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Lufthansa corre da sola e punta all’acquisizione di Ita Airways

AGI –  Lufthansa starebbe valutando di proporre un’offerta solitaria per l’acquisizione di Ita Airways. Lo scrive Bloomberg, citando fonti vicine al dossier.

Dopo il ritiro di Msc Group dalla procedura per l’acquisto del vettore aereo, la compagnia tedesca avrebbe avuto dei colloqui a riguardo con esponenti del governo italiano.

Lufthansa, riferisce Bloomberg, starebbe valutando una serie di opzioni, tra cui quella di diventare socio di minoranza di Ita, la discussione sarebbe solamente allo stato preliminare. 


Lufthansa corre da sola e punta all’acquisizione di Ita Airways

Emergenza gas, l’Argentina punta tutto su ‘vaca muerta’

AGI – Un altro paradosso dell’Argentina è che nonostante possa disporre delle enormi risorse di Vaca Muerta nel Sud est (provincia di Neuquèn), il secondo più grande giacimento di gas da scisto al mondo, dipende ancora fortemente dalle importazioni di energia. Questo perché mancano le infrastrutture per i gasdotti e i terminali LNG per esportare quello che viene chiamato oro ‘blu’.

Eppure, come qualche settimana fa ha scritto il Financial Times, il paese sudamericano potrebbe diventare player fondamentale nel mercato internazionale di gas naturale liquefatto, proprio ora che il bando alla Russia sta dando vita a una nuova mappa energetica globale.

Per questo motivo, il presidente dell’Argentina, Alberto Fernandez, sta spingendo attori stranieri per realizzare un progetto di trasporto e di liquefazione del gas, che darebbe una spinta notevole alla disastrata economia argentina. Ne ha parlato, a margine del G7, anche con il premier italiano. Lo stesso Draghi ha riferito ai giornalisti che con il presidente “abbiamo parlato delle relazioni che uniscono i due Paesi, che sono di lunga data. Mi ha illustrato un progetto di trasporto e liquefazione di gas in Argentina” e “lo esamineremo e vedremo se ci sono le condizioni per proseguire”.

‘Vaca Muerta’ che in spagnolo significa “vacca morta” (scoperta nel 1931 dal geologo americano Charles Edwin Weaver) deve questa curiosa denominazione perché su uno dei suoi lati, vicino a Zapala, c’è una catena montuosa che ha lo stesso nome, ma secondo altri, è perché se la si guarda da una mappa, proietta la sagoma di una mucca sdraiata.

Occupa una superficie di 36.000 km quadrati, ossia l’equivalente del territorio della Svizzera o dei Paesi Bassi e ha proprietà geologiche tali da esser paragonate all’Eagle Ford statunitense contenendo risorse estraibili pari a 16 miliardi di barili di petrolio e 308 mila miliardi di piedi cubi di gas naturale.

La sua produzione di petrolio non convenzionale ha raggiunto il suo livello record a settembre scorso con 180.000 barili al giorno, il che ha comportato un aumento annuo del 53%, su un totale di 532.000 bpd a livello nazionale in Argentina.

Numeri incredibili se si pensa che il paese utilizza solo il 50% della capacità del giacimento e solo il 10% è sfruttato per la commercializzazione e che quest’anno l’Argentina importerà gas per circa 7 miliardi di dollari sebbene le riserve di Vaca Muerta siano equivalenti a sei volte tutto il gas di cui ha bisogno nei prossimi 20 anni.

Al contrario, con politiche appropriate, le entrate dell’Argentina – che è uno dei quattro Paesi al mondo che producono questo tipo di idrocarburi, insieme a Stati Uniti, Canada e Cina – potrebbero superare i 30 miliardi di dollari all’anno di export. Solo che il suo sfruttamento ha incontrato negli ultimi anni diversi ostacoli, da ultimo anche le limitazioni interne di valuta estera decise dalla banca centrale.

Il governo di Buenos Aires sta puntando quindi tutto sulla costruzione di un nuovo gasdotto ‘Nèstor Kirchner’ (in onore dell’ex presidente) che, con i suoi 563 chilometri, da Vaca Muerta porterebbe il gas fino al centro e di là al nord del paese. Un obiettivo ambizioso che il paese, soffocato dai debiti e sull’orlo del collasso economico, non può intraprendere da solo. Ed invece per Fernàndez, Vaca Muerta rappresenta “una riserva della quale il mondo ha bisogno in questo momento”, e che potrebbe attrarre decine di migliaia di miliardi di dollari di investimenti.

Per il Financial Times, c’è assoluta necessità di un nuovo quadro normativo a sostegno degli investitori. Intanto, il governo ha acconsentito ad un accesso più facile alla valuta estera per le imprese energetiche che potranno ora importare attrezzature specialistiche per lo sviluppo, in particolare per il fracking.

Ma lo sviluppo di Vaca Muerta richiede un progetto a più lungo termine con investimenti annuali tra i 7 e gli 8 miliardi di dollari, oltre a quelli necessari per il trasporto. Attualmente la compagnia nazionale YPF detiene il 42% dell’area, Gas y Petròleo del Neuquèn S.A. (società statale della provincia di Neuquèn) il 12%, mentre il restante 46% è distribuito tra altre società, tra cui ExxonMobil, Pan American Energy, Petronas, Pluspetrol, Shell, Tecpetrol e Wintershall.

Quando a causa della pandemia, è crollato il prezzo del petrolio i lavori di fracking si sono interrotti in quanto per essere redditizia tale attività richiede un prezzo elevato del barile dell’oro nero. Nell’aprile 2020 il governo aveva fissato un prezzo minimo del barile sul mercato locale, superiore a quello internazionale, per garantire l’attivita’ del settore. Si è andati avanti fino a novembre, ma poi i lavori si sono interrotti a causa della corsa senza freni del prezzo dell’oro nero. 


Emergenza gas, l’Argentina punta tutto su ‘vaca muerta’

Digitale e nuovi negozi: oltre che sui mattoncini Lego punta sul mattone

Si credevano invincibili e sono state spazzate via in pochi anni: Nokia, Kodak, Toys R Us. Poi c’è chi si è accorto che tenere la posizione non è un’opzione: o si cambia o si scompare. Lego, dopo la crisi del 2017, si sta ricostruendo cercando il giusto incastro tra mattoncini e digitale. Da un lato sta investendo su nuovi prodotti che non si toccano: film, e-commerce, videogiochi. Dall’altro sta espandendo la propria rete di negozi fisici, soprattutto (ma non solo) in Cina e India.

Dalla crisi all’espansione

Il 2017 è stato un anno pessimo, il primo con fatturato in calo dopo 13 anni. Vendite giù del 7%, utili del 17%. La crescita in Cina non era riuscita a bilanciare il calo in Nord America ed Europa. Un anno nero, culminato con 1400 licenziamenti e descritto in modo perentorio anche nelle solitamente misurate comunicazioni istituzionali: “Nel complesso, non siamo soddisfatti dei risultati”, si legge sul rapporto annuale di Lego. La società intravedeva però buoni segnali che facevano ben sperare per il 2018.

Segnali che sarebbero poi stati confermati: alla fine dello scorso anno, fatturato e risultato netto sono tornati a crescere. Non ancora tanto da recuperare tutto il terreno perso, ma abbastanza per far sorridere il ceo Niels B. Christiansen: “Il 2018 – scriveva nella lettera che accompagnava il rapporto – è stato un anno determinante per l’industria dei giocattoli”. La rivoluzione nei canali di vendita e la digitalizzazione stanno “ridisegnato il panorama, portando cambiamenti senza precedenti. Sono lieto di affermare che, anche di fronte a queste sfide, il gruppo Lego ha stabilizzato il proprio business”.

Tradotto: ci siamo, anche se il mercato dei giocattoli tradizionali fatica. Il 2018, infatti, non è stato un anno come gli altri: è stato il primo senza Toys R Us. L’ex paradiso dei bambini, finito in bancarotta, ha condizionato l’annata dei grandi produttori. Senza un canale di vendita così importante, il fatturato di Hasbro è calato del 12% e l’utile netto del 45% (ma il gruppo ha avuto un recupero consistente nel primo semestre 2019). Mattel ha chiuso il 2018 con una perdita netta di 530 milioni e vendite ridotte del 7,2% (ed è in rosso anche quest’anno).

Se Lego gioca a Risiko

Il 2019 di Lego è iniziato come si era chiuso il 2018: il fatturato del primo semestre è cresciuto del 4%, anche se i profitti operativi sono calati del 16% e l’utile del 12%. Segni meno che hanno però tutt’altro sapore rispetto a quelli del 2017: sono dovuti – si legge in una nota di Lego – alla decisione di intensificare gli investimenti in iniziative che creino i presupposti per una crescita di lungo periodo”.

Non meno incassi ma più mattoni per il futuro. Mattoni in senso letterale, non solo perché sono il prodotto principale di Lego, ma anche perché il marchio sta ripartendo da negozi fatti di casse e muri. Una raffica di nuove aperture porterà in Cina 140 negozi in 35 città entro il 2019. E ci saranno altre 70 inaugurazioni nel resto del mondo. All’inizio del 2020 aprirà anche la sede di Mumbai: sarà l’avamposto per ampliare la presenza in India.

Ormai da tempo, Lego non è più solo mattoncini. Ha prodotto film, vende videogiochi e abbigliamento, ha parchi tematici (sono appena iniziati, a Gardaland, i lavori per costruire il primo acquatico d’Europa) e associa i suoi omini gialli a grandi marchi che vengono dal mondo della carta (come Batman e gli eroi Marvel) e del cinema (Star Wars). Ma anche dal digitale (come Minecraft), che non è più il nemico da combattere ma un universo da sfruttare. “Stiamo investendo – ha dichiarato il ceo Christiansen – per cogliere le opportunità create da megatrend come la digitalizzazione e i cambiamenti demografici ed economici globali che stanno rimodellando il settore”.

Quindi nuove prodotti in cui dialogano virtuale e analogico, punti vendita in Cina e India (dove la popolazione aumenta e la nuova classe media spingerà i consumi), un e-commerce più efficace. Il margine per avanzare non è enorme ma c’è: secondo un’analisi di MarketResearch, tra il 2017 e il 2023, il mercato globale dei giocattoli crescerà a un tasso medio del 4%, raggiungendo così i 120 miliardi di dollari.

La minaccia non è il digitale

I numeri dicono molto, ma i movimenti del gruppo danese sono spiegati ancor più chiaramente in un documento non finanziario, il Lego Play Well Report 2018: “Come mai nella storia moderna, il tempo del gioco è in pericolo”. La minaccia però non è il digitale che ruba ai mattoncini per dare alle app: “Tutt’altro”, si legge nel rapporto. “Ispirati dallo sfumarsi dei confini tra il mondo digitale e quello fisico, i bambini di oggi fondono ciò che è reale e ciò che è virtuale, reinventando il gioco in modi che le generazioni precedenti non avrebbe mai immaginato”. Il problema è un altro: “Le difficoltà arrivano perché il tempo, lo spazio e il permesso concessi ai bambini per giocare sono costantemente sotto pressione. Nelle nostre frenetiche vite moderne – si legge nel Play Well Report – le famiglie spesso pianificano ‘l’appuntamento del gioco’ piuttosto che inventarlo sul momento”. Lego deve reinventarsi, legando mattoncini e digitale. Deve fare a spallate con i concorrenti. Ma, ancora di più, deve sfidare le abitudini che cambiano. Mattoncino dopo mattoncino.

Agi

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