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Riforma Pensioni 2023: Novità, Domande e Risposte

Riforma Pensioni 2023: Novità, Domande e Risposte

Nel 2023, il governo italiano ha introdotto una riforma pensionistica significativa che influisce sulla vita di milioni di lavoratori. In questo articolo, esploreremo le principali novità della riforma, le sue conseguenze per i lavoratori italiani e risponderemo alle 10 domande più comuni riguardo alla riforma pensioni 2023.

Le novità della riforma pensioni 2023

La riforma pensionistica del 2023 introduce diverse modifiche al sistema pensionistico italiano, tra cui:

  • Introduzione di un’età pensionabile flessibile: La riforma permette ai lavoratori di scegliere tra una pensione anticipata e una pensione di vecchiaia, a seconda delle loro esigenze e preferenze.
  • Modifica dei requisiti contributivi: I requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia e alla pensione anticipata sono stati modificati, con un aumento dell’età minima e dei contributi richiesti.
  • Revisione del calcolo delle pensioni: Il metodo di calcolo delle pensioni è stato rivisto per garantire una maggiore equità tra le diverse generazioni di lavoratori.

Conseguenze per i lavoratori italiani

La riforma pensionistica del 2023 avrà un impatto significativo sui lavoratori italiani. Le principali conseguenze includono:

  • Aumento dell’età pensionabile: Molti lavoratori dovranno lavorare più a lungo prima di poter accedere alla pensione.
  • Adattamento dei piani di pensionamento: I lavoratori dovranno rivedere i loro piani di pensionamento e adattarli alle nuove regole.
  • Maggiore flessibilità nelle scelte pensionistiche: La riforma offre ai lavoratori maggiori opzioni per decidere quando e come andare in pensione.

10 domande e risposte sulla riforma pensioni 2023

1. Qual è l’età pensionabile prevista dalla riforma?

L’età pensionabile varia a seconda del tipo di pensione scelta (anticipata o di vecchiaia) e dei requisiti contributivi del lavoratore. In generale, l’età pensionabile è aumentata rispetto al sistema precedente.

2. Quali sono i requisiti contributivi per accedere alla pensione anticipata e alla pensione di vecchiaia?

Per la pensione anticipata, i requisiti contributivi sono di almeno 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Per la pensione di vecchiaia, i requisiti contributivi sono di almeno 20 anni, ma l’età pensionabile dipende dall’anno di nascita del lavoratore e dall’aspettativa di vita.

3. Come funziona il calcolo delle pensioni con la nuova riforma?

Il calcolo delle pensioni avviene attraverso un sistema misto che tiene conto sia del metodo retributivo che di quello contributivo, garantendo una maggiore equità tra le diverse generazioni di lavoratori.

4. La riforma pensionistica del 2023 influisce sui lavoratori autonomi?

Sì, la riforma pensionistica del 2023 riguarda anche i lavoratori autonomi, che dovranno adeguarsi alle nuove regole in termini di età pensionabile e requisiti contributivi.

5. Posso andare in pensione prima dell’età pensionabile stabilita dalla riforma?

È possibile accedere alla pensione prima dell’età pensionabile stabilita dalla riforma solo in caso di particolari condizioni, come invalidità o altre situazioni specifiche previste dalla legge.

6. La riforma prevede incentivi per lavorare oltre l’età pensionabile?

Sì, la riforma pensionistica del 2023 prevede incentivi per coloro che scelgono di lavorare oltre l’età pensionabile, come ad esempio un aumento dell’importo della pensione.

7. La riforma influisce sulle pensioni di reversibilità?

La riforma pensionistica del 2023 prevede alcune modifiche anche per le pensioni di reversibilità, come ad esempio l’introduzione di nuovi requisiti per accedervi.

8. È previsto un periodo di transizione per adeguarsi alle nuove regole pensionistiche?

La riforma prevede un periodo di transizione durante il quale i lavoratori potranno adeguarsi gradualmente alle nuove regole, con l’obiettivo di evitare situazioni di disagio e incertezza.

9. Come posso sapere se la riforma pensionistica del 2023 mi riguarda?

Per sapere se la riforma pensionistica del 2023 ti riguarda, è consigliabile consultare un esperto previdenziale o accedere al sito dell’INPS per verificare la tua situazione personale e i requisiti richiesti.

10. La riforma pensionistica del 2023 è definitiva o potrebbe essere modificata in futuro ?

La riforma pensionistica del 2023 rappresenta un importante cambiamento nel sistema previdenziale italiano, ma come tutte le leggi, potrebbe essere soggetta a modifiche in futuro. Il governo e gli enti previdenziali potrebbero introdurre ulteriori aggiustamenti in base all’evoluzione delle condizioni economiche e sociali del Paese.

La riforma pensioni 2023 porta con sé significative novità per i lavoratori italiani. È fondamentale essere informati sui cambiamenti introdotti dalla riforma e valutare attentamente le proprie scelte pensionistiche. Per ulteriori informazioni e consulenza personalizzata, è sempre consigliabile rivolgersi a un esperto previdenziale o consultare il sito dell’INPS.



Riforma Pensioni 2023: Novità, Domande e Risposte

L’Italia spende 313 miliardi all’anno per pagare le pensioni

AGI – Sono oltre 16 milioni (precisamente 16.098.748), al 31 dicembre scorso, i beneficiari di prestazioni pensionistiche, in aumento del 3,6% rispetto al 2020.

Le prestazioni sono 22.758.797 (+0,2% rispetto al 2020), per un ammontare complessivo annuo di 313 miliardi (+1,7% rispetto al 2020). Lo rende noto l’Inps.

Si tratta di una media di 1,4 pensioni a testa, anche di diverso tipo: il 68% percepisce una sola prestazione, mentre il 32% ne percepisce due o più; in particolare, il 24% dei beneficiari percepisce due prestazioni, il 75% tre e l’1% quattro o più.

Le donne rappresentano la quota maggioritaria sul totale dei pensionati (il 52%), ma gli uomini percepiscono il 56% dei redditi pensionistici: l’importo medio dei redditi percepiti dalle donne è infatti inferiore rispetto a quello degli uomini del 27% (16.501 contro 22.598 euro).

Il 78% delle pensioni è di tipo IVS (invalidità, vecchiaia, superstiti), mentre le assistenziali (invalidità civili, assegni e pensioni sociali, pensioni di guerra) costituiscono il 19% del totale; il rimanente 3% circa è rappresentato dalle prestazioni di tipo indennitario, costituite dalle rendite Inail.

Il gruppo più numeroso di pensionati è quello dei titolari di pensioni di vecchiaia: sono 11.263.961, di cui 3.131.469 (il 28%) sono anche titolari di trattamenti di altro tipo.

I pensionati di invalidità previdenziale sono circa un milione, il 49% dei quali cumula pensioni di tipo diverso. I titolari di pensioni ai superstiti sono 4.276.943; circa un terzo (il 33%) percepisce solo pensioni ai superstiti, mentre il restante 67% percepisce anche pensioni di altro tipo.

I beneficiari di prestazioni assistenziali sono circa 3,7 milioni; il 50% e’ titolare anche di prestazioni diverse da quelle assistenziali. Sono principalmente i beneficiari di indennita’ di accompagnamento che percepiscono anche pensioni di tipo previdenziale. 


L’Italia spende 313 miliardi all’anno per pagare le pensioni

Il presidente dell’Inps chiede più migranti per pagare le pensioni e Salvini s’arrabbia

C'è chi di migranti in Italia ne vorrebbe forse di più, e comunque auspica una politica di gestione dei flussi che assicuri al nostro Paese ingressi di stranieri sufficienti a sostenere nei prossimi anni le nostre pensioni. È il presidente dell'Inps, Tito Boeri, che ieri da Milano dove è in corso il festival del Lavoro è stato chiarissimo: "Gli scenari più preoccupanti per la spesa pensionistica sono quelli che prevedono la riduzione dei flussi migratori che iniziano a non compensare il calo della popolazione autoctona". Ancora: "È un problema molto serio per il nostro sistema pensionistico che non è in grado di adattarsi al fatto che diminuiscono le coorti dei contribuenti. Chiunque abbia un ruolo istituzionale, la classe dirigente, deve spiegare che c'è un problema demografico ed è immediato non tra dieci anni". Dunque, aggiunge Boeri, "l'immigrazione è qualcosa che può farci gestire questa difficile situazione demografica. Avere migranti regolari ci permette da subito di avere dei flussi significativi". 

Una posizione non nuova, quella del capo dell'Inps, che già un anno fa, durante un’audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema di accoglienza dei migranti, disse:

"Gli immigrati regolari versano ogni anno 8 miliardi in contributi sociali e ne ricevono 3 in termini di pensioni e altre prestazioni sociali, con un saldo netto di circa 5 miliardi per le casse dell’Inps”.

“I lavoratori che sono stati regolarizzati con le sanatorie non hanno sottratto opportunità ai loro colleghi le analisi evidenziano che la probabilità di separarsi da un’impresa per i colleghi degli emersi è pari al 42%, e se il numero di emersi cresce tale probabilità aumenta solo del’1%. L’effetto di spiazzamento è dunque molto piccolo e riguarda unicamente i lavoratori con qualifiche basse. Non ci sono invece effetti per i lavoratori più qualificati, né in termini di opportunità di impiego né di salario”. 

“Mentre i migranti che entrano nel mercato del lavoro italiano sono per la maggior parte dei casi a bassa qualifica, la quota degli italiani non laureati che scelgono di emigrare per motivi economici è dimezzata tra il 2007 e il 2015. Sembra difficile perciò ipotizzare che la fuga dei giovani dal nostro Paese possa essere dovuta alla competizione sul mercato del lavoro con gli immigrati”, aggiunse in quell'occasione il presidente dell’Inps, che pochi giorni prima, nella relazione annuale al Parlamento, aveva anticipato: “Non abbiamo bisogno di chiudere le frontiere. Al contrario, è proprio chiudendo le frontiere che rischiamo di distruggere il nostro sistema di protezione sociale”, spiegava commentando una simulazione che guarda all’ipotesi di azzeramento dei flussi guardando all’evoluzione da qui al 2040 “in entrata di contribuenti extracomunitari“. Questo, ha spiegato Boeri, porterebbe “73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate a immigrati, con un saldo netto negativo di 38 miliardi” per le casse dell’Istituto. Valori che comporterebbero“una manovrina in più da fare ogni anno per tenere i conti sotto controllo”.

Un anno dopo, i flussi di migranti clandestini è calato notevolmente in Italia e Boeri torna al lanciare il suo allarme: ci servono immigrati regolari per pagare le pensioni.

Una posizione che non è piaciuta per niente a Matteo Salvini, ministro dell'Interno, impegnato in questi giorni come non mai a bloccare gli sbarchi di migranti sulle coste italiane, chiudendo i porti e litigando con Francia e Spagna proprio sul tema dell'accoglienza. Scrive su Twitter il leader leghista: "Secondo Boeri, presidente dell'Inps, la 'riduzione dei flussi migratori' e preoccupante, perché sono gli immigrati a pagare le pensioni degli italiani. E la legge Fornero non si tocca. Ma basta".

Si chiede anche un altro leghista, il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli: "Ma come fa il presidente dell'Inps, Tito Boeri, a lanciare un allarme sul possibile calo dei flussi migratori verso l'Italia, sul mancato arrivo di immigrati regolari che, a sua avviso, con il loro lavoro sosterrebbero la tenuta dei nostri conti previdenziali? Ma Boeri lo sa che in Italia abbiamo un tasso di disoccupazione vicino all'11% e una disoccupazione giovanile che sfiora il 40% e che 100 mila nostri ragazzi espatriano ogni anno per cercare lavoro all'estero? Prima di invocare l'arrivo di immigrati, che toglierebbero lavoro ai nostri disoccupati, dobbiamo pensare a dare lavoro ai nostri disoccupati e ai nostri giovani e ci penseranno loro a versare i contributi per tenere in piedi la nostra previdenza".

Leggi anche: Le conclusioni del Consiglio europeo sui migranti (e non solo). Il testo integrale

Calderoli vede rosso: "Forse, già che parliamo di occupazione, all'Italia servirebbe un occupato in più, ovvero un nuovo presidente dell'Inps, e un disoccupato in più, ovvero Tito Boeri, che è meglio se va fare altro che invocare più immigrati Pensiamo prima agli italiani!".

Sulla stessa frequenza la presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni: "Il presidente dell'Inps Boeri dichiara che servono più immigrati per 'pagare le pensioni agli italiani'. Ma Boeri lo sa che l'Italia ha un tasso di occupazione del 61% a fronte di una media europea del 72%? Basterebbe avvicinare il tasso di occupazione italiano a quello europeo per non avere problemi a pagare le pensioni di tutti gli italiani, senza bisogno di invocare una immigrazione di massa. Basta propaganda!". 

Ieri a Milano Boeri è tornato anche sul tema delle pensioni d'oro. "Il mio giudizio è che non esistono pensioni d'oro ma pensioni pagate dai contributi e pensioni non pagate dai contributi. Va documentato la deviazione della pensione percepita dai contributi per alcune categorie". Ancora: "I politici con i vitalizi erano una di quelle categorie con deviazioni significative". Secondo Boeri bisogna "ragionare sul fatto che queste fasce di privilegio possono essere ridotte, ovviamente sopra un certo reddito. Noi parlavamo di 5 mila euro", ma solo in caso di "deviazione tra la pensione ricevuta e i contributi versati. è un modo di uniformare i trattamenti".

Leggi anche: Davvero in Italia ci sono più pensionati che lavoratori?

Quanto alla Quota 100 (la somma che deve fare l'età anagrafica e gli anni di contributi versati per poter accedere alla pensione), secondo Boeri  "aumenta di molto la spesa pensionistica e ha effetti destinati a trascinarsi nel tempo, peggiora il rapporto tra pensionati e lavoratori". "Avremo un milione di pensionati in più come effetto di queste misure ma avremo anche meno lavoratori perchè aumenterebbero le tasse sul prelievo pensionistico". Secondo "le stime più recenti del Fmi, attualmente abbiamo due pensionati per ogni tre lavoratori, nel giro di venti anni avremo un lavoratore per ogni pensionato".

 

Agi News

Cosa metterebbe a rischio la tenuta delle pensioni secondo i ragionieri dello Stato

Limitare o differire gli automatismi (l'adeguamento del coefficiente di trasformazione in funzione della dinamica della mortalità e l'adeguamento dei requisiti di accesso alla speranza di vita a 65 anni) renderebbe il sistema pensionistico più debole e lo esporrebbe al rischio della discrezionalità politica. In altre parole: le pensioni in futuro sarebbero tecnicamente a rischio e subordinate a scelte politiche del momento, non più ad automatismi contributivi.

E' quanto sostiene la Ragioneria generale in un rapporto presentato oggi. Hanno spiegato i ragioneri dello Stato: "Anche interventi legislativi diretti non tanto a sopprimere esplicitamente gli adeguamenti automatici previsti dalla normativa vigente, ma a limitarli, differirli o dilazionarli, determinerebbero comunque un sostanziale indebolimento della complessiva strumentazione del sistema pensionistico italiano volta a contrastare gli effetti dell'invecchiamento della popolazione, in quanto verrebbe messa in discussione l'automaticità ed l'endogeneità degli adeguamenti stessi, per ritornare nella sfera della discrezionalità politica con conseguente peggioramento della valutazione del rischio Paese". Anche in presenza della soppressione permanente del meccanismo di adeguamento alla speranza di vita dei requisiti di accesso al pensionamento il requisito di vecchiaia "verrebbe comunque adeguato a 67 anni nel 2021, in applicazione della specifica clausola di salvaguardia introdotta nell'ordinamento su specifica richiesta della Commissione e della Bce, e successivamente mantenuto costante a tale livello".

Chi vorrebbe limitare gli automatismi di adeguamento alla speranza di vita

Scrive La Stampa: "Secondo la Ragioneria generale, inoltre, l’effetto della soppressione del meccanismo di adeguamento alla speranza di vita comporterebbe 'una maggiore spesa per pensioni in rapporto al Pil di dimensioni consistenti'.  Contrari agli adeguamenti sono i due ex ministri del Lavoro, Maurizio Sacconi (Ap) e Cesare Damiano (Pd), che chiedono di procedere in modo graduale. Sacconi, presidente della Commissione lavoro del Senato, ha scritto nel blog dell’Associazione amici di Marco Biagi che 'con il collega Damiano abbiamo ipotizzato non certo di cancellare il collegamento tra aspettativa di vita ed età di pensione ma di rallentare l’automatismo per garantire una minima fase di transizione alle generazioni adulte e una riflessione su quelle più giovani. Purtroppo non si sono registrate analoghe reazioni di difesa della sostenibilità previdenziale nel momento in cui la politica ha voluto deroghe per esodati, precoci, “gravosi”, bancari, giornalisti ed altri, nonostante abbiano comportato impegni di spesa per circa venti miliardi. Più si segmentano i pensionandi, più si creano ingiustizie. La buona politica deve essere capace di coniugare sostenibilità finanziaria e sociale".

Sul 'partito' di chi vorrebbe congelare o rallentare l'automatismo dell'adeguamento alla speranza di vita leggi anche l'articolo di Repubblica

Le previsioni su indennità di accompagnamento e pensioni invalidità

La spesa per indennità di accompagnamento è destinata a crescere gradualmente nei prossimi 50 anni, mentre quella per le pensioni di invalidità resterà sostanzialmente costante. La spesa per pensioni di invalidità si attesta intorno allo 0,2-0,3% del Pil per tutto il periodo di previsione (fino al 2070) raggiungendo il livello massimo nel 2039. Al contrario, la spesa per indennità di accompagnamento, rispetto al Pil, mostra una crescita costante passando dallo 0,8% nel 2016 all'1,3% nel 2070. "I due diversi andamenti – spiega lo studio – derivano, principalmente, dalla differente dinamica della struttura della popolazione interessata. Infatti, l'invecchiamento della popolazione implica, da una parte, un aumento della popolazione anziana, e quindi della platea dei percettori di indennità di accompagnamento e, dall'altra, una sostanziale stabilizzazione della popolazione con età inferiore al requisito anagrafico minimo richiesto per l'accesso all'assegno sociale, dove si collocano i potenziali percettori delle pensioni di invalidità civile". 

Agi News

Pensioni: “Riscatto della laurea gratis per i nati tra il 1980 e il 2000”

Si tratta di una proposta, ma ha ricevuto un’apertura importante da parte del sottosegretario dell’Economia Pierpaolo Barretta.  Come riporta il quotidiano Il Messaggero oggi in edicola, che mette la notizia in prima pagina, se ne parlerà oggi all’iniziativa "Facciamolo sapere", l’assemblea della rappresentanza studentesca dei Giovani democratici, dove Barretta spiegherà la sua idea.

“Si tratta di una contribuzione gratuita fissa per gli studenti universitari che completano, entro la durata legale, il proprio percorso di studi”, scrive Andrea Bassi sul quotidiano romano. I pilastri sarebbero due: 

  • “Il primo è che a beneficiare del riscatto gratuito, saranno soltanto i nati tra il 1980 e il 2000, i cosiddetti Millenials”.  Al ministero si sono accorti insomma che chi ha carriere discontinue rischia di non riuscire ad avere una pensione dignitosa alla fine del suo percorso di lavoro.
  • “Il secondo”, continua l’articolo, “è che lo Stato verserà i contributi figurativi all’Inps solo per quei Millenials che avranno finito gli studi universitari nei tempi stabiliti. I fuori corso, insomma, non potranno avere accesso all’agevolazione”. 

Non si sa ancora quanto questo costerà alle casse dello Stato. Ma la proposta è sul tavolo e al Tesoro stanno già facendo i conti. La proposta, lascia trapelare il Messaggero, potrebbe essere “meno onerosa degli altri progetti che sono sul tavolo”.

  • Una è la pensione di “garanzia”. Qualcosa di simile all’attuale integrazione al minimo, il contributo che dà lo Stato a chi non raggiunge un importo minimo di pensione attualmente fissato attorno ai 500 euro.
  • L’altra è un  versamento, sempre a carico dello Stato, di una "contribuzione figurativa all’inizio della carriera lavorativa per chi viene assunto con un contratto a tempo determinato” e ha dei periodi di discontinuità dal lavoro. 

Agi News

Scintilli Boeri-Poletti su pensioni e giovani

Roma – Non è ancora scritto, ma probabilmente cambia il decreto fiscale in materia di forfait sull'emersione dei contanti. A quanto si apprende, salterebbe l'aliquota unica del 35 percento, per tornare invece alle regole in vigore dal 2015, che prevedevano l'obbligo di indicare la provenienza delle somme versate.

Intanto, sono scintille fra il presidente dell'inps Tito Boeri e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti.

"Se l'idea era quella di aiutare le persone in pensione povere, non è il modo migliore di utilizzare la scarse risorse disponibili?, Perché la 14esima va anche a persone che vivono in famiglie con reddito alto". L'ha detto il presidente dell'Inps, Tito Boeri, a margine di un convegno all'Università Cattolica. "Dati alla mano", ha aggiunto, "solo 3 su 10 percettori di 14esima appartengono al 20% più povero della popolazione e quasi il 30% appartiene al 30 per cento più ricco della popolazione. Questo dimostra che le risorse sono quindi allocate male. C'erano altri modi", ha concluso Boeri, "per arrivare ai più poveri ed era considerare il reddito complessivo della famiglia, utilizzando i dati Isee che abbiamo già".

In un'intervista registrata per il convegno dei giovani imprenditori di Confindustria, Boeri aveva sottolineato che la legge di bilancio non guarda sufficientemente ai giovani e "un Paese che smette di investire sui giovani è un Paese che non ha grandi prospettive di crescita".

"A me – spiega – interessa sapere quanto questa legge di bilancio parla giovane, ma l'impressione è che sia nel solco degli ultimi 10-15 anni, con poche eccezioni. Solo nel 2015 guardava di più ai giovani". La manovra attuale, prosegue Boeri, "investe sulle pensioni e sull'età immediatamente precedente. Per il Paese è fondamentale tornare a crescere: negli ultimi 20 anni la povertà è aumentata, soprattutto tra i giovani. I salari d'ingresso quando si entra sono molto bassi e negli ultimi 25 anni sono diminuiti di un altro 25%, la disoccupazione è sotto gli occhi di tutti e poi ci sono molti giovani che vanno all'estero". Dunque per il numero uno dell'Inps "il nostro problema è questo: un Paese che smette di investire sui giovani è un Paese che non ha grandi prospettive di crescita e questa legge di bilancio fa poco su questo fronte".

Immediata la replica del ministro del lavoro Giuliano Poletti: Tito Boeri sbaglia "questa manovra guarda al futuro". "Si basa – spiega – su due grandi pilastri: crescita sviluppo impresa e innovazione". "Si parte – prosegue il ministro – dalla ricerca dall'innovazione e dalle università, vogliamo aumentare del 100% i giovani che frequentano gli istituti tecnici",. La manifattura, dice ancora, "è la spina dorsale del sistema economico italiano e non avere chiaro questo significa" non avere chiara la storia del nostro Paese.

Poletti ha aggiunto che non si tratta di una manovra lacrime e sangue: "non ci sono nè lacrime nè sangue per fortuna, ci sono un po' di soldi per i pensionati, l'abbassamento dell'età di pensionamento, un investimento importante sull'innovazione e la tecnologia e un sostegno all'impresa, infine un lavoro importante di lotta alla povertà".  (AGI) 

Agi News