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Il lockdown mette a rischio quasi mezzo milione di piccole e medie imprese

AGI – Sono 460.000 le piccole imprese italiane (con meno di 10 addetti e sotto i 500.000 euro di fatturato) a rischio chiusura a causa dell’epidemia: l’11,5% del totale, capace di un fatturato complessivo di 80 miliardi di euro e di impiegare un milione lavoratori. È quanto emerge dal ‘Secondo Barometro Censis-Commercialisti sull’andamento dell’economia italiana’, realizzato in collaborazione con il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.

Secondo il rapporto, a causa delle conseguenze del lockdown per arginare la pandemia da Covid-19 potrebbe sparire il doppio delle microimprese che sono morte tra il 2008 e il 2019, come conseguenza della grande crisi. “Sarebbe un doloroso addio ai nostri piccoli imprenditori vittime di una strage annunciata, con gravi ricadute sulla crescita: è in pericolo il meglio del motore antico del modello di sviluppo italiano”, si legge in una nota del Censis.

Il 29% dei commercialisti coinvolti nella ricerca rileva che più della metà delle microimprese clienti ha almeno dimezzato il proprio fatturato (il dato scende al 21,2% nel caso dei commercialisti che si occupano di imprese medio-grandi). Sono quindi 370.000 le piccole imprese che hanno subito un crollo di più della metà dei ricavi.

Inoltre, il 32,5% dei commercialisti registra in più della metà della clientela una perdita di liquidità superiore al 50% nell’ultimo anno (il dato scende al 26,2% tra i commercialisti che seguono imprese di maggiori dimensioni). Sono cioè 415.000 le piccole imprese che oggi dispongono di meno della metà della liquidità di un anno fa.

Le misure pubbliche adottate durante l’emergenza ottengono una valutazione tra luci e ombre da parte dei commercialisti. Il sostegno alle imprese (moratoria sui mutui, garanzie statali sui prestiti) viene giudicato positivamente dal 45,2%, in modo negativo dal 34%. Gli aiuti al lavoro (divieto di licenziamento, ricorso alla Cassa integrazione in deroga) sono promossi dal 43,4%, bocciati dal 34,9%. Il sostegno alle famiglie (bonus babysitter, congedi parentali, Reddito di emergenza) è visto con favore dal 36,6%, mentre il 37,5% ne dà un giudizio negativo.

La sospensione dei versamenti fiscali e contributivi per le imprese più penalizzate è valutato bene dal 33,3%, male dal 46,9%. Per i commercialisti lo sforzo statuale nel supportare gli operatori economici e i lavoratori durante il blocco di mercati e imprese va apprezzato, ma non basta.

Per evitare la moria di piccole imprese, secondo i commercialisti bisogna intervenire agendo su quello che non ha funzionato. Il 79,9% dei commercialisti auspica più chiarezza nei testi normativi, il 76,7% chiede tempestività nei chiarimenti sulle prassi amministrative, il 70,7% molti meno adempimenti, il 67,2% una migliore distribuzione delle risorse pubbliche tra i beneficiari, il 61,1% una più efficace combinazione delle misure adottate, il 58,4% un taglio netto dei tempi necessari per l’effettiva erogazione degli aiuti economici, il 49,9% ritiene necessari stanziamenti economici più consistenti.

Se gli strumenti di sussidio per i diversi beneficiari vengono promossi, viene però bocciata l’effettiva applicazione delle misure a causa dei detriti burocratici che rallentano tutto. Secondo i dati raccolti dai commercialisti occorre snellire gli adempimenti burocratici e i passaggi formali per rendere gli interventi più efficaci. Per i commercialisti è in corso uno smottamento continuato dell’economia. Per il 41% bisogna essere pronti a tutto perché tutto può succedere.

Il 27,6% sottolinea l’ansia pervasiva provocata dalla nuova ondata di contagi. Come in un videogioco con tante scelte possibili e altrettanti finali: appare così il destino delle imprese italiane, tra virus, restrizioni e burocrazia che non funziona. Per il 40,7% dei commercialisti ci vorrà molto tempo per uscire dalla crisi, il 26,9% ritiene che occorre adattarsi subito alle nuove condizioni o non ci sarà crescita, il 24,2% pensa che molti settori vitali siano ancora in difficoltà. 

Agi

Come vanno le cose all’Ilva due mesi e mezzo dopo l’arrivo degli indiani

In due giorni, con altrettante mosse, Arcelor Mittal ha disinnescato due “mine” che rischiavano di creare qualche intralcio al cammino della nuova società che dall’1 novembre sta gestendo gli impianti già gruppo Ilva.

La prima riguarda l’aver ottenuto la revoca dello sciopero che Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm e Usb avevano indetto per lunedì prossimo, a partire dalle 7, per 24 ore. E sarebbe stato il primo sciopero per un’azienda da poco subentrata alla guida della più grande acciaieria europea. 

La seconda consiste nell’aver frenato il disagio economico, e le relative proteste, di quanti ieri mattina intorno a mezzogiorno, visualizzando il cedolino della retribuzione di dicembre, accreditata oggi sul conto corrente, hanno trovato un’amara sorpresa: la busta paga dell’ultimo mese dell’anno era decisamente più leggera rispetto a quella di mesi precedenti, colpa dei conguagli fiscali ma, soprattutto, delle addizionali locali, regionale e comunale.

Lo sciopero disinnescato

Lo sciopero di lunedì 14 gennaio era stato proclamato contro la polifunzionalità. Ovvero contro la decisione di Arcelor Mittal di trasferire temporaneamente, previa formazione professionale, un gruppo di lavoratori (una cinquantina dice l’azienda) all’interno della fabbrica, tra le manutenzioni e l’acciaieria, che è poi, quest’ultima, l’area dove gli stessi operano.

I sindacati sono insorti: Arcelor Mittal non può fare questo unilateralmente. Se c’è un problema, una fermata di impianti o un rallentamento di produzione, ne parliamo insieme e insieme troviamo una soluzione condivisa. Oltretutto, avevano detto i sindacati, Arcelor Mittal si ricordi che non ha ancora centrato i numeri relativi alle assunzioni così come previste dall’accordo al Mise: 10.700 assunti da Ilva in amministrazione straordinaria.

La trattativa con l’azienda ha appianato i contrasti. La polifunzionalità chiesta da Arcelor Mittal a fronte di casi specifici anche per non tenere il personale inattivo, resta sul tavolo ma farà parte, da ora in poi, di una procedura concordata e condivisa. Obiettivo delle parti, “poter approdare, sulla scorta di quanto realizzato è verificato, ad una specifica intesa sulla materia”.

Lo strappo tra i sindacati e con l'azienda

Nel frattempo, Arcelor Mittal ha confermato il target dei 10.700 assunti totali. Lo sciopero lunedì 14 gennaio non si farà, quindi, ma è strappo tra le sigle metalmeccaniche e tra l’azienda e l’Usb. Questo sindacato non ha accettato l’accordo, denuncerà l’azienda alla Magistratura per comportamento antisindacale e dichiara che “se Arcelor Mittal pensa che il lavoratore Ilva può ricoprire qualsiasi ruolo e mansione, non solo sminuisce la professionalità del lavoratore ma, cosa più importante, non facilità il reintegro dei lavoratori non assunti”.

Per le addizionali e le tasse che hanno falcidiato la busta paga, invece, i sindacati erano in allarme già da qualche giorno tant’è che avevano chiesto ad Ilva in amministrazione straordinaria – in quanto con dicembre ha erogato l’ultima busta paga, mentre da gennaio la competenza è tutta del nuovo gestore – di effettuare una rateizzazione. Ma la richiesta non si è rivelata possibile per due ragioni.

La prima normativa: una norma prevede che le imposte locali si paghino nell’anno successivo alla maturazione e l’Agenzia delle Entrate  prescrive che il datore di lavoro trattenga le imposte nell’ultimo stipendio in modo che possa subito versarle all’Agenzia delle Entrate. L’altra è oggettiva: nel gruppo si è nel pieno della transizione tra Ilva in amministrazione straordinaria e Arcelor Mittal, che dall’1 gennaio, finiti i due mesi di distacco dall’as, ha assunto il personale che aveva selezionato a fine ottobre.

La questione con il fisco

La soluzione trovata dall’azienda, e proposta ai sindacati, è quindi quella di offrire un anticipo di 500 euro a valere sulla busta paga di gennaio in pagamento il 12 febbraio, la prima dell’era Mittal. L’anticipo sarà fatto su richiesta individuale, riguarderà coloro che hanno percepito oggi meno di 800 euro, e avverrà con un bonifico successivo.

La richiesta dell’anticipo va fatta ad Arcelor Mittal attraverso gli uffici del personale presenti in ogni area dello stabilimento. Chi riceverà l’anticipo di 500 euro se lo vedrà poi detratto nella busta paga di gennaio. Ma quella retribuzione, pur con 500 euro in meno, non avrà – al contrario di quella presa oggi – l’aggravio delle tasse di fine anno e quindi la decurtazione sarà tutto sommato più sostenibile.

Appianati i primi ostacoli di inizio d’anno, Arcelor Mittal può quindi affrontare la partenza del 2019. A giorni è in arrivo a Taranto il primo carico di semilavorati dallo stabilimento francese di Fos. L’aiuto esterno serve a sostenere la produzione del siderurgico, oggi bassa (meno di 5 milioni di tonnellate annue) e al di sotto delle potenzialità dello stabilimento per i vincoli ambientali, in modo che possa “viaggiare” su 6 milioni di tonnellate di acciaio l’anno. Che sono anche la soglia fissata dall’Autorizzazione integrata ambientale sin quando non si completa la bonifica. 

Agi News

Autostrade costruirà un nuovo ponte in 8 mesi e ha stanziato mezzo miliardo per le famiglie

La creazione di fondo da mezzo miliardo a disposizione delle famiglie delle vittime e di chi è stato colpito dal crollo di Genova e la costruzione un ponte in acciaio che, entro otto mesi, dovrà sostituire il Morandi. Sono le due iniziative che l'amministratore delegato di Autostrade per l'Italia ha annunciato durante la conferenza stampa sul disastro della vigilia di Ferragosto. 

"Realizzeremo un nuovo ponte. Otto i mesi che, gli studi ci dicono, servono tra demolizione e ricostruzione di una struttura in acciaio meno impattante per la Valpolcevera" ha annunciato Giovanni Castellucci. "Tutte le relazioni che avevamo ci mostravano uno stato di salute buono. Ma questo sarà oggetto di verifiche, perizie e dell'esame della magistratura. Tutti vogliamo sapere cosa è successo".

Come stanno gli altri ponti

Per quanto riguarda i lavori di manutenzione decisi la scorsa primavera "non erano con una procedura d'urgenza, ma ristretta. Perché le imprese che potevano partecipare a un intervento così complesso dovevano essere selezionate. Riguardava anche un altro pilone, non solo quello danneggiato. Era per allungare il tempo della vita utile del ponte. I ponti sulla nostra rete sono sicuri, ma ho chiesto a tutti di fare un'ulteriore analisi critica. Un eccesso di cautela in questo momento mi sembra giusto".

Il fondo

Autostrade ha esso a disposizione delle famiglie di chi è stato colpito dalla tragedia del Ponte Morandi un fondo da 500 milioni di euro che  saranno disponibili da lunedì. Le modalità di erogazione si sta studiando col Comune di Genova. Il costo fondo, ha assicurato, non ricadrà sugli utenti delle autostrade. "Dove si mette a bilancio il mezzo miliardo? E' un costo. Non c'è altro modo" ha detto spiegando che non si interverrà con aumenti sulle tariffe dei pedaggi.  

"Stiamo studiando" ha aggiunto Castellucci, "di liberalizzare il pedaggio per residenti e non, a partire da lunedì, nel tratto da Bolzaneto a Genova Ovest e da Prà a Genova aeroporto".

L'ipotesi dimissioni

Esclusa, al momento, l'ipotesi di una remissione del mandato. "La mia unica preoccupazione è aiutare a superare crisi di Genova e dell'azienda che ha colpito i nostri dipendenti. Il resto si vedrà successivamente" ha detto l'amministratore delegato.

Le scuse

Castellucci ha anche parlato di quelli che sono stati definiti dalla stampa i 'difetti di comunicazione' della società nei giorni del disastro. "Chiediamo scusa perché siamo stati percepiti distanti. Non siamo stati capaci di far sentire la nostra vicinanza alla città. Noi abbiamo lavorato a fianco delle istituzioni per trovare soluzioni per tutti. Noi continueremo a stare vicini a Genova perché sappiamo che dobbiamo dare tanto a questa città per farla uscire dalla situazione in cui si è trovata. Possiamo dare soluzioni veloci: ci faremo in quattro, in otto, in cento se sarà necessario, per dare risposte alle esigenze di Genova".

Agi News

Le startup che si occupano di blockchain e criptovalute hanno raccolto più soldi negli ultimi 5 mesi che in un anno e mezzo

Dopo le discussioni e i picchi speculativi, stanno arrivano gli investimenti. Dall'inizio del 2018, le startup che si occupano di blockchain e criptovalute hanno raccolto 1,3 miliardi di dollari in poco meno di 250 operazioni. La cifra segna un'accelerazione verticale rispetto allo scorso anno: in meno di cinque mesi, infatti, venture capital business angel hanno investito più di quanto non abbiano fatto nei precedenti 18 mesi (tra luglio 2016 e dicembre 2017). Sono i risultati raccolti da TechCrunch attingendo da quell'enorme serbatoio di dati che è Crunchbase.

Quanto corre la blockchain

Si tratta, comunque, di dati parziali. E che con tutta probabilità raccontano solo una parte del mercato. Sono infatti inclusi nel conteggio solo i round di venture capital e business angel, mentre sono escluse le Ico (che raccolgono dollari o criptovalute mature in cambio di monete digitali di nuova emissione), che spesso finanziano progetti legati alla blockchain. TechCrunch ha poi preso in considerazione solo le operazioni con cifre note, escludendo i round con ammontare non chiaro. 

Circle, il terzo crypto-unicorno

La corsa degli investimenti era attesa. A febbraio, Crunchbase aveva previsto il sorpasso del 2018 sul 2017. Ma quello che colpisce sono i tempi stretti in cui si è consumato e la forza dello slancio. Tra i passaggi chiave degli ultimi mesi, c'è il round da 110 milioni incassato da Circle. La startup che applica la blockchain ai pagamenti online, grazie a una valutazione che sfiora i 3 miliardi di dollari, è entrata nel ristretto gruppo dei crypto-unicorni: affianca Coinbase e Robinhood tra le società del settore con una valutazione superiore al miliardo di dollari.

La nuova geografia delle startup

Tra le altre operazioni di peso, TechCrunch ricorda i 118 milioni ottenuti da Orbs: la startup si propone come una “blockchain per i consumatori”. Offre cioè diversi servizi pensati per un mercato di massa. La terza operazione più abbondante riguarda i 75 milioni di dollari incassati da Ledger, società specializzata nello sviluppo di hardware sicuri per blockchain e criptovalute. Tre round che non raccontano solo tre storie di successo ma anche una geografia dell'innovazione fatta di blockchain ma non solo, di vecchie e nuove “startup nation”. Circle ha sede a Boston, Stati Uniti. Orbs a Tel Aviv, Israele. E Ledger a Parigi, in Francia. Forse è solo una coincidenza. Forse.

Agi News

LinkedIn ha mezzo miliardo di utenti

La rete sociale web LinkedIn ha annunciato di aver raggiunto i 500 milioni di iscritti nel mondo, con un costante aumento dopo l'acquisizione da parte di Microsoft. "Abbiamo da poco tagliato un traguardo importante ed esaltante" ha scritto in un post sul blog ufficiale il vice presidente di LinkedIn, Aatif Awan: "Abbiamo ormai mezzo miliardo di utenti in 200 Paesi, che intrattengono contatti, che svolgono discussioni professionali tra loro e che trovano opportunità grazie a questi contatti su LinkedIn". 


I numeri di LinkedIn

  • oltre mezzo miliardo di utenti registrati 
  • sono 200 i Paesi in cui opera
  • più di 9 milioni di aziende connesse 
  • sono 10 milioni i lavoratori attivi sulla piattaforma
  • circa 100mila articoli pubblicati ogni settimana

Leggi anche: LinkedIn, il social network che ha rivoluzionato il mondo del lavoro

Milano è nella top 5 delle città più connesse

Dal punto di vista geografico, il numero maggiore di connessioni alla piattaforma si concentra in tre grandi aree europee: Londra (al primo posto), Amsterdam (2°) e Milano (5°). Sul terzo gradino del podio San Francisco, il cuore della Silicon Valley, e a seguire Jakarta (Indonesia).

In arrivo qualche novità

"L’impatto di mezzo miliardo di professionisti che si connettono e comunicano fra loro è a disposizione di chiunque voglia far parte della rete", ha spiegato il vice presidente di LinkedIn, Aatif Awan che per l'occasione ha ancticipato anche una piccola novità relativa alla scheda Rete. "Aggiungeremo informazioni personalizzate per permettere agli utenti di conoscere meglio i propri collegamenti e capire come quest’ultimi possano aiutarli a raggiungere i propri obiettivi di carriera". Maggiori dettagli verranno rivelati nei prossimi giorni.

Quando Microsoft acquistò LinkedIn

L'acquisto di LinkedIn, social impiegato essenzialmente a scopi professionali, è stato finalizzato a dicembre 2016 per la somma di 26,2 miliardi di dollari, la più cospicua realizzata finora nel settore delle reti sociali. Quando nello scorso giugno fu annunciata la vendita a Microsoft, LinkedIn contava 433 milioni di utenti registrati. Creata nel 2003 la rete, ha ricordato Awan, presenta circa 10 milioni di offerte di lavoro, dà accesso a nove milioni di imprese mentre sono più di 100 mila alla settimana gli articoli pubblicati sulla piattaforma. Nel 2015, LinkedIn occupava circa 10 mila persone e realizzò un fatturato pari a tre miliardi di dollari con una perdita netta di 166 milioni di dollari.

 

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