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Quante sono le imprese che possono garantire il distanziamento fisico

AGI – Il 56,3% delle imprese (63,2% in termini di occupazione) ha già adottato l’adeguamento degli spazi di lavoro per assicurare il distanziamento fisico dei lavoratori, il 29,3% (26,7% degli addetti) non ha ancora provveduto ma afferma di poterlo fare, ma il 14,4% (10,1% di addetti) dichiara che gli spazi di lavoro risultano impossibili da adeguare. Lo riferisce l’Istat nel rapporto su situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria.

Dal punto di vista settoriale – fa notare l’Istat – l’adozione di questa misura risulta particolarmente difficoltosa nelle costruzioni, dove il 41,9% delle imprese ha provveduto all’adeguamento mentre il 29,4% afferma di non essere nella condizione di farlo. Le difficolta’ sono decisamente minori nel comparto del commercio: ha provveduto ad adeguare gli spazi lavorativi il 68,1% delle imprese e solo il 10,2% ritiene che non sia possibile.

La difficoltà a riadattare gli spazi di lavoro dipende poi molto dalla dimensione aziendale. A dichiararsi impossibilitate a farlo sono il 15,3% delle micro-imprese e l’11,6% delle piccole (che insieme rappresentano il 7,2% dell’occupazione complessiva). Fra le medie e le grandi, più di due imprese su tre hanno già provveduto alla riorganizzazione degli spazi (30,7% dell’occupazione) mentre solo il 7,4% delle medie e il 4,3% delle grandi affermano di non poterli adeguare (2,8% degli occupati).

A livello territoriale non emergono differenze significative, malgrado il lieve ritardo dell’Italia centrale e del Mezzogiorno dove è piu’ alta la quota di imprese che non si sono ancora adeguate pur essendo nelle condizioni di poterlo fare (31,6% e 34,0%) rispetto al Nord-ovest (26,2%) e al Nord-est (26,1%).

Agi

Quante tasse paga una piccola impresa rispetto a un gigante del web

Se le nostre piccole e medie imprese (Pmi) hanno un carico fiscale complessivo che si attesta al 59,1 per cento dei profitti le multinazionali del web presenti in Italia, o meglio le controllate di questi giganti economici ubicate nel nostro Paese, registrano un tax rate del 33,1 per cento. Lo afferma la Cgia di Mestre, spiegando che entrambi i dati si riferiscono al 2018.

Tra i Paesi dell’Area dell’euro, infatti, i dati della Banca Mondiale ci dicono che solo la Francia (con il 60,7 per cento) registra una pressione fiscale sui profitti delle imprese superiore alla nostra, contro una media dei 19 Paesi che utilizzano la moneta unica pari al 42,8 per cento. Un dato, quest’ultimo, di oltre 16 punti percentuali inferiore al dato medio presente in Italia.

Tornando alla comparazione iniziale, quali sono le ragioni per cui le controllate italiane delle principali multinazionali del web possono beneficiare di un tax rate del 33,1 per cento ? Per il semplice motivo che la metà dell’utile ante imposte è tassato in Paesi a fiscalità agevolata che procura un risparmio fiscale che, nel periodo 2014-2018, ha sfiorato complessivamente i 50 miliardi di euro. Poi oltre ad avere la pressione fiscale sulle imprese tra le più elevate d’Europa, l’Italia è il Paese, assieme al Portogallo, dove pagare le tasse è più difficile.

Sempre dai dati presentati recentemente dalla Banca Mondiale (Doing Business 2020), da noi sono necessari 30 giorni all’anno (pari a 238 ore) per raccogliere tutte le informazioni necessarie per calcolare le imposte dovute; per completare tutte le dichiarazioni dei redditi e per presentarle all’Amministrazione finanziaria; per effettuare il pagamento on line o presso le autorità preposte.

Il coordinatore dell’Uffici studi Paolo Zabeo sottolinea che “è comunque verosimile ritenere che sulle piccole imprese il carico fiscale sia quasi doppio rispetto a quello che grava sui giganti tecnologici presenti in Italia. Un’ingiustizia che grida vendetta, non tanto perché su questi ultimi grava un peso fiscale relativamente contenuto, ma per il fatto che sulle nostre Pmi il peso delle tasse e dei contributi è tra i più elevati d’Europa”.

Agi

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Quante persone hanno già chiesto il reddito di cittadinanza?

Nel primo mese di avvio sono arrivate 853.521 domande di reddito di cittadinanza a Caf, Uffici postali e Online. Lo rende noto il ministero del Lavoro: 853.521 nuclei familiari il 68% dei potenziali aventi diritto alla misura ha presentato la domanda nel primo mese di avvio del reddito di cittadinanza, oltre 2,8 milioni di persone coinvolte. 600.000 le domande arrivate ai Centri di Assistenza Fiscale e 253.521 a Poste Spa e online.

“La capillare rete organizzativa messa in campo da Ministero del Lavoro, Inps, Caf e Poste Spa ha gestito l’afflusso di quasi un milione di persone senza creare disagi e garantendo ai cittadini assistenza per presentare la domanda”, si legge in una nota.

Questo il dettaglio delle domande per singola regione per uffici postali e online: Lombardia 36.538, Campania 32.513, Sicilia 26.692, Piemonte 24.115, Lazio 23.832, Sardegna 16.967, Puglia 16.657, Emilia Romagna 14.769, Toscana, 13.489, Veneto 10.105, Calabria 9.753, Liguria 7.826, Abruzzo 4.734, Friuli Venezia Giulia 4.111, Marche 3.799, Umbria 2.774, Basilicata 2.310, Molise 1.154, Trentino Alto Adige 881, Valle D’Aosta 500.

“È un dato importante che rispecchia appieno quanto fosse necessaria e attesa questa misura, abbiamo ascoltato il paese e abbiamo risposto ad una necessità reale dei cittadini. Per 853.521 famiglie si avvia un percorso di dignità sociale e di costruzione di un percorso di politica attiva per il lavoro”, commenta il Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, “ricordo che questi sono solo i dati del primo mese è che quindi la percentuale di adesioni sicuramente crescerà ancora”.

Agi