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Inflazione e caro bollette frenano gli acquisti di Natale, per i regali si spenderà l’8% in meno 

AGI – Dicembre si conferma il mese più importante dell’anno per i consumi. Quest’anno, stima l’Ufficio studi Confcommercio, si attesteranno a circa 110 miliardi di euro, in leggera crescita rispetto al 2020 caratterizzato dal lockdown ma ancora sotto di 10 miliardi rispetto al 2019 pre-Covid.

A preoccupare tuttavia è il calo del clima di fiducia delle famiglie: la forte ripresa dell’inflazione e i rincari delle bollette, avverte lo studio, rischiano di ridurre la quota di tredicesima tradizionalmente destinata alla spesa per i regali di Natale che quest’anno si confermerà intorno ai 160 euro pro capite sostanzialmente in linea con l’anno scorso. Considerando anche i consumi di chi non incasserà la tredicesima, cioè l’area del lavoro autonomo, complessivamente la spesa media per famiglia a dicembre – inclusi affitti, bollette e utenze – si posiziona a 1.645 euro, lo 0,5% in più rispetto all’anno scorso, ma ancora molto al di sotto rispetto al 2019 (-7,5%). 

Per le sole spese commercializzabili (beni e servizi) cioè alimentari, abbigliamento, mobili, elettrodomestici bianchi e bruni, computer, cellulari e comunicazioni, libri, ricreazione, spettacoli e cultura, giocattoli e cura del sé, alberghi, bar e ristoranti, la stima è di 76 miliardi. Nel 2020, questa spesa, fortemente correlata al benessere economico delle famiglie, era scesa a circa 66 miliardi di euro correnti. Al di là della situazione sanitaria, avverte Confcommercio, qualche spunto di preoccupazione emerge tuttavia dal versante economico. A novembre, il clima di fiducia delle famiglie, pur attestandosi a livelli storicamente elevati, ha ripiegato per il secondo mese consecutivo.

A rischio le spese di Natale

Questa situazione, se confermata nei prossimi mesi, sottolinea il rapporto, rischia di avere ripercussioni nella parte iniziale del 2022 oltre che comprimere, seppure marginalmente, le spese di dicembre e per i regali di Natale.

Il deterioramento, spiega l’ufficio studi, è correlato in buona parte al riemergere dell’inflazione la quale, per la parte inattesa, cioè quella eccedente l’1,5%-2%, potrebbe comprimere il potere d’acquisto delle famiglie, riverberandosi principalmente in una contrazione degli acquisti di beni e servizi commercializzabili. Infatti, la ripresa dell’inflazione sta colpendo in prevalenza e almeno per adesso, quei beni e servizi a cui le famiglie non possono rinunciare, cioè i cosiddetti consumi obbligati.

Nell’arco di dodici mesi si è passati da un contesto di deflazione a una variazione dei prezzi al consumo superiore al 3% (3,8% a novembre 2021). Il nuovo scenario non ha intaccato orientamenti e propensioni delle famiglie fino a modificarne i comportamenti, ma il suo protrarsi non potrà non incidere sulle scelte di consumo. 


Inflazione e caro bollette frenano gli acquisti di Natale, per i regali si spenderà l’8% in meno 

Dall’inizio della pandemia registrati 327 mila lavoratori autonomi in meno

AGI – In questi ultimi 20 mesi la crisi occupazionale provocata dal Covid non ha colpito indistintamente tutti. A pagare il conto più “salato”, purtroppo, sono stati i lavoratori indipendenti, ovvero gli autonomi e le partite Iva, che dal febbraio 2020 (mese pre Covid), al settembre 2021 (ultimo dato disponibile fornito dall’Istat), sono diminuiti di 327 mila unità (-6,3%).

Diversamente, i lavoratori dipendenti, anche se di poco, sono invece aumentati: sempre nello stesso arco temporale, lo stock complessivo degli impiegati e degli operai presenti in Italia è salito di 13 mila unità (+0,1%). A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre che sottolinea come il risultato positivo registrato dai lavoratori dipendenti è ascrivibile a un deciso aumento del numero dei lavoratori a tempo determinato; questi ultimi, tra febbraio 2020 e settembre di quest’anno, sono cresciuti di +108 mila unità; per contro, gli occupati a tempo indeterminato sono diminuiti di 95 mila.

Complessivamente, il gap occupazionale tra il febbraio 2020 e lo scorso mese di settembre rimane ancora negativo, anche se non ha nulla a che vedere con i picchi toccati nella primavera scorsa: l’ultimo dato disponibile, aggiunge la Cgia, ci dice che lo stock degli occupati presenti nel Paese rispetto al dato pre pandemia è più basso di 314 mila unità (-1,4 per cento).

Molti autonomi potrebbero essere tornati a fare i dipendenti  

Se analizziamo l’andamento degli occupati per fasce di età, dettaglia la Cgia di Mestre, riscontriamo che in questi ultimi 20 mesi è in calo sia il numero presente nella coorte dei giovani (15-34 anni) sia quello riconducibile alla mezza età (35-49 anni): rispettivamente di 98 mila e di 371 mila unità. Ad aumentare di numero, invece, è stata la platea degli over 50 che in questa fase di pandemia è cresciuta di 154 mila unità.

Premesso che i dati Istat non consentono di decifrare l’andamento dei flussi in entrata/uscita registrati in questo arco temporale, questo incremento potrebbe essere ascrivibile al fatto che molti autonomi e altrettanti collaboratori familiari o soci di cooperative di una certa età abbiano chiuso la propria posizione Inps; successivamente sono rientrati nel mercato del lavoro come dipendenti, sfruttando l’esperienza e la professionalità acquisita in tanti decenni di onorata carriera.

Soffrono ancora le città d’arte

Ad aver patito maggiormente gli effetti della crisi sono state le città d’arte. Anche in questi ultimi mesi di riapertura totale, in queste realtà urbane le difficoltà rimangono. L’Ufficio studi della Cgia ricorda che stiamo parlando di città che sono delle vere e proprie eccellenze nei settori della moda, del gioiello e dell’artigianato di qualità; tutti comparti che, in genere, costituiscono un’importante attrazione turistica per il nostro Paese.

Queste attività di alta gamma beneficiano dei medesimi flussi turistici che sostengono le attività ricettive, i pubblici esercizi e il trasporto pubblico locale (taxi e noleggio con conducente), con i quali spesso si sviluppano sinergie importanti. In città come Firenze e Venezia, ad esempio, il giro d’affari di queste attività commerciali-artigianali dipende, in media, almeno per il 60-70 per cento dagli acquisti dei turisti stranieri, soprattutto di provenienza extra Ue che in questi ultimi 2 anni sono mancati totalmente; pensiamo al crollo del turismo croceristico che ha messo a repentaglio migliaia e migliaia di posti di lavoro.

Pertanto, è necessario un intervento per “tappare” una crisi apparentemente infinita che sta gravemente compromettendo non solo le imprese della ricettività, del trasporto locale e dei servizi turistici, ma anche ristoranti, botteghe e negozi delle mete culturali e dei centri storici, rimasti ormai senza “fiato”. Imprese che devono essere sostenute più a lungo, con contributi a fondo perduto, ammortizzatori sociali e credito di imposta per gli affitti.

Si istituiscano i tavoli di crisi

Da almeno sei mesi la Cgia chiede sia al Governo che ai governatori di aprire un tavolo di crisi permanente a livello nazionale e regionale. Mai come in questo momento, dice l’associazione, infatti, è necessario dare una risposta ad un mondo, quello delle partite Iva, che sta vivendo una situazione particolarmente delicata. Intendiamoci, nessuno è in grado di risolvere i problemi con un semplice tocco di bacchetta magica.

Non dobbiamo nemmeno dimenticare che in questo ultimo anno e mezzo oltre ai ristori (ancorchè del tutto insufficienti), gli esecutivi che si sono succeduti hanno, tra le altre cose, approvato l’Iscro, esteso l’utilizzo dell’assegno universale per i figli a carico anche agli autonomi ed è stato introdotto il reddito di emergenza per chi è ancora in attività. Tutte misure importanti, ma insufficienti ad arginare le difficoltà emerse in questi mesi di pandemia.

A rischio la coesione sociale

È importante ribadire, conclude la Cgia, che i negozi di vicinato e le tante botteghe artigiane presenti nel Paese hanno bisogno di sostegno perchè garantiscono la coesione sociale anche del nostro sistema produttivo. Con meno serrande aperte le città e i nostri quartieri sono meno vivibili, più insicure; inoltre è a rischio la qualità del nostro made in Italy.

È necessario coinvolgere il Ministero dell’Istruzione affinchè attivi quanto prima una importante azione informativa/formativa nei confronti degli studenti delle scuole medie superiori che li sensibilizzi in particolar modo su un punto; una volta terminato il percorso scolastico, nel mercato del lavoro ci si può affermare anche come lavoratori autonomi.


Dall’inizio della pandemia registrati 327 mila lavoratori autonomi in meno

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Meno incidenti stradali con il lockdown, -35/40% da febbraio

AGI – Meno incidenti sulle strade italiane con il lockdown, con un risparmio per le compagnie assicurative quantificato in 1,3 miliardi di euro. A fare i conti è il presidente dell’Ivass, Daniele Franco, che intervenuto all’assemblea annuale dell’Ania ha spiegato come tra il primo febbraio e il 15 settembre i sinistri siano calati del 35-40% rispetto allo stesso periodo del 2019, con il combined ratio Rc Auto sceso dal 100 all’86%, vista la minore circolazione di veicoli causata dalla pandemia di Covid.

Ha affermato Franco: “Gli oneri per sinistri sono diminuiti del 9%, da 14,4 a 13,1 miliardi”. E ha ricordato come l’Ivass abbia già auspicato nei mesi scorsi iniziative da parte delle compagnie a beneficio degli assicurati: “Iniziative in favore degli assicurati – ha evidenziato – che in molti casi sono state avviate. Stiamo ora acquisendo dalle compagnie – ha aggiunto il presidente dell’Authority – un quadro organico e aggiornato di queste misure per meglio comprenderne la tipologia e la portata”. 

L’assemblea annuale è stata aperta dalla presidente Bianca Maria Farina e ha visto, tra gli ospiti intervenuti in videoconferenza, il premier Giuseppe Conte e il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli.

– Farina, vogliamo contribuire al rilancio del Paese

Il settore assicurativo è pronto a dare il suo contributo al rilancio dell’economia, ha sottolineato la presidente dell’Associazione nazionale tra le imprese assicuratrici. “Siamo un settore con un peso rilevante nel Paese – ha detto – e possiamo essere parte fondamentale per il piano di ripresa dell’Italia. Vogliamo essere al fianco delle Istituzioni e di tutte le forze produttive e sociali per dare il nostro contributo attraverso gli assi portanti della nostra mission e porre solide basi per lo sviluppo di una economia sostenibile“.

Ma secondo Farina, perché l’industria assicurativa possa continuare a svolgere la sua attività di investitore istituzionale, “è urgente disporre di un quadro di regole più flessibili” ed è importante “procedere speditamente verso una indispensabile e generalizzata opera di semplificazione e proporzionalità delle regole”. 

Sul fronte della Rc auto, Farina ha riferito che nei primi otto mesi dell’anno, i premi sono diminuiti di oltre il 5% e, nella stessa misura, è sceso il premio medio per veicolo. “Questo andamento – ha spiegato – ha riflesso la decisione annunciata dalle compagnie di agevolare gli assicurati che non avevano utilizzato il veicolo durante il lockdown. Infatti, la frequenza sinistri era sensibilmente scesa nei mesi di chiusura, per poi risalire progressivamente nei mesi estivi verso i valori del 2019”.

Farina ha quindi fatto notare che “nell’ampio spazio da aprire per le riforme, si potrebbe finalmente cogliere l’occasione per ripensare in maniera strutturale l’impianto normativo dell’assicurazione auto, con l’obiettivo di ridurne ulteriormente il costo complessivo per la collettività, unica – sottolineo unica – strada per ridurre i prezzi a favore di tutti, favorendo comportamenti virtuosi ed evitando costi non necessari”. Inoltre, ha aggiunto, “si renderebbe il sistema pronto al processo di evoluzione della mobilità e agli obiettivi di digitalizzazione e sostenibilità del Paese”. 

– Il premier Conte, settore con solidi fondamentali

“La perdurante solidità dei fondamentali del settore, che ha resistito allo stress test della congiuntura pandemica è un grande esempio della resilienza della nostra Italia“, ha affermato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. “Lo dimostra – ha aggiunto – l’indice di solvibiltà medio delle compagnie, che si attesta a livelli adeguati, nonostante il forte calo nella raccolta premi, il flusso netto è restato positivo anche nella prima metà dell’anno. Non può esservi resilienza senza consapevolezza e senza cultura del rischio. Questo è il meritorio messaggio del settore assicurativo”.

– Patuanelli, lavoriamo insieme per il futuro dell’Italia

Le compagnie di assicurazioni sono chiamate alla sfida di rilanciare il Paese. Lo ha sottolineato il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, nel suo intervento all’assemblea dell’Ania. “Nel prossimo periodo ci aspetta la battaglia più importante e impegnativa – è stata la premessa – il rilancio del Paese per il quale anche le compagnie assicurative, che gestiscono gran parte del risparmio delle famiglie italiane, potranno mettere impegno e risorse a beneficio dell’economia reale e della crescita. Questa è la sfida che coinvolge tutti, in modo trasversale. Questo – ha proseguito – è il tempo di lavorare insieme, tracciando in maniera condivisa un percorso per il futuro che anche grazie ai vostri prodotti può fare anche meno paura”. 

Sul fronte dell’utilizzo dello strumento assicurativo contro le calamità naturali, poi, Patuanelli ha sottolineato che “è ancora troppo scarso” ed è opportuno avviare una partnership pubblico-privato. “Ho apprezzato – ha detto Patuanelli, in riferimento alla relazione della presidente dell’Ania Farina – che abbiate richiamato l’attenzione sull’importanza di investire su questo tipo di rischio. Condivido la vostra proposta sull’introduzione di una partnership pubblico-privata in tema di catastrofi naturali, che preveda tra l’altro uno strumento di assicurazione dei privati contro gli eventi naturali, evidenziando i temi della manutenzione pianificata di strutture obsolete e della messa in sicurezza del patrimonio immobiliare”. 

Agi

Le città d’arte non ripartono, 34 mln di presenze dall’estero in meno nel 2020

AGI – Le grandi città d’arte non ripartono. L’assenza dei turisti stranieri sta mettendo in ginocchio la loro economia, in particolare di quelle maggiori. Roma, Venezia, Firenze, Torino e Milano, che insieme valgono oltre un terzo del turismo italiano, si apprestano a perdere nel 2020 quasi 34 milioni di presenze dall’estero, con conseguenze importanti per tutta l’economia cittadina, soprattutto per le imprese dei centri storici. Lo stop dei visitatori causerà infatti una perdita di 7 miliardi di euro circa di spese turistiche complessive, di cui 4,9 miliardi a carico del settore alloggio, della ristorazione e delle attività commerciali e dei servizi.  A lanciare l’allarme è Confesercenti, su elaborazioni condotte sulla base delle previsioni di Tourism economics. Stime conservative, sottolinea una nota, che potrebbero rivelarsi ottimistiche in assenza di un avvio del recupero del flusso di viaggiatori entro la fine dell’anno.

– Il calo di visitatori, maglia nera a Venezia
La maglia nera va a Venezia: per la millenaria Serenissima, simbolo del turismo Made in Italy e solitamente tra le mete più ambite a livello globale, si prevede una diminuzione di 13,2 milioni di presenze, per un totale di 3 miliardi di euro di spesa turistica perduta. Segue Roma: per la Capitale le previsioni sono di 9,9 milioni circa di presenze in meno e 2,3 miliardi di consumi dei viaggiatori sfumati. A Firenze le perdite si attesteranno su -5 milioni di presenze e -1,2 miliardi circa di consumi. A Milano la contrazione di presenze dovrebbe invece arrivare sfiorare i 4 milioni, mentre per i consumi la riduzione sarà superiore ai 900 milioni di euro. A Torino, si stima un calo di oltre 800mila presenze e di 186 milioni di euro di spese turistiche.  

– L’aggravante smartworking
Alla flessione dei turisti stranieri – non compensati dagli italiani, che hanno preferito mete balneari e borghi – va sommato il contributo negativo derivante dal permanere di una quota elevata di lavoratori ancora in smartworking. Una quota destinata a non diminuire troppo fino alla fine dell’anno, visto il prolungarsi dello stato di emergenza e le incertezze complessive. In queste 5 città, che registrano oltre 6,5 milioni di occupati totali, Confesercenti stima un 13% di lavoratori agili, la cui assenza dai luoghi di lavoro sta causando la perdita di circa 250 milioni di euro al mese di spese per alloggio e ristorazione. Fino a fine anno, l’effetto smartworking farebbe perdere a queste imprese 1,76 miliardi di euro.

– De Luise, istituire zone zone franche urbane speciali
“Il turismo sta pagando un prezzo molto alto per l’emergenza scatenata dal Covid. Un duro colpo che si avverte in modo particolare nelle grandi città d’arte. Qui il combinato disposto di frenata dei viaggiatori e allungamento del lavoro agile rischia di far saltare i sistemi imprenditoriali locali. Soprattutto quelli legati alla spesa turistica: dai ristoranti ai bar, fino ai negozi dei centri storici”, spiega Patrizia De Luise, presidente nazionale Confesercenti.  “E’ una situazione di gravità eccezionale, che richiede misure straordinarie”, aggiunge De Luise, che chiede di “istituire delle zone franche urbane speciali nei centri storici dei Comuni di interesse culturale ad alto flusso turistico, che sono i più colpiti dall’onda lunga della crisi scatenata dall’emergenza Covid. Le zone franche dovrebbero consentire alle imprese che vi operano di godere di un sostegno speciale, sotto forma di un contributo da usare in compensazione dei versamenti tributari e contributivi. In questo modo”, conclude, “daremmo un po’ di ossigeno ad attività ricettive, servizi turistici, imprese del commercio e di ristorazione e bar, adesso in asfissia. Senza un intervento, migliaia di Pmi rischiano di saltare come birilli”.

Agi

I titoli di Stato italiani (a breve) valgono o no meno di quelli greci?

Italia come la Grecia, uno spettro che in molti hanno agitato – o temuto – nei giorni apicali della crisi che ha portato alla nascita del governo Conte. Quando cioè si prevedeva quasi da ogni parte un riscorso alle elezioni anticipatissime di agosto, la Borsa cedeva e lo spread schizzava in su come il fiotto di una fontana appena inaugurata.

A dire il vero, anche dopo non tutti si sono tranquillizzati, soprattutto perché anche dopo la nascita del governo lo spread ha continuato a fluttuare su valori attorno, se non oltre, i 200 punti.

Perché la Grecia fa paura

L’accostamento della situazione italiana a quella greca evoca paure quasi ancestrali in tutti i settori della società, perché la crisi deflagrata ad Atene nel 2011 (ma in realtà aperta già nel 1009, con l’ammissione che qualcuno aveva truccato i conti per riuscire ad entrare nell’euro) ha avuto costi finanziari estremamente ingenti, e sociali spaventosi.

Il Paese solo ora sta uscendo dal tunnel, ma il miglioramento dei conti pubblici dopo tre duri piani di salvataggio messi a punto da Fmi e Ue non può nascondere che i costi sociali sono stati altissimi e non ancora superati.

Più deboli della Grecia?

Per questi motivi quando, sul Corriere della Sera, Federico Fubini lancia l’allarme in molti deglutiscono con difficoltà. “Almeno sulle scadenze a breve termine, i titoli di Stato greci hanno iniziato a offrire un rendimento più basso di quelli italiani”, rivela la prima firma del Corriere in materia economica, “Il premio richiesto dagli investitori per il rischio di comprare un Buono ordinario del Tesoro rimborsabile a marzo 2019 era più alto di quello di un governo espulso da anni dal mercato dei capitali come quello di Atene”. Più alto è il rendimento, più alta è la percentuale di rischio; quindi più alto il rendimento, minore è la fiducia dei mercati nel Paese che gli emette (in questo caso l’Italia).

In altre parole, mettiamo paura. Noi, non la Grecia.

C’è chi dice no

Rispondono piccati Claudio Borghi Aquilini e Alberto Bagnai. Il primo è il responsabile economico della Lega e ha insegnato per anni economia prima di abbracciare la politica, il secondo è docente universitario. Entrambi sono parlamentari del Carroccio, nonché molto scettici in materia di euro.

“Peccato non sia vero”, scrivono insieme al Corriere. “Basta aprire un qualsiasi sito di borsa per sincerarsi che né i Bot a 3 mesi né quelli a 6 hanno un prezzo di mercato inferiore a quello degli omologhi greci”.

La controrisposta

Fubini ribatte con lo stesso tono. Elenca numeri e cifre, nota che “il 29 maggio i Bot semestrali sono stati collocati al rendimento di 1,213 percento, mentre la stessa settimana i pari titoli greci allo 0,85 percento”. E prosegue: “Lo mostra un semplice grafico Bloomberg. Forse i due esponenti politici (Borghi Aquilini e Bagnai, ndr) dovrebbero mandare le precisazioni a quell’agenzia”. E aggiunge anche l’indirizzo di New York, prima di concludere: “Il crollo di valore dei titoli italiani dell’ultimo mese si spiega con il timore per le posizioni che i due propugnano: l’uscita dall’euro”.

Il problema è sempre quello

Insomma, se per Borghi e Bagnai il problema non esiste, per Fubini esiste eccome e consiste proprio nell’essere questo governo giallo-verde retto da un sostanziale credo euroscettico.

Ma proprio ieri lo spread è sceso (anche se a quota 236) e, soprattutto, la Borsa ha guadagnato più di tre punti. Con questo governo giallo-verde.

Ma la cosa, nota qualcuno, deve essere messa direttamente in relazione con un’intervista rilasciata sempre al Corriere della Sera da ministri dell’economia, Giovanni Tria. In cui il titolare di via XX Settembre dice due cosa. La prima: l’euro no si tocca. La seconda: massima attenzione ai conti pubblici. E alla fine Milano è la migliore d’Europa. I maligni potrebbero pensare che qualcun altro, al posto di Tria, non sarebbe riuscito allo stesso modo a rassicurare i mercati.

Agi News

Per estinguere il mutuo sulla casa a un friulano servono 6 anni in meno di un siciliano  

Il 2017 è stato un anno positivo per chi ha scelto di acquistare casa: i tassi di interesse dei mutui ai minimi, il prezzo degli immobili sostanzialmente stabile e l’aumento del reddito a disposizione delle famiglie hanno creato condizioni favorevoli per comprare.

Ma chi ha presentato domanda di mutuo prima casa, quanti anni di stipendio dovrà versare per restituire alla banca il capitale richiesto?  Al netto degli interessi e considerando che oggi le famiglie italiane cercano mediamente di destinare alle rate del mutuo circa il 25% del reddito annuale, Facile.it e Mutui.it hanno calcolato che occorrono in media 17 anni e 10 mesi. Il risultato emerge dall’analisi di circa 40.000 richieste di mutuo prima casa raccolte dai due portali da gennaio 2013 a dicembre 2017 i cui valori sono stati incrociati con i dati Istat disponibili relativi ai redditi delle famiglie italiane.

Aumentano gli anni e gli importi

Il valore risulta in crescita rispetto al 2013, quando le famiglie che richiedevano un mutuo dovevano mettere in conto di destinare alla banca in media 16 anni e 10 mesi di stipendi. Brutte notizie? In realtà no, se si considera che dietro all’aumento degli anni necessari a ripagare il capitale non vi è una riduzione dei redditi medi delle famiglie italiane, bensì un aumento della cifra richiesta agli istituti di credito. Nel 2013 l’importo medio che gli aspiranti mutuatari cercavano di ottenere per acquistare la prima casa era pari a 123.583 euro, mentre nel 2017 la richiesta media è aumentata dell’8% raggiungendo i 133.456 euro.

"Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito ad una consistente diminuzione dei tassi di interesse e degli spread applicati dalle banche, che ha determinato un alleggerimento della rata mensile", spiega Ivano Cresto, Responsabile BU mutui di Facile.it. "Questo ha consentito alle famiglie di richiedere in prestito importi più elevati, mantenendo comunque una rata mensile contenuta, che non impattasse troppo sul reddito complessivo".

La dinamica spiegata da Cresto risulta chiara se si guarda a come è cambiato negli ultimi quattro anni il valore medio della rata e il suo il rapporto con il reddito mensile delle famiglie richiedenti; nel 2013 la rata media richiesta era pari a 663 euro, con un impatto del 27% sullo stipendio mensile, mentre nel 2017, nonostante gli importi richiesti alle banche siano aumentati, la rata media è diminuita arrivando a 606 euro, con un impatto del 24% sul reddito mensile medio.

Se per assurdo fosse possibile destinare alle rate del mutuo il 100% del reddito annuale, alle famiglie italiane basterebbero oggi mediamente 4 anni e mezzo per restituire alla banca la quota capitale presa in prestito al netto degli interessi, mentre nel 2013 servivano 4 anni e 2 mesi.

Le differenze regionali

Analizzando in ottica territoriale le richieste di mutuo prima casa raccolte dai due portali nel 2017, emergono importanti differenze tra le aree del Paese. Gli aspiranti mutuatari della Campania risultano essere quelli che dovranno mettere in conto più anni, e stipendi, per restituire il capitale richiesto al netto degli interessi; 21 anni, ipotizzando, come detto, che ogni anno confluisca nel mutuo una somma pari al 25% dello stipendio. Seguono in classifica i richiedenti mutuo del Lazio (20 anni e 3 mesi) e della Sicilia (19 anni e 11 mesi)

Di contro, le aree dove i valori si riducono notevolmente sono il Friuli Venezia Giulia, qui i richiedenti mutuo impiegano in media 13 anni e 10 mesi, l’Umbria (14 anni e 7 mesi) e l’Emilia Romagna (14 anni e 11 mesi).

Quanti anni servono, regione per regione (al netto degli interessi e destinando ogni anno il 25% del reddito familiare)

Abruzzo

17 anni e 2 mesi

Basilicata

19 anni e 5 mesi

Calabria

17 e 2 mesi

Campania

21 anni

Emilia-Romagna

14 anni e 11 mesi

Friuli-Venezia Giulia

13 anni e 10 mesi

Lazio

20 e 3 mesi

Liguria

16 anni e 9 mesi

Lombardia

16 e 5 mesi

Marche

15 anni e 3 mesi

Molise

n.d.

Piemonte

16 anni e 8 mesi

Puglia

17 anni e 3 mesi

Sardegna

17 anni e 2 mesi

Sicilia

19 anni e 11 mesi

Toscana

16 anni e 8 mesi

Trentino-Alto Adige

n.d.

Umbria

14 anni e 7 mesi

Valle d'Aosta

n.d.

Veneto

15 anni e 3 mesi

Italia

17 e 10 mesi

Agi News

Notizie : Gatti I bimbi cresciuti coi gatti si ammalano di meno

Gatti

I bimbi cresciuti coi gatti si ammalano di meno
B Coccolare il gatto o il cane fa sentirsi più sereni e in forma. Anche qui entra in gioco una diminuzione della pressione arteriosa nonché il rilascio nel sangue, da parte di alcune ghiandole endocrine, di sostanze rilassanti che combattono lo stress.
http://www.ilgiornale.it/news/politica/i-bimbi-cresciuti-coi-gatti-si-ammalano-meno-1184549.html

gatti


Amici e natura

Notizie : Gatti Ma davvero i gatti ci amano meno (dei cani)?

Gatti

Ma davvero i gatti ci amano meno (dei cani)?
Chiunque abbia vissuto con un gatto lo sa bene: se ami un felino, devi rassegnarti al benaltrismo di scienziati e conoscenti. «Che carino. Ma certo, un cane è un'altra cosa»; «Il gatto si affeziona alla casa, il cane alla persona»; «Il cane, per te …
http://www.corriere.it/animali/15_settembre_18/gatti-amano-meno-cani-798c140c-5e4e-11e5-9dfc-2c0d272590d9.shtml

gatti

In ufficio con i loro cani e gatti: meno pensieri e maggiore produttività
Infatti, sono sette in totale i cani che vanno in ufficio con regolarità e due i gatti che si sono riservati un angolo più riparato, anche per evitare gli incontri con gli altri quattro zampe. E' un modo per andare incontro alle esigenze di chi ha un …
http://www.ilrestodelcarlino.it/fermo/ufficio-lavoro-cani-gatti-produttivita-malloni-1.1379974

Strage di gatti a Valleluogo, strada senza regole
Transito interrotto per lavori alla rete fognaria in via Mogna e Valleluogo va in affanno. Strage di gatti lungo la stradina interpoderale che porta al Santuario, meglio nota come zona Mulino. Le auto percorrono da alcuni giorni questo tragitto …
http://www.ottopagine.it/av/daicomuni/40234/strage-di-gatti-a-valleluogo-strada-senza-regole.shtml

Primi freddi: 12 consigli per proteggere cani e gatti
9|20Istruzioni anti-freddo per cani e gatti In previsione dell'inverno è meglio assicurarsi che l'animale sia in buona forma fisica mediante una visita veterinaria di controllo. @Andresr. 10|20Istruzioni anti-freddo per cani e gatti Dopo una …
http://www.vanityfair.it/lifestyle/animali/15/10/07/autunno-come-proteggere-cane-e-gatto-dai-primi-freddi-consigli-esperto


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