdown, hanno comunque lavorato. Lo segnala la Cgia di Mestre. Realtà, fa sapere la Cgia, che anche in condizioni di normalità economica sono spesso a corto di liquidità e sottocapitalizzate. 

“La questione liquidità per le piccole imprese è dirimente. – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – Se anche coloro che hanno lavorato faticano ad incassare le proprie spettanze, è evidente che bisogna cambiare registro. Ovvero, stop a prestiti bancari a tassi comunque non proprio prossimi allo zero, che costringono le attività ad indebitarsi ulteriormente. Sì, invece, a contributi a fondo perduto. Se con troppi debiti le piccole imprese sono destinate a saltare, lo Stato, invece, anche con un debito pubblico maggiore, può reggere, grazie anche alle misure che la Bce e l’Unione Europea  metteranno  in campo nei prossimi mesi”. 

“Anche chi ha potuto tenere aperto – come i fotografi, gli ottici e le pulitintolavanderie – ricavi ne ha fatti molto pochi e sta riflettendo se con la fine del lockdown avrà comunque senso continuare l’attività. Per questo, oltre a dare liquidità a fondo perduto a queste piccole attività, è necessario anche un taglio fiscale importante sin da subito”, dice ancora Mason. 

In merito alla cosiddetta “fase 2”, la Cgia auspica che le attività possano aprire quanto prima, decisione, ovviamente, che deve essere avallata dalla comunità scientifica, in quanto la salute dei cittadini e dei lavoratori autonomi/dipendenti deve essere posta sempre al primo posto. Tuttavia, ciò che sorprende e che non si parli per nulla della cosiddetta “fase 3”, vale a dire quella del rilancio economico. In altre parole, il Governo non sembra avere  un piano di rilancio, un progetto, un’idea sul futuro del Paese. Un’azione che sarebbe indispensabile, anche per dettare la linea a tanti imprenditori che dopo questa esperienza si sentono disorientati e confusi. 

Agi

Milano e le borse europee sono in netto rialzo

La Borsa di Milano e quelle europee sono in netto rialzo. Il Chicago Board Option Exchange Volatility Index, termometro della febbre sui mercati innescata dall’emergenza coronavirus, sembra aver arrestato la sua corsa.

L’indice della paura di Wall Street, in un contesto di massima volatilità sui mercati, rallenta del 5% a 72 punti ma resta comunque molto al di sopra dei livelli di guardia. Dopo il balzo di lunedì di quasi 25 punti a 82,69 punti (che ha superato il record a quota 80,74 del 21 novembre 2008) l’indicatore della volatilità ha allentato il passo.​

Agi

Perché Fca e Peugeot sono una coppia perfetta

PSA e Fiat Chrysler sono una coppia perfetta: gli analisti, come rilevò lo scorso mese di ottobre les Echos, sostengono che per entrambe le case automobilistiche il “matrimonio” rappresenta una mossa vincente per collocarsi tra i leader dell’industria automobilistica globale.

Alcuni mesi fa, nella scorsa primavera, a Ginevra in occasione del Motor Show, Carlos Tavares e Mike Manley avevano filtrato anche di fronte alla stampa. Ad ottobre, i rispettivi boss di PSA e Fiat Chrysler hanno entrambi ammesso di essere molto aperti alle partnership – e anche a molto di più. “Puoi sognare di tutto”, aveva detto il pilota della Peugeot. “Studierò ogni proposta che permetta alla Fiat di rafforzarsi”, aveva ribattuto l’uomo che ha preso le redini dell’azienda dopo Sergio Marchionne (che amava molto questo progetto).

I vantaggi di tale unione sono evidenti e già noti: su diversi scaffali della biblioteca del quartier generale di Peugeot, sono stati rinvenuti gli archivi dei banchieri che ne illustravano i benefici. Ma in passato, in diverse occasioni, i negoziati avevano sempre fallito.

I timori di malcontenti o di impasse causa della concorrenza erano stati a lungo troppo forti. E durante l’ultimo tentativo fallito, solo pochi anni fa, il gruppo italiano finalmente si arrese e, racconta sempre il quotidiano francese, “il bel Sergio preferì cadere tra le braccia della General Motors“. Ma poi l’aria è cambiata.

La verità è che con gli enormi investimenti richiesti dall’auto elettrica e autonoma, il calo a sorpresa del gasolio e la fine del ciclo di crescita del mercato mondiale, i gruppi erano da tempo alla ricerca di nuove soluzioni. La pressione finanziaria è tale che Volkswagen e Ford stanno negoziando le linee guida di un ampio partenariato tecnologico. Anche i nemici giurati BMW e Mercedes hanno unito le forze nei servizi di mobilità e di guida autonoma.

Con il ritiro forzato dall’Iran, per Psa si tratta di un passo fondamentale quello di “fare un grande ritorno progressivo negli Stati Uniti”. I francesi e gli italiani diventano appunto il quarto leader mondiale e anche dal punto di vista della geografia industriale inattaccabili, o quasi. Per Fca, le vendite in Europa sono in fase di stallo, ma i marchi Jeep e RAM hanno permesso di ridurre il debito del gruppo.

A PSA, invece si trovano le tecnologie di cui FCA ha disperatamente bisogno per evitare le multe di CO2 a 9 cifre di Bruxelles, un know-how europeo riconosciuto (i margini del gruppo più dei re tedeschi premium del Vecchio Continente).

Dal canto suo, Carlos Tavares, detto il guru della Peugeot, ha già messo a posto i conti dell’azienda. E ha sempre sostenuto che attualmente “non possiamo creare un gigante mondiale in Europa a causa di regole anticoncorrenziali”. Ma con un gruppo più americano che italiano, è un’altra storia. Appunto, d’amore.

Agi

In tre mesi sono stati persi 60 mila occupati

“Dopo la crescita dell’occupazione registrata nel primo semestre dell’anno e il picco raggiunto a giugno, a partire da luglio i livelli occupazionali risultano in lieve ma costante calo, con la perdita di 60 mila occupati tra luglio e settembre”. E’ quanto spiega l’Istat. Risale a settembre il tasso di disoccupazione, che cresce di 0,3 punti percentuali al 9,9%.

Secondo l’istituto, le persone in cerca di occupazione sono in aumento del 3% e che la crescita della disoccupazione riguarda entrambe le componenti di genere e coinvolge tutte le classi d’età tranne i 25-34enni. In questa fascia, infatti, il tasso di disoccupazione sale di 1,1 punti percentuali a settembre su agosto, portandosi al 28,7%. 

Agi

Sono crollati i prestiti delle banche alle imprese italiane

Chiudono ancora i rubinetti le banche italiane: sono crollati di 51 miliardi di euro i prestiti alle aziende italiane negli ultimi 12 mesi. Lo stock di finanziamenti alle imprese societarie è sceso di 46 miliardi da 696 miliardi a 650 miliardi, mentre sono diminuiti di quasi 6 miliardi i crediti alle imprese familiari, da 83 a 77 miliardi (-7%). In leggera crescita i prestiti alle famiglie di 9 miliardi da 536 miliardi a 545 miliardi. Questi i dati principali del rapporto mensile sul credito del Centro studi di Unimpresa, secondo cui le sofferenze nette sono calate di 8 miliardi a quota 32 miliardi.

“Purtroppo le banche italiane, anche negli ultimi 12 mesi, hanno confermato la tendenza ad aver messo in secondo piano – se non abbandonato – l’attività tradizionale ovvero finanziare la cosiddetta economia reale”, commenta il vicepresidente di Unimpresa, Andrea D’Angelo. “Adesso ci preoccupa la prospettiva di tassi negativi sui depositi che potrebbe aumentare significativamente il costo dei rapporti con le banche. Il nostro sistema economico non è ancora pronto a utilizzare alternative a quella bancaria”, aggiunge D’Angelo.

Secondo il Centro studi dell’associazione, che ha rielaborato i dati della Banca d’Italia, da agosto 2018 ad agosto 2019, lo stock di prestiti a famiglie e imprese è diminuito complessivamente di 43 miliardi di euro (sul risultato incidono anche le cartolarizzazioni, cioè la cessione di crediti malati) da 1.324 miliardi a 1.281 miliardi (-3,3%).

Sul dato negativo pesa il calo dei finanziamenti alle aziende, sia alle imprese familiari (meno 5 miliardi, con un calo del 7% da 83 miliardi a 77 miliardi ) sia alle imprese societarie (meno 46 miliardi, con un calo del 6% da 696 miliardi a 650 miliardi). Le aziende complessivamente hanno subito un taglio di 51 miliardi di euro.

Sono leggermente cresciuti, invece, i prestiti alle famiglie di 9 miliardi (mutui e credito al consumo) in lieve aumento dell’1,7% da 536 miliardi a 545 miliardi. La pulizia dei bilanci dai crediti deteriorati è proseguita con la solita velocità registrata negli ultimi tre, quattro anni: le sofferenze lorde (che nel 2014-2015 avevano superato quota 200 miliardi di euro) sono ulteriormente diminuite, negli ultimi 12 mesi, di 38 miliardi passando da 126 a 87 miliardi (-30%).

Le sofferenze nette (quelle coperte da garanzie reali) sono scese di 8 miliardi da 40 miliardi a 32 miliardi (-20%). Per quanto riguarda la raccolta, le banche hanno assistito a una crescita del 6% complessiva delle somme detenute sui loro depositi da tutte le categorie di clienti: in totale, sui depositi (ad agosto scorso) risultano 1.481 miliardi in aumento di 91 miliardi (più 6%) rispetto ai 1.390 miliardi di agosto 2018.

I conti correnti sono oggetto di forte attenzione dopo l’annuncio di un importante gruppo bancario intenzionato ad applicare tassi negativi sui saldi superiori a 100.000 euro, con l’obiettivo dichiarato di trasferire con maggiore efficacia le decisioni di politica monetaria della Banca centrale europea; sui conti correnti sono depositati ben 1.168 miliardi da parte della clientela bancaria, un dato in crescita di 88 miliardi (più 8%) in un solo anno (ad agosto il totale si era fermato a 1.079 miliardi).

Il calo dello spread ha reso meno rischioso investire nel debito pubblico italiano, ragion per cui le banche ne hanno approfittato per aumentare la sottoscrizione di bot e btp. Gli istituti hanno comprato massicciamente sia sul mercato secondario le obbligazioni del Tesoro già in circolazione sia sottoscrivendo le nuove emissioni alle aste: nell’ultimo anno, il totale dei titoli di Stato italiani detenuti dalle banche del nostro Paese è saliti di 36 miliardi (più 10%) da 372 miliardi a 409 miliardi.

Agi