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Alleanza Eni e BF per lo sviluppo di progetti di ricerca e produzione agricola per la bioraffinazione

AGI – Eni e Gruppo BF fanno squadra per lo sviluppo di prodotti agricoli sostenibili per la produzione di biocarburanti.

Attraverso una joint-venture paritetica (50% Eni, 50% BF) verranno sviluppati progetti di ricerca e sperimentazione agricola di sementi di piante oleaginose da utilizzare come feedstock nelle bioraffinerie Eni.

Inoltre, l’accordo tra le società prevede l’acquisto da parte di Eni di una partecipazione di minoranza nella controllata di BF Bonifiche Ferraresi e l’ingresso di Eni nel capitale sociale di BF attraverso la sottoscrizione di aumento di capitale riservato. 

L’intesa fa leva sulla consolidata collaborazione tra Eni e BF in ambito agricolo per lo sviluppo di iniziative di diversificazione economica, trasferimento di competenze e supporto all’imprenditorialità in Italia e all’estero.

L’accordo ha valenza strategica, in quanto Bonifiche Ferraresi, con i suoi 7.750 ettari, è la più grande azienda agricola italiana per Superficie Agricola Utilizzata ed Eni produce nelle bioraffinerie a Gela e a Venezia Porto Marghera biocarburanti avanzati, uno degli strumenti per contribuire al contenimento delle emissioni di CO2 nel settore dei trasporti. Entro il 2023 Eni non utilizzerà più olio di palma nei suoi processi produttivi. 

Le attività di test e sperimentazione della joint-venture verranno effettuate nei “Laboratori a Cielo Aperto” di Bonifiche Ferraresi in Sardegna, e saranno volte a valutare la replicabilità delle produzioni in Italia nei paesi esteri in cui è presente Eni, in particolare in Africa. La jv si occuperà inoltre dello sviluppo di progetti relativi alla formazione di personale per le filiere di sviluppo dei progetti di agro-feedstock.

L’individuazione delle specie vegetali più idonee seguirà i criteri di sostenibilità definiti nella Direttiva Europea sui biocarburanti, promuovendo la coltivazione sostenibile, proteggendo i suoli e non sottraendo terreni destinabili alla produzione di prodotti destinati all’alimentazione, favorendo quindi lo sviluppo economico sostenibile di terreni marginali in Italia e all’estero.

L’operazione si inquadra nella strategia Eni per raggiungere la completa neutralità carbonica entro il 2050, che include la bioraffinazione quale elemento strategico, con il previsto raddoppio della capacità produttiva a circa 2 milioni di tonnellate entro il 2024 e un ulteriore aumento fino a 5/6 milioni di tonnellate entro il 2050.


Alleanza Eni e BF per lo sviluppo di progetti di ricerca e produzione agricola per la bioraffinazione

Torna a crescere la produzione industriale. L’Istat: “Prospettive decisamente positive per l’economia”

AGI – Torna a crescere in termini congiunturali la produzione industriale a giugno, dopo il calo dell’1,5% segnato a maggio, con il livello dell’indice che supera dello 0,3% il valore di febbraio 2020, mese antecedente l’inizio dell’emergenza sanitaria. In particolare, l’Istat stima che l’indice destagionalizzato aumenti dell’1% rispetto a maggio. L’incremento riguarda anche il complesso del secondo trimestre (+1,0% rispetto al primo), sebbene in lieve rallentamento rispetto alla dinamica dei primi tre mesi dell’anno. Corretto per gli effetti di calendario, a giugno, l’indice complessivo aumenta in termini tendenziali del 13,9%.

L’indice destagionalizzato mensile mostra aumenti congiunturali in tutti i raggruppamenti principali di industrie, con una crescita del 4,1% per l’energia, dell’1,0% per i beni di consumo, dello 0,6% per i beni intermedi e dello 0,3% per i beni strumentali. Incrementi tendenziali rilevanti caratterizzano quasi tutti i comparti: +20,0% per i beni intermedi, +16,2% per i beni strumentali e +10,0% per i beni di consumo; più contenuta è la crescita per l’energia (+2,1%).

Tutti i settori di attività economica registrano aumenti su base tendenziale, a esclusione delle attività estrattive. Gli incrementi maggiori riguardano la fabbricazione di apparecchiature elettriche (+25,5%), quella di computer, prodotti di elettronica e ottica (+25,3%) e la produzione di articoli in gomma e materie plastiche (+23,0%).

Secondo l’Istat, “le prospettive per l’economia italiana restano decisamente positive. Per le imprese la fiducia si attesta sui massimi degli ultimi anni e il livello dei posti vacanti nell’industria e nei servizi ha superato i livelli pre-crisi”.

Nel secondo trimestre, ricorda l’istituto, il Pil italiano è cresciuto, in base alla stima preliminare, del 2,7% in termini congiunturali, “con un dinamismo più accentuato di quello degli altri principali paesi europei“. La variazione acquisita per il 2021 è +4,8%. “La fase di ripresa dei ritmi produttivi”, afferma l’Istat, “dovrebbe estendersi anche al terzo trimestre. L’indice del clima di fiducia delle imprese ha evidenziato in luglio un deciso incremento portandosi sui livelli massimi della serie. I servizi hanno segnato il recupero più robusto, superando i livelli pre-crisi. Il settore manifatturiero ha invece mostrato una crescita più moderata sostenuta dal miglioramento dei giudizi sugli ordini”.

Dal lato delle famiglie, “si registrano diffusi segnali positivi che interessano l’andamento del mercato del lavoro e la fiducia“. Anche le vendite al dettaglio salgono. A luglio, si è ampliato il differenziale tra l’inflazione italiana e quella dell’area euro, in parte per la diversa tempistica dei saldi italiani rispetto all’anno precedente. “Le prospettive per i prossimi mesi”, sottolinea la nota, “indicano il rafforzamento della dinamica inflazionistica”. Le imprese attendono rincari dei listini in tutti i settori, escluso quello delle costruzioni. Tra i consumatori sono aumentate in modo significativo le attese di crescita dei prezzi dei beni durevoli e in generale è salita la percentuale di coloro che si attendono un aumento dell’inflazione nei prossimi mesi.

Lo scenario internazionale, infine, “resta caratterizzato da un processo di ripresa economica solido ma eterogeneo tra paesi. Tuttavia”, conclude l’Istat, “la risalita dei contagi sta determinando un aumento dell’incertezza associata all’evoluzione dell’economia mondiale”. 


Torna a crescere la produzione industriale. L’Istat: “Prospettive decisamente positive per l’economia”

Incendio all’ArclorMittal di Taranto, nessun ferito e nessuno stop alla produzione

AGI – Un incendio si è verificato alle prime ore del giorno di lunedì in Albis (alle 7.30) nello stabilimento ArcelorMittal di Taranto.

Il rogo, scoppiato circa mezz’ora dopo l’avvio del primo turno, ha riguardato una colata continua dell’acciaieria 2.

“In totale sicurezza è stato gestito e controllato quanto è avvenuto”, hanno assicurato all’AGI fonti vicine all’ArcelorMittal, secondo le quali “non c’è stata alcuna conseguenza per le persone e alcun danno all’impianto”. In una nota ufficiale, l’azienda ha poi garantito che non c’è stata alcuna “interruzione del ciclo produttivo”,  con “gli addetti e il sistema che hanno gestito in sicurezza, secondo le procedure, un evento a reazione in paniera durante la fase di colaggio nell’acciaieria”.

Gennaro Oliva, coordinatore di fabbrica della Uilm, fornisce all’AGI una prima ricostruzione di quanto avvenuto: la deflagrazione, seguita poi dall’incendio, dovrebbe essere stata provocata “dall’esplosione del ‘tampone’ che si trova sotto la siviera”, ovvero un grosso contenitore pieno di acciaio liquido, ad elevata temperatura, che proviene dai convertitori dove avviene la trasformazione della ghisa in acciaio.

“Il ‘tampone’ – prosegue ancora Oliva – è simile a un tubo” ed è “un dispositivo che serve a far defluire l’acciaio dalla siviera verso la paniera. Da qui, poi, l’acciaio va alla lingottiera per creare la bramma, che è il semilavorato di acciaio”. “Se salta il ‘tampone’ – prosegue ancora Oliva -, non controlli più l’acciaio che sta nella siviera, soprattutto se non riesci a chiudere in tempo altri dispositivi, e difficilmente riesci a farlo, perchè la situazione va subito fuori controllo”.

Oliva conclude dicendo che su questa linea della colata continua “ci sono sei operatori al lavoro, tutti all’interno dei ‘pulpiti’, che sono le postazioni di controllo. E per fortuna che erano nei ‘pulpiti’, perchè caso mai si fosse trovato un lavoratore all’esterno, magari per il controllo della temperatura, a quest’ora non staremmo certo parlando di un incidente senza feriti ma di ben altro”.

“Il boato e l’incendio di oggi alla colata continua dell’acciaieria 2 del siderurgico ArcelorMittal di Taranto, sono la conseguenza di una situazione già nota da molto tempo, cioè quella di una fabbrica che ormai non fa più manutenzioni agli impianti”, denuncia sempre all’AGI il coordinatore di fabbrica Fim Cisl, Vincenzo La Neve, per il quale “solo per un fortuito caso non ci sono stati feriti perchè l’esplosione è stata forte”.

“Ma non è solo l’acciaieria 2 a versare in questa condizione precaria, è tutto lo stabilimento di Taranto che sta messo male. Se l’azienda mette in cassa integrazione manutentori e ispezionatori, se non mette risorse adeguate sugli interventi da fare, è chiaro che si va incontro a situazioni come quella di questa mattina”, prosegue La Neve, per il quale “questa è l’ennesima prova che quello stabilimento necessita di grandissime attività di manutenzione ordinaria e straordinaria; siamo stanchi di assistere a eventi del genere, il governo deve intervenire immediatamente affinchè la multinazionale effettui tutti i lavori di manutenzione e di ambientalizzazione.Stop alle promesse e ai proclami, è ora di passare ai fatti”, conclude.

Non a caso, subito dopo l’incidente, i sindacati Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm e Usb hanno chiesto un “incontro urgente” all’azienda: “L’evento fortunatamente non ha causato conseguenze per il personale ma mette in evidenza la necessità impellente di verifiche più accurate e manutenzioni più stringenti”, sostengono i sindacati che chiedono ad ArcelorMittal di “verificare e analizzare le dinamiche che hanno generato l’evento e individuare le necessarie contromisure”. (AGI)


Incendio all’ArclorMittal di Taranto, nessun ferito e nessuno stop alla produzione

Crollo record della produzione industriale nell’Eurozona

Crollo della produzione industriale della zona euro ad aprile: secondo Eurostat, nel mese di totale lockdown legato alla pandemia di coronavirus la produzione industriale nell’area euro è calata del 17,1% rispetto a marzo e del 28% rispetto all’aprile del 2019. Nell’intera Unione la produzione industriale di aprile è scesa del 17,3% rispetto a marzo e del 27,2% rispetto all’aprile del 2019.

Secondo Eurostat “le misure di contenimento legate a Covid-19, ampiamente attuate dagli Stati membri, hanno continuato a incidere in modo significativo sulla produzione industriale”. I dato di aprile sulla produzione industriale, aggiunge l’ufficio di Statistica europeo, segnano le maggiori diminuzioni mensili registrate dall’inizio della serie, “ben al di sopra delle diminuzioni dal 3% al 4% osservate alla fine del 2008 e all’inizio del 2009 durante la crisi finanziaria”.

Anche il dato annuo è a livelli record: si tratta della la maggiore diminuzione annuale dall’inizio della serie, superando il -21,3% nell’area dell’euro e il -20,7% nell’UE osservato nell’aprile 2009. Nel complesso, la produzione industriale nell’area euro e nella UE sono scese ai livelli osservati l’ultima volta a metà degli anni ’90.

Quanto ai singoli settori nell’aprile 2020, rispetto a marzo, nell’area dell’euro, la produzione è diminuita del 28,9% per i beni di consumo durevoli, del 26,6% per i beni strumentali, del 15,6% per beni intermedi, 11,9% per beni di consumo non durevoli e 4,8% per energia. Nell’UE la produzione è diminuita del 27,8% per i beni di consumo durevoli, del 27,3% per i beni strumentali, del 14,9% per i beni intermedi, del 10,7% per beni di consumo non durevoli e 5,0% per energia.

La produzione industriale è diminuita in tutti gli Stati membri per i quali sono disponibili dati. I maggiori decrementi sono stati registrati in Ungheria (-30,5%), Romania (-27,7%) e Slovacchia (-26,7%). 

Agi

Gli effetti della psicosi coronavirus sulla produzione di petrolio

La “vittima” eccellente del coronavirus è il petrolio che è in forte calo e il cui prezzo è ai minimi da maggio 2019 a New York e da novembre 2018 a Londra. Il timore per la pandemia potrebbe sconvolgere l’intero mercato dell’oro nero al punto che l’Opec sta pensando di organizzare una riunione straordinaria già alla fine di questo mese.

I due barili di riferimento, il WTI quotato a New York e il Brent quotato a Londra, sono diminuiti rispettivamente del 16% e del 12% da inizio anno. I prezzi erano peraltro aumentati qualche settimana fa, al culmine delle tensioni tra Iran e Stati Uniti ma le notizie sul coronavirus hanno invertito la tendenza. Secondo gli analisti “i prezzi del petrolio sono stati estremamente vulnerabili all’epidemia” nel senso che più il virus si diffonde, maggiore è il potenziale impatto economico e l’impatto sul consumo di petrolio.

Nel periodo 15-22 gennaio, secondo alcuni analisti, le importazioni di petrolio cinese sono calate di quasi 2 milioni di barili al giorno (mbpd) rispetto alla media di gennaio 2019, e di 3 mbpd dall’inizio del 2020. Logicamente, “quando il motore economico comincia a cedere, la necessità di carburante diminuisce”, dice Naeem Aslam, un analista di Avatrade.

Il ruolo della Cina nel mercato del petrolio 

La Cina è il secondo consumatore mondiale di greggio e quindi gioca un ruolo cruciale nell’equilibrio di un mercato già indebolito da un’offerta sempre più abbondante, dovuta in particolare agli Stati Uniti, che sta pompando a livelli record grazie all’aumento dello scisto. La prospettiva di un calo della domanda arriva in un momento in cui l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec) sta lottando per sostenere i prezzi del petrolio già indeboliti dall’abbondante offerta di oro nero e dal rallentamento della crescita globale.

Il ministro saudita dell’Energia, Abdel Aziz ben Salmane, fratellastro del potente principe ereditario Mohammed ben Salmane (MBS) e leader del cartello, cerca di rassicurare e vede nella caduta dei prezzi solo una reazione “psicologica” degli investitori. Ma secondo Carsten Fritsch, analista di Commerzbanck, “la spettacolare caduta degli ultimi giorni sembra rendere nervosa l’Opec”. Il greggio Brent, ad esempio, è sceso sotto i 60 dollari al barile, una delle soglie simboliche per gli analisti.

Intervistato dall’agenzia ufficiale algerina APS, il ministro dell’Energia, Mohamed Arkab, ha indicato come “molto probabile” l’anticipo a febbraio della riunione “affinché si possano trovare i mezzi per garantire l’equilibrio del mercato”.

L’Opec vuole evitare di inviare segnali di panico al mercato

Ma queste informazioni non sono state confermate da altri membri del cartello. Anche il ministro russo dell’Energia Alexander Novak ha detto di essere pronto per un incontro “molto rapidamente se necessario”. Il gruppo e i suoi alleati Opec+, guidati dalla Russia, avevano programmato una “riunione straordinaria” all’inizio di marzo, mentre il cartello abitualmente si riunisce ogni sei mesi.

Anticipare l’incontro potrebbe sortire un effetto opposto al previsto e inviare un segnale di “panico” al mercato. Un ulteriore taglio alla produzione, o almeno una proroga del taglio dopo marzo, rimane l’arma principale del cartello per sostenere i prezzi: c’è da valutare bene il da farsi visto che una mossa del genere potrebbe non ottenere il sostegno dei suoi membri o del suo principale alleato, la Russia. 

Agi

La Germania non riparte, produzione cala a 1,7% a ottobre

La produzione industriale in Germania cala dell’1,7% mensile destagionalizzato a ottobre, la discesa più forte da aprile. Lo rileva l’ufficio federale di statistica Destatis.

A settembre la produzione era scesa dello 0,6% mensile e gli analisti si aspettavano un rialzo dello 0,1%. La produzione manifatturiera è scesa dell’1,7% mensile a ottobre, quella edilizia del 2,8% e quella di energia è salita del 2,3%. Su base annuale l’arretramento della produzione industriale è stato del 5,3% destagionalizzato. 

Agi

Eni ottiene i diritti di esplorazione e produzione nell’area di Abay, in Kazakhstan 

Il ministero dell’Energia del Kazakhstan, KazMunayGas (KMG) ed Eni hanno firmato un protocollo che assegna alla società il diritto d’uso del sottosuolo per l’esplorazione e produzione di idrocarburi attraverso operazioni congiunte nell’area di Abay, nell’offshore del Mar Caspio. È quanto si legge in una nota dell’Eni, in cui si precisa che il blocco di Abay è situato nella parte settentrionale kazaka del Mar Caspio, approssimativamente a 50 km dalla costa, in acque profonde meno di 10 metri. Si stima che il blocco abbia un potenziale significativo di risorse di idrocarburi.

Eni e KMG deterranno entrambe una quota del 50% del blocco di Abay ed Eni si farà carico della quota dei costi di KazMunayGas durante il periodo esplorativo. Il blocco sarà operato dalla “Isatay Operating Company”, una joint venture equamente partecipata da Eni e KMG e grazie alla quale le due società, che operano anche nel blocco di Isatay, riusciranno a massimizzare ulteriormente le sinergie e l’efficienza operativa.

Questo è il primo caso in Kazakhstan in cui una Joint venture opera in due progetti. La “Isatay Operating Company” beneficerà delle tecnologie proprietarie di Eni, leader globale sia nel settore dell’esplorazione sia nello sviluppo accelerato dei progetti e con una vasta esperienza in ambito tecnico e ambientale in zone remote come il bacino del Caspio. Questo nuovo progetto rafforzerà ulteriormente le attività di Eni in Kazakhstan e consoliderà l’alleanza strategica con KazMunayGas, un partner fondamentale per Eni.

Eni è presente in Kazakhstan dai primi anni ’90. È co-operatore nel campo di Karachaganak (FPSA) ed è partner nel North Caspian Sea Production Sharing Agreement (NCSPSA) per il super-giant di Kashagan. Congiuntamente alla compagnia di stato KazMunayGas, Eni è operatore del blocco di Isatay e produce attualmente nel paese circa 170 mila barili di petrolio equivalenti al giorno. Eni sta lavorando alla realizzazione di un progetto di energia rinnovabile, Badamsha, un parco eolico da 48 MW nel Kazakistan nordoccidentale. 

Agi

Istat: ad aprile produzione industriale -0,7% mese e -1,5% anno; auto giù del 17%

Nuovo calo della produzione industriale ad aprile, il secondo consecutivo. L’indice calcolato dall’Istat ha registrato una contrazione dello 0,7% su base mensile e dell’1,5% su base annua. Il dato di marzo è stato rivisto invece a -1% rispetto al -0,9% comunicato in precedenza. 

Nella media del trimestre febbraio-aprile, riferisce ancora l’Istat, permane una variazione positiva (+0,7%) rispetto al trimestre precedente. L’indice destagionalizzato mensile mostra un aumento congiunturale, di rilievo, solo per l’energia (+3,6%); diminuzioni si registrano, invece, per i beni strumentali (-2,5%) e, in misura più lieve, per i beni intermedi (- 0,7%) e i beni di consumo (-0,5%). Crolla, sempre ad aprile, la produzione di autoveicoli. Il dato, corretto per gli effetti del calendario, segnala una contrazione del 17,1% su base annua. Nei primi 4 mesi dell’anno la riduzione si attesta al 14,7%. 

Agi

Apple taglia del 10% la produzione di iPhone. In vista un altro trimestre difficile

Ancora tagli, ancora notizie che suggeriscono un primo trimestre 2019 complicato per Apple. La Mela avrebbe comunicato ai suoi fornitori una riduzione della produzione del 10% tra gennaio e marzo. Lo aveva già fatto a novembre. Allora la sforbiciata (o, meglio, la rinuncia ad ampliare la produzione secondo i piani) sarebbe stata persino più abbondante, ma avrebbe riguardato soprattuto l'iPhone XR (lo smartphone più economico della gamma). Questa volta toccherebbe anche XS e XS Max.

 Lo afferma Nikkei Asian Review. La notizia confermerebbe che Apple non solo non si attende una ripresa delle vendite, ma è convinta di avere davanti un periodo difficile. Non ci sono le condizioni per ipotizzare uno scatto di reni: la Mela presenta i nuovi iPhone in autunno, la fine del loro ciclo vitale è ancora lontanissimo e il quadro economico-politico (mercato degli smartphone debole, rallentamento cinese, tensioni Pechino-Washington) non lascia intravedere rivoluzioni.

La crisi degli iPhone

Sommando i tagli del primo trimestre 2019 con quelli già applicati alla fine dello scorso anno, il volume di produzione pianificato per tutti gli iPhone (comprese le versioni precedenti) dovrebbe essere di 40-43 milioni di unità. Cioè il 20% in meno rispetto ai 52,21 milioni di iPhone da Apple tra gennaio e marzo 2018. Cogliere le cifre esatte sarà praticamente impossibile, anche perché Cupertino ha annunciato che non rivelerà più il numero di unità vendute. Una scelta dovuta alla volontà di oscurare il punto debole (le difficoltà nella diffusione) per esaltare quello favorevole (il fatturato complessivo, che lievita visto il prezzo degli iPhone esploso negli ultimi due anni).

La revisione delle stime sul fatturato annunciata il 2 gennaio, la prima negli ultimi 16 anni, potrebbe non essere quindi il punto più basso nella stagione di Apple. Non solo a livello commerciale ma anche finanziario: il titolo della Mela ha perso il 40% dei massimi ed è ancora sotto pressione. Il fatto che il taglio della produzione tocchi tutti e tre i nuovi iPhone non consente più di imputare l'insuccesso al solo XR: sarebbe dovuto essere lo smartphone capace di risollevare le unità vendute senza incidere troppo sull'incasso medio per ogni dispositivo, ma non ha trovato il giusto equilibrio tra prezzo (comunque elevato) e qualità dell'offerta.

Il domino dei fornitori

La nuova sforbiciata del 10% è un dato complessivo: ci saranno fornitori che, in base al mix di prodotti offerti, dovranno reggere a una taglio maggiore. E altri per i quali la correzione sarà più blanda. In ogni caso, l'insuccesso della Mela si ripercuote a cascata sui fornitori. Nel 2019 Foxconn, il principale assemblatore di iPhone, taglierà i costi per 20 miliardi di yuan (quasi 3 miliardi di dollari) a causa di una domanda debole e di un anno che si annuncia “molto difficile”. Lumentum, società che produce sensori per il riconoscimento facciale, ha tagliato pesantemente le stime dell'ultimo trimestre dell'anno a causa di una riduzione degli ordini da parte di “uno dei principali clienti”.

Dopo la correzione di inizio anno, il domino dei tagli è ricominciato. Largan Precision, che fornisce lenti per le fotocamere, ha dichiarato che le vendite di dicembre sono calate del 34% anno su anno e del 20% rispetto a novembre. È stato il mese con il fatturato più basso degli ultimi cinque anni. Un altro fornitore di Taiwan, Catcher Technology (produttore di parti della scocca), a dicembre ha registrato un calo del fatturato del 28% anno su anno. E si attende segno meno anche tra gennaio e marzo. “

Prevediamo che le condizioni di mercato di fine 2018 continueranno nel 2019”, ha dichiarato la società, descrivendo le prospettive sulla domanda (cioè le vendite di iPhone) “altamente incerte e volatili”. Per una compagnia, come Apple, restia a pubblicare dettagli sulle performance dei propri dispositivi, i segnali che arrivano dalla catena produttiva sono fondamentali. Le indicazioni arrivate tra novembre e dicembre da Foxconn e Lumentum si sono rivelate attendibili e hanno anticipato i dati ufficiali. Quelle che stanno emergendo in queste ore non lasciano presagire nulla di buono nel futuro prossimo di Cupertino.   

Agi News

Eni avvia la produzione nelle acque profonde dell’Angola

Eni e Sonangol hanno avviato oggi la produzione di petrolio dal progetto di Ochigufu, nel blocco 15/06, nelle acque profonde dell’Angola. Il campo aggiungerà 25.000 barili agli attuali livelli di produzione. Il campo di Ochigufu è situato a 1.300 m di profondità nell’offshore profondo dell’Angola, a circa 150 km ad ovest di Soyo e a 380 km a nord ovest da Luanda. I pozzi sono collegati al sistema di produzione di Sangos e da lì alla Fpso di N’Goma, nel West Hub del Blocco 15/06 (Eni 36,84%, Operatore; Sonangol Pesquisa e Produção 36,84%; SSI Fifteen Limited 26,32%).

Questo start-up, raggiunto in un anno e mezzo dalla presentazione del Piano di Sviluppo, è il primo per Eni nel 2018, ed è anche il primo start-up dell’anno in Angola. Rappresenta un ulteriore passo nello sviluppo del prolifico Blocco 15/06, dove Eni ha scoperto oltre 3 miliardi di barili di olio in posto e 850 milioni di barili di riserve. Queste scoperte sono state sviluppate rapidamente ed in modo efficiente, con gli start-up del campo di Sangos nel 2014, Cinguvu nel 2015, Mpungi e Mpungi North nel 2016, East Hub nel 2017 e ora Ochigufu.

I prossimi start-up in questo blocco nel 2018 saranno il reservoir UM8 nell’East Hub ed il Subsea Boosting System per il campo di Mpungi, mentre il campo di Vandumbu, nel West Hub, entrerà in produzione all’inizio del 2019. Questi start-up aggiungeranno ulteriori 30.000 barili alla produzione complessiva. Eni è presente in Angola dal 1980 tramite la controllata Eni Angola. La produzione equity è di 150.000 barili di olio equivalente al giorno.

Agi News