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In un anno persi 660 mila posti di lavoro, fa sapere l’Inps

 

AGI – Effetto covid sull’occupazione: in un anno sono stati persi in Italia 660 mila posti di lavoro. A riferirlo è l’Inps nell’Osservatorio sul precariato. Secondo l’Istitituto di previdenza, a dicembre 2020 si attesta una perdita di posti di lavoro rispetto al medesimo momento dell’anno precedente pari a 660.000 unità, esito di un risultato positivo per i rapporti a tempo indeterminato (+259.000) e di un risultato nettamente negativo (-919.000) per l’insieme delle restanti tipologie contrattuali, tra le quali si distingue l’intensa contrazione dei rapporti di lavoro a termine (-493.000).

Il saldo annualizzato, vale a dire la differenza tra i flussi di assunzioni e cessazioni negli ultimi dodici mesi, identifica la variazione tendenziale delle posizioni di lavoro, vale a dire la differenza tra le posizioni di lavoro in essere alla fine del mese osservato rispetto al valore analogo alla medesima data dell’anno precedente.

Il dato, spiega l’Inps, in progressiva flessione già nel corso della seconda metà del 2019, è divenuto negativo a febbraio (-27.000) ed è peggiorato a causa della caduta dell’attività produttiva conseguente all’emergenza sanitaria a marzo (-283.000) e ancor di più ad aprile (-623.000).

La dinamica negativa è proseguita, seppur con un ritmo in progressivo rallentamento, raggiungendo il valore massimo a giugno (-812.000). A luglio si è avviata un’inversione di tendenza (– 758.000) proseguita lentamente fino a fine anno. 


In un anno persi 660 mila posti di lavoro, fa sapere l’Inps

Google investirà altri 7 miliardi negli Usa: obiettivo 10.000 nuovi posti di lavoro

AGI – Google ha annunciato investimenti per oltre 7 miliardi di dollari negli Stati Uniti nel 2021, puntando alla creazione di 10 mila nuovi posti di lavoro. “Progettiamo di investire più di 7 miliardi in uffici e data center in tutti gli Stati Uniti e creare 10.000 posti di lavoro a tempo indeterminato quest’anno”, ha detto l’amministratore delegato, Sundar Pichai, in una nota.

I nuovi posti di lavoro saranno creati ad Atlanta, Washington, Chicago e New York, ha precisato Sundar Pichai. Mentre l’estensione dei data center di Google sono previsti anche in Nebraska, South Carolina, Virginia, Nevada e Texas. Grazie soprattutto ai record della pubblicità online durante il lockdown mondiale e alle vacanze natalizie, Alphabet, la società madre di Google, ha superato di gran lunga le aspettative registrando ricavi pari a 15,2 miliardi nell’ultimo trimestre 2020, piu’ del 50% rispetto all’anno precedente.

Ma l’annuncio del gigante tecnologico arriva mentre la società affronta diverse cause legali negli Stati Uniti per pratiche anticoncorrenziali, lanciate alla fine del 2020. In particolare, lo scorso ottobre il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e una dozzina di stati hanno intentato una causa civile contro Google. L’accusa per il gruppo è di detenere un “monopolio illegale” sulla ricerca e la pubblicità online. Secondo i procuratori, l’azienda di Mountain View impedisce ai potenziali concorrenti di guadagnare una quota di questi mercati assicurandosi, per esempio, di essere il motore di ricerca predefinito.

 


Google investirà altri 7 miliardi negli Usa: obiettivo 10.000 nuovi posti di lavoro

Unicredit taglia 8000 posti di lavoro, la maggior parte in Italia

Unicredit prevede nel nuovo piano al 2023 di avere costi totali per 10,2 miliardi con una decrescita media annua dello 0,2%. Al tempo stesso, tuttavia, in Europa Occidentale i risparmi saranno pari a 1,2 miliardi, pari al 12% della base di costo 2018, e saranno in parte ottenuti attraverso la riduzione di circa 8000 ‘full time equivalent’ e tramite la chiusura di 500 filiali a livello di gruppo.

I costi per ottenere questi risparmi, pari a 1,4 miliardi, saranno spesati tra il 2019 e il 2020.  

“Abbiamo appena iniziato le discussioni con i sindacati. Non diamo dettagli su quando e dove saranno. Nel piano precedente abbiamo agito in una maniera socialmente molto responsabile e continueremo a farlo”, ha detto l’ad Jean Pierre Mustier in conferenza stampa.

Unicredit non darà per il momento dettagli sul piano di esuberi, ma la maggior parte del peso ricadrà sulle attività italiane del gruppo. I costi di integrazione associati al taglio dei costi saranno infatti pari a 1,4 miliardi al netto delle imposte: di questi 300 milioni riguardano Germania e Austria e saranno spesati nel quarto trimestre del 2019, mentre 1,1 miliardi riguarderanno l’Italia e saranno ricompresi nel bilancio 2020.

Prime valutazioni informali del mondo sindacale fissano in oltre 5.000 gli esuberi che ci saranno nel Paese, ma le trattative fra la banca e i sindacati devono ancora iniziare. 

Agi

I robot ‘ruberanno’ tre milioni di posti in Italia. Ma il lavoro ha un futuro

Il Club Ambrosetti ha fatto i conti cercando di capire quanto la rivoluzione industriale in atto, la quarta, quella dei robot, potrà minacciare i posti di lavoro finora occupati dagli uomini. La domanda delle domande, quella alla quale da diversi anni oramai si cerca di rispondere. “Tutto dipende da come si affronta il cambiamento” scrive oggi La Stampa citando i dati raccolti dal Club Ambrosetti nel report. “Per il mercato del lavoro italiano non sarà una passeggiata: nei prossimi 15 anni verranno meno più di tre milioni di occupati nei settori tradizionali, fino a 4,3 nello scenario più pessimista. Ma è possibile crearne altrettanti in quelli innovativi”. 

Cosa ci insegnano l’industria dell’auto, e Amazon

Partiamo dalla manifattura e dal commercio: “Perderanno rispettivamente 840 mila e 600 mila unità”, scrive l’inviato a Cernobbio.  “Nel giro di quindici anni le attività immobiliari – che oggi impiegano più di due milioni e mezzo di italiani – perderanno trecentomila addetti, agricoltura e pesca più di duecentomila”.  E la perdita dell’occupazione sarà rapida: “130 mila all’anno nei primi cinque, 290 mila negli ultimi cinque”. E i rischi maggiori saranno per le nuove generazioni. “Il rischio di sostituzione è del 20 per cento per i lavoratori fra i 20 e i 24 anni, del 16 per cento fra i 25 e i 29, del 13 per cento fra i 60 e i 64 anni”. 

E' possibile evitare che i robot ci rubino il lavoro? 

“Secondo la ricerca sarebbe sufficiente mettere in campo iniziative capaci di creare 42 mila posti all’anno nei prossimi cinque”, scrive La Stampa. Occorre però puntare sui settori che oggi impiegano più di ogni altro: “alta tecnologia, scienze della vita, ricerca di base”. Lo studio quindi racconta che per ogni nuovo posto in un settore avanzato se ne creano altri 2,1 nell’indotto: quarantamila posti l’anno nei settori chiave sono tre milioni di occupati in 15 anni. 

L’importanza di un titolo di studio adeguato

Quello che emerge è abbastanza scontato: in futuro più le qualifiche acquisite saranno basse, più sarà alta la possibilità di restare disoccupati. “Chi ha in tasca una specializzazione universitaria ha appena l’un per cento di probabilità di perdere il posto; al contrario, per chi non ha almeno una laurea il rischio sale al 17 per cento: si tratta di 17 milioni di italiani” si dice nel report. 

Di chi è il futuro del lavoro? 

“Il futuro”, scrive il quotidiano, “è per chi svolge mansioni complesse, con una forte componente intellettuale e non facilmente sostituibili dalle macchine. I settori che rischiano meno sono i servizi per la salute e la comunicazione. Il futuro del lavoro è nelle qualità umane, quelle che le macchine non potranno mai sostituire: creatività, innovazione, capacità di relazione. 

La credenza che i robot rubino il lavoro, è appunto una credenza

“Non è vero per niente che il destino delle società avanzate sia segnato”, scrive oggi Luca Ricolfi nel suo primo editoriale per Il Mattino: “La credenza che automazione e intelligenza artificiale distrugga più posti di lavori di quanti ne creino è per l’appunto una credenza, non una legge generale dell’economia”.

Cosa lo dimostra? Secondo Ricolfi la paura italiana è data da un punto di vista particolare, quella di un Paese che ha sì perso posti di lavoro, ma non a causa dei robot. “Diego anni di instabilità economica e di spettacolari progressi tecnologici non hanno impedito a 21 Paesi avanzati su 35 di aumentare i propri tassi di occupazione, spesso già molto elevati nel 2007. 

 
 
 
 

Agi News

Le aziende venete offrono 200 posti in azienda per giovani, arrivano 100 curriculum 

In Veneto le offerte di formazione con assunzione vengono snobbate. La denuncia degli imprenditori del nord est oggi è raccontata sulle pagine de Il Giornale. Sembra infatti che di oltre 200 posti offerti per tirocini con ‘quasi assicurata possibilità di assunzione’ sono stati mandati solo 100 curriculum. Un problema tanto grave nella regione da far ipotizzare, scrive il quotidiano, “campagne di marketing per ridare lustro al posto fisso”. La denuncia arriva da Unindustria Treviso. 

Il paradosso dei giovani senza lavoro

Stando alla ricostruzione del Giornale, la Confindustria di Treviso e Pordenone aveva organizzato un tirocinio professionalizzante in collaborazione con la Regione Veneto. Iniziativa destinata al sold out, pensavano gli organizzatori, visto che la disoccupazione giovanile anche nel ricco e produttivo Veneto viaggia sopra il 18%. Ma le cose non sono andate proprio così. 

Le aziende offrono 339mila posti, ma mancano le competenze

Solo la metà dei posti sono stati assegnati, ha scritto il Corriere del Veneto. Il bando era riservato a 200 under 29enni. E se ne sono presentati 100. “Evidentemente i nostri giovani continuano a sognare di diventare cuochi e magari partecipare ai molti programmi televisivi in cui vengono trattati e a volte umiliati in modo inimmaginabile in qualsiasi azienda” ha detto al quotidiano del nordest Maia Cristina Piovesana, capo di Unindustria Treviso. Insomma, il sogno di diventare Masterchef scalza quello di un'occupazione sicura, secondo gli industriali. 

Secondo i dati di Unioncamere in autunno le aziende cercheranno 339mila dipendenti ma saranno in grado di assumerne solo tre su quattro, perché non saranno in grado in trovare competenze richieste. Il problema principale? La lingua inglese, seguita dalla scarsità di ingegneri elettronici e industriali. 

Agi News

Inps: frena crescita posti lavoro, nuove assunzioni -7,7%

Roma – Frena la crescita dei posti di lavoro nei primi 9 mesi dell'anno: dai dati dell'Osservatorio sul precariato dell'Inps, le assunzioni a tempo indeterminato sono calate del 32,3% (-442.580), così pure anche quelli stagionali (-7,3% e cioè 37.110 in meno) mentre aumentano le assunzioni a termine (91.460, +3,4%) e quelle in apprendistato (28.902, +20,8%). Complessivamente, i nuovi rapporti di lavoro e cioè le assunzioni sono in calo di 359.328 unità (-7,7%).

In diminuzione anche le cessazioni, del 5,4%, e cioè 215.877 in meno. Facendo però un calcolo sui rapporti di lavoro in essere, la variazione netta è positiva: sempre nei primi 9 mesi, sono 47.455 i rapporti di lavoro a tempo indeterminato, e 522.260 quelli a tempo subordinato. Per i posti stabili, la variazione è positiva perché a fronte di 1.165.879 cessazioni ci sono stati 925.825 nuovi rapporti di lavoro, 225.608 trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti a termine e 61.901 apprendisti trasformati a tempo indeterminato. Per i rapporti di lavoro subordinato, la variazione è positiva e calcolata tra i 4.314.326 nuovi rapporti e le 3.792.066 cessazioni.

ASSUNZIONI

A proposito del calo delle assunzioni, la percentuale maggiore si registra alla voce 'estero' dove l'Inps comprende anche i rapporti di lavoro non localizzabili per incompletezza delle informazioni, essendo pari al -18,2%. A seguire, i decrementi maggiori si sono verificati al Centro (-11%), al Sud (-9,6%) e al Nord Ovest (-7,9%). Meno marcati invece al Nord-est (-3,3%) e nelle isole (-5,1%). La variazione più significativa si registra nella Basilicata (-14,4%) e nel Lazio (-14,3%), a seguire nell'Abruzzo (-12,4%) e nel Molise (-11,9%). Variazioni positive sono state registrate nella Valle d'Aosta (+1%) e nel Trentino Alto Adige (+0,9%).

CESSAZIONI

Per quanto riguarda invece le cessazioni, sempre nei primi 9 mesi, sono diminuite in modo più sensibile per quelle degli apprendisti (-14,3%), e a seguire per quelli stagionali (-10,4%). Le cessazioni di rapporti a tempo indeterminato sono invece calate del 7,2% (-90.169), e quelle dei rapporti a termine del 2,9% (-63.650). Facendo la media, il calo è appunto del 5,4%. Un altro dato rilevante contenuto nelle tabelle dell'Osservatorio sul precariato dell'Inps è quello relativo alle variazioni contrattuali di rapporti di lavoro esistenti: queste risultano in calo del 29,4% (-119.824 in termini assoluti). Questo perché le trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti a termine sono diminuti del 34,4% (-118.443 in termini assoluti) mentre gli apprendisti trasformati a tempo indeterminato del 2,2% (-1.381).

LICENZIAMENTI

Nei primi 9 mesi del 2016 i licenziamenti di lavoratori con contratto a tempo indeterminato sono cresciuti del 4% rispetto allo stesso periodo del 2015, quando invece erano diminuiti del 5%; ad aumentare (+28%) sono stati i licenziamenti disciplinari (per giusta causa e giustificato motivo soggettivo).

Secondo l'Inps, i licenziamenti fino a settembre sono stati 448.544, contro i 430.894 dei primi nove mesi del 2015. Secondo il presidente dell'Inps, Tito Boeri, il balzo dei licenziamenti disciplinari è legato all'introduzione delle dimissioni on line, che ha portato ad una riduzione delle dimissioni volontarie e a un corrispettivo aumento dei licenziamenti. La procedura on line, introdotta a marzo scorso, puo' risultare da una parte più complicata da effettuare e dall'altro più costosa per il datore di lavoro; così diminuiscono le dimissioni e salgono i licenziamenti soprattutto dei lavoratori stranieri (e con particolare intensità etnie ad alta imprenditorialità come i cinesi).

Agi News