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Cina e Usa dialogano sui dazi (a Pechino). Ma le posizioni sono distanti

Sono impaziente di incontrare il presidente Xi”, ha twittato il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, segnalando l’arrivo a Pechino di una delegazione di alti funzionari americani, guidati dal segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, e dallo Us Trade Representative, Robert Lighthizer.

Sono giunti alla capitale per discutere gli attriti commerciali tra Cina e Stati Uniti; dovrebbero incontrare lo stesso Xi Jinping e il vicepresidente Wang Qishan. Gli analisti ritengono che questo tweet possa contenere una indicazione sul luogo in cui si terrà l’attesissimo summit fra Trump e il leader nord-coreano, Kim Jong-un, di cui si attende di conoscere anche la data (dovrebbe svolgersi entro giugno).

Non è escluso che il presidente americano abbia in mente di incontrare il leader di Pyongyang proprio in Cina, come potrebbero suggerire le sue parole. "Sono impaziente di incontrare il presidente Xi in un futuro non lontano. Avremo sempre una buona (grande) relazione".

Proprio nelle stesse ore, Kim ha confermato l'impegno di Pyongyang per la denuclearizzazione nel corso dell'incontro con il ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, che ha riaffermato la centralità della Cina nella penisola, dopo lo storico summit inter-coreano che ha spianato la strada per un trattato di pace tra le due Coree.

“Il nostro grande team finanziario è in Cina per cercare di negoziare un piano egualitario sul commercio!", ha poi scritto il presidente Usa.

Sono passati tre mesi da quando Liu He, il consigliere economico del presidente Xi Jinping, durante la sua visita a Washington, aveva chiesto all’amministrazione Trump di indicargli i funzionari con cui avrebbe potuto confrontarsi per evitare una guerra di dazi con il maggior partner commerciale della Cina. La risposta è arrivata oggi, giovedì 3 maggio, quando Liu, a capo della delegazione cinese, si è seduto per i colloqui di due giorni con sette funzionari istruiti da Donald Trump.

"Sono eccitato dall'essere qui", ha dichiarato Mnuchin alla stampa presente all'aeroporto di Pechino, poco dopo l'atterraggio nella capitale cinese, senza aggiungere commenti sulla visita.  Oltre a Mnuchin e a Lighthizer, la delegazione speciale comprende anche il segretario al Commercio Usa, Wilbur Ross, gli adviser della Casa Bianca Peter Navarro e Larry Kudlow, l’ambasciatore americano a Pechino Terry Branstand.


L'entusiasmo per i colloqui è stato, però, molto ridimensionato negli ultimi giorni, sia da parte cinese che statunitense.

“Se la delegazione statunitense verrà in buona fede, i colloqui potranno essere costruttivi", ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying, aggiungendo che sarebbe però irrealistico aspettarsi una risoluzione dei problemi dopo un solo round di colloqui. Molto più duro il giudizio di un funzionario del governo di Pechino, che ha sottolineato al South China Morning Post che la Cina non intende soccombere nella disputa sul Commercio con gli Stati Uniti e che è pronta a combattere "fino alla fine" una guerra commerciale.

Punti di partenza diversi

In particolare, secondo fonti che hanno parlato al New York Times nei giorni scorsi, la Cina non intende cedere su due precondizioni poste da Trump per il successo delle trattative:

  1. la riduzione del deficit commerciale bilaterale a vantaggio di Pechino di cento miliardi di dollari;
  2. e il ridimensionamento del piano di sviluppo del manifatturiero avanzato, il Made in China 2025.

L'arrivo della delegazione speciale statunitense viene accolto con fermezza dalla stampa cinese. "La Cina vuole che i colloqui producano soluzioni praticabili per mettere fine alla faida in corso e alle pratiche commerciali ingiuste degli Stati Uniti, e non è la sola a volerlo", scrive il China Daily, citando anche il caso dell'Unione Europea. La Cina, prosegue l'editoriale, "rimarrà ferma contro il bullismo degli Stati Uniti se necessario, e come campione della globalizzazione, del libero scambio e lode multilateralismo, avrà un forte sostegno da parte della comunità internazionale".

Sentimenti contrastanti emergono anche da parte della delegazione Usa, composta sia da "falchi" in economia, come Navarro, che da funzionari su posizioni meno oltranziste, come lo stesso Mnuchin, che ha però cambiato atteggiamento negli ultimi mesi, sostenendo le posizioni dure sul commercio di Trump.

In un'intervista a Fox News, lunedì scorso, il segretario al Tesoro Usa si era detto cautamente ottimista sulla possibilità di avere "discussioni schiette" con la controparte cinese durante la visita a Pechino: nelle scorse ore, però, il segretario al Commercio Usa, Wilbur Ross, ha avvertito che il viaggio di due giorni potrebbe essere ulteriormente accorciato "se non soddisfacente", come dichiarato ai microfoni di Cnbc. 
  

Per lo Us Trade Representative, il rapporto tra Cina e Stati Uniti nel commercio è una "grossa sfida" e le due economie potrebbero "passare il prossimo anno a sviluppare come trattare gli uni con gli altri in un periodo di tempo", ha dichiarato Lighthizer nei giorni scorsi durante un evento della Camera di Commercio Usa a Washington.

La posta in gioco

Si parla di dazi e controdazi su merci di importazione dal valore complessivo di 150 miliardi da ambo le parti. Balzelli che in realtà, secondo gli osservatori, nessuno dei due intende perseguire (Trump è esasperato dal surplus commerciale con la Cina e dalla necessità di proteggere le tecnologie americane dai presunti furti cinesi). Secondo i produttori di soia americani interpellati dall’agenzia Bloomberg, la Cina avrebbe già smesso di comprare dagli Stati Uniti il cereale al centro della querelle.

Una breve cronologia (ripresa dal Financial Times)

Aprile 2017

Gli Usa lanciano una indagine sugli effetti delle importazioni di acciaio e alluminio sulla sicurezza economica, militare e nazionale.

Agosto 2017

Donald Trump chiede allo Us Trade Representative di esaminare il sistema di tutela della proprietà intellettuale cinese e in particolare la presunta pratica cinese di forzare le compagnie straniere a trasferire le tecnologie ai partner locali.

8 marzo 2018

Gli Usa annunciano dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio (rispettivamente al 25% e al 10%) a partire dal 23 marzo.

23 marzo 2018

Gli Usa impongo i dazi su acciaio e alluminio. Gli alleati americani, a cominciare dall'Unione Europea, vengono esonerati fino al 1 maggio. Non la Cina.

23 marzo 2018

La Cina, in risposta ai dazi Usa su acciaio e alluminio, annuncia dazi del 15-20% sulle importazioni di 128 prodotti americani, tra cui la carne di maiale, a partire dal 2 aprile.

2 aprile 2018

Entrano in vigore i dazi del 15-20% sull' importazione di 128 prodotti statunitensi.

3 aprile 2018

Gli Usa pubblicano una lista di 1333 prodotti tecnologici di importazione cinese dal valore di 50 miliardi di dollari che potrebbero essere soggetti a nuovi dazi del 25%. Nel mirino la presunta violazione della proprietà intellettuale.

4 aprile 2018

La Cina presenta un ricorso al Wto per i dazi su alluminio e acciaio e fa appello per la lista di 1333 prodotti dal valore di 50 miliardi, e minaccia di imporre balzelli del 25% sui prodotti di importazione Usa dal valore di 50 miliardi, tra cui i semi di soia.

6 aprile 2018

In risposta alla rappresaglia cinese, Trump ordina allo  US trade representative di considerare tariffe aggiuntivi su merci cinesi pari a 100 miliardi.

1 maggio 2018

Gli Usa estendono fino al 1 giugno l’esonero dalle tariffe su acciaio e alluminio a Europa, Canada, Messico, Argentina, Australia e Brasile.

Agi News

Bill Gates è sempre il più ricco, Trump perde 220 posizioni

Bill Gates si conferma anche nel 2017 l'uomo più ricco del mondo, mantenendo il primato per il quarto anno consecutivo. La tradizionale classifica stilata da Forbes attribuisce al cofondatore di Microsoft un patrimonio pari a 86 miliardi di dollari, con il quale sopravanza il finanziere Warren Buffet a 76,5 miliardi e il fondatore di Amazon Jeff Bezos a 72,8 miliardi. Subito sotto il podio figurano il fondatore di Zara Amancio Ortega con 71,3 miliardi e quello di Facebook Mark Zuckerberg con 56 miliardi. Nella top ten mondiale entrano anche il magnate delle tlc messicano Carlos Slim con 54,5 miliardi, il fondatore di Oracle Larry Ellison con 56,4 miliardi, l'ad di Koch Industries Charle Koch con 48,3 miliardi, il fratello David Koch con la stessa cifra e l'ex sindaco di New York Michael Bloomberg con 47,5 miliardi. La donna più ricca del mondo è la francese Liliane Bettencourt: l'ereditiera e proprietaria del gruppo L'Oreal è quattordicesima assoluta con 40,3 miliardi. Le miliardarie più giovani sono le sorelle norvegesi Alexandra e Katharina Andersen, appaiate al 1.678esimo posto con 1,2 miliardi: 20 e 21 anni rispettivamente, a loro il padre ha trasferito il 42% (21% a testa) della compagnia di investimento di famiglia Ferd. Il più anziano risultava David Rockfeller, 581esimo con 3,3 miliardi, ma il centenario è morto proprio nel giorno della pubblicazione della classifica.

La vedova Ferrero guida la classifica italiana

La classifica italiana è guidata da Maria Franca Fissolo, che con 25,2 miliardi è ventinovesima a livello mondiale. La vedova Ferrero è seguita dal patron di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, con 17,9 miliardi (cinquantesimo nel mondo) e dall'imprenditore Stefano Pessina con 13,9 miliardi (ottantesimo al mondo). I tre sono anche gli unici connazionali nella top 100 mondiale e tengono alle loro spalle Massimiliana Landini Aleotti, 133esima al mondo con 9,5 miliardi, e Silvio Berlusconi, 199esimo con 7 miliardi. 

Completano i primi dieci posti della classifica nazionale Giorgio Armani con 6,6 miliardi, Augusto e Giorgio Perfetti con 5,8 miliardi, Paolo e Gianfelice Mario Rocca con 4,4 miliardi, Giuseppe De'Longhi con 3,8 miliardi e Patrizio Bertelli con 3,2 miliardi. 

Trump ha perso 200 milioni di dollari

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è invece scivolato di 220 posizioni, piazzandosi solo al 544esimo posto nella classifica, alla pari con altri 19 miliardari. Forbes stima la ricchezza del presidente americano in 3,5 miliardi di dollari, 200 milioni di dollari in meno rispetto a prima di diventare presidente, complice la frenata del mercato immobiliare a Manhattan, nella zona 'midtown'. "Il 40% della fortuna di Trump è legato alla Trump Tower e ad altri 8 edifici a circa un chilometro e mezzo di distanza. Ciò che accade in quel micro mercato impatta la ricchezza netta di Trump più di ogni altra parte del mondo", osserva Forbes. Il magazine segnala inoltre come Trump abbia donato 66 milioni di dollari alla sua campagna presidenziale e 25 milioni per patteggiare l'azione legale della Trump University. Per contro, "dall'elezione, l'iscrizione al suo resort di Palm Beach è raddoppiata a 200.000 dollari e gli attici nelle sua proprietà a Las Vegas sono schizzati a prezzi record mentre gli ospiti hanno pagato fino a 18.000 dollari a notte per stare nel suo hotel di Washington Dc durante l'inaugurazione". 

Agi News