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Da metà gennaio dazi per 3 miliardi su pasta, vino e olio italiani

Sono pronti a scattare nuovi dazi Usa su prodotti base della dieta mediterranea con la conclusione il 13 gennaio della procedura di consultazione avviata dal Dipartimento del Commercio (USTR) sulla nuova lista allargata dei prodotti europei da colpire che si allunga tra l’altro a vino, olio e pasta Made in Italy oltre ad alcuni tipi di biscotti e caffè esportati negli Stati Uniti per un valore complessivo di circa 3 miliardi.

È quanto emerge da una analisi della Coldiretti in occasione della scadenza del termine fissato dal Federal Register nell’ambito della disputa nel settore aereonautico che coinvolge l’americana Boeing e l’europea Airbus dopo che il Wto ha autorizzato gli Usa ad applicare un limite massimo di 7,5 miliardi di dollari delle sanzioni alla Ue.

Con la nuova black list Trump – sottolinea la Coldiretti – minaccia di aumentare i dazi fino al 100% in valore e di estenderli a prodotti simbolo del Made in Italy, a quasi tre mesi dall’entrata in vigore il 18 ottobre 2019 dei dazi aggiuntivi del 25% che hanno colpito per un valore di mezzo miliardo di euro prodotti italiani come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Asiago, Fontina, Provolone ma anche salami, mortadelle, crostacei, molluschi agrumi, succhi e liquori come amari e limoncello.

La nuova lista ora interessa i 2/3 del valore dell’export del Made in Italy agroalimentare in Usa che è risultato pari al 4,5 miliardi in crescita del 13% nei primi nove mesi del 2019, secondo l’analisi della Coldiretti. Il vino – precisa la Coldiretti – con un valore delle esportazioni di quasi 1,5 miliardi di euro in aumento del 5% nel 2019 è il prodotto agroalimentare italiano più venduto negli States mentre le esportazioni di olio di oliva sono state pari a 436 milioni anch’esse in aumento del 5% nel 2019 ma a rischio è anche la pasta con 305 milioni di valore delle esportazioni con un aumento record del 19% nel 2019 secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat relativi ai primi nove mesi dell’anno.

Gli Stati Uniti – continua la Coldiretti – sono il principale consumatore mondiale di vino e l’Italia è il loro primo fornitore con gli americani che apprezzano tra l’altro il prosecco, il pinot grigio, il lambrusco e il chianti che a differenza dei vini francesi erano scampati alla prima black list scattata ad ottobre 2019.

Se entrassero in vigore dazi del 100% ad valorem sul vino italiano una bottiglia di prosecco venduta in media oggi al dettaglio in Usa a 10 dollari ne verrebbe a costare 15, con una rilevante perdita di competitività rispetto alle produzioni non colpite. Allo stesso modo si era salvato anche l’olio di oliva Made in Italy anche perché – riferisce la Coldiretti – la proposta dei dazi aveva sollevato le critiche della North American Olive Oil Association (NAOOA) che aveva avviato l’iniziativa “Non tassate la nostra salute” per chiedere al Dipartimento Usa al commercio estero (USTR) di escludere l’olio d’oliva europeo dalla lista di prodotti colpiti.

Nella petizione si sottolinea che l’olio d’oliva è uno degli alimenti più salutari tanto che la stessa Food and Drug Administration statunitense (FDA) lo ha riconosciuto come un alimento benefico per la salute cardiovascolare, oltre che componente principale della dieta mediterranea che, se fosse seguita secondo studi scientifici, comporterebbe un risparmio di 20 miliardi dollari in trattamento per molti disturbi oltre alle malattie cardiache, tra cui cancro, diabete e demenza.

Ora però con la pubblicazione della nuova black list Trump sembra aver ignorato fino ad ora le sollecitazioni dall’interno e dall’esterno degli Usa e mette a rischio – denuncia la Coldiretti – il principale mercato di sbocco dei prodotti agroalimentari Made in Italy fuori dai confini comunitari e sul terzo a livello generale dopo Germania e Francia.

“Una eventualità devastante per il Made in Italy agroalimentare contro la quale la Coldiretti si è immediatamente attivata all’indomani dell’avvio della procedura lo scorso 12 dicembre con un serrato confronto a livello nazionale, comunitario ed internazionale per scongiurare una deriva dannosa per gli stessi consumatori americani per i quali sarebbe più caro garantirsi cibi di alta qualità importanti per la salute come dimostra con l’iscrizione della dieta mediterranea nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanita’ dell’Unesco il 16 novembre 2010” ha affermato Ettore Prandini il presidente della Coldiretti che in vista della missione della prossima settimana a Washington è in costante contatto con il Commissario UE al Commercio Phil Hogan per sensibilizzarlo sull’importanza della difesa di un settore strategico per l’UE che sta pagando un conto elevatissimo per dispute commerciali che nulla dovrebbero avere a che vedere con il comparto agricolo.

“L’Unione Europea ha appoggiato gli Stati Uniti per le sanzioni alla Russia che come ritorsione ha posto l’embargo totale su molti prodotti agroalimentari, come i formaggi, che e’ costato al Made in Italy oltre un miliardo in cinque anni ed e’ ora paradossale che l’Italia si ritrovi nel mirino proprio dello storico alleato, con pesanti ipoteche sul nostro export negli Usa” ha concluso Prandini nel sottolineare che “per l’Italia al danno si aggiunge la beffa poiché il nostro Paese si ritrova ad essere punito dai dazi Usa nonostante la disputa tra Boeing e Airbus, causa scatenante della guerra commerciale, sia essenzialmente un progetto franco-tedesco al quale si sono aggiunti Spagna ed Gran Bretagna”.

Agi

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Quanto spenderanno gli italiani per il pranzo di Natale

Con l’arrivo delle feste, la tradizione torna protagonista a tavola. Messe in disparte le mode esotiche in cucina, vincono anche quest’anno pranzi e cene casalinghi con prodotti legati al territorio, per una spesa complessiva di 4,8 miliardi di euro tra Natale e Capodanno. Sono le stime di Cia-Agricoltori Italiani, secondo cui oltre due italiani su tre trascorreranno le festività tra le mura domestiche con parenti e amici, preferendo piatti locali nel 75% dei casi.

Anche se le tredicesime restano impegnate soprattutto su scadenze fiscali e risparmi, non si rinuncia alle classiche tavolate natalizie, per le quali si spenderanno fino a 2,8 miliardi, in media 140 euro a famiglia, rileva Cia.

Quasi 2 miliardi, invece, il budget alimentare previsto per allestire il cenone di Capodanno e il pranzo del primo gennaio nelle case. Mentre il 25% degli italiani sceglierà ristoranti, trattorie o agriturismi per attendere l’arrivo del 2020. Rispetto ai menù, vincono le ricette tradizionali e regionali: ragù, bollito, tortellini in brodo, verdure pastellate, abbacchio, cotechino e lenticchie, pandoro e panettone.

E per il cenone della Vigilia, che vedrà al centro il pesce (che registra proprio in questi giorni il consumo piu’ elevato dell’anno, con una spesa prevista di circa 500 milioni) – continua Cia – le famiglie compreranno alici, baccalà, orate, spigole, trote e capitone invece del costoso caviale d’importazione.

Anche in queste feste, poi, spumante e prosecco trionferanno sullo champagne, con il 90% dei brindisi tricolori e oltre 70 milioni di tappi pronti a saltare da qui all’anno nuovo. Menù locali e legati al territorio vinceranno anche negli agriturismi, dove le tradizioni della cucina contadina vengono valorizzate dagli Agrichef Cia.

Secondo l’associazione agrituristica Turismo Verde, queste lunghe festività premieranno la vacanza in campagna (+6%), soprattutto sul fronte della ristorazione. Merito anche dei prezzi competitivi, con la possibilità di pacchetti e offerte last minute.  

Agi

Sono più di 400 mila gli italiani con una pensione oltre i tremila euro al mese

In Italia oltre 400 mila persone – 408.598, per la precisione – percepiscono una pensione di oltre 3.000 euro. È quanto si evince dall’ultimo dossier dell’Inps sul sistema previdenziale. Dalle tabelle, emerge che tra questi, oltre 2.000 persone possono disporre di un trattamento previdenziale di oltre 3.500 euro per invalidità e oltre 4.000 come superstiti. La quasi totalità, ossia 396.133, sono pensioni di vecchiaia.

Dal dossier dell’Inps, si evince che nel dettaglio 165.417 persone – ossia lo 0,9% delle 17.927.676 pensioni totali – può disporre di un trattamento tra i 3.000 e i 3.500 euro (158.990 per vecchiaia, 15.10 per invalidità e 4.917 come superstiti). Di questi, 26.872 sono donne e 138.545 uomini. Sono decisamente di più coloro che dispongono di una pensione di 3.500 euro e più: sono 243.181, circa l’1,4% del totale. Di questi, 22.264 sono donne (lo 0,2%) e 220.917 uomini, in pratica la quasi totalità.

In 237.143 percepiscono tale pensione per vecchiaia. Va considerato che nel Paese invece l’importo medio mensile di una pensione di vecchiaia è di 1.196,98 euro. Dalle tabelle emerge che la classe di pensionati più numerosa è quella tra i 500 e i 749 euro: il trattamento viene percepito da 6 milioni e 429.713 persone, di cui la maggior parte donne (4.724.025).

Agi

I titoli di Stato italiani (a breve) valgono o no meno di quelli greci?

Italia come la Grecia, uno spettro che in molti hanno agitato – o temuto – nei giorni apicali della crisi che ha portato alla nascita del governo Conte. Quando cioè si prevedeva quasi da ogni parte un riscorso alle elezioni anticipatissime di agosto, la Borsa cedeva e lo spread schizzava in su come il fiotto di una fontana appena inaugurata.

A dire il vero, anche dopo non tutti si sono tranquillizzati, soprattutto perché anche dopo la nascita del governo lo spread ha continuato a fluttuare su valori attorno, se non oltre, i 200 punti.

Perché la Grecia fa paura

L’accostamento della situazione italiana a quella greca evoca paure quasi ancestrali in tutti i settori della società, perché la crisi deflagrata ad Atene nel 2011 (ma in realtà aperta già nel 1009, con l’ammissione che qualcuno aveva truccato i conti per riuscire ad entrare nell’euro) ha avuto costi finanziari estremamente ingenti, e sociali spaventosi.

Il Paese solo ora sta uscendo dal tunnel, ma il miglioramento dei conti pubblici dopo tre duri piani di salvataggio messi a punto da Fmi e Ue non può nascondere che i costi sociali sono stati altissimi e non ancora superati.

Più deboli della Grecia?

Per questi motivi quando, sul Corriere della Sera, Federico Fubini lancia l’allarme in molti deglutiscono con difficoltà. “Almeno sulle scadenze a breve termine, i titoli di Stato greci hanno iniziato a offrire un rendimento più basso di quelli italiani”, rivela la prima firma del Corriere in materia economica, “Il premio richiesto dagli investitori per il rischio di comprare un Buono ordinario del Tesoro rimborsabile a marzo 2019 era più alto di quello di un governo espulso da anni dal mercato dei capitali come quello di Atene”. Più alto è il rendimento, più alta è la percentuale di rischio; quindi più alto il rendimento, minore è la fiducia dei mercati nel Paese che gli emette (in questo caso l’Italia).

In altre parole, mettiamo paura. Noi, non la Grecia.

C’è chi dice no

Rispondono piccati Claudio Borghi Aquilini e Alberto Bagnai. Il primo è il responsabile economico della Lega e ha insegnato per anni economia prima di abbracciare la politica, il secondo è docente universitario. Entrambi sono parlamentari del Carroccio, nonché molto scettici in materia di euro.

“Peccato non sia vero”, scrivono insieme al Corriere. “Basta aprire un qualsiasi sito di borsa per sincerarsi che né i Bot a 3 mesi né quelli a 6 hanno un prezzo di mercato inferiore a quello degli omologhi greci”.

La controrisposta

Fubini ribatte con lo stesso tono. Elenca numeri e cifre, nota che “il 29 maggio i Bot semestrali sono stati collocati al rendimento di 1,213 percento, mentre la stessa settimana i pari titoli greci allo 0,85 percento”. E prosegue: “Lo mostra un semplice grafico Bloomberg. Forse i due esponenti politici (Borghi Aquilini e Bagnai, ndr) dovrebbero mandare le precisazioni a quell’agenzia”. E aggiunge anche l’indirizzo di New York, prima di concludere: “Il crollo di valore dei titoli italiani dell’ultimo mese si spiega con il timore per le posizioni che i due propugnano: l’uscita dall’euro”.

Il problema è sempre quello

Insomma, se per Borghi e Bagnai il problema non esiste, per Fubini esiste eccome e consiste proprio nell’essere questo governo giallo-verde retto da un sostanziale credo euroscettico.

Ma proprio ieri lo spread è sceso (anche se a quota 236) e, soprattutto, la Borsa ha guadagnato più di tre punti. Con questo governo giallo-verde.

Ma la cosa, nota qualcuno, deve essere messa direttamente in relazione con un’intervista rilasciata sempre al Corriere della Sera da ministri dell’economia, Giovanni Tria. In cui il titolare di via XX Settembre dice due cosa. La prima: l’euro no si tocca. La seconda: massima attenzione ai conti pubblici. E alla fine Milano è la migliore d’Europa. I maligni potrebbero pensare che qualcun altro, al posto di Tria, non sarebbe riuscito allo stesso modo a rassicurare i mercati.

Agi News

Gli spagnoli sono diventati più ricchi degli italiani

Gli spagnoli sono diventati più ricchi degli italiani. Lo indacano i dati dell'Fmi rielaborati dal Financial Times che lo definisce un segnale "preoccupante" per Roma alle prese con uno "stallo politico". Il sorpasso di Madrid è avvenuto nel 2017, secondo le cifre sul Pil pro capite "a parità di potere d'acquisto", contenute nel World Economic Outlook. Dal 2015 la Spagna ha segnato tassi di incremento superiori al 3%, più del doppio rispetto all'Italia fino al sorpasso lo scorso anno. E per il Financial Times nei prossimi anni Madrid staccherà ancora di piu' l'Italia: nel 2022 sara' il 7% più ricca. Solo un decennio fa, l'Italia era il 10% più prospera della Spagna.

La debolezza del Pil pro capite viene attribuita più allo stallo italiano che alle positive performance dell'economia spagnola, chiamando in causa un ritmo di ripresa più basso degli standard Ue (l'economia è cresciuta di appena il 2% dal 2008 ad oggi) e un'instabilità politica che sta minando la fiducia degli investitori internazionali. Secondo le ultime stime dell'Fmi, il Pil spagnolo quest'anno salirà al 2,8% contro circa la metà dell'Italia. Gli ispettori di Washington hanno richiamato Spagna e Italia per l'entità del debito anche se il direttore generale dell'Fmi, Christine Lagarde, durante un dibattito con il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, ha tenuto a sottolineare che "sembra essersi stabilizzato e inizia a scendere".

Agi News

Gli italiani a rischio povertà ora sono 18 milioni: pesano tasse e tagli alla spesa sociale

Con tasse record una spesa sociale tra le più basse d'Europa, in Italia il rischio povertà o di esclusione sociale ha raggiunto livelli di guardia molto preoccupanti. È quanto emerge dall'analisi realizzata dall'Ufficio studi della Cgia, secondo la quale il rischio di povertà o di esclusione sociale tra il 2006 e il 2016 è aumentato in Italia di quasi 4 punti percentuali, raggiungendo il 30% della popolazione (Il Manifesto).

In buona sostanza le persone in difficoltà e deprivazione sono passate da 15 a 18,1 milioni. Il livello medio europeo è invece salito solo di un punto, attestandosi al 23,1%: 6,9 punti in meno rispetto alla nostra media. In Francia e in Germania, invece, in questi 10 anni il rischio povertà è addirittura diminuito e attualmente presentano un livello di oltre 10 punti in meno al dato medio Italia (Huffington Post).

La povertà nel Sud Italia: grave la situazione in Sicilia, Campania e Calabria

A livello regionale per quanto riguarda la povertà la situazione al Sud è pesantissima. Gli ultimi dati disponibili riferiti al 2016 ci segnalano che il rischio povertà o di esclusione sociale sul totale della popolazione ha raggiunto il 55,6% in Sicilia, il 49,9% in Campania e il 46,7% in Calabria.

Il dato medio nazionale, come dicevamo più sopra, ha raggiunto il 30% (4,1 punti percentuali in più tra il 2006 e il 2016). In questi ultimi anni di crisi, nota la Cgia, alla gran parte dei Paesi mediterranei sono state "imposte" una serie di misure economiche di austerità e di rigore volte a mettere in sicurezza i conti pubblici. In via generale questa operazione è stata perseguita attraverso uno "smisurato aumento delle tasse, una fortissima contrazione degli investimenti pubblici e un corrispondente taglio del welfare state" (Tgcom24).

"Risultato drammatico"

"Da un punto di vista sociale – commenta il coordinatore dell'Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – il risultato ottenuto è stato drammatico: in Italia, ad esempio, la disoccupazione continua a rimanere sopra l'11 per cento, mentre prima delle crisi era al 6 per cento. Gli investimenti, inoltre, sono scesi di oltre 20 punti percentuali e il rischio povertà ed esclusione sociale ha toccato livelli allarmanti. In Sicilia, Campania e Calabria praticamente un cittadino su 2 si trova in una condizione di grave deprivazione. E nonostante i sacrifici richiesti alle famiglie e alle imprese, il nostro rapporto debito/Pil è aumentato di oltre 30 punti, attestandosi l'anno scorso al 131,6 per cento".

In questi ultimi anni la crisi ha colpito indistintamente tutti i ceti sociali, anche se le famiglie del cosiddetto popolo delle partite Iva ha registrato, statisticamente, i risultati più preoccupanti. Il ceto medio produttivo, insomma, ha pagato più degli altri gli effetti negativi della crisi e ancora oggi fatica ad agganciare la ripresa.

La mancanza di ammortizzatori sociali per le partite Iva

"A differenza dei lavoratori dipendenti – nota il Segretario della Cgia Renato Mason – quando un autonomo chiude l'attività non beneficia di alcun ammortizzatore sociale. Perso il lavoro ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di una nuova occupazione. In questi ultimi anni, purtroppo, non è stato facile trovarne un altro: spesso l'età non più giovanissima e le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso impieghi completamente in nero".

Il peso delle tasse sul Pil italiano

Ritornando ai dati della ricerca, In Italia la pressione tributaria (vale a dire il peso solo di imposte, tasse e tributi sul Pil) si attesta al 29,6% nel 2016. Tra i nostri principali paesi competitori presenti in Ue nessun altro ha registrato una quota così elevata. La Francia, ad esempio, ha un carico del 29,1%, l'Austria del 27,4%, il Regno Unito del 27,2% i Paesi Bassi del 23,6%, la Germania del 23,4% e la Spagna del 22,1". Al netto della spesa pensionistica, il costo della spesa sociale sul Pil (disoccupazione, invalidità, casa, maternità, sanità, assistenza, etc.) si è attestata all'11,9 per cento.

Tra i principali paesi Ue presi in esame in questa analisi, solo la Spagna ha registrato una quota inferiore alla nostra (11,3% del Pil), anche se la pressione tributaria nel paese iberico è 7,5 punti inferiore alla nostra. Tutti gli altri, invece, presentano una spesa nettamente superiore alla nostra. In buona sostanza siamo i più tartassati d'Europa e con un welfare "striminzito" il disagio sociale e le difficoltà economiche sono aumentate a dismisura.

Agi News

Quanto (e per cosa) spenderanno gli italiani per il cenone?

Per il cenone di fine anno saranno destinati alla tavola 88 euro in media a famiglia, con un aumento del 10% rispetto allo scorso anno. È quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixè in vista del Capodanno, per il quale si prevede che quasi due italiani su tre (64%) consumeranno nelle case, proprie o di parenti e amici, il cenone di fine anno mentre gli altri si divideranno tra ristoranti, trattorie, pizzerie, pub e agriturismi. Lo spumante si conferma come il prodotto immancabile per nove italiani su dieci (90%), ma è sorprendentemente seguito a ruota dalle lenticchie, presenti nell'86% dei menu che beneficiano delle tendenze salutistiche, della solidarietà con le aree terremotate dove vengono coltivate e forse anche perché sono chiamate a portar fortuna secondo antiche credenze.

La novità di quest'anno è l'arrivo in tavola dei cosiddetti 'superfood' ai quali sono associate specifiche proprietà salutistiche. Più di un italiano su quattro (il 26%) li porterà in tavola con un positiva tendenza a riscoprire quelli della "nonna", dalle noci al farro, dalle visciole alla roveja rispetto a cibi di diventati di gran moda in Italia, dallo zenzero alle bacche di goji, che provengono in gran parte dalla Cina, che è ai vertici per gli allarmi sanitari.

Ostriche e caviale? Meglio il cotechino

Il 62% degli italiani – continua la Coldiretti – assaggerà il salmone arrivato dall'estero, appena l'11% si permetterà le ostriche e la stessa percentuale il caviale, spesso di produzione nazionale, ma predominante è la presenza del pesce locale a partire da vongole e alici per le quali si assiste ad una vera riscossa sulle tavole. Tiene il cotechino nel 69% delle tavole. Si stima che siano serviti 6 milioni di chili di cotechini e zamponi, con una netta preferenza per i primi. Durante le festività di fine anno finisce in tavola circa il 90 per cento del totale della produzione nazionale che è in gran parte certificata come Cotechino e Zampone di Modena Igp, riconoscibili dal caratteristico logo a cerchi concentrici gialli e blu con stelline dell'Unione Europea, ma si rileva anche una apprezzabile richiesta per cotechini e zamponi artigianali, magari acquistati direttamente dagli allevatori, in azienda, nei mercati o nelle botteghe di Campagna Amica, dove la componente di carne italiana è pari al cento per cento. ll rinnovato interesse per questi pregiati prodotti della salumeria "Made in Italy" è accompagnato dalla presenza delle lenticchie. Tra le più note quelle del Castelluccio di Norcia Igp, ma anche quelle inserite nell'elenco delle specialità tradizionali nazionali come le lenticchie di S.Stefano di Sessanio (Abruzzo), di Valle agricola (Campania), di Onano, Rascino e Ventotene (Lazio), Molisane (Molise), di Altamura (Puglia), di Villalba, Leonforte, Ustica e Pantelleria (Sicilia) o umbre quali ad esempio quelle di Colfiorito.

Agi News

dolci italiani 

Negli Stati Uniti tutti pazzi per panettoni e dolci natalizi made in Italy: tra settembre 2016 ed agosto 2017 le nostre esportazioni negli Usa di questi prodotti valgono 31,6 milioni di euro e sono aumentate del 31,4%. 
I dolci natalizi della nostra tradizione artigiana sono al top delle preferenze sui mercati esteri. Tra settembre 2016 ed agosto 2017, tra panettoni, pandoro, cioccolato e prelibatezze made in Italy ne abbiamo venduti nel mondo per un valore di 598,3 milioni di euro, con un aumento del 5,8 rispetto all'anno precedente. Lo rileva Confartigianato che ha redatto una classifica dei Paesi più 'golosi' di prodotti italiani per le feste di fine anno: per il valore del nostro export in testa c'è la Francia, seguita da Germania e Regno Unito.

Nell'ultimo anno, i nostri cugini d'Oltralpe hanno comprato 122,3 milioni di euro di dolci natalizi (pari al 20,4% del nostro export di questo tipo di prodotti). In Germania ne abbiamo esportato per 108,7 milioni (18,2% del totale esportato), mentre nel Regno Unito le nostre esportazioni di pasticceria per le feste di fine anno e' pari a 58,6 milioni (9,8% del totale). 

Ma il boom di crescita dell'export nel 2017 si registra appunto negli Stati Uniti che hanno comprato il 31,4% di dolci in più rispetto al 2016. Seguono il Belgio con il 24,2% in più, la Polonia con il +15,1% e la Svizzera (+13,9%). 

Secondo il rapporto di Confartigianato l'aumento dell'export di specialità natalizie è in linea con il record storico di vendite all'estero di prodotti alimentari made in Italy registrato tra luglio 2016 e giugno 2017: ben 32,2 miliardi, con un balzo del 6% rilevato nel periodo gennaio-agosto 2017 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

Le festività natalizie stimolano anche gli acquisti dei nostri connazionali: a dicembre Confartigianato stima un consumo di prodotti alimentari delle famiglie italiane pari a 14,6 miliardi, vale a dire 2,6 miliardi in più rispetto al consumo medio mensile. Per i prodotti artigiani, il valore dei consumi a dicembre ammonta a 6,2 miliardi. 

"È merito degli 'artigiani del cibo' – sottolinea il Presidente di Confartigianato Giorgio Merletti – se i nostri prodotti alimentari piacciono tanto in Italia e nel mondo. È sempre più apprezzata la qualità tipica delle nostre 90.055 imprese artigiane del settore alimentare, di cui 43.063 imprese specializzate nella pasticceria, che danno lavoro ad oltre 155mila addetti. Un patrimonio economico e di tradizione culturale che va costantemente difeso e valorizzato".

Le regioni con il maggiore export di dolci

Nella classifica delle regioni con il maggiore aumento di export alimentare:

  • la Lombardia fa la parte del leone con il +11% nel primo semestre 2017
  • l'Emilia Romagna (+7,2%),
  • il Piemonte (+6,6%)
  • e il Veneto (+5,8%).

Lodi guida la classifica delle province italiane dove nel 2017 è cresciuto di più l'export di prodotti alimentari, addirittura +83,9%. Seguono Siena (+33,3%), Cremona (+24,8%), Mantova (+19,5), Ravenna (+18,7%).

Secondo l'Ufficio studi di Confartigianato a far crescere la passione di italiani e stranieri per i nostri prodotti della buona tavola è anche il numero di specialità alimentari italiane riconosciute e tutelate dall'Unione Europea con i marchi Dop, Igp e Stg. L'Italia è al primo posto nell'Ue per quantità di prodotti difesi da questi marchi di qualità: ben 294, vale a dire un quinto (21,2%) del totale dei prodotti di qualità europei. 

Agi News

Cosa cambia col bonifico istantaneo per i correntisti italiani

Oggi il bonifico istantaneo è una realtà anche in Italia. Basta un click e, attraverso i canali digitali, il correntista può trasferire soldi fino a 15 mila euro in pochi secondi – circa 10 – sette giorni su sette, 24 ore su 24. I contro? Il costo, più alto rispetto ai bonifici ordinari, e l’impossibilità di revocarli. Ma come è nato? E qual è la prospettiva di diffusione?

Un’iniziativa europea

Il progetto è nato sul tavolo della Banca centrale europea che – ricorda Wired – aveva fissato il traguardo due anni fa: entro il 2017 bonifici istantanei nei 34 Paesi dell’area Sepa, che unifica i sistemi di pagamenti in euro. Al momento al progetto hanno aderito:

  • ABN AMRO Bank 
  • AS SEB Pank 
  • Banco Bilbao Vizcaya Argentaria 
  • Banca Patrimoni Sella 
  • Banca Sella S.p.A. 
  • Banca Sella Holding SpA 
  • Banco de Sabadell 
  • Bankia S.A. 
  • CaixaBank 
  • ERSTE Group Bank AG 
  • Intesa Sanpaolo SpA 
  • Latvijas Banka – Bank of Latvia 
  • Lietuvos Bankas – Bank of Lithuania 
  • Raiffeisen Bank International AG 
  • Raiffeisenlandesbank Oberösterreich 
  • UniCredit Bank AG (HypoVereinsbank) 
  • UniCredit S.p.A 
  • Verso Bank

Dall’Italia hanno partecipato Banca SellaIntesa Sanpaolo e Unicredit. L’attività di questi istituti, secondo i rappresentanti di Eba Clearing (gruppo francese che offre sistemi di pagamento alle banche europee), permette di riverberare l’accesso ai bonifici istantanei a 500 operatori dei pagamenti istantanei. Ed entro la fine del prossimo anno il numero di istituti “potrebbe raggiungere una massa critica”.

Applicazioni e vantaggi

Innumerevoli, sostiene il Sole24Ore, sono le applicazioni pratiche: dalla compravendita di beni usati alle spedizioni a domicilio, fino allo sblocco delle forniture o all'instant cash management per le aziende. Per non parlare dei vantaggi in termini di efficienza operativa, minore uso del contante e degli strumenti cartacei come assegni.

Per ora trasferimenti solo in uscita

Per il momento i correntisti italiani potranno ricevere solo bonifici immediati in entrata, ma non potranno spedire denaro. Dal 27 novembre Banca Sella darà iol via ai primi trasferimenti in uscita super veloci. Intesa e Unicredit inizieranno nel 2018, la prima a gennaio, la seconda dal 22 febbraio.

Quanto costa

Le tre banche italiane applicano commissioni diverse sui bonifici istantanei: Intesa Sanpaolo applicherà un costo fisso pari a 1,6 euro (0,60 euro oltre al costo ordinario Sepa online ossia un euro) fin quando sarà in vigore il limite operativo di invio di 15 mila euro, successivamente il costo scenderà allo 0,004% con un limite massimo di 20 euro per transazioni fino a 500 mila euro.

UniCredit applicherà costi pari a 2,5 euro (un bonifico dal Conto Genius costa 2,2 euro).

Banca Sella al momento non applica costi per gli instant payments dal conto online Websella, ma applicherà una commissione di 2,30 euro a partire da marzo.

 

 

 

Agi News

Airbnb borghi italiani Joe Gebbia

"Usate il vostro potere creativo per fare del mondo un posto migliore dove vivere". è il messaggio di Joe Gebbia, il fondatore di Airbnb, che martedì 10 ha tenuto un discorso davanti ad una folta platea di studenti alla sede milanese dell'Istituto Europeo di Design. Un 'inspirational speech' quello del giovane imprenditore ed influencer, che ha affrontato molti dei temi caldi del presente attraverso un filo rosso: "Fare qualcosa per il mondo quando ne vediamo l'opportunità", ciascuno nel proprio campo. In particolare in quello del design, da cui lo stesso Gebbia proviene, essendo laureato in questa disciplina:

"Credo che al giorno d'oggi i designers siano al centro di tutto. Perché i designers sono sognatori e creatori di cose che ancora non esistono".

Alla domanda che l'ideatore della più grande piattaforma di stanze private in affitto al mondo e i suoi collaboratori si sono fatti, "Cosa possiamo dare al mondo?", la risposta è stata data ideando dei progetti che oggi ha illustrato. Il primo è quello che riguarda l'emergenza rifugiati: grazie ad Airbnb in caso di disastri ambientali o emergenza umanitaria persone "in stato di bisogno" si sono incontrate con persone che avevano "un posto da condividere".

L'azione di Aibnb per i rifugiati di Amman

"Siamo partiti con l'uragano Sandy, quando alcuni utenti di Airbnb chiedevano come mettere a disposizione le loro stanze per chi aveva perso la casa. E poi dall'essere reattivi di fronte ad un disastro naturale abbiamo pensato a come essere proattivi tutti i giorni". Sono così partiti – ha spiegato Gebbia – progetti che riguardano i rifugiati: "Dopo un brainstorming di due mesi abbiamo pensato ad una piattaforma per Amman, la capitale della Giordania, dove per un terzo la popolazione è fatta da rifugiati" ed è nato un portale: "Vivi Amman come uno del posto", che serve a creare una community tra i visitatori e le persone del posto, provando anche a far muovere l'economia.

Il recupero dei villaggi abbandonati, e il progetto che riguarda l'Italia

L'engagement sociale di Airbnb, ha raccontato Gebbia, è partito da alcuni dati: "Nel 2000 le persone costrette ad abbandonare il luogo dove abitavano erano 20 milioni, nel 2016 sono stati 65 milioni. Ma nel 2044 è calcolato che saranno 325 milioni, quanto la popolazione degli Stati Uniti". Da questa considerazione la voglia di mettere a disposizione il potere della piattaforma. Il secondo progetto è nato da un'idea maturata in Giappone e riguarda il recupero dei villaggi abbandonati: "Il Paese perde 800mila persone all'anno e continuerà a farlo nei prossimi 20 anni, e questo ha ripercussioni soprattuto sulla vita rurale". È partito così il progetto di aiutare le comunità piccole a diventare punti di riferimento per il turismo per evitare lo spopolamento delle campagne.

L'idea ha toccato anche l'Italia: l'azienda, di recente classificata come fra le 6 più influenti company del pianeta, ha lanciato una piattaforma – in collaborazione con il Mibact e con Anci- che attraverso un portale dedicato, offre alloggi in antichi borghi italiani, che vengono ristrutturati insieme ad artisti ed architetti e poi messi in affitto dai Comuni stessi, che ne raccolgono i guadagni. Capofila del progetto è stata Civita di Bagnoregio, borgo abbandonato nel Lazio, mentre quest'anno toccherà a Sambuca in Sicilia, Lavenone in Lombardia, Civitacampomarano in Molise, che vedranno spazi pubblici recuperati grazie alla collaborazione tra la piattaforma e la comunità locale. 

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