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Da Unicredit-Mps alla corsa agli incentivi, le sfide d’autunno per il sistema bancario

AGI – Dalla messa in sicurezza definitiva del Monte dei Paschi alla corsa per sfruttare, tramite un nuovo round di matrimoni, il tesoretto costituito dalle Dta, le imposte attive differite trasformabili in un credito fiscale. Dopo la pausa estiva, movimentata dalla due diligence di Unicredit sul Monte e da una tornata di conti semestrali tonici, sono queste le sfide d’autunno per il settore bancario.

La partita per Il Monte

Sul fronte senese, che scalda anche la politica, specialmente considerata la coincidenza con un’importante tornata di elezioni amministrative e con quelle per il collegio della città toscana che vedono fra i protagonisti il segretario del Pd Enrico Letta, le prime novità sono attese per settembre.

Entro la prima decade del mese da Unicredit e dal suo ad, Andrea Orcel, dovrebbero arrivare degli aggiornamenti a fronte dell’analisi condotta su Mps: la banca milanese, salvo proroghe della due diligence, si ritroverà a discutere con il ministero dell’Economia e delle Finanze il perimetro di Mps a cui è interessata e i restanti contorni dell’operazione. Fra le condizioni poste che sia neutrale per il capitale di Unicredit e che ne accresca l’utile per azione. Nella ‘data room’ del Monte, poi, sarebbe entrata anche Medio Credito Centrale, che acquisirà parte degli assets (a partire dalle filiali del Sud Italia) a cui la banca guidata da Orcel non è interessata o che non può acquisire per ragioni di antitrust.

La scadenza delle Dta

Uno dei punti che ha reso interessante l’operazione Unicredit-Mps è proprio la possibilità di sfruttare le Dta per trasformarle in credito d’imposta, considerato che valgono oltre 2 miliardi. Sul tema, in una bozza del Dl Sostegni bis, era stata ventilata una proroga della scadenza attuale, prevista per il 31 dicembre, a metà 2022, per dare più tempo al consolidamento del sistema bancario. La norma, però, non è stata inserita nella versione finale del provvedimento, da cui è stata stralciata.

L’importanza delle Dta è tale da essere stato uno dei perni anche di altre operazioni che si sono concretizzate, come quella relativa all’opa con cui Credit Agricole ha conquistato il Credito Valtellinese. L’asset rischia di essere cruciale anche per altre partite, sia di stampo ‘difensivo’, come quella per trovare un partner per Carige, sia che si tratti di aggregazioni motivate dalla volontà di crescita dei singoli istituti. Nel caso di un matrimonio come quello fra Bpm e Bper, più volte ipotizzato, già sfumato in passato e sempre riemerso come un fiume carsico, il tesoretto varrebbe un miliardo.

Il tempo utile stringe e i consigli d’amministrazione degli istituti dovrebbero deliberare il via libera dell’operazione entro fine anno; già questo risulta comunque un vantaggio, visto che la precedente normativa prevedeva che dovesse arrivare l’approvazione anche dalle assemblee. A meno che, ed è, come un segreto di Pulcinella, la speranza che diversi accarezzano nel settore bancario, ora che la pratica Mps sembra avviata a una risoluzione, il governo non riproponga un’estensione della finestra per sfruttare le Dta, magari nella legge di bilancio, ovvero dopo le elezioni di ottobre, prima delle quali sembra impossibile intervenire su un tema caldo come quello bancario.


Da Unicredit-Mps alla corsa agli incentivi, le sfide d’autunno per il sistema bancario

Part time e lavoro a tempo minano il sistema pensionistico

In Italia il part time e il lavoro a tempo mettono a rischio la tenuta del sistema pensionistico. È quanto emerge dal rapporto ‘Pension at Glance‘ dell’Ocse, secondo cui queste due forme di lavoro sono cresciuti di oltre il 10% nel 2017, contro il 5% della media Ocse.Nel rapporto si evidenzia come il part time e il lavoro a tempo, che di “solito implicano bassi guadagni” e che in Italia sono più diffuse che nel resto dei paesi Ocse,rappresentino un pericolo per il sistema previdenziale italiano, poiché rischiano di produrre entrate pensionistiche “più basse”.

E questo soprattutto per il fatto che in Italia c’è una “stretta relazione tra i contributi individuali e i benefici del sistema previdenziale”. L’Ocse rileva anche che, proprio per questa stretta relazione tra contributi e benefici pensionistici, in Italia “le interruzioni di carriera” riducono significativamente l’importo medio delle pensioni. Più nel dettaglio l’Ocse evidenzia che un’interruzione di carriera di 5 anni di un salariato medio in Italia “ridurrà le pensioni del 10% contro il 6% della media Ocse”.  L’Ocse sostiene inoltre che in Italia “una carriera lavorativa senza interruzioni di contributi non è frequente e potrebbe esserlo ancora meno in futuro”. 

Si andrà in pensione a 71 anni

L’Italia, insieme a Danimarca, Estonia e Olanda, è uno dei 4 Paesi Ocse in cui chi entra oggi nel mondo del lavoro andrà in pensione di anzianità a 71 anni di età. Per l’Ocse chi ha iniziato a lavorare in Italia a 22 anni nel 2018 andrà in pensione di anzianità a 71 anni, contro i 74 anni della Danimarca e i 71 dell’Olanda e dell’Estonia. Nei Paesi Ocse in media si andrà in pensione a 66,1 anni.

L’Ocse rileva inoltre che, anche per i nuovi arrivati nel mondo del lavoro, qualora restassero in vigore le norme attuali, sarà possibile chiedere di andare in pensione a 68 anni con 20 anni di contributi. L’Ocse evidenzia anche che il tasso di sostituzione, cioè la percentuale di stipendio medio accumulato nel corso della vita lavorativa che va a formare la pensione, nei Paesi Ocse è attualmente del 59%, mentre in Italia sale al 92% per chi va in pensione a 71 anni, mentre per chi chiederà la pensione a 68 anni con 20 anni di contributi scenderà al 79%.​

Oggi gli italiani vanno in pensione prima degli altri Paesi Ocse

In media gli italiani vanno in pensione a 62 anni e cioè 2 anni prima della media Ocse, che è di 64 anni, e 5 anni prima di quanto preveda la pensione di anzianità. Inoltre, i tassi medi di occupazione giovanile e quello relativo ai lavoratori anziani in Italia sono bassi: il 31% per gli addetti tra 20-24 anni e il 54% per quelli di 55-64 anni, contro una media Ocse rispettivamente del 59% e del 61%.

Allo stesso modo, secondo l’Ocse, in Italia i lavoratori autonomi, pur avendo una copertura previdenziale, sono sottoposti ad aliquote più basse, che si traducono in “diritti pensionistici più bassi”. In Italia i lavoratori autonomi sono il 20% del totale degli addetti, contro una media Opec del 15%. Inoltre in 15 dei 35 Paesi Opec i lavoratori autonomi percepiscono una pensione che in media è del 22% più bassa rispetto a quella degli altri pensionati, mentre in Italia è più bassa del 30%. Secondo l’Ocse la sfida che attende l’Italia sul fronte previdenziale è quella di “mantenere adeguati benefici dalle pensioni di anzianità, limitando la pressione fiscale a breve, medio e lungo termine”.

Inoltre, la priorità per il nostro Paese dovrebbe essere quella di “innalzare l’età pensionabile effettiva” attraverso una “limitazione dei pensionamenti agevolati” e “applicando correttamente i collegamenti con l’aspettativa di vita”. E ancora: aumentare i tassi di occupazione, specie tra i gruppi più vulnerabili e “far convergere” le aliquote dei contributi pensionistici di tutti i settori lavorativi, “aumentando le pensioni di chi ha bassi tassi di contribuzione”.

La spesa previdenziale è tra le più alte

Quanto alla spesa previdenziale, è la seconda più alta tra i Paesi Ocse, dietro soltanto a quella della Grecia. Nel 2015 si è attestata al 16,2% del Pil, contro il 16,9% della Grecia e fronte di una media Ocse dell’8,5%. Al terzo posto, subito dopo l’Italia è l’Austria con una spesa previdenziale al 13,9% del Pil, mentre il Paese con la media piu’ bassa e’ e’ il Messico con il 2,2%. il reddito medio delle persone sopra i 65 anni e’ in linea con quello del resto della popolazione, mentre nei Paesi Ocse in media è il 13% più basso.​

Agi