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I ristoranti nel “cuore” di Londra sono in crisi

AGI – Era il cuore pulsante della vita economica e finanziaria di Londra ma ora la City rischia di diventare il fantasma di se stessa: lo dimostra il fatto che un ristorante su sette ha chiuso i battenti dall’inizio della pandemia, soprattutto a causa del ‘boom’ dello smart working. Tra marzo 2020 e giugno di quest’anno, il 14% dei locali con licenza nello Square Mile ha abbassato la saracinesca, secondo i dati raccolti da AlixPartners e dalla società di monitoraggio del settore CGA e riportati dal Financial Times.

Circa il 14% dei ristoranti ha chiuso anche a Birmingham, la seconda città più grande d’Inghilterra. La città più colpita è stata Glasgow, dove ha chiuso il 10% delle attività ricettive. Queste percentuali sono superate solo dai distretti londinesi di Croydon, Ealing e Hounslow. Prima della pandemia, nella capitale inglese, in controtendenza rispetto al resto del Regno Unito, molti ristoranti avevano iniziato la loro attività: il numero di locali era aumentato del 10% nei cinque anni tra marzo 2014 e marzo 2019.(

Ma i dati di quest’anno rivelano i cambiamenti apportati dalla pandemia alla City e ad altri distretti commerciali, dove i ristoranti, i pub e le caffetterie si affidavano tipicamente ai lavoratori d’ufficio. All’inizio di agosto, le visite ai luoghi di lavoro nella City di Londra sono diminuite del 33% rispetto ai livelli pre-pandemia. È stata la zona della Capitale colpita più duramente dalle restrizioni di viaggio. 

Tra le perdite di alto profilo registrate nello Square Mile negli ultimi due anni ci sono Kym’s, il ristorante dello chef stellato Andrew Wong nella Bloomberg Arcade, Mark Hix’s Oyster and Chop House vicino a Smithfield Market e il ristorante giamaicano Tracks & Records vicino alla stazione di Liverpool Street, dell’atleta Usain Bolt. C’è da considerare inoltre che molte aziende della City hanno adottato una settimana lavorativa di soli tre giorni, dal martedì al giovedì.

Il lunedì è il giorno con il minor afflusso di persone nel centro di Londra.Prima della pandemia, la City attirava in genere 530.000 pendolari al giorno. Ma si sta già pensando ad un rilancio. La City of London Corporation ha investito 2,5 milioni di sterline nei settori dell’arte e dell’ospitalità dell’area, e il quartiere ospiterà diversi festival all’aperto, musica e altri eventi nel corso dell’autunno. 


I ristoranti nel “cuore” di Londra sono in crisi

La Spagna si candida ad attrarre le aziende in fuga da Londra

Potrebbe essere la Spagna il ‘deus ex machina’ per le aziende in fuga dalla Brexit. Lo fanno intendere gli indicatori economici del Paese – crescita al di sopra del 3% per tre anni consecutivi e poi del 2,6% nel 2019 – ma anche l’aumento degli incentivi, in particolare a favore dell’innovazione tecnologica in particolare per le piccole e medie imprese.

Ma ci sono pure ulteriori segnali. “Si stanno moltiplicando le richieste di assistenza per nuovi progetti industriali da realizzare qui”, afferma Marco Bolognini, avvocato d’affari italiano in Spagna dello studio Maio Legal, specializzato nel settore corporate nonché autorevole editorialista del quotidiano economico Expansion. “E sono richieste che arrivano da aziende che prima guardavano senz’altro alla Gran Bretagna come l’hub perfetto per il mercato europeo”.

I motivi sono semplici. La Spagna nel 2020 si presenta come una “alternativa valida e più economica rispetto ad altri Paesi per delocalizzarsi”, aggiunge Bolognini. Un fenomeno a tutto campo, quello che si preannuncia, non solo per le realtà industriali e le medie imprese, ma anche le attività fintech (ossia che forniscono prodotti e servizi finanziari attraverso le più avanzate tecnologie dell’informazione e della comunicazione), come suggerisce anche uno studio dell’influente think-tank spagnolo Funcas nel suo più recente outlook. “La Spagna ha visto crescere esponenzialmente le sue aziende Fintech, e da molte di queste ci si aspetta che competano direttamente con le banche più affermate nei due settori sempre più interconnessi del finanziamento e dell’innovazione”.

Poi ci sono sintomi forse meno importanti dal punto di vista numerico, ma certamente significativi come il fatto che nei primi 10 mesi del 2019 il numero di cittadini britannici che hanno chiesto di ottenere la cittadinanza spagnola è triplicato. E ancora. “Si sta muovendo qualcosa in diversi rami d’attività gestiti a Londra che guardavano all’America latina: oggi appare sempre più probabile che queste realtà decidano di deviare verso Madrid, visto come hub naturale verso oltreoceano”, continua Bolognini.

Ci sono diversi elementi che congiurano in questo senso, spiega l’avvocato italiano con base a Madrid. “La Spagna offre in generale una prospettiva di costo del lavoro più conveniente: per il momento l’ecosistema del mercato del lavoro iberico è ancora piuttosto flessibile, le aziende hanno ancora la possibilità di contrattare ma anche di ridimensionarsi, se necessario, in modo abbastanza rapido rispetto ad altri Paesi”.

E questo è importante soprattutto nei comparti manifatturiero e dell’automotive, dove persiste ancora un grande impiego di personale, ma lo stesso vale anche per il tessile e per il settore ‘food & beverage’, che ovviamente in Spagna ha una tradizione notevole. E ancora: afferma Bolognini che “le grandi estensioni di territorio con una densità di popolazione relativamente bassa rappresentano un’attrattiva notevole per chi pianifica aperture di nuove strutture anche industriali. Per di più anche qui non a caso vengono offerti sempre più incentivi, molti amministratori accolgono l’arrivo di nuove aziende a braccia aperte”.

Un altro elemento d’attrazione può essere la fiscalità relativamente leggera in certe aree, se non altro concorrenziale rispetto a quella di altre nazioni. Come ricorda anche il ministero italiano degli Esteri, “la Spagna si presenta come uno dei mercati più attraenti con 46 milioni di consumatori potenziali e un bacino supplementare di 80 milioni di turisti che visitano il Paese ogni anno”.

Inoltre, per quello che riguarda il rapporto ‘diretto’ tra Spagna e Gran Bretagna, fino al 2016 il 38% degli investimenti iberici era destinato al Regno Unito, verso cui l’export ammontava a 18 miliardi di euro.

Sempre stando al rapporto Funcas, è vero che “la crescita spagnola dovrebbe rallentare all’1,5% nel 2020 a causa di una serie di fattori internazionali che dovrebbero cominciare a farsi sentire nella seconda metà dell’anno”, ma allo stesso si prevede di registrare una nuova ripresa “nel 2021 e nel 2022”.

In altre parole, spiega Bolognini, questo 1,5% “dovrebbe rappresentare il livello più basso, per poi ripartire verso un più solido 2%”. è in particolare Madrid a mostrare più capacità d’attrattiva per aziende che volessero delocalizzarsi dopo la Brexit. Come scrive Expansion, per la regione della capitale è prevista per il 2020 una crescita record del 2,3%, segnando una notevole distanza rispetto all’1,5 della Catalogna.

Ed è La Vanguardia a definire Madrid “la locomotiva del mercato del lavoro spagnolo”, ricordando che alla fine dell’anno su 402 mila nuovi posti di lavoro un terzo sono stati creati nella capitale. L’avvocato Bolognini è d’accordo: “Ormai appare chiaro che l’appeal di Madrid stia superando quello di Barcellona per gli investimenti. Spesso lo si dimentica, ma la capitale è il centro finanziario, oltrechè politico, del Paese, e non presenta i conflitti sociali purtroppo presenti a Barcellona. Tutto questo per dire che la Spagna è un investimento a lungo termine”.

Una prospettiva che non cambia alla luce del fatto che si è appena insediato il nuovo governo guidato da Pedro Sanchez. L’esecutivo, in cui coabitano il Psoe e Podemos, si è infatti da subito profilato con scelte molto nette dal punto di vista ambientale: “Sono previsti molti investimenti al settore green”, aggiunge Bolognini, “e qui non si tratta solo dell’eolico e del solare: ci sono tutte le collateralità del caso, dalle nuove tecnologie di riciclo, alle pulizie delle spiagge, a una maggiore efficacia energetica, ai nuovi materiali edili. Su questo fronte il governo ha fatto sapere di stanziare crediti agevolati volti ovviamente anche ad attrarre aziende europee”.

Tra le imprese italiane che intendono deviare alcuni settori di interesse dalla Gran Bretagna alla Spagna ce ne sono di attive nei sistemi integrati per l’edilizia. Altri movimenti vengono segnalati nel settore ferroviario. Domanda: non è troppo presto per le aziende pensare di muoversi verso la penisola iberica? Anche se Brexit oramai è realtà, il punto è che il periodo di transizione durante il quale si dovrà trovare un accordo che regoli definitivamente i rapporti tra la Gran Bretagna e l’Unione europea è appena all’inizio. 

Appuntamento, dunque, al 2021? Per esempio, c’è chi nota che i trasferimenti dal Regno Unito di grandi nomi come Sony, Airbus o Credit Suisse vadano a rilento. “È vero, ma il problema è che moltissime aziende soprattutto di piccole o medie dimensioni temono di trovarsi tra 6 mesi oppure tra un anno a doversi scapicollare in un modo che la loro struttura non può tollerare”, ragiona ancora Bolognini, secondo il quale “si tratta di realtà che non hanno risorse come le grandi multinazionali”. La corsa post-Brexit è appena iniziata, a sorpresa il ritmo potrebbe essere quello del flamenco. 

Agi

Ora la Brexit complica persino l’accordo commerciale tra Londra e Tokyo

Theresa May questa settimana volerà in Giappone per incontrare il suo omologo nipponico, Shinzo Abe. La speranza della premier britannica era avviare le trattative per un accordo di libero scambio tra Londra e Tokyo. Purtroppo per lei, i tempi appaiono però destinati ad allungarsi a tempo indefinito. Ed è colpa della Brexit. Abe non solo al momento ha altre preoccupazioni (come il missile nordcoreano che ha attraversato lo spazio aereo) ma intende dare priorità a un'analoga intesa bilaterale con l'Unione Europea le cui basi sono state poste lo scorso mese. Non solo. A quanto leggiamo su Politico, Abe, una volta concluso il negoziato con Bruxelles, intende proporre al Regno Unito un accordo sulla sua falsariga.

Theresa May deve aspettare il suo turno

"Ciò potrebbe sembrare grandioso sulla carta, nessun bisogno di iniziare trattative commerciali dal nulla con un modello già pronto", osserva il portale statunitense, "il Giappone è però riluttante a negoziare con il Regno Unito prima che sia chiaro che genere di relazione avrà Londra con il resto d'Europa, un qualcosa che potrebbe richiedere anni. Inoltre, il futuro degli enormi interessi in Gran Bretagna dei costruttori di auto giapponesi è legato direttamente all'accesso del Regno Unito al mercato unico europeo". 

"Il governo giapponese deve reagire a una sensazione di crisi tra le aziende e fare il massimo per raccogliere informazioni e analizzarle, nonché sostenere le aziende giapponesi con la coscienza che l'uscita della Gran Bretagna dalla Ue avrà un impatto diretto su esse", è la dichiarazione del vicecapo di gabinetto del governo nipponico, Yasutoshi Nishimura.

Tokyo irritata dalle pressioni di Londra

Da Tokyo filtra pure una certa irritazione per le pressioni ricevute da Londra perché la visita di May non si concluda con un nulla di fatto totale, come appare invece quasi scontato. "Non credo ci saranno progressi sostanziali, non abbiamo ancora terminato i negoziati con la Ue, a parte un'intesa a livello politico, e rimangono ancora molte questioni aperte", ha confidato un membro del team di negoziatori giapponesi a Business Insider, rilevando "una certa aggressività" da parte di Londra nel "cercare di forzare un qualche tipo di intesa". Il messaggio che arriva da Tokyo è chiaro, chiosa Politico, "Theresa May deve aspettare il suo turno".

Agi News