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Da ottobre a Milano i monopattini elettrici. “Ma servono regole” dice l’esperta

In ottobre Milano avrà come le altre grandi città europee i suoi monopattini elettrici in condivisione, ma l’auspicio è che il loro utilizzo venga regolamentato in modo da garantire la sicurezza di chi li usa e dei pedoni, soprattutto. Il Comune ha fissato per il mese di settembre il bando per le società che vorranno proporre il servizio, che dovrebbe essere operativo già da ottobre.

Come ha spiegato all’Agi l’esperta di mobilità urbana Patrizia Malgieri, responsabile di pianificazione della società Trt-Trasporti e territorio, “in una città come Milano, dove c’è un problema di traffico e di spazi limitati per pedoni e piste ciclabili, perché anche questi strumenti diventino una parte importante di mobilità, occorre che le regole li rendano compatibili con gli spostamenti di tutti. Tutta la mobilità dovrebbe essere più lenta e più sicura, e Milano sta andando in questa direzione con l’aumento delle zone con il limite di velocità a 30 chilometri all’ora”.

Il fatto di arrivare in ritardo rispetto ad altre città europee come Lisbona o Parigi, dove i monopattini sono 20mila e viaggiano dappertutto in attesa di regolamentazioni, permetterà al Comune di Milano di stabilire dei paletti ben precisi sia per chi fornirà il servizio che per gli utilizzatori. “Si tratta innanzitutto di decidere dove potranno circolare – ha osservato Malgieri – Sicuramente sulle piste ciclabili, ma a Milano sono poche e strette, e nelle zone pedonali, ma non sui marciapiedi, dove lo spazio per i pedoni è già conteso dai tavolini all’aperto di bar e ristoranti”.

Quanto alla circolazione in mezzo al traffico stradale, “è pericolosissima per gli utilizzatori dei monopattini, che sono senza protezione, come i ciclisti, ma più veloci”. Anche il tema della velocità sarà da regolamentare: “di solito viene stabilito che dove vanno assieme ai pedoni i monopattini non possano superare i 6 chilometri orari, perché i mezzi elettrici sono silenziosi e quindi potenzialmente pericolosi per chi cammina”.

Il decreto con cui il governo ha delegato ai Comuni la responsabilità della gestione di questi nuovi mezzi prevede un’attenzione speciale alla segnaletica, ma anche al fatto che dovrà essere stabilito un limite al numero di monopattini in circolazione, compatibile con la situazione delle varie città.

Un altro punto importante riguarda i parcheggi: “nelle città europee dove esistono, ci sono monopattini lasciati disordinatamente ovunque, che ostacolano il passaggio sui marciapiedi e anche per strada. E’ opportuno che anche le società che offrono il servizio si facciano carico di questo aspetto”.

C’è poi un aspetto tariffario: “come anche nel caso del servizio di bike-sharing, dopo un inizio sovvenzionato i prezzi cominciano a salire. A Lisbona per esempio dopo un paio d’anni di servizio, i monopattini costano ora 2,55 euro per miglio percorso: per fare 3 chilometri si spendono 5 euro: più che in taxi. Il mercato – ha proseguito Malgieri – si regola da sé e non si sovvenziona in eterno, ma questo provoca l’aumento dei prezzi e la scomparsa degli operatori meno competitivi, come è successo con le biciclette Ofo a Milano”.  Quanto all’impatto che l’uso di monopattini elettrici può avere sulla riduzione del traffico cittadino, è tutto da studiare: “non ci sono ancora dati che lo dimostrino. Sembrerebbe che riduca piuttosto l’utenza del trasporto pubblico”. L’uso ideale, conclude l’esperta, sarebbe quello misto, “prendere un mezzo pubblico per la parte più lunga del tragitto e completare in monopattino ‘l’ultimo miglio’”.  

Agi

Boccia sprona i politici: “Servono scelte coraggiose, no a facili promesse”

L’Italia per avere una crescita duratura deve “agire”, “non rincorrere facili promesse e recuperare il senso dell’impegno e del sacrificio”: lo afferma il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, nel suo intervento all’assemblea 2019. Servono decisioni “coraggiose”: “siamo mossi dalla visione di un Paese migliore, da costruire con il coraggio delle scelte di oggi”, spiega. E “dalla consapevolezza che possiamo farcela anche grazie ai tanti punti di forza di un’industria larga : manifatturiera, delle costruzioni, dei servizi, della cultura e del turismo”.

In parole povere: più lavoro, meno debito, più crescita e un piano shock per le grandi infrastrutture e le piccole opere “destinate a mettere in sicurezza suolo, ponti, scuole e ammodernare strade”.

Più crescita e meno debito sono “precondizioni per raggiungere più lavoro, a partire dai giovani, la vera priorità nazionale europea”. 

Serve infatti ­“un grande piano di inclusione dei giovani che offra loro la possibilità di crescita professionale adeguata alla competenze”.

Infine è necessario “ridurre il carico fiscale a vantaggio dei lavoratori per aumentare i salari, migliorare il potere d’acquisto e stimolare per questa via la domanda interna oggi particolarmente depressa”.

Agi

In Italia per smettere di essere poveri servono cinque generazioni. Un report 

Ci vogliono in Italia 5 generazioni, vale a dire circa 180 anni, perché un discendente di una famiglia povera si elevi socialmente e percepisca il reddito medio del Paese. E il 71% dei genitori è in ansia perché teme che i loro figli non raggiungano lo stesso status della famiglia d'origine. È quanto emerge da un rapporto dell'Ocse sul cosiddetto "ascensore sociale". Non solo, ma sempre in Italia i due terzi dei figli la cui famiglia d'origine è poco istruita resterà a quel livello mentre solo il 6% riuscirà a prendere un diploma di scuola superiore.

E, ancora, circa il 40% dei figli dei lavoratori manuali farà lo stesso lavoro dei genitori mentre il 31% dei figli di chi percepisce un reddito basso percepirà lo stesso reddito. In questo senso, l'Ocse punta il dito sull'entità molto bassa degli investimenti che si fanno nella scuola e nella formazione, citando ad esempio il fatto che i laureati guadagnano in media solo il 40% in più rispetto ai diplomati, mentre tale percentuale sale al 60% nei paesi dell'area Ocse.

Servono cinque generazioni, ma è nella media 

Per quanto riguarda in generale l'indice di 'ascensore sociale', l'Italia è nella media dei paesi dell'area Ocse dove servono appunto 5 generazioni per elevarsi socialmente e guadagnare anche di più. Ma ci sono alcuni paesi come la Francia e la Germania dove la media sale addirittura a 6 per non parlare del Brasile e del Sudafrica (9 generazioni) o della Colombia (11).

La media cala drasticamente in Danimarca e negli altri paesi nordici (Norvegia, Finlandia, Svezia) dove sarebbero necessarie solo 2 o 3 generazioni. In media, nei paesi Ocse, solo il 17% dei bambini provenienti da ambienti modesti riescono a salire socialmente fino in cima alla scala dei redditi, mentre il 42% dei bambini di famiglie ricche sono in grado di rimanere a quel livello.

L'assenza di mobilità sociale in Italia 

Per l'Ocse, manca insomma la "mobilità sociale": in media, inoltre, solo il 24% dei figli dei lavoratori manuali diventa dirigente (il 27% in Francia) mentre la percentuale è doppia per i figli dei dirigenti. Solo il 12% dei bambini con genitori scarsamente istruiti ha un'istruzione superiore, rispetto a più del 60% dei bambini nati in famiglie più intellettualmente preparate.

Agi News

Ai nuovi lavoratori i sindacati servono ancora o basta un gruppo Facebook?

Il sindacato del futuro potrebbe essere completamente digital e social. È uno scenario immaginato da Quartz che ha provato a capire quanto la rete, e in particolare i gruppi Facebook, siano già in grado di dare una voce “collettiva” a tutti quei lavoratori che non possono iscriversi ad un sindacato tradizionale o che cercano una nuova forma per essere rappresentati e difesi. Parliamo dei collaboratori freelance nati all’epoca dello smart working che lavorano da casa o nei coworking, che non hanno mai visto in faccia i loro colleghi e che, nonostante questa distanza, hanno bisogno di unirsi per portare avanti le stesse battaglie.

Meno costi e più rapidità

I social, del resto, permettono di avere molti vantaggi rispetto al sindacato tradizionale. Si possono condividere molto più rapidamente informazioni ed eventi, aggiornando continuamente in caso di novità e discutendo, quasi in tempo reale, sulle azioni da intraprendere. Permettono di portare avanti scelte democratiche dato che i gruppi sono chiusi, privati e danno la possibilità di lanciare sondaggi e quindi vere e proprie votazioni.

Ma non solo. Abbattono i costi delle sedi fisiche, semplificano gli ostacoli burocratici e fanno ottenere, sfruttando i meccanismi della rete, una maggiore visibilità per le proprie campagne. I dipendenti freelance, i collaboratori, i lavoratori a scadenza, quelli che fanno parte della cosiddetta gig economy, hanno cioè capito che è la rete il luogo giusto dove ritrovarsi, discutere e combattere per i propri diritti.

Un meccanismo che è già partito (e funziona)

Fast Company ha recentemente raccontato della protesta portata avanti dai lavoratori di un’azienda di consegne, Instacart, per ottenere salari più alti. Un protesta nata, organizzata e portata a compimento all’interno di un gruppo Facebook dedicato. Tutto nonostante molti dipendenti fossero iscritti a un sindacato tradizionale che, però, non avrebbe potuto dare loro la possibilità di portare avanti un “no-delivery day”  (un giorno senza consegne) in maniera così repentina e con un impatto mediatico così forte.

Ogni gruppo Facebook, inoltre, impone delle regole di comportamento ai suoi membri molto rigide che ricordano veri e propri statuti ed è governato da amministratori, i famosi admin, che controllano tutto quello che viene pubblicato eliminando qualsiasi forma di spam o di post non inerente al conseguimento di un obiettivo comune. E non è un caso che Facebook abbia deciso di dare loro sempre più poteri.

Un esercito di 100 milioni di membri

Ogni giorno su Facebook nascono moltissimi gruppi e già 100 milioni utenti li popolano e li animano. E quelli dedicati al mondo del lavoro, in particolare, hanno dimostrato quanto possano essere utili nell’unire persone intorno a interessi e intenti comuni. Sia recuperando valori trasmessi dai sindacati “fisici” e sia sfruttando le possibilità offerte dai social come quello di Mark Zuckerberg. Quartz cita altri due esempi: il gruppo chiuso “Airline FA Contract Compare & Share” dove più di 3mila assistenti di volo discutono di ciò che accade, a livello contrattuale e non solo, all’interno delle varie compagnie aeree a cui appartengono; e il gruppo “I’m a Real Estate Appraiser" dove periti ed esperti si ritrovano per avere maggiore controllo all’interno del loro settore in un’epoca di grande cambiamento. 

Dalle bandiere in piazza agli hashtag

Il mondo digitale sta cambiando, infine, anche la creazione e la diffusione degli slogan. Ci sono meno voci urlate dentro ai megafoni, meno discese in piazza e più “cancelletti”da diffondere su twitter e su Facebook. La forma migliore per coinvolgere opinione pubblica e media. Dai dipendenti di Zara, e il loro #ChangeZara per ottenere salari più dignitosi, a #NameTheTranslator e #NoFreePhotos, la lotta di traduttori e fotografi professionisti contro i lavoratori improvvisati.

Le firme di protesta, necessarie per portare avanti le rivendicazioni davanti ai vertici delle aziende, non si raccolgono più nei gazebo ma direttamente attraverso piattaforme specifiche come coworker.org. Tutte iniziative che, nel 2015, ottennero persino l’appoggio e la lode dell’allora Presidente americano, Barack Obama. In un mondo così veloce anche le proteste hanno bisogno di essere coordinate molto rapidamente e arrivando a un numero di utenti più largo possibile nel tempo più breve possibile. Cosa che i sindacati, almeno quelli classici, non stanno più riuscendo a fare. Facebook, invece, sì ed è pronto a prendersi anche questa forma di ritrovo e discussione. 

 

Agi News

Pac: Martina,ad Hogan priorita’ Italia servono regole semplici

(AGI) – Roma, 6 apr. – Le priorita’ dell’Italia per la Politica Agricola post 2020. E’ quanto contenuto nel documento inviato dal Ministro Maurizio Martina al Commissario europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale Phil Hogan.
Si tratta di una prima serie di proposte, spiega una nota del dicastero, risultato del lavoro portato avanti dal Mipaaf in collaborazione con le Regioni e le organizzazioni di categoria per valorizzare al meglio la distintivita’ del modello agricolo italiano e dare risposte concrete ad agricoltori e allevatori.
Parole chiave: maggiore semplificazione, investimenti per l’innovazione, tutela del reddito e salvaguardia delle produzioni per garantire il futuro delle filiere. Per realizzare questi obiettivi il documento italiano propone di valorizzare meglio le Ocm come terzo pilastro della Pac, creare nuovi strumenti di gestione del rischio nell’ambito dei pagamenti diretti, tagliare la burocrazia dei programmi di sviluppo di rurale. L’Italia chiede anche un focus specifico su argomenti centrali come ricambio generazionale, sviluppo nelle aree interne e investimenti in ricerca e innovazione.
A 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma, l’Italia evidenzia la necessita’ di rilanciare l’azione europea, a partire proprio da una piu’ forte Politica Agricola Comune, alla luce anche delle nuove sfide globali: produrre di piu’ ma in modo sostenibile, tutelando i milioni di agricoltori europei che garantiscono la produzione di cibo per 500 milioni di cittadini.
“Nella riforma della Pac l’Italia puo’ giocare un ruolo importante – spiega il Ministro Martina – sostenendo con forza le ragioni di una spesa agricola attenta a tutelare il reddito di chi opera nel settore, sostenere la qualita’ dei prodotti, gestire in modo sostenibile e razionale le risorse naturali e valorizzare le aree rurali. Dobbiamo partire dalla garanzia nel bilancio Ue di risorse adeguate alle necessita’ dell’agricoltura europea. Cosi’ come e’ impostata oggi, la Pac non riesce sempre a dare risposte soddisfacenti dal punto di vista della salvaguardia del reddito degli imprenditori agricoli e neanche dei contribuenti. Con questa riforma abbiamo quindi l’occasione per rafforzare gli strumenti disponibili prevedendo, ad esempio, l’estensione del modello delle Organizzazioni comuni di mercato ad altri settori come latte, carne o cereali, migliorarne la competitivita’, incrementare la capacita’ di adattamento alle turbative dei mercati. Dobbiamo dare piu’ attenzione ai giovani e lavorare per la massima trasparenza verso i consumatori attraverso l’indicazione dell’origine della materia prima degli alimenti. Scelte coraggiose che siamo chiamati a compiere gia’ oggi”.(AGI)
Bru

Agi News

Così l’Italia dovrà quadrare i conti, servono 3,4 miliardi

Roma – Sarà meno pesante dei 5 miliardi ventilati in dicembre, ma la correzione alla legge di bilancio è indispensabile. Dovrebbe aggirarsi, scrive oggi Repubblica, intorno ai 3,4 miliardi di euro pari allo 0,2 per cento del Pil. E' la cifra che serve a rientrare nei parametri europei di bilancio e scongiurare una procedura d'infrazione. La richiesta è arrivata a Roma la scorsa settimana ed è in corso la trattativa con Padoan impegnato a trovare una mediazione. La Commissione non vuole rischiare di essere sconfessata dall’Eurogruppo, cominato dai falchi di Germania e Olanda. In sostanza, Bruxelles ci presenta il conto congelato prima del referendum: va corretto il disavanzo. Juncker chiede un impegno formale ad agire entro il 1 febbraio, Roma cerca più tempo.

Tra l’altro nel conto presentato dall’esecutivo comunitario non sono entrati i 20 miliardi messi a disposizione dal governo per salvare Monte dei Paschi di Siena e le altre banche in difficoltà: visto che la cifra è stata autorizzata dalla Commissione europea viene considerata una spesa una tantum e non incide sul deficit strutturale.

Agi News