Tag Archive: questione

I chiarimenti di Bankitalia sulla questione dei conti bancari in rosso

AGI  – “La nuova definizione di default non introduce un divieto a consentire sconfinamenti: come già ora, le banche, nel rispetto delle proprie policy, possono consentire ai clienti utilizzi del conto che comportino uno sconfinamento oltre la disponibilità presente sul conto ovvero, in caso di affidamento, oltre il limite di fido”. Lo precisa la Banca d’Italia in una nota in cui annuncia che dal 1 gennaio 2021 entra in vigore la nuova definizione di default prevista dal Regolamento europeo relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento.

La nuova definizione di default”, osserva Bankitalia, “non modifica nella sostanza le segnalazioni alla Centrale dei Rischi, utilizzate dagli intermediari nel processo di valutazione del ‘merito di credito’ della clientela. Riguarda esclusivamente il modo con cui le banche e gli intermediari finanziari devono classificare i clienti a fini prudenziali, ossia ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali minimi obbligatori per le banche e gli intermediari finanziari”.

La nuova definizione di default può tuttavia “avere riflessi sulle relazioni creditizie fra gli intermediari e la loro clientela, la cui gestione, come in tutte le situazioni di default, può comportare l’adozione di iniziative per assicurare la regolarizzazione del rapporto creditizio”.    

La Banca d’Italia, conclude la nota, “ha inviato una comunicazione al sistema (comunicazione alle banche; comunicazione agli intermediari finanziari e alle capogruppo di gruppi finanziari): agli operatori è richiesto di adoperarsi per assicurare la piena consapevolezza da parte dei clienti sull’entrata in vigore delle nuove regole e sulle conseguenze che possono produrre sulle dinamiche dei rapporti contrattuali”.

Le nuove regole, osserva via Nazionale “sono il frutto di un compromesso negoziale europeo, con posizioni di partenza molto differenti; per l’Italia esse introducono criteri differenti da quelli attualmente utilizzati dalle banche italiane e, per alcuni aspetti, risultano più stringenti; per altri Paesi possono invece risultare più lasche”.

Ciò che non è corretto è affermare che basti uno sconfinamento di 100 euro per essere segnalati in default. Per la segnalazione, spiega l’istituto centrale, “è necessario che lo sconfinamento superi la “soglia di rilevanza”, cioè che superi contemporaneamente sia la soglia assoluta (100 o 500 euro, a seconda della natura del debitore) sia quella relativa (1% dell’esposizione) e che lo sconfinamento si protragga per oltre 90 giorni consecutivi (in alcuni casi, ad esempio per le amministrazioni pubbliche, 180 giorni)”.    

La possibilità di sconfinare, afferma ancora Bankitalia, non è tuttavia “un diritto del cliente, ma una facoltà concessa dalla banca, che può anche applicare commissioni (la cosiddetta Civ, commissione di istruttoria veloce).

Dal 1 gennaio, come già oggi, le banche potranno continuare a consentire ai clienti utilizzi del conto, anche per il pagamento delle utenze o degli stipendi, che comportino uno sconfinamento. Si tratta tuttavia di una scelta discrezionale della banca, che può consentire oppure rifiutare lo sconfinamento. È quindi importante conoscere bene il contratto stipulato con la propria banca e dialogare con essa”.    

E non è vero neanche che se un debitore è classificato a default sulla base della nuova definizione, è classificato automaticamente anche “a sofferenza” nella Centrale dei Rischi. La definizione di “sofferenze”, infatti, non viene toccata dalle nuove regole europee sul default.

Gli intermediari segnalano un cliente “in sofferenza” solo quando ritengono che abbia gravi difficoltà, non temporanee, a restituire il suo debito.

“La classificazione”, rileva Palazzo Koch, “presuppone che l’intermediario abbia condotto una valutazione della situazione finanziaria complessiva del cliente e non si sia basato solo su singoli eventi, quali ad esempio uno o più ritardi nel pagamento del debito. Non vi è dunque alcun automatismo tra la classificazione a default e la segnalazione a sofferenza in Cr. Pertanto”, conclude la Banca d’Italia, “non è vero che basta uno sconfinamento o un ritardo nei pagamenti per somme anche solo di 100 euro per dar automaticamente luogo a una segnalazione a sofferenza, con il conseguente rischio di compromettere o rendere più oneroso il futuro accesso al credito del cliente presso l’intero sistema bancario”. 


I chiarimenti di Bankitalia sulla questione dei conti bancari in rosso

La questione dell’aumento dell’Iva e la posizione del ministro Tria

Il segretario del Pd Nicola Zingaretti, parlando il 21 maggio a Pozzuoli – dove chiuderà la campagna per le elezioni europee – ha dichiarato che “Lega e 5 Stelle hanno paura di dire la verità agli Italiani. C’è uno che la dice, ed è il ministro Tria, che ha già detto che aumenterà l’Iva”.

È un’esagerazione, ma con alcuni elementi di verità. Andiamo a vedere i dettagli.

La posizione di Tria sull’Iva

Dell’aumento dell’Iva si discute ormai da settimane. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria si è già espresso più volte sul tema: l’ultima volta ad Agorà, su Rai3, il 21 maggio.

“Secondo me è meglio avere più imposte indirette, in altri termini Iva, e meno Irpef”, ha dichiarato (1h 02m 35s) Tria, premettendo però che si tratta di una sua “posizione scientifica” su come debba essere composto il prelievo fiscale, e che questa è una questione diversa rispetto a quanto farà il governo.

La futura condotta del governo, sempre secondo Tria, è scritta chiaramente nel Def, approvato dal governo e dal Parlamento.

Cosa c’è scritto nel Def​

Come abbiamo verificato in passato, è vero che nel Def sia previsto che nel 2020 e nel 2021 l’Iva aumenterà, così come le accise sui carburanti. In particolare, è stabilito un aumento dell’Iva agevolata dal 10% al 13% nel 2020 e dell’Iva ordinaria dal 22% al 25,2% nel 2020 e al 26,5% nel 2021.

Il governo ha approvato il Def il 9 aprile.

La risoluzione approvata dal Parlamento

Qualche settimana fa, il Parlamento ha preso posizione sulla questione con una risoluzione. Il 18 aprile il Parlamento ha approvato una risoluzione, che accompagna il Def, in cui si chiede al governo di “conseguire i saldi programmatici di finanza pubblica in termini di indebitamento netto rispetto al Pil, nonché il rapporto programmatico tra debito e Pil, nei termini e nel periodo di riferimento indicati nel Def”.

Cioè – come avevamo sintetizzato qui – di portare nel 2020 il deficit/Pil dal 2,4% previsto quest’anno al 2,1% – non solo al di sotto del tetto del 3%, ma anche in calo rispetto all’anno in corso – e di far scendere il rapporto debito/Pil dal 132,6% previsto quest’anno al 131,3% nel 2020.

Il secondo punto della risoluzione approvata dal Parlamento chiede però al governo anche di “adottare misure per il disinnesco delle clausole di salvaguardia fiscali del 2020″. Per farlo, come avevamo visto, sarebbero necessari 23,1 miliardi (per disattivare poi la clausola relativa al 2021 servirebbero quasi 30 miliardi).

I punti seguenti della risoluzione parlamentare prevedono la flat tax, il no alla patrimoniale, la spending review, più assunzioni nella ricerca, più risorse per il trasporto locale, più assistenza per i disabili e altro ancora.

Vista anche la crescita vicina allo zero del Pil prevista per il 2019, sembra difficile che il governo possa fare tutto.

Un indizio

Su quanto sia indispensabile l’aumento dell’Iva – o una misura che abbia un impatto economico equivalente – abbiamo avuto un forte indizio di recente, quando la Commissione europea ha pubblicato le sue previsioni economiche (molto negative) per l’Italia a inizio maggio.

Allora Tria aveva risposto che le cifre erano sostanzialmente le stesse del Def, con l’unica eccezione del rapporto deficit/Pil nel 2020 (noi avevamo verificato e Tria aveva in effetti detto una cosa corretta). Secondo la Commissione sarebbe schizzato al 3,5%, ben al di sopra del tetto del 3%, e secondo il Def sarebbe invece sceso al 2,1%.

Per giustificare questa differenza Tria aveva spiegato che “la valutazione Ue è fatta sempre a politiche invariate e non a legislazione invariata come la nostra”. La differenza dunque sta nel fatto che la Commissione Ue non ha previsto l’aumento dell’Iva, mentre il governo sì.

Ancora Tria aveva poi ricordato che “nel Def, approvato dal Governo e dal Parlamento, si chiede di mantenere fermi, aumento dell’Iva o no, gli obiettivi di deficit pubblico”.

Insomma, come aveva già dichiarato in audizione parlamentare ad aprile, Tria ritiene che “in attesa di definire, nei prossimi mesi, misure alternative” l’aumento dell’Iva sia confermato per il 2020.

I limiti non violabili

Come abbiamo visto, Tria ha una sua posizione scientifica” favorevole a spostare la tassazione dai redditi ai consumi. Ma al di là di questo, al momento la legge dello Stato italiano prevede che l’Iva nel 2020 e nel 2021 – insieme alle accise sui carburanti – aumenterà.

Il governo può ovviamente trovare soluzioni alternative ma questo, come ha ricordato spesso il ministro dell’Economia, non può significare che vengano violati i parametri europei su debito e deficit.

Questo, ha spiegato Tria sempre nell’intervista con Agorà, non tanto per evitare sanzioni dell’Unione europea, ma per evitare la reazione negativa dei mercati. “Il problema – sostiene Tria (min. 55.320) – è che deficit significa che qualcuno sia disposto a prestarci del denaro, e sia disposto a prestarlo a un tasso d’interesse sostenibile (…). È inutile pensare di fare un deficit di 2 o 3 miliardi in più quando poi per fare questo dovremmo pagare interessi aggiuntivi di 2 o 3 miliardi”.

Insomma, messo in chiaro che il rapporto deficit/Pil deve rispettare i vincoli europei per evitare che i mercati puniscano l’Italia, secondo Tria (min. 57.20) spetta alla politica decidere quali sono le priorità di spesa e si vedrà con la prossima legge di bilancio come evitare l’aumento dell’Iva.

Non potendo attingere dal deficit le strade sono fondamentalmente due: aumentare altre tasse o tagliare le spese.

Conclusione

Zingaretti semplifica la posizione del ministro Tria. Quest’ultimo infatti non ha mai dato per scontato e inevitabile l’aumento dell’Iva.

È vero che però abbia ammesso che a legislazione vigente è previsto, che toccherà alla politica indicare strade alternative e che queste strade non potranno in nessun caso passare da un aumento del deficit che violi le regole europee e allarmi i mercati.

 

Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it

Agi