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Dopo due anni tragici, il turismo made in Italy rivede la luce

AGI – Dopo due anni tragici, il turismo ritrova un po’ di ottimismo. Questo il messaggio uscito dalla 72esima assemblea di Federalberghi, dove non sono mancati comunque gli allarmi per le difficoltà delle imprese, che devono fare i conti con il rincaro dell’energia, conseguenza della guerra in Ucraina, il peso del fisco e della burocrazia, l’abusivismo dilagante e la carenza di personale.

“L’Italia ha enormi margini di miglioramento. Tolto il tappo, c’è un fenomeno di grandissima voglia di tornare in Italia dopo due anni di assenza”, ha detto il ministro del Turismo Massimo Garavaglia. “Dai primi dati – ha osservato – notiamo che su aprile, maggio e giugno l’Italia ha un tasso di riempimento delle strutture ricettive di 10 punti superiore alla Spagna, nostro tradizionale competitor. Non si vedeva da anni, c’è un rimbalzo ma dobbiamo renderlo strutturale”.

I segnali registrati con i week end di Pasqua e del 25 aprile ci fanno ben sperare per la stagione estiva“, ha affermato il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, pur avvertendo che “una rondine non fa primavera” e “due fine settimana positivi non possono coprire il buco causato da due anni di stallo”.

“I dati in nostro possesso – ha precisato – ci fanno essere ottimisti per la stagione estiva, perché abbiamo un ritorno del turismo straniero soprattutto americano, nelle città d’arte. Ma il dato piu’ importante è quello degli italiani: fanno vacanze e restano in Italia. Questo è un motivo per noi di vanto e orgoglio”.

“Su alcuni mercati come quello americano, siamo ai numeri di due anni fa: gli americani amano l’Italia e sono tornati in Italia. Ma quest’anno – ha proseguito Bocca – dobbiamo fare a meno di altri mercati internazionali che non è solo la Russia, ma è tutto il Far East, cioè Cina, Taiwan, Corea, Giappone che sono totalmente assenti causa Covid. Speriamo di compensare questa assenza con più americani ma soprattutto più italiani”.

Per questo – ha detto il presidente di Federalberghi – è necessario che la politica metta il turismo al centro dei programmi. Nel 2021 la spesa dei viaggiatori stranieri in Italia è diminuita di oltre 22,5 miliardi di euro, con un calo del 50,9% rispetto al 2019. Con l’inizio del nuovo anno, purtroppo – ha affermato Bocca – la situazione è ulteriormente peggiorata e solo quando si sono allentate le misure di sicurezza l’Italia ha giocato ad armi pari con gli altri Paesi: allora finalmente gli stranieri sono tornati. Ora si tratta di dare forza a questo processo spingendo su investimenti e innovazione: gli albergatori puntano all’enogastronomia, convinti che la ristorazione di qualita’ sia l’alleata ideale per attrarre flussi. Una scelta condivisa dallo chef Carlo Cracco: insieme si può fare squadra.


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Storia di La Perla, l’ultimo simbolo (sexy) del made in Italy acquistato all’estero

Pochi sanno che La Perla ha vestito, se di vestito si può parlare, anche l'attore Daniel Craig che nel 2006 nel film di 007 Casino Royale, indossò un costume da bagno Grigioperla. Cimelio che nel 2012 è stato poi battuto dalla casa d'aste Christiès in occasione del cinquantenario del primo film di James Bond, per 44.450 sterline (oltre 50 mila euro).

Comunque sia, La Perla è sempre stato sinonimo di lingerie di gran lusso, ed ora diventa un altro di quei gran pezzi del Made in Italy che se ne va, venduta al fondo olandese Sapinda.

Il nome dell'azienda venne ispirato da una scatola foderata in velluto rosso, simile ad un cofanetto da gioielliere, in cui erano inserite le prime collezioni. E quindi La Perla venne scelto come nome per simboleggiare l'armonia, il lusso e la femminilità.

Per oltre 60 anni, è stato così un marchio celebre principalmente per la produzione di lingerie, e poi in seguito anche di costumi da bagno, dalla linea estremamente raffinata e con materiali e tecnologie di pregio (ad esempio il ricamo Cornelly, il macramè, la seta soutache, l'antica tecnica del ricamo a frastaglio e la dentelle de Calais).

Guidata dalla fondatrice Ada Masotti dal 1954 al 1981, l'azienda passò alla sua morte al figlio Alberto Masotti che dopo aver conseguito una laurea in medicina, decise di dedicarsi interamente all'impresa di famiglia, guidandola dal 1981 al 2007.

2008. La Perla passa ad un fondo di San Francisco

Dopo un quarto di secolo, nell'ottobre del 2008 La Perla venne venduta a JH Partners, una private equity con sede a San Francisco e focalizzata sugli investimenti in aziende di servizi e marchi di lusso.

2013. L'acquisto da parte di Silvio Scaglia

Nel 2013 è ritornata italiana, essendo stata acquisita dall'imprenditore Silvio Scaglia, tramite la holding Pacific Global Management, che ha comprato l'azienda all'asta organizzata dal tribunale fallimentare di Bologna per 69 milioni di euro rilanciandola successivamente con un piano di sviluppo mirato al consolidamento dell'identità del marchio. Per questo scopo sono stati investiti 350 milioni.

Dopo l'interesse suscitato ai cinesi, è partita poi la trattativa in esclusiva con Fosun (proprietaria dei club Med e del Cirque de Soleil), scaduta a metà gennaio e infine naufragata. Secondo fonti vicine all'operazione, i motivi della rottura con Scaglia vertevano su investimenti e produzione.

Oggi la società che ha un quartier generale a Londra, 150 negozi monomarca sparsi nel mondo e 1.500 dipendenti, passa in mani olandesi. Il fatturato dell'azienda viaggia intorno ai 150 milioni di euro, mentre il pareggio di bilancio è fissato ad un fatturato di 220 milioni. Secondo alcuni calcoli, perde tra gli 80 e i 100 milioni di euro l'anno.

Gli altri brand di lusso passati in mani straniere

 La Perla è solo l'ultimo di una lunga lista di brand del lusso made in Italy che sono finiti in mani straniere. Tra gli altri casi più significativi, quello di Gucci acquisita dalla holding francese Kering nel 1999 per 3 milioni di dollari. Un affare che si è rivelato tale nel tempo visto che il fondo internazionale ha contato nel 2017 oltre 3 miliardi di ricavi supplementari e più di un miliardo di crescita del risultato operativo.

Risultati dovuti innanzitutto alla crescita di Gucci (da solo il marchio vale 6,2 miliardi di euro). Oltre Gucci, Kering ha successivamente acquisito nel 2001 il prestigioso marchio italiano di pelletteria Bottega Veneta, la quale negli ultimi anni ha contribuito molto ad aumentare i guadagni della multinazionale, anche se attualmente sta registrando un forte calo delle vendite dovuto – secondo Kering – alla diminuzione dei turisti soprattutto in Europa occidentale. C'è da segnalare che poi a sua volta Gucci ha acquisito Richard Ginori.

Kering ha acquisito Puma nel 2007 nella propria divisione Sport & Lifestyle per aggiungere nel 2013 nel suo portafogli tra i suoi brand anche Pomellato, società fondata nel 1967 da Pino Rabolini, e prestigioso marchio di gioielleria. Nel 2013 i francesi di Lmvh hanno invece acquisito Loro Piana, la prima azienda artigianale al mondo nella lavorazione del cashmere e delle lane più rare, sviluppando una rete di oltre 130 negozi esclusivi nel mondo per la distribuzione dei prodotti con il suo marchio. Costo dell'operazione: 2 miliardi.

Il gruppo francese guidato da Arnault aveva già rilevato all'epoca lo storico marchio di gioielli romano Bulgari con un'operazione da 4,3 miliardi di euro nel 2011 e poi anche Fendi.

Ha suscitato invece scalpore nel 2011 la vendita della storica catena di grandi magazzini milanesi, fondata nel 1865, La Rinascente ad una società thailandese, la Central Retail Corporation, il principale distributore del Paese orientale. Insomma, le griffe italiane fanno gola non solo alla Francia ma anche all'estremo Oriente considerato anche l'esempio di Krizia, storico marchio della moda made in Italy, che è passata di mano finendo sotto il controllo della cinese Shenzhen Marisfrolg Fashion Co Ltd, azienda leader sul mercato asiatico del pret-à-porter di fascia alta.

Infine, un altro caso eclatante è stato quello di Valentino Fashion Group (Vfg, che comprende il marchio omonimo e la licenza per il marchio M Missoni), passato nel 2012 per oltre 700 milioni di euro (i dettagli dell'operazione restano segreti) alla Mayhoola for Investment, società del Qatar riconducibile allo sceicco Hamad bin Kahlifa al Thani.

Da segnalare, invece, un'operazione finanziaria in cui l'acquirente è stata un'impresa tricolore. La Moncler, azienda d'abbigliamento che produce in particolare capi invernali fondata da un imprenditore francese nel 1952 e famosa per i suoi 'piuminì, è dal 2003 proprietà dell'imprenditore italiano Remo Ruffini. 

Agi News

Storia dell’auto elettrica made in Puglia, nata dalla chiusura di una fabbrica di carrelli. Tua

Sabato 9 settembre alla Fiera del Levante è stata presentata ‘Tua’, la "prima macchina elettrica realizzata interamente in Italia". Progettata dalla Tua Industries, è realizzata interamente in alluminio – pesa soltanto 600 kg – ha un’autonomia di 200 km per ogni ricarica e dovrebbe debuttare sul mercato entro l’estate prossima. Lo stabilimento, ex Om Carrelli, inizierà in questi giorni ad assumere i 192 operai della vecchia gestione. Ma a regime la fabbrica dovrebbe occupare circa 440 addetti.  La presentazione di questa ambiziosa minicar non rappresenta soltanto un traguardo per la Puglia, dove risiede lo stabilimento in cui verrà prodotta, ma anche un giorno importante nella storia industriale italiana.

L'azienda in crisi, poi i dipendenti la salvano

Infatti le vicende di questa azienda iniziano lontano, con la Om Carrelli e una vertenza che si trascina da sei anni. A causa di previsioni economiche sfavorevoli, nel 2011 il gruppo Kion, leader mondiale nella produzione di carrelli industriali, aveva reso nota l’intenzione di abbandonare lo stabilimento di Modugno, lasciando a casa 320 operai. Dal 2008 al 2013 la società aveva perso 23 milioni di euro e, una volta usufruito di tutti i benefici economici e tenuto gli operai in cassa integrazione per mesi, aveva deciso unilateralmente di spostarsi ad Amburgo. La decisione era arrivata a casa degli operai da un momento all’altro, con una lettera. E così la tensione tra sindacati, Regione Puglia, Kion e gli operai, e a fine aprile all’occupazione dello stabilimento da parte dei lavoratori.

Ingressi presidiati e macchinari e carrelli per un valore di 12,5 milioni di euro ancora intrappolati nella fabbrica. A luglio due tir mandati dall’azienda erano riusciti a eludere la sorveglianza degli operai, tranciando un lucchetto e passando da un ingresso sul retro. Per i dipendenti l’occupazione della fabbrica e l’immobilizzazione del patrimonio al suo interno era un’azione strategica per ottenere che si discutesse del loro futuro. Il giorno intervennero le camionette della Digos e il sindaco di Modugno Nicola Magrone per riportare la calma.        

Il protocollo d'Intesa con in ministero dello Sviluppo

Ma nel 2015 un fondo statunitense ridisegna il destino di Modugno. La Lcv Capital Management, un gruppo d'investimento statunitense, inizia ad annusare l'aria su due siti chiave: Gioia Tauro e Modugno. All'inizio si era parlato di un investimento di 120 milioni per tutte e due, ma solo il progetto barese resterà in piedi. Il passo è breve: prima il protocollo d’intesa a Roma, presso il ministero dello Sviluppo Economico, che riaccende le speranze delle famiglie dei dipendenti. Poi a dicembre, con l’accordo tra il ministero e la Lcv-Tua Autoworks veniva varato il piano per la riconversione dello stabilimento di Modugno. “È stata una battaglia lunga cinque anni, non sono mancati momenti difficili, ma non abbiamo mollato mai al fianco dei lavoratori, dei sindacati e delle famiglie” aveva dichiarato Antonio Decaro, presidente della Giunta Regionale, annunciando per la prima volta che l’impianto avrebbe prodotto una “utilitaria a basso costo alimentata anche con motore elettrico”.

La nascita di Tua

Oggi ‘Tua’ è realtà e dà sollievo vedere un così felice epilogo per una storia tanto combattuta. Il lavoro tecnico è in uno stadio avanzato e la società sta procedendo con il rinforzo azionariale. “Grazie all'aiuto della Regione Puglia siamo abbastanza avanti” dice l'amministratore delegato della 'Lcv-Tua Autoworks', Giovanbattista Razelli, “a questa situazione è collegato il piano industriale e l'obiettivo è di chiudere entro questo mese con i nuovi soci, e di portare gli operai in addestramento in fabbrica prima della fine del 2017, con i relativi piani di produzione che saranno avviati e la consegna ai clienti, che, ad oggi, è possibile fissare prima delle ferie estive del prossimo anno.

La distribuzione sarà 'multicanale', dai clienti 'grandi aziende' al cosiddetto 'ultimo miglio' per i veicoli commerciali, sino ai privati che potranno acquistare 'on line'.

"Una macchina che arriva dalla cultura delle cose fatte bene"

‘Tua’ viene “dalla cultura delle cose fatte bene, ogni giorno, partendo da progetti umili e realizzabili” dice Michele Emiliano. “Come umile e realizzabile è il caso della OM carrelli, i cui operai e tecnici, che dopo aver subito la chiusura, hanno con il contributo attivo dello Stato, Regione e comuni di Bari e Modugno dato vita alla prima auto elettrica prodotta in Italia”. Non resta che fare gli auguri agli operai di Modugno, la cui tenacia è il primo carburante di cui si alimenta ‘Tua’.

Agi News

Vino ‘Made in Italy’, 2017 anno di cambiamenti per export

Il 2017 sarà un anno di cambiamenti, alcuni positivi con l’acquisizione di nuovi sbocchi commerciali altri con perdite di quote di mercato, per il sistema-vitivinicolo nazionale.  “Per il mercato del vino si profila un anno di sorpassi, con l’Italia che rischia di cedere alla Francia lo storico scettro nel mercato più importante al mondo – gli Usa – mentre è in netto recupero in Cina, dove si appresta a scippare il quarto posto alla Spagna. Complessivamente l’Italia esce malconcia dai primi 5 mesi di export nei Paesi terzi rispetto ai competitor francesi e ai cileni, i primi perché riescono a impiegare meglio di noi le risorse Ue per la promozione, i secondi invece cominciano a monetizzare al massimo gli accordi di libero scambio, come in Giappone e Cina”. Lo ha detto la Ceo di Business Strategies, Silvana Ballotta, a commento dei nuovi dati elaboratii dall'osservatorio Paesi terzi di Business Strategies – realizzato in collaborazione con Nomisma Wine Monitor – sulle importazioni dei principali mercati di sbocco (Usa, Cina, Giappone, Svizzera, Brasile, Norvegia e Sud Corea) che hanno aggiornato le proprie statistiche doganali ai primi cinque mesi di quest’anno.

Nel complesso, il dato italiano nei 7 mercati – che è certamente ancora parziale ma già indicativo sull’anno – segna un incremento delle proprie quote di mercato solamente in 2 Paesi (Cina, dal 5,6% al 6,2%; Brasile, dal 9,2% al 10,5%), mentre perde in Usa, Giappone, Svizzera, Norvegia e Corea del Sud. Assieme alla Francia, che migliora le proprie quote di mercato in 5 Paesi su 7 (con perdite in Cina e Corea del Sud), è invece ottima anche la performance del Cile, che grazie ai Free trade agreement vola in Cina, a +24,3% e in Giappone (+15,6%), dove attualmente i dazi sul vino europeo sono i più alti tra i top buyer. E se nel gigante asiatico il Belpaese mette la freccia sulla Spagna grazie a una crescita del +13% in valore (a 57 milioni di euro), negli Usa la battuta d’arresto italiana (-0,1% sul pari periodo 2016 con il dollaro come valuta) pesa ancora di più perché è a tutto vantaggio della Francia, che segna un incremento del 14,2%. A oggi – secondo le elaborazioni dell’Osservatorio – il valore in dollari delle importazioni di vino italiano è di circa 727 milioni di dollari, contro i 674 milioni di quello transalpino: se il trend dovesse rimanere tale, entro il prossimo autunno potrebbe avvenire lo storico sorpasso nel principale ‘feudo’ italiano del vino.

Altro sorpasso, ancora più imminente, può verificarsi in Norvegia, e in ballo c’è la leadership di mercato che ancora una volta l’Italia rischia di cedere alla Francia. Qui il made in Italy, che cede il 22,3% in valore, ha esportato per 36,4 milioni di euro, con i cugini a 33,9 milioni. Altro rischio arriva da un mercato terzo importante come quello della Svizzera: qui la Francia (+23,9%) insidia la leadership italiana, ferma a +0,8% e un controvalore di 144milioni di euro, contro i 138 dei francesi. Infine, in Brasile l’Italia (+45,3%) prova il recupero di una posizione – questa volta ai danni della Francia al quarto posto – mentre in Corea del Sud il sorpasso è appena stato effettuato dagli Usa (+14,2%) ai danni dell’Italia (-6,7%), che scende dal podio.

I POSSIBILI SORPASSI

Vola l’export ma il mercato interno vale il 30%

Quella del vino biologico in Italia è una storia di successo: 1 italiano su 4 nel 2016 ha avuto almeno un’occasione di consumo – a casa o fuori casa –  di vino biologico e la percentuale è in continua crescita (nel 2015 era pari al 21% e, solo nel 2013, il 2%). Ma a crescere non è solo la quota di consumatori: nel 2016 le vendite di vino biologico hanno raggiunto complessivamente 275 milioni di euro, registrando un +34% rispetto al 2015. Il mercato interno (considerando tutti i canali: GDO, canali specializzati in prodotti biologici, enoteche, ristorazione/wine bar, vendita diretta …) vale il 30% del totale (83 milioni di euro, +22% rispetto al 2015). La fetta più grossa del giro d’affari complessivo è realizzata sui mercati internazionali: 192 milioni di euro, con un’impennata del +40% rispetto al 2015 (a fronte di un più tenue +4% dell’export di vino totale).  E’ quanto emerge dalla ricerca Wine Monitor Nomisma realizzata in occasione del VINO BIO DAY per ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane.

Fonte: Survey Wine Monitor Nomisma 2017 per ICE-Agenzia©

L’export di vino biologico italiano pesa per il 3,4% sul totale dell’export di vino dall’Italia, ma il trend è in continua crescita (1,9% nel 2014 e 2,6% nel 2015), grazie anche a una forte propensione all’export delle aziende bio: dall’indagine Wine Monitor Nomisma per ICE-Agenzia, emerge che, presso le aziende italiane intervistate, l’export di vino bio “pesa” per il 70% sul fatturato complessivo (contro una propensione all’export del 52% del comparto del vino italiano nel complesso). Nel 2016 il 79% delle aziende che producono vini biologici ha esportato la qualità e l’eccellenza del vino italiano fuori dai confini nazionali. Per quanto riguarda i principali mercati presidiati, l’Unione Europea rappresenta la principale destinazione (66% a valore) e come per l’agroalimentare, la Germania rappresenta il mercato di riferimento per i vini italiani bio (33% del fatturato estero realizzato nel 2016), seguita dagli Stati Uniti (12%).

Fonte: Survey Wine Monitor Nomisma 2017 per ICE-Agenzia©

Punti di forza e di debolezza delle nostre aziende? Le carte vincenti di chi esporta sono innanzitutto la qualità dei vini bio (il 30% ritiene che questo sia il principale punto di forza), un marchio aziendale apprezzato e l’affidabilità dell’azienda (17%); fondamentali anche le garanzie offerte dalla tracciabilità del prodotto (14%). Le imprese italiane che oggi non esportano non hanno a disposizione gli strumenti per commercializzarli (lo dichiara l’85% delle imprese non export-oriented). Dimensioni ridotte, quindi, – il 27% non possiede adeguate risorse finanziarie per conquistare i mercati esteri, un ulteriore 23% non ha le capacità in termini di volumi – ma anche mancato interesse da parte dell’impresa stessa (8%) o del mercato estero (8%). Tra i principali ostacoli di sistema che contribuiscono a frenare la presenza delle imprese vitivinicole sui mercati esteri vi sono vincoli doganali e tariffari (27%), e la mancanza di un’adeguata capacità di promozione dell’azienda (19%).

Cosa prevedono le aziende per i prossimi anni? Per il prossimo triennio a trainare le vendite italiane all’estero saranno soprattutto i mercati terzi, primo fra tutti quello statunitense (lo pensa il 28% degli operatori); ottime aspettative anche per il mercato UE, su cui si manterrà alto l’interesse. La maggior parte delle imprese sono ottimiste anche per il futuro: 1 su 4 prevede un forte aumento (di oltre il +10%) del proprio fatturato sui mercati esteri nei prossimi 3 anni, un ulteriore 54% prevede comunque una crescita (seppur compresa tra +2% e +10%). Più dei 2 terzi delle aziende scommette sulla crescita dell’export e le imprese rimanenti non prevedono per il futuro variazioni sostanziali del proprio giro d’affari, ma nessuna si attende una diminuzione delle vendite futuro.

Vino Bio italiano all’estero piace

Il successo del vino biologico oltrepassa quindi i confini nazionali: come ben testimoniano i risultati della Survey Wine Monitor Nomisma realizzata per ICE-Agenzia che analizza le abitudini e i comportamenti di acquisto di due mercati rilevanti per i vini biologici: Germania e Regno Unito. Questi mercati presentano grandi prospettive per il nostro paese essendo innanzitutto perché sono tra i primi importatori di vino italiano (il 22% del vino importato in UK è italiano, il 36% in Germania). In UK, secondo i dati Global Snapshot NIELSEN le vendite di vino bio nella GDO nel 2016 si attestano a 21 milioni di Euro, con uno share di biologico dello 0,4% sul totale dei vini venduti. La crescita sul totale dei vini venduti nell’ultimo anno è significativa e si attesta intorno al +24% a fronte di un lieve decremento del vino in generale, -0,1%. Dall’analisi delle vendite della GDO deriva un altro elemento positivo per il vino bio: in UK un quarto delle bottiglie bio vendute è italiano.

Fonte: WINE MONITOR Nomisma su dati Global Snapshot NIELSEN per ICE-Agenzia©

L’interesse per il vino bio è confermato anche dall’opinione e dalle preferenze del consumatore, sia nel Regno unito sia in Germania: la quota di consumatori che negli ultimi 12 mesi ha bevuto almeno una volta un vino biologico è del 12% in Germania e del 9% in UK (dove è molto più alta la quota di chi lo consuma fuori casa: il 34% dei wine user bio rispetto al 18% in Germania). Come per l’Italia, la preferenza sul vino bio ricade soprattutto su rossi e bianchi fermi in entrambi i mercati, seguono in UK il rosso frizzante e in Germania il bianco frizzante. In entrambi i mercati i vini bio vengono acquistati principalmente in Iper e supermercati (38% in UK, 33% in Germania). In UK il consumatore di vino bio spende in media per una bottiglia da 750 ml intorno alle 13 sterline, in Germania 8 euro. Secondo i consumatori (42% in UK e 40% in Germania), i vini bio Made in Italy hanno qualità mediamente superiore rispetto ai vini bio di altri paesi. Qualità che ricorre nuovamente tra gli attributi evocativi: in entrambi i mercati, nel pensare al vino biologico italiano il 19% indica “alta qualità”, mentre un ulteriore 15% individua nell’ autenticità il principale valore. Senza dubbio il vino biologico Made in Italy gode di un’ottima reputazione oltre i confini nazionali, con un potenziale ancora non del tutto valorizzato: l’84% dei consumatori di vino – sia in UK che in Germania – è interessato ad acquistare un vino biologico Made in Italy se lo trovasse presso i ristoranti/negozi abituali.

Agi News

Made in Italy: Coldiretti,+15% grano Canada “etichetta per pasta”

(AGI) – Roma, 19 mag. – Aumentano del 15% le importazioni di grano duro dal Canada destinate alla produzione di pasta senza alcuna indicazione in etichetta sulla reale origine. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti, sulla base dei dati Istat relativi ai primi due mesi del 2017.
Piu’ della meta’ del grano duro importato in Italia – sottolinea la Coldiretti – proviene dal Canada dove peraltro viene fatto un uso intensivo di glifosate nella fase di pre-raccolta, vietato in Italia perche’ accusato di essere cancerogeno. Ma la mancanza dell’etichetta di origine non consente – sottolinea la Coldiretti – di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma impedisce anche ai consumatori di sostenere le realta’ produttive nazionale e con esse il lavoro e l’economia nazionale. L’81 % dei consumatori italiani – continua la Coldiretti – ritiene che la mancanza di etichettatura di origine nella pasta possa essere ingannevole secondo la consultazione pubblica on line sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari condotta dal Ministero delle Politiche Agricole. “Si tratta di un provvedimento fortemente sostenuto e atteso dalla Coldiretti per garantire maggiore trasparenza negli acquisti e fermare le speculazioni che hanno provocato il crollo dei prezzi del grano italiano al di sotto dei costi di produzione”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. Il taglio dei prezzi pagati agli agricoltori sotto i costi di produzione ha provocato praticamente la decimazione delle semine di grano in Italia con un crollo del 7,3% per un totale di 100mila ettari coltivati in meno che peseranno sulla produzione di vera pasta italiana nel 2017, oltre che sull’ambiente, sull’economia e sul lavoro delle aree interne del Paese. In pericolo – precisa Moncalvo – non ci sono solo la produzione di grano e la vita di oltre trecentomila aziende agricole che lo coltivano, ma anche un territorio di 2 milioni di ettari a rischio desertificazione e gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione Made in Italy”. L’Italia e’ il principale produttore europeo e secondo mondiale di grano duro, destinato alla pasta con 5,1 milioni di tonnellate su una superficie coltivata pari a 1,4 milioni di ettari che si concentra nell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Sicilia che da sole rappresentano il 41% della produzione nazionale, seguite dalle Marche. Ben 2,3 milioni di tonnellate di grano duro arrivano dall’estero in un anno senza che questo sia noto ai consumatori in etichetta. (AGI)

Bru

Agi News

Latte: Coldiretti, in Gazzetta via libera etichetta made in Italy

(AGI) – Roma, 20 gen. – Storico via libera all’indicazione di origine obbligatoria per il latte e i prodotti lattiero-caseari che pone finalmente fine all’inganno del falso Made in Italy con tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia che sono stranieri, cosi come la meta’ delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, senza che questo sia stato fino ad ora riportato in etichetta. E’ quanto afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nell’annunciare la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.15 del 19 gennaio 2017 del decreto “Indicazione dell’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattieri caseari, in attuazione del regolamento (UE) n. 1169/2011 firmato dai ministri delle Politiche Agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. “Un provvedimento – sottolinea Moncalvo – fortemente sostenuto dalla Coldiretti che rappresenta un importante segnale di cambiamento a livello nazionale e comunitario. Il via libera – continua Moncalvo – risponde alle esigenze di trasparenza degli italiani che secondo la consultazione pubblica online del Ministero delle politiche agricole, in piu’ di 9 casi su 10, considerano molto importante che l’etichetta riporti il Paese d’origine del latte fresco (95%) e dei prodotti lattiero-caseari quali yogurt e formaggi (90,84%), mentre per oltre il 76% lo e’ per il latte a lunga conservazione”. Il provvedimento riguarda – sottolinea la Coldiretti – l’indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari e prevede l’utilizzo in etichetta delle seguenti diciture: a) “Paese di mungitura”: nome del Paese nel quale e’ stato munto il latte;
b) “Paese di condizionamento o di trasformazione”: nome del Paese nel quale il latte e’ stato condizionato o trasformato.
Qualora il latte o il latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari sia stato munto, condizionato o trasformato, nello stesso Paese, l’indicazione di origine puo’ essere assolta con l’utilizzo della dicitura: “origine del latte”: nome del Paese. Se invece le operazioni indicate avvengono nel territorio di piu’ Paesi della Ue, possono essere utilizzate – precisa la Coldiretti – le diciture: “latte di Paesi UE” per l’operazione di mungitura, “latte condizionato o trasformato in Paesi UE” per l’operazione di condizionamento o di trasformazione. Infine qualora le operazioni avvengano nel territorio di piu’ Paesi situati al di fuori dell’Ue, per indicare il luogo in cui ciascuna operazione e’ stata effettuata, possono essere utilizzate le seguenti diciture: “latte di Paesi non UE” per l’operazione di mungitura, “latte condizionato o trasformato in Paesi non UE” per l’operazione di condizionamento o di trasformazione.(AGI)
Bru

Agi News

Made in Italy: Australia revoca dazi su pelati, soddisfazione Ue

Bruxelles – Pace fatta sui pomodori pelati fra Australia e Italia: il governo australiano ha deciso di ritornare sulla decisione del febbraio scorso di imporre dazi sulle scatole di pelati e salse di pomodoro importati dall'Italia con i marchi La Doria e Feger. La Commissaria Ue al Commercio Cecilia Malmstrom lo annuncia con soddisfazione su Twitter definendo la decisione annunciata come "uno sviluppo positivo". Meno di un anno dopo viene quindi revocata la contestata misura "antidumping", che secondo l'Australia sarebbe dovuta servire a compensare i privilegi di cui i produttori italiani godono grazie agli schemi comunitari di aiuti all'agricoltura, che permettono loro di praticare prezzi inferiori a quelli di mercato.
E' stato invece accolto il ricorso presentato dai produttori italiani, in cui si e' sottolineato che gli schemi di sussidi "green box" nell'ambito della politica agricola Ue non hanno effetti distorsivi sui prezzi dei pomodori in Italia. La Commissione fa sapere che pur considerando questa decisione come un fatto positivo, continuera' in ogni caso a vigilare "per evitare altre situazioni simili". 

Agi News