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Per il lavoro sarà l’autunno peggiore di sempre?

AGI – L’Inps ha calcolato che nel primo trimestre 2020 l’input di lavoro misurato in termini di Ula ha subito una eccezionale diminuzione sia sotto il profilo congiunturale (-6,9%) sia su base annua (-6,4%), come conseguenza della riduzione delle ore lavorate a seguito del sopraggiungere dell’emergenza sanitaria a partire dall’ultima settimana di febbraio.

Dopo una sostanziale tenuta nei mesi di gennaio e febbraio 2020, ha evidenziato a marzo una progressiva perdita di circa 220 mila posizioni lavorative a marzo, un andamento negativo dovuto essenzialmente alla contrazione delle assunzioni, misurabile in 239 mila attivazioni di rapporto di lavoro dipendente in meno (-44 mila a tempo indeterminato e -195 mila a termine).

Le rilevazioni dell’Anpal dicono che dall’inizio dell’anno fino al 3 maggio c’è stata una riduzione di 882 mila contratti avviati rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Con l’avvio della cosiddetta fase 2 si è registrata una progressiva ripresa dei flussi contrattuali, per quanto su dinamiche comunque molto distanti da quelle del 2019 e dell’inizio del 2020, ma l’inversione non consente, ovviamente, di recuperare il gap precedentemente accumulato: al 31 maggio, il 2020 sconta, in termini di posizioni lavorative nette, un differenziale di oltre 583 mila posizioni rispetto al 2019.

“Abbiamo davanti un autunno molto impegnativo dal punto di vista occupazionale. La scommessa di dire blocchiamo i licenziamenti perché poi il mercato riprenderà, più passano i giorni più si dimostra lontana dalla realtà. Giochiamo nel campionato dell’incertezza ma dai numeri degli ordinativi estivi e dalle difficoltà che ancora attraversano mercati importanti come quelli di Usa e Cina, non torneremo alla normalità dopo l’estate. Non possiamo continuare a pensare che dopo il blocco tutto tornerà come prima: a un certo punto ci sveglieremo e sarà dura. Sicuramente i giovani e le donne pagheranno di più ma è necessario averne consapevolezza e ripartire”.

Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt

L’autunno peggiore di sempre

L’autunno peggiore di sempre. Così si prospetta il mercato del lavoro a settembre, quando finirà il blocco dei licenziamenti stabilito per decreto. Le stime circolate sono da far tremare i polsi ma nessuno sa esattamente cosa ci aspetti.

Secondo Confindustria, l’occupazione in termini di Ula seguirà il Pil, con un -7,6%. Confcommercio, basandosi su una previsione di crollo del Pil dell’8%, calcola che andrà perso almeno un un milione di posti di lavoro. Federmeccanica parla di scenario “drammatico”. L’Istat, nelle Prospettive per l’economia italiana, nota che l’evoluzione dell’occupazione, misurata in termini di Ula (Unità di lavoro equivalenti a tempo pieno), è prevista evolversi in linea con il Pil, con una brusca riduzione nel 2020 (-9,3%) e una ripresa nel 2021 (+4,1%).

Leggi anche: La sorpresa che attende i manager a ottobre

Diversa appare la lettura della crisi del mercato del lavoro attraverso il tasso di disoccupazione, il cui andamento rifletterebbe anche la decisa ricomposizione tra disoccupati e inattivi e la riduzione del numero di ore lavorate.

Ma i dati più allarmanti sono quelli dell’Istat che indicano la diminuzione delle persone in cerca di lavoro (-467 mila) e la crescita degli inattivi (+290 mila). Ad aprile la tendenza è proseguita e, fa notare Confindustria, gli occupati sono calati (-274 mila), gli inattivi sono saliti molto (+746 mila).

Nella Congiuntura flash di maggio la confederazione osserva che “l’estensione eccezionale della Cig quest’anno permetterà un forte aggiustamento al ribasso delle ore lavorate e la salvaguardia di posti di lavoro. L’occupazione in termini di Ula seguirà il Pil, con un -7,6% nel 2020 (e +3,5% nel 2021), ma terrà in termini di teste. Il tasso di disoccupazione crescerà meno che altrove, anche per l’aumento degli inattivi ma faticherà a scendere nel 2021 (11,3%), quando la creazione di posti di lavoro sarà spiazzata dal riallungamento degli orari e più persone cercheranno un impiego.

“In tutti i paesi i provvedimenti dei governi riguardanti il mercato del lavoro, come quelli per evitare licenziamenti (blocchi, salari pagati dallo stato, prestiti legati alla mantenimento dell’occupazione) sono stati varati con una scadenza  e ovunque ci si chiede cosa accadrà dopo. Penso che si andrà ovunque verso un rinnovo di tali misure, magari seguendo un processo di graduale riduzione. Teniamo presente che si sta navigando a vista perché in nessuna carta nautica dell’economia c’è scritta la rotta da tenere in una situazione che è senza precedenti. E ovunque le misure sono state aggiustate nella qualità e nella quantità in base all’evoluzione dell’epidemia e delle restrizioni per contrastarla”.

Luca Paolazzi, economista e partner Ref ricerche

Federmeccanica ha già avvertito che le prospettive per l’autunno saranno drammatiche: la fase recessiva del comparto “dovrebbe protrarsi anche nel corso del secondo trimestre” e il “34% delle imprese ritiene di dover ridimensionare, nel corso dei prossimi sei mesi, gli attuali livelli occupazionali”.

Ma la situazione potrebbe essere peggiore in altri settori, come il turismo, il commercio, i servizi. Secondo un sondaggio di Confesercenti il 59% degli albergatori ridurrà il personale. Resta quindi da capire cosa succederà con gli ammortizzatori sociali: i dati di maggio sulla cassa integrazione mostrano numeri mai visti in precedenza. 

Le ore autorizzate con causale “emergenza sanitaria Covid19” sono state ad aprile-maggio 2020 pari a circa 1,7 miliardi. Ciò significa aver salvaguardato 5 milioni di posti di lavoro. I sindacati chiedono proroghe e non vogliono sentir parlare di licenziamenti: i metalmeccanici sono già scesi in piazza e annunciano scioperi. Potrebbe essere solo l’inizio. 

Agi

Come sarà il 2020 delle borse europee?

I mercati azionari europei chiudono il 2019 al top da un decennio ma, secondo gli analisti, gli investitori devono stare attenti al prossimo anno. L’economia europea continua a rallentare e mostra segnali contrastanti. I record di Wall Street e l’ormai prossima firma della fase uno dell’accordo tra Cina e Usa stanno trainando i listini europei verso l’alto anche in quest’ultima parte del 2019.

L’indice Stoxx Europe 600, che comprende le azioni del Regno Unito, venerdì guadagnava lo 0,39% e si appresta a chiudere l’anno in rialzo del 23%, mentre il Dax di Francoforte, nonostante il Pil della Germania stia continuamente sull’orlo della recessione, senza però mai esserci entrato, è in crescita del 26% quest’anno, al top da sei anni.

“Per un investitore statunitense – spiega a MarketWatch Andrea Cicione, global strategist di TS Lombard – l’Europa sta recuperando in questo momento, il che è positivo, quindi ci sono opportunitaàa breve termine, ma a lungo termine il trend europeo sarà legato a doppio filo a quello della crescita economica. Pertanto, gli investitori dovranno essere agilmente e pronti a uscire dalla regione il prossimo anno se la ripresa risulterà in calo”. Poi Cicione, con una sorta di post scriptum, avverte: “Non bisogna fare troppo affidamento sui governi europei per allontanare la regione da una crisi nel 2020”.

Uno dei motivi per cui l’analista vede buone opportunità a breve termine è perché la crescita degli utili europei nel 2019è stata peggiore di quella degli Stati Uniti, quindi le aspettative sono basse e le valutazioni sono piu’ ragionevoli. Andrew Milligan, global strategist di Standard Life Investments, guardando al futuro, punta piu’ sulle azioni statunitensi che su quelle europee, poich[, secondo lui, l’Europa rimane un luogo in cui occorre selezionare attentamente le azioni.

Perché ciò cambi, secondo Milligan occorrerebbe che le aziende del settore finanziario funzionassero meglio e servirebbero dei segnali che la Banca centrale europea e le politiche di bilancio nazionali promuovessero maggiormente l’attività economica e che si verificasse un aumento della domanda dei mercati emergenti. “Se vedessimo forti stimoli di bilancio in Europa, che è un segnale che probabilmente vedremo più nel 2021 che nel 2020, saremmo più ottimisti. E lo stesso avverrebbe se arrivasse un maggiore stimolo dalla Cina a sostegno dell’industria automobilistica tedesca”. 

Agi

Come sarà la web tax italiana e come funziona nel resto d’Europa

La web tax è la tassazione sui giganti delle multinazionali del mercato digitale. Punta a raggiungere un maggiore equilibrio tra profitti (enormi) e tassazione (fino a ora minima grazie all'esistenza di regimi fiscali di favore in alcuni Stati).

L'Italia ha già una propria web tax, che però non è mai entrata in vigore per la mancanza dei decreti attuativi. Una lacuna dovuta in parte all'avvicendamento dei governi (da Gentiloni a Conte), in parte a un precisa volontà politica. La norma, nonostante l'approvazione, non ha mai avuto larghi consensi, né l'appoggio delle associazioni di categoria.

Il governo ha inoltre rallentato in prospettiva di una web tax europea, trattata a lungo, ma naufragata definitivamente all'Ecofin del 4 dicembre. Ecco il punto dell'iter della normativa in Italia e in Europa. 

Dalla proposta Mucchetti alla web tax

La proposta originaria era firmata dall'ex senatore del Partito Democratico Massimo Mucchetti. L'imposta sui servizi "effettuati tramite mezzi elettronici" aveva un'aliquota del 6%. Gli effetti potenzialmente negativi sulle società che pagano le tasse in Italia erano sterilizzati da un credito d'imposta pari a quanto versato.

La norma è però stata modificata, abbassando l'aliquota al 3% ed eliminando il credito d'imposta. La formulazione attuale (che è stata sostituita con un emendamento nella legge di Bilancio) prevede che la tassa sia applicata come ritenuta alla fonte sulle transazioni e colpisca esclusivamente i soggetti che effettuano oltre 3.000 transazioni nell'anno solare.

Secondo Iab Italia, l'associazione che raggruppa oltre 170 aziende della pubblicità digitale, l'effetto sarebbe un ulteriore aggravio, sommato alla tassazione ordinaria, penalizzando ulteriormente le imprese locali nei confronti dei giganti esteri.

Le mosse del governo

La Lega si è dimostrata aperta alla revisione della web tax, presentando anche un emendamento a firma Giulio Centemero, poi ritirato in vista dell'Ecofin. Nei mesi scorsi, infatti, l'iter delle web tax nazionali è stato sospeso per la negoziazione di una tassa europea.

La Francia si era detta favorevole. Davanti alla resistenze dei Paesi del Nord, assieme alla Germania aveva anche proposto un compromesso: il 3% da applicare solo sulle vendite pubblicitarie e non sull'intero fatturato. Sul fronte dei favorevoli anche Austria, Spagna e Italia. A bloccare la norma (che per essere approvata richiede l'unanimità dei 28 membri) è stata soprattutto l'Irlanda, ufficialmente preoccupata che potesse acuire le tensioni commerciali tra Ue e Stati Uniti.

Dublino è parte molto interessata, perché le condizioni fiscali vantaggiose offerte alle grandi imprese hanno attirato le multinazionali, come Apple e Facebook. Dopo l'Ecofin di inizio dicembre, però, lo scenario è cambiato. In assenza di un accordo europeo, la Francia ha confermato una web tax nazionale dal primo gennaio.

Una mossa che ha spinto anche l'Italia (che già a novembre si era detta favorevole a una legge nazionale in caso di mancato accordo Ue) a riprendere in mano la tassa sul digitale. Che adesso il governo Conte ha deciso di reintrodurre, superando la formulazione attuale.

La proposta dello Iab

Lo Iab spinge perché ci sia un'aliquota del 6% sull'ammontare dei servizi. Da applicare alle imprese che superano questi due limiti: 500 milioni di euro di fatturato globale nel periodo d'imposta; 50 milioni di euro in servizi realizzati in Italia. Lo Iab ha proposto poi che ulteriori dettagli siano definiti da un decreto: il suo compito sarebbe indicare alcuni parametri che definiscano se la compagnia sia già soggetta altrove a un "livello congruo di tassazione". 

Agi News

Perché la fuga della Norvegia da oil & gas sarà un duro colpo per l’Arabia Saudita

La banca centrale della Norvegia ha raccomandato che il fondo sovrano del Paese ceda i suoi investimenti nei combustibili fossili. L’annuncio è considerato una grande vittoria per il movimento, iniziato pochi anni fa, a favore del “divestment” da petrolio, gas e altri combustibili fossili considerati responsabili del cambiamento climatico, anche se la mossa della banca centrale è basata "esclusivamente su argomenti di carattere finanziario", specialmente quello di preservare il fondo da ribassi duraturi dei prezzi di oil & gas.

Il fondo sovrano della Norvegia è il più grande al mondo e gestisce attività per un valore di oltre 1.000 miliardi di dollari, controllando circa l’1,5% del mercato azionario mondiale. L’annuncio ha pertanto causato una discesa delle azioni delle principali aziende petrolifere europee.

L'Ipo più grande della storia

L’annuncio potrebbe danneggiare l’imminente Ipo di Aramco, il colosso energetico statale dell’Arabia Saudita che Riad intende quotare come parte di un piano, anche in questo caso, per diversificare l’economia nazionale dal petrolio e altri combustibili fossili.

La quotazione di Aramco è considerata potenzialmente la più grande della storia, con una valutazione stimata di oltre 1.000 miliardi di dollari. Il governo saudita ha infatti l’obiettivo di cedere il 5% dell’azienda per una somma pari a 100 miliardi di dollari.

L’Ipo è ambìta dalle principali borse mondiali, con i governi di Stati Uniti, Regno Unito, Cina e Giappone che si sono esposti per promuovere il proprio listino nazionale nella corsa alla quotazione internazionale di Aramco. Infatti il governo saudita intende quotare Aramco su più mercati, con almeno parte della quota collocata sul listino nazionale saudita, il Tawadul.

Leggi anche i servizi di Repubblica e del Sole 24 Ore

Le ambizioni del principe

L’iniziativa rientra nelle riforme economiche proposte dall’ambizioso principe della Corona Mohammed bin Salman, che nelle ultime settimane ha avuto un ruolo centrale nella crisi diplomatica libanese, la chiusura delle frontiere in Yemen e l’arresto di decine di oppositori interni nell’ambito di una campagna anticorruzione domestica. Tra le altre riforme, il principe 32enne ha anche annunciato a ottobre investimenti di 500 miliardi di dollari per realizzare una nuova area economica lungo il Mar Rosso, in una zona che copre 26.000 chilometri quadrati e attraversa Arabia Saudita, Giordania e Egitto.

L’assenza del maggiore investitore azionario al mondo renderà più complicato per Riad riuscire a ottenere la valutazione sperata per Aramco. Oltre all’impatto dell’assenza di un fondo che al momento ha ancora molti investimenti legati al settore energetico, l’annuncio potrebbe a cascata incentivare altri investitori a fare scelte simili.

Fino a oggi il movimento per disinvestire dai combustibili fossili era stato popolare soprattutto tra investitori di dimensioni più ridotte o aveva avuto successo nel limitare gli investimenti solo in alcune delle fonti di energia più sporche.

Agi News

Eni: Marcegaglia, nuovo piano sara’ di ulteriore rafforzamento

(AGI) – Bruxelles, 28 feb. – Il piano industriale di Eni sara’ di “ulteriore rafforzamento” di quanto fatto negli ultimi anni. Lo ha detto Emma Marcegaglia, presidente del Gruppo energetico, a margine di un convegno organizzato dalla Commissione europea in occasione della Giornata dell’Industria.
“I risultati di questi tre anni sono stati presentati piu’ volte e sono molto buoni”, ha spiegato Marcegaglia. “L’azienda e’ stata completamente trasformata da un’azienda conglomerata costosa e divisionalizzata a un’azienda che e’ sostanzialmente ‘oil and gas’ integrata, molto forte sull’esplorazione”.
Il presidente di Eni ha ricordato che la produzione e’ aumentata del 15%, nonostante un taglio degli investimenti del 33% perche’ “abbiamo un portafoglio di esplorazione cosi’ vasto che abbiamo messo in produzione i progetti piu’ facili e meno costosi”. Marcegaglia ha rivendicato una sostanziale riduzione dei costi, con “il breakeven cost dei nuovi progetti oggi a 27 dollari ed era a 42”. Eni, ha aggiunto, ha “una solidita’ finanziaria migliore” rispetto ai concorrenti e il nuovo piano industriale, che sara’ presentato domani, sara’ di “ulteriore rafforzamento in questa direzione”. (AGI)
Bxj/Mau

Agi News

Expo Dubai 2020: “Cibus e’ Italia”, sara’ presente con padiglione

(AGI) – Roma, 9 nov. – Sono iniziati i preparativi per il prossimo Expo, che si terra’ in Dubai nel 2020: dopo il successo riscontrato all’ Expo2015 di Milano, il padiglione “Cibus e’ Italia”, realizzato da Federalimentare e da Fiere di Parma con il suo format innovativo sara’ presente a Expo Dubai 2020.
Lo ha annunciato una delegazione di Federalimentare e Fiere di Parma che ha partecipato ieri alla missione del Governo italiano negli Emirati Arabi Uniti, guidata dal Ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, e dal Sottosegretario allo Sviluppo Economico Ivan Scalfarotto. Martina ha comunicato l’adesione ufficiale dell’Italia all’Esposizione Universale in Dubai, il cui tema sara’ “Connecting Minds, Creating the Future”. Scalfarotto ha inaugurato la Gulfood Manufacturing di Dubai e il padiglione italiano presso la Fiera agroalimentare gemella ‘Speciality Food’ cui hanno partecipato 180 imprese italiane presenti e attive in fiera nel settore dei macchinari e delle attrezzature da cucina e ristorazione e 34 quelle agroalimentari ospitate nello spazio Ice. La delegazione di Federalimentare e di Fiere di Parma ha potuto presentare il progetto del padiglione “Cibus e’ Italia” al Comitato Organizzatore di Dubai2020 e sottolineare l’expertise maturata in occasione di EXPO Milano 2015.
Cibus ha anche avuto modo di sostenere l’evento di gala che ha segnato il lancio in anteprima internazionale da Dubai (dal 21 al 27 novembre) della prima “Settimana della cucina italiana nel mondo”, manifestazione che vedra’ i prodotti alimentari italiani e le ricette della tradizione nostrana protagonisti assoluti di oltre 1300 eventi nel mondo. (AGI)

Bru

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