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Quattro milioni di italiani sono a rischio povertà energetica

AGI – Le famiglie italiane a ‘rischio povertà energetica’ sono circa 4 milioni e pertanto, si trovano in questa condizione di difficoltà oltre 9 milioni di persone. È quanto emerge dall’elaborazione realizzata dall’Ufficio studi Cgia sugli ultimi dati disponibili del Rapporto Oipe 2020.

Secondo l’elaborazione degli artigiani veneti, sono considerati in condizioni di povertà energetica i nuclei familiari che non riescono a utilizzare con regolarità l’impianto di riscaldamento d’inverno, quello di raffrescamento d’estate e, a causa delle precarie condizioni economiche, non dispongono o utilizzano saltuariamente gli elettrodomestici ad elevato consumo di energia (lavastoviglie, lavatrice, asciugatrice, aspirapolvere, micro onde, forno elettrico, etc.).

Nell’identikit delle famiglie “vulnerabili” energeticamente spesso troviamo quelle con un elevato numero di componenti che risiedono in alloggi in cattivo stato di conservazione, con il capofamiglia giovane, spesso inoccupato e/o immigrato.

A livello geografico, la situazione più critica si verifica soprattutto nel Mezzogiorno: in questa macro area la frequenza della povertà energetica è la più elevata d’Italia e interessa tra il 24 e il 36 per cento delle famiglie residenti in questo territorio. In termini assoluti è la Campania la regione maggiormente in difficoltà: il numero delle famiglie che utilizza saltuariamente luce e gas oscilla tra le 519 mila e le 779 mila unità.

Altrettanto critica è la situazione in Sicilia dove la forchetta oscilla tra i 481 mila e i 722 mila nuclei familiari e in Calabria che presenta un range tra le 191 mila e le 287 mila famiglie in difficoltà nell’utilizzo quotidiano di energia elettrica e metano.

Un po’ meno critica, ma comunque con una “vulnerabilità” energetica medio-alta, la situazione nelle altre regioni del Mezzogiorno e in alcune del Centro che presentano una forchetta che varia dal 14 al 24 per cento delle famiglie residenti: la Puglia (con un numero di nuclei compreso tra i 223 mila e gli 383 mila), la Sardegna (tra 102 mila e 174 mila), le Marche (tra 90 mila e 154 mila), l’Abruzzo (tra 77 mila e 132 mila) e l’Umbria (tra 53 mila e 91 mila).

Nella fascia a rischio medio-bassa (tra il 10 e il 14 per cento delle famiglie coinvolte), il Lazio e alcune regioni del Nord: Piemonte, Liguria, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta. La fascia più bassa, infine, quella che comprende un numero di nuclei familiari in difficoltà che va dal 6 al 10 per cento del totale, annovera la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, la Toscana e il Trentino Alto Adige.

Più a rischio le famiglie degli autonomi. L’aumento esponenziale dei prezzi delle bollette previsto per il prossimo autunno, sottolinea la Cgia, potrebbe peggiorare notevolmente la situazione economica di tantissime famiglie, soprattutto quelle composte da lavoratori autonomi.

Nel ricordare che il 70 per cento circa degli artigiani e dei commercianti lavora da solo, ovvero non ha né dipendenti né collaboratori familiari, moltissimi artigiani, piccoli commercianti e partite Iva, secondo l’associazione, stanno pagando due volte lo straordinario aumento registrato in questi ultimi 6 mesi dalle bollette di luce e gas. La prima come utenti domestici e la seconda come piccoli imprenditori per riscaldare/raffrescare e illuminare le proprie botteghe e negozi. E nonostante le misure di mitigazione introdotte in questi ultimi mesi dal governo Draghi, i costi energetici sono esplosi, raggiungendo livelli mai visti nel recente passato.

La Cgia ricorda, infine, che dagli ultimi dati elaborati dall’Istat e riferiti al 2019, il rischio povertà delle famiglie presenti in Italia con un reddito principale ascrivibile a un lavoratore autonomo era pari al 25,1 per cento, contro il 20 per cento riconducibile a famiglie con fonte di reddito principale da lavoro dipendente.

E con la crisi pandemica e il conseguente lockdown imposto a tantissime attività “scoppiate” a inizio marzo del 2020, negli ultimi 2,5 anni il differenziale tra queste due tipologie familiari potrebbe essere addirittura aumentato. 


Quattro milioni di italiani sono a rischio povertà energetica

Gli italiani a rischio povertà ora sono 18 milioni: pesano tasse e tagli alla spesa sociale

Con tasse record una spesa sociale tra le più basse d'Europa, in Italia il rischio povertà o di esclusione sociale ha raggiunto livelli di guardia molto preoccupanti. È quanto emerge dall'analisi realizzata dall'Ufficio studi della Cgia, secondo la quale il rischio di povertà o di esclusione sociale tra il 2006 e il 2016 è aumentato in Italia di quasi 4 punti percentuali, raggiungendo il 30% della popolazione (Il Manifesto).

In buona sostanza le persone in difficoltà e deprivazione sono passate da 15 a 18,1 milioni. Il livello medio europeo è invece salito solo di un punto, attestandosi al 23,1%: 6,9 punti in meno rispetto alla nostra media. In Francia e in Germania, invece, in questi 10 anni il rischio povertà è addirittura diminuito e attualmente presentano un livello di oltre 10 punti in meno al dato medio Italia (Huffington Post).

La povertà nel Sud Italia: grave la situazione in Sicilia, Campania e Calabria

A livello regionale per quanto riguarda la povertà la situazione al Sud è pesantissima. Gli ultimi dati disponibili riferiti al 2016 ci segnalano che il rischio povertà o di esclusione sociale sul totale della popolazione ha raggiunto il 55,6% in Sicilia, il 49,9% in Campania e il 46,7% in Calabria.

Il dato medio nazionale, come dicevamo più sopra, ha raggiunto il 30% (4,1 punti percentuali in più tra il 2006 e il 2016). In questi ultimi anni di crisi, nota la Cgia, alla gran parte dei Paesi mediterranei sono state "imposte" una serie di misure economiche di austerità e di rigore volte a mettere in sicurezza i conti pubblici. In via generale questa operazione è stata perseguita attraverso uno "smisurato aumento delle tasse, una fortissima contrazione degli investimenti pubblici e un corrispondente taglio del welfare state" (Tgcom24).

"Risultato drammatico"

"Da un punto di vista sociale – commenta il coordinatore dell'Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – il risultato ottenuto è stato drammatico: in Italia, ad esempio, la disoccupazione continua a rimanere sopra l'11 per cento, mentre prima delle crisi era al 6 per cento. Gli investimenti, inoltre, sono scesi di oltre 20 punti percentuali e il rischio povertà ed esclusione sociale ha toccato livelli allarmanti. In Sicilia, Campania e Calabria praticamente un cittadino su 2 si trova in una condizione di grave deprivazione. E nonostante i sacrifici richiesti alle famiglie e alle imprese, il nostro rapporto debito/Pil è aumentato di oltre 30 punti, attestandosi l'anno scorso al 131,6 per cento".

In questi ultimi anni la crisi ha colpito indistintamente tutti i ceti sociali, anche se le famiglie del cosiddetto popolo delle partite Iva ha registrato, statisticamente, i risultati più preoccupanti. Il ceto medio produttivo, insomma, ha pagato più degli altri gli effetti negativi della crisi e ancora oggi fatica ad agganciare la ripresa.

La mancanza di ammortizzatori sociali per le partite Iva

"A differenza dei lavoratori dipendenti – nota il Segretario della Cgia Renato Mason – quando un autonomo chiude l'attività non beneficia di alcun ammortizzatore sociale. Perso il lavoro ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di una nuova occupazione. In questi ultimi anni, purtroppo, non è stato facile trovarne un altro: spesso l'età non più giovanissima e le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso impieghi completamente in nero".

Il peso delle tasse sul Pil italiano

Ritornando ai dati della ricerca, In Italia la pressione tributaria (vale a dire il peso solo di imposte, tasse e tributi sul Pil) si attesta al 29,6% nel 2016. Tra i nostri principali paesi competitori presenti in Ue nessun altro ha registrato una quota così elevata. La Francia, ad esempio, ha un carico del 29,1%, l'Austria del 27,4%, il Regno Unito del 27,2% i Paesi Bassi del 23,6%, la Germania del 23,4% e la Spagna del 22,1". Al netto della spesa pensionistica, il costo della spesa sociale sul Pil (disoccupazione, invalidità, casa, maternità, sanità, assistenza, etc.) si è attestata all'11,9 per cento.

Tra i principali paesi Ue presi in esame in questa analisi, solo la Spagna ha registrato una quota inferiore alla nostra (11,3% del Pil), anche se la pressione tributaria nel paese iberico è 7,5 punti inferiore alla nostra. Tutti gli altri, invece, presentano una spesa nettamente superiore alla nostra. In buona sostanza siamo i più tartassati d'Europa e con un welfare "striminzito" il disagio sociale e le difficoltà economiche sono aumentate a dismisura.

Agi News

Come la finanza creativa sradicherà la povertà nel mondo

"Per sradicare la povertà dal mondo è necessaria una trasformazione rurale inclusiva, una finanza creativa": ne è convinto Ashwani Muthoo, direttore della Divisione di Global Engagment, Knowledge and Strategy del Fondo Internazionale Onu per lo sviluppo agricolo (IFAD). A poco più di dieci anni dalla scadenza dell'Agenda Onu 2030, i due principali obiettivi di eliminare del tutto la povertà e migliorare le condizioni di vita delle popolazioni rurali dei Paesi più poveri e di quelli in via di sviluppo, appaiono sempre più lontani. Con la crisi finanziaria che ha colpito la maggior parte delle nazioni sviluppate, i governi hanno dovuto contenere gli investimenti, rallentando così il ritmo di marcia dell'Agenda. La soluzione sembra essere, dunque, una sola: coinvolgere nel progetto i privati. "Il settore privato ha moltissime risorse non sfruttate, tuttavia i singoli attori temono di correre troppi rischi", ha spiegato all'AGI Ashwani Muthoo. 

Ed è proprio questo il tema centrale della Conferenza internazionale di tre giorni in corso a Roma, organizzata da Ifad e dal ministero dello Sviluppo economico cui ha preso parte anche il minsitro Piercarlo Padoan. "Se avessimo aspettato due, tre anni, sarebbe slittato il traguardo del 2030. Questo incontro è importante e urgente". 

"Se la comunità internazionale non investe più nelle zone rurale – sostiene Muthoo – continueremo ad assistere a una massiccia migrazione verso le megalopoli, che negli anni sono diventate sempre meno sostenibili. In  pratica, per ottenere città sostenibili bisogna investire nelle zone rurali". In Africa, in Asia e in America latina la maggior parte delle persone che vive in campagna ha l'agricoltura come unica fonte di reddito. Parliamo di aree non più interessanti per i giovani: "solo investendo in queste zone, costruendo infrastrutture, ospedali, scuole, si riuscirà a evitare la desertificazione". 

Ma soprattutto, è importante puntare sul loro bene più prezioso: la terra. "Le agroindustrie sono fondamentali, ma arrivano in un secondo momento. Per prima cosa è necessario migliorare i metodi di coltivazione – anche attraverso aiuti pratici – per eliminare la fame e assicurare pasti sani alla gente locale e a tutto il Paese. Il secondo passo è quello di aprire i mercati locali e migliorare le tecniche produttive, in modo da permettere alle persone di guadagnare con il lavoro e dare loro la possibilità di acquistare farmaci, frequentare la scuola, curarsi".  

Attiva in 39 Paesi dell'Africa, 21 in Asia, 20 in America Latina e 18 in Medio Oriente ed Europa, l’IFAD è un’istituzione finanziaria internazionale e un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite con sede a Roma, il polo delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.
 

Agi News