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Le aziende italiane hanno già perso 18 miliardi di ricavi

Le aziende italiane sono ormai senza liquidità: il lockdown disposto per contenere i contagi ha portato a una caduta dei ricavi quantificabile in circa 18 miliardi di euro, di cui 11,5 miliardi a carico delle imprese del commercio, del turismo e della ristorazione. Per arginare questo shock è necessario agire sulla leva del credito, ma i meccanismi di agevolazione ai prestiti messi in campo dal Cura Italia non stanno funzionando. A lanciare l’allarme è Confesercenti.

L’emergenza sanitaria da coronavirus, si legge in una nota, è arrivata in una situazione già difficile: solo lo scorso anno, lo stock dei prestiti alle imprese è diminuito di circa 16 miliardi di euro. E il prosciugamento della liquidità causato dal lockdown è destinato a peggiorare: già adesso, su base annua, è plausibile attendersi una contrazione dei consumi delle famiglie di circa 30 miliardi di euro. 

Il problema del credito

“La sospensione delle attività è necessaria per vincere il contagio, e la salute pubblica rimane la priorità”, commenta la presidente di Confesercenti, Patrizia De Luise. “Occorre però sostenere le imprese con un’iniezione rilevante di liquidità, per permettere loro di far fronte all’azzeramento dei ricavi e agli obblighi nei confronti di fornitori e dipendenti. Purtroppo, nonostante il Cura Italia abbia messo a disposizione misure per favorire l’accesso ai prestiti, troppe imprese non riescono ad ottenere risposte positive dagli istituti di credito. E anche le banche disponibili si stanno scontrando con un eccesso di burocrazia che, di fatto, impedisce loro di utilizzare gli strumenti messi a disposizione con il decreto. Imprese ed autonomi sono allo stremo. Bisogna dare fiato alle imprese per aiutare anche chi lavora”, osserva ancora De Luise.

“Servono soluzioni concrete: chiediamo all’Abi un impegno per sbloccare la situazione. Al governo chiediamo invece di garantire l’attuazione delle misure adottate, ma anche di trovare ulteriori soluzioni per facilitare e velocizzare l’accesso alla liquidità delle imprese. A partire dalle garanzie: è urgente sbloccare subito la piena potenzialità del Fondo Centrale, superando i limiti imposti dal regolamento europeo ‘de minimis’ sugli aiuti di Stato. L’Unione europea si è già pronunciata favorevolmente sulla possibilità: l’esecutivo deve solo notificare la decisione. È un intervento necessario, altrimenti molte imprese saranno tagliate fuori dai benefici introdotti con il Cura Italia”, conclude la presidente di Confesercenti.

Agi

Perché i giovani che cercano lavoro hanno perso convinzione

Il lavoro è ancora centrale nell'orizzonte 'identitario' e di senso dei giovani in Italia ma oltre otto su dieci vivono la ricerca di un'occupazione con sfiducia e per oltre 6 su dieci rappresenta la fine di un sogno. Inoltre, quasi il 50% attribuisce la colpa dell'elevata disoccupazione allo spostamento dell'età pensionabile. Questi i principali risultati del rapporto di ricerca "Il lavoro consapevole", realizzato dal Censis in collaborazione con Jobsinaction e Assolavoro.

Il lavoro rimane saldamente al centro dell'interesse dei giovani, sfatando così alcune interpretazioni che ne intravedono la progressiva relativizzazione nell'universo progettuale delle giovani generazioni. Molto elevate le percentuali di coloro che dichiarano di seguire il dibattito sul tema, quali che siano le sue forme e comunque venga veicolato (88,6% del totale).

  • Un lavoro in linea con le aspirazioni soggettive viene messo al primo posto tra i fattori in grado di determinare la felicità individuale.
  • Il "lavoro negato", ossia la disoccupazione protratta nel tempo, viene indicata come la più importante delle ingiustizie sociali (30,1% delle risposte), superiore per gravità ai divari di reddito (24,5%), di accesso alla casa (18,3%) e ai servizi di base come la sanità o la scuola (17,4%).
  • Non a caso, mentre è diffusa la convinzione che le istituzioni dovrebbero mettere in campo tutte le risorse e tutta la progettualità possibile per garantire un lavoro a tutti (79,5%), l'opzione di un reddito di cittadinanza ottiene molti meno consensi (17,4%).

Il momento della ricerca attiva di un'occupazione viene fatto coincidere con una fase depressiva della vita dei giovani, o comunque di forte preoccupazione. Condivide questa tesi l'82,9% degli intervistati e il 66,2% parla della "fine di un sogno".

La determinazione più importante della laurea

Pochi sono i giovani che pensano possa essere vissuta con entusiasmo per la prospettiva di un'autonomia economica dalla famiglia di origine. In ogni caso, la "porta stretta" per trovare un lavoro viene individuata nella disponibilità a "far fatica" (67,9%), nella forte determinazione individuale (66%), e nell'aggiornamento continuo delle proprie competenze (60,3%).

Meno importanti vengono invece considerati sia il diploma di laurea (28,3%) che le competenze specialistiche in determinati settori (33,6%). In pratica, si riscontra una notevole presa d'atto della rilevanza delle competenze trasversali ("soft skills"), quelle qualità personali e quegli atteggiamenti verso il lavoro che possono risultare efficaci durante il percorso di ricerca o di primo contatto e che comunque le aziende mostrano di apprezzare. I giovani hanno consapevolezza di come il lavoro sia cambiato, sia per la presenza di quote importanti di giovani disoccupati, sia per la "frammentazione" dei percorsi lavorativi.

Elevata la disponibilità dei giovani disoccupati – e in parte anche degli inattivi – a valutare con interesse offerte di lavoro anche se a carattere discontinuo, a tempo, intermittente. L'89,9% accetterebbe un lavoro non inerente ai propri studi; l'83,5% accetterebbe lavori estemporanei o discontinui; il 69,1% accetterebbe lavori pesanti. Notevole anche la disponibilità a coinvolgersi in percorsi di formazione/qualificazione professionale (77,7%). Sono tanti, tra i giovani che lavorano, quelli che ammettono il totale disallineamento tra le competenze scolastico-formative di cui dispongono e il tipo di lavoro che svolgono (il 26,9% del totale).

I motivi della disoccupazione

I giovani italiani hanno pochi dubbi sulle cause dell'elevata disoccupazione: le maggior parte delle colpe sono al di fuori del loro perimetro di responsabilità.

  • Il primo motivo che individuano è lo spostamento dell'età pensionabile (46,3% delle risposte).
  • Il secondo motivo è il mancato funzionamento dei meccanismi di incontro tra domanda e offerta (38,8%).

Inoltre i giovani sottolineano la rilevanza delle politiche attive per il lavoro, pur non conoscendo esattamente il funzionamento. Nella "ricetta" per affrontare il problema i giovani inseriscono ai primi posti due ingredienti molto diversi tra loro:

  • da un lato il sostegno alle vocazioni imprenditoriali attraverso il finanziamento delle start up innovative (34,6%)
  • dall'altro una auspicata ripresa del turn-over nel pubblico impiego (32,9%).

"Inserire giovani nelle aziende del digitale"

"La restituzione di fiducia in chi cerca un'occupazione per la prima volta o in chi si trova nella condizione di doversi ricollocare è un atto dovuto e un dovere istituzionale" ha dichiarato la senatrice Annamaria Parente, capogruppo Pd in Commissione Lavoro e promotrice di Jobsinaction. Parente nel corso del suo intervento ha lanciato poi due proposte: "Jobsinaction nei prossimi mesi si impegnerà in una campagna di diffusione e divulgazione su tutto il territorio nazionale con l'obiettivo di promuovere le nuove politiche attive per il lavoro, per far fronte a quanto emerso nell'indagine". Infine Parente ha invitato il ministro dell'Istruzione, Valeria Fedeli, a "costituire di concerto con il Ministero del Lavoro, un progetto, che coinvolga anche gli enti e le associazioni di categoria, dedicato all'ingresso al lavoro dei giovani nelle aziende del digitale". 

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