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Confindustria: “L’economia italiana va meglio delle attese”   

AGI – L’economia italiana per Confindustria procede meglio rispetto alle attese. Nonostante l’inflazione sia ancora molto elevata – 11,6% l’ultima rilevazione dell’Istat – nella Congiuntura flash l’associazione degli industriali rileva come il prezzo del gas ai livelli più bassi da oltre un anno e la tenuta del potere d’acquisto delle famiglie abbiano sostenuto l’attività produttiva, come confermato anche dai risultati degli indici di Borsa in recupero nelle prime settimane del 2023.

A pesare sulle prospettive economiche resta il forte rialzo dei tassi di interesse operato dalle banche centrali negli ultimi mesi, che toglie risorse a investimenti e consumi, colpiti anche dall’inflazione, in calo ma ancora alta. Come atteso dagli analisti la fine del 2022 e’ stata difficile.

La produzione ha registrato un altro calo a novembre: -0,3%; -1,8% a settembre e -1,1% a ottobre. Mentre la manifattura regge (+0,1%), con ampia eterogeneità tra comparti, si contrae invece il settore delle forniture energetiche (-4,5%).

Per il 4 trimestre la variazione acquisita viene valutata da Confindustria come “molto negativa” per il totale industria (-1,7%, -0,6% nel terzo). I dati qualitativi a dicembre segnalano “uno scenario debole”: gli ordini continuano a diminuire, le scorte ad aumentare, le attese di rimbalzo si ridimensionano; il Pmi è fermo in area di lieve contrazione (48,5 da 48,4), la fiducia delle imprese “segna una nuova discesa”.

Potrebbe favorire la ripresa il deciso raffreddamento dei prezzi dell’energia. Il gas ha aperto il 2023 in netta flessione: 65 euro/MWh in media a gennaio, da 114 a dicembre (14 nel 2019); “un ribasso favorito da stock europei di gas ancora alti, clima mite e consumi frenati”. Per il petrolio, annota il report, prosegue “la lenta discesa (80 dollari al barile, da 81 a dicembre), grazie a una produzione che ha superato una domanda piatta”. In lieve rialzo, invece, i prezzi non-energy (+1,6% a novembre-dicembre), dopo la flessione dei mesi precedenti, sui livelli alti del 2021.

I tassi di interesse continuano ad essere una variabile non secondaria. A novembre il costo del credito per le imprese italiane ha continuato a salire: 3,37% per le Pmi (1,74% a inizio 2022), 2,67% per le grandi (da 0,76%). Un “ulteriore aggravio di costi, che avviene a seguito del rialzo dei tassi di riferimento”. Prosegue anche la dinamica “altalenante” dell’export italiano, in rimbalzo a novembre (+3,8%, dopo -1,5%), anche grazie a maxi-vendite nella cantieristica navale.

Fanno da traino i paesi extra-Ue mentre l’export intra-area e’ stazionario: “Usa e Turchia si confermano i mercati più dinamici, fiacche le vendite in Cina, in contrazione in Russia; fa da freno, anche in prospettiva, l’indebolimento del mercato tedesco”. Le indicazioni per inizio 2023 per l’export “restano negative” secondo gli ordini manifatturieri esteri, a fronte di una domanda mondiale debole, come confermano i dati sul commercio in area di contrazione.

Uno sguardo a Pechino

Il focus di Confindustria si concentra sulle prospettive economiche della Cina, dove la crescita è stata al minimo nel 2022 ma in accelerazione. Si stima che il Pil cinese passerà da un +3,0% nel 2022 (peggior dato degli ultimi 40 anni, eccetto il 2020) ad un valore intorno al +4,5% nel 2023, tornando sul sentiero di graduale rallentamento seguito in precedenza.

La ripartenza cinese, annota Confindustria, potrebbe “vacillare a inizio anno per l’impennata nei contagi da Covid, ma e’ atteso un graduale miglioramento di domanda domestica e produzione industriale dopo la frenata di fine 2022”. I dati Pmi di dicembre confermano questa tendenza, con valori ancora in territorio negativo ma in miglioramento e con la componente dei nuovi ordini nei servizi che segna il suo massimo da maggio.  


Confindustria: “L’economia italiana va meglio delle attese”   

 La guerra in Ucraina potrebbe cambiare per sempre l’agricoltura italiana

AGI – La guerra in corso in Ucraina potrebbe provocare conseguenze a lungo termine per l’agricoltura italiana. A spiegarlo all’AGI è il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, intervenuto a LetExpo, la fiera del trasporto e della logistica sostenibile a Verona.

“Per anni – sottolinea Prandini – abbiamo avuto un sistema europeo spinto dalla logica della globalizzazione accelerata, che ci ha fatto puntare spesso sulla delocalizzazione di produzioni e aziende. Una logica sbagliata e fallimentare. In Europa abbiamo avuto dei sostegni contributivi erogati quando le imprese non producevano”.

Adesso, con la guerra scatenata dalla Russia, “capiamo l’importanza di essere aperti ma senza delocalizzare risorse e settori strategici”. Insomma, secondo Prandini, “l’Italia deve puntare ad aumentare la sua autosufficienza produttiva”.

La guerra tra Mosca e Kiev penalizza le filiere di grano e mais, ma non per quello che si pensa. “Da questi due Paesi – sottolinea il presidente della Coldiretti – importiamo il 5% di grano tenero e il 18-20% di mais. Sugli aumenti di pasta e pane il vero problema non è il grano, ma il boom del costo energetico, che impatta anche sul settore dei fertilizzanti, dove Russia e Ucraina sono tra i maggiori produttori al mondo”.

In questo campo “gli aumenti dei concimi chimici sono già superiori al 180%. E c’è un rischio approvvigionamento“. E poi “è vero che importiamo poco in termini percentuali sul grano tenero da Russia e Ucraina, ma sono il terzo produttore mondiale quindi la situazione va a incidere su altri mercati e, di riflesso, sul nostro”.

Dallo sblocco dei terreni agricoli ‘a riposo’, decisa dall’Ue, Coldiretti ha “stimato che si può recuperare un milione di ettari di superficie, su 12 milioni totali di terre coltivabili”. Poi creando “dei bacini di accumulo dell’acqua, nell’arco di 6-7 anni possiamo pensare di arrivare a una buona autosufficienza dall’estero”. Ora, conclude Prandini, “bisogna sfruttare il Pnrr” e “incentivare la capacità produttiva, investendo su temi come digitalizzazione, agricoltura di precisione, cisgenetica e Nbt”. 


 La guerra in Ucraina potrebbe cambiare per sempre l’agricoltura italiana

Il nuovo record per la manifattura italiana

AGI – Il settore manifatturiero italiano domina la scena nell’Eurozona. Con un balzo a 62,8 punti dai 61,7 di ottobre l’indice Ihs Markit di settore tocca il nuovo massimo storico e conferma l’industria italiana alla guida della ripresa. Tra gli altri Paesi, soltanto la Francia tiene il passo, con l’indicatore che sale a 55,9 punti, al massimo da 3 mesi.

Dati in calo segnano invece la Germania, dove l’indice scende a 57,4 al minimo da 10 mesi, l’Olanda (60,7 punti, minimo da 9 mesi), la Grecia (58,8 punti, minimo da 2 mesi), l’Austria (58,1 punti, minimo da 10 mesi) e la Spagna (57,1 punti, minimo da 8 mesi). Nel complesso dell’Eurozona l’indicatore sale marginalmente a 58,4 punti dai 58,3 di ottobre, mantenendosi sui minimi da febbraio.

A pesare sono i rallentamenti nella catena delle forniture e le conseguenti pressioni inflazionistiche. L’indagine suggerisce inoltre che il miglioramento piu’ pacato della domanda indica una normalizzazione dall’eccezionale crescita precedente.  


Il nuovo record per la manifattura italiana

L’economia italiana si è dimostrata più resiliente del previsto

AGI – L’economia italiana va meglio delle aspettative. Si è mostrata più resiliente del previsto e per questo le stime economiche dell’estate della Commissione europea hanno ritoccato al rialzo il Pil di quest’anno: +5% (nei dati di primavera era del 4,2%). Una cifra da “boom economico”, l’ha definita il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni.         

Viene invece rivista leggermente al ribasso la stima per l’anno prossimo (4,2 invece del 4,4%) ma il dato è condizionato da un eccesso di prudenza che ha portato i tecnici di Bruxelles a non calcolare l’apporto che arriverà dalle riforme contenute nel Piano nazionale di ripresa e resilienza ma solo dagli investimenti.     

Secondo questi numeri, il Pil italiano dovrebbe tornare ai numeri pre-crisi nel corso del 2022 in leggero ritardo rispetto ad altri Paesi europei che ci riusciranno già quest’anno. “Non possiamo accontentarci di un rimbalzo che ci faccia tornare alla situazione precedente, dobbiamo utilizzare anche gli investimenti, le riforme del Pnrr reso possibile dai grandi finanziamenti europei, per avere una crescita stabile, duratura, sostenibile”, ha precisato Gentiloni.     

Il vento di ottimismo a Bruxelles non riguarda solo l’Italia. Vengono rivisti al rialzo anche i dati dell’eurozona e dell’Ue, 4,8% nel 2021 e 4,5% nel 2022 per entrambe. Rispetto alle previsioni economiche di primavera, il tasso di crescita per il 2021 è significativamente più alto nell’Ue (+0,6 punti percentuali, era 4,2%) e nell’area dell’euro (+0,5), mentre per il 2022 è leggermente superiore in entrambe le aree (+0,1, sul 4,4%).      

Il Pil tornerà al livello pre-crisi nell’ultimo trimestre del 2021 sia nell’Ue che nell’eurozona. Per l’area dell’euro, si tratta di un trimestre in anticipo rispetto alle previsioni di primavera. La crescita dovrebbe rafforzarsi a causa di diversi fattori. In primo luogo, l’attività nel primo trimestre dell’anno ha superato le aspettative.

In secondo luogo, un’efficace strategia di contenimento del virus e progressi con le vaccinazioni hanno portato a un calo del numero di nuovi contagi e ricoveri, che a loro volta hanno permesso agli Stati membri dell’Ue di riaprire le loro economie nel trimestre successivo. Questa riapertura ha beneficiato in particolare le imprese del settore dei servizi.

I consumi privati ​​e gli investimenti, grazie anche al Recovery, dovrebbero essere i principali motori della crescita, sostenuti dall’occupazione che dovrebbe muoversi di pari passo con l’attività economica. La forte crescita dei principali partner commerciali dell’Ue dovrebbe avvantaggiare le esportazioni di beni dell’Unione, mentre le esportazioni di servizi dovrebbero risentire dei rimanenti vincoli al turismo internazionale.    

Anche la stima sul tasso di inflazione per quest’anno e per il prossimo è stata rivista al rialzo. Si prevede che ci sarà una pressione al rialzo sui prezzi al consumo pari al 2,2% per quest’anno (+0,3 punti percentuali rispetto alle previsioni di primavera) e dell’1,6% nel 2022 (+0,1 punti percentuali). L’aumento è dovuto “all’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime, alle strozzature della produzione dovute a vincoli di capacità e carenza di alcuni componenti di input e materie prime, nonché a una forte domanda sia in patria che all’estero. Queste pressioni – spiega l’esecutivo europeo – dovrebbero attenuarsi gradualmente man mano che i vincoli alla produzione verranno risolti e con la convergenza tra la domanda e l’offerta.    

Migliorano “lentamente” anche le condizioni del mercato del lavoro, tuttavia “le prospettive dipendono non solo dalla velocità della ripresa, ma anche dai tempi di ritiro del sostegno politico e dal ritmo con cui i lavoratori vengono reintegrati tra i settori e le imprese”, ha spiegato Gentiloni che vede il ritiro del blocco dei licenziamenti italiano come parte delle “politiche incoraggiate a livello europeo di un ritiro selettivo e graduale delle misure di sostegno”.


L’economia italiana si è dimostrata più resiliente del previsto

Cento candeline per Guzzi, l’eccellenza italiana a due ruote

AGI – Il 15 marzo 2021 Moto Guzzi festeggia i suoi primi e leggendari 100 anni. Un secolo di storia, di splendide motociclette, di vittorie, di avventure, di personaggi straordinari che hanno costruito il mito del Marchio dell’Aquila.

Roberto Colaninno, presidente e a.d. del Gruppo Piaggio, a cui fa capo il noto marchio di Mandello del Lario, ha commentato: “I cento anni di Moto Guzzi rappresentano un momento di grande orgoglio per il Gruppo Piaggio, del quale il brand lariano è parte dal 2004, e per tutta l’industria, non solo motociclistica, italiana. Capacità di innovazione, coraggio nel riuscire ad anticipare i tempi, spirito competitivo, amore per il prodotto e attenzione meticolosa alla qualità delle produzioni sono i talenti che Moto Guzzi ha saputo unire negli anni ad un rapporto unico con il suo territorio. Dal 1921 a oggi, ogni Moto Guzzi che ha percorso le strade del mondo è infatti nata nello stabilimento di Mandello, proprio lì dove la storia ebbe inizio esattamente un secolo fa. E tutto ciò continuerà anche nel suo secondo secolo di storia. Un’eccellenza tutta italiana”, ha concluso il presidente Colaninno, “che ha fatto la storia del nostro Paese senza mai invecchiare e che continua a muovere la passione più autentica di migliaia di guzzisti in tutto il mondo”.

Il simbolo dell’aquila ad ali spiegate, emblema inconfondibile di Moto Guzzi, trae origine come ricorda una nota dalla comune militanza dei fondatori Carlo Guzzi e Giorgio Parodi nel Servizio Aereo della Regia Marina durante la Prima guerra mondiale.

Proprio durante il conflitto i due amici, insieme al pilota Giovanni Ravelli decisero di dedicarsi, a guerra finita, alla costruzione di motociclette. Ravelli però non poté coronare il suo sogno perché vittima di un incidente nel 1919. Guzzi e Parodi scelsero l’Aquila come simbolo anche per ricordare l’amico.

Nei suoi cento anni, Moto Guzzi ha firmato vittorie sui circuiti di tutto il mondo, portando il tricolore su ben 14 titoli mondiali. E’ stata la moto dei record di velocità, simbolo di crescita di un Paese rivolto al futuro, è stata la moto delle Forze dell’Ordine, dell’Esercito e ha esteso questa sua vocazione anche all’estero equipaggiando la Polizia californiana e, in tempi più recenti, quella di Berlino e di molte città d’Europa oltre che la Guardia del re di Giordania.

Inoltre, Moto Guzzi è la moto dei Corazzieri, il corpo di élite che scorta il Presidente della Repubblica Italiana.

Moto Guzzi è stata, sin dalle sue origini, la moto dei grandi viaggi. Era il 1928 quando Giuseppe Guzzi raggiunse il circolo polare in sella alla GT “Norge” e quella tradizione continua con viaggiatori che ogni giorno, e in ogni parte del mondo, partono in sella alla loro Moto Guzzi verso mete lontane. I ‘Guzzisti’ saranno protagonisti delle GMG – Giornate Mondiali Moto Guzzi che, a Mandello del Lario dal 9 al 12 settembre, saranno il momento più alto dei festeggiamenti nell’anno del centenario, la festa più grande per un compleanno così speciale.


Cento candeline per Guzzi, l’eccellenza italiana a due ruote

Lagarde: “Draghi rilancerà l’economia italiana con l’aiuto dell’Ue”

AGI – Mario Draghi saprà “rilanciare l’economia italiana con il sostegno dell’Europa”: è la convinzione espressa dalla presidente della Bce, Christine Lagarde, in un’intervista al Journal du Dimanche. Il fatto abbia accettato la sfida “di fare uscire il suo Paese dalla crisi economica e sociale mentre l’Italia è il Paese più colpito dalla pandemia nell’area dell’euro è un’opportunità per l’Italia e un’opportunità per l’Europa”, ha osservato Lagarde. “Ho piena fiducia sul fatto che Mario Draghi possa compiere questo compito. Ha tutte le qualità richieste, la competenza, il coraggio, l’umiltà necessaria per riuscire in questa nuova mission: rilanciare l’economia italiana con il sostegno dell’Europa”, ha aggiunto.

Sulle prospettive dell’economia europa “restiamo convinti alla Bce che il 2021 sarà un anno di ripresa”, ha detto la numero uno della Bce, “la ripresa economica è stata ritardata ma non abbattuta. È ovviamente attesa con impazienza”. “Anticipiamo un’accelerazione intorno a metà anno anche se le incertezze persistono”, ha aggiunto, “non siamo al riparo di rischi ancora sconosciuti. Dobbiamo essere lucidi: non ritroveremo prima di metà 2022 i nostri livelli di attività economica pre pandemia”.

La Bce stima che nel 2021 il Pil dell’Eurozona “dovrebbe essere intorno al 4%, forse leggermente sotto. Rappresenterebbe comunque già una crescita molto significativa rispetto al crollo del Pil del 6,8% registrato nell’area dell’euro nel 2020”: lo ha spiegato Lagarde. “Tutto dipenderà dalla politica e dalle campagne di vaccinazioni. Dipenderà anche dalle misure economiche prese dai governi in risposta alle condizioni sanitarie”, ha sottolineato.

“Alla Bce restiamo convinti che il 2021 sarà un anno di ripresa”, ha aggiunto Lagarde, “la ripresa economica è stata ritardata ma non abbattuta. È ovviamente attesa con impazienza”. “Anticipiamo un’accelerazione intorno a metà anno anche se le incertezze persistono”, ha detto la numero uno della Bce, “non siamo al riparo di rischi ancora sconosciuti. Dobbiamo essere lucidi: non ritroveremo prima di metà 2022 i nostri livelli di attività economica pre pandemia”.


Lagarde: “Draghi rilancerà l’economia italiana con l’aiuto dell’Ue”

Coronavirus: Unimpresa, seria minaccia per l’economia italiana

L’emergenza legata al coronavirus “oltre a rappresentare un pericolo per la salute della popolazione italiana, è una seria minaccia per l’economia del nostro Paese”. Lo dichiara il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara. E in una nota avverte: “C’è un problema direttamente collegato alle aziende che sono costrette a chiudere temporaneamente e un danno cagionato dall’inevitabile riduzione dei consumi. In entrambi i casi, si tratta di fenomeni che possono crescere esponenzialmente nei prossimi giorni e settimane, se si registreranno nuovi casi di contagio nei territori limitrofi a quelli finora individuati”. “Da parte di tutta Unimpresa la massima solidarietà e vicinanza alle persone colpite dal virus e alle loro famiglie. La nostra associazione –  conclude  – è a disposizione delle autorità per gestire i problemi legati alle attività imprenditoriali”. 

Agi

Le guerre familiari che hanno segnato l’industria italiana

Il tessuto economico italiano è ricco di piccole e medie imprese a controllo familiare, che spesso hanno sofferto i passaggi generazionali; tante volte, tuttavia, anche nelle principali famiglie del capitalismo italiano, come ricorda lo scontro sul futuro del gruppo Espresso (Gedi) fra l’ingegner Carlo De Benedetti e i figli, questi passaggi hanno portato a vere e proprie rotture. Ecco alcuni esempi.

AGNELLI – È il 24 gennaio 2003 quando Giovanni Agnelli muore nella sua casa sulla collina torinese. Per la sua successione da tempo è stato lui stesso a scegliere il nipote John Elkann, dopo la prematura scomparsa di Giovanni Alberto Agnelli, figlio di Umberto, nel 1997. La scelta di John Elkann, allora ventunenne, viene condivisa dalla famiglia, che lo accompagna fino all’ascesa al vertice di Exor e Fca ed anche ora riconosce gli importanti risultati realizzati sotto la sua guida. I dissidi principali, in quella che è una delle più importanti dinastie italiane, si manifestano dopo la morte dell’avvocato ma riguardano la sua eredità. Una battaglia giudiziaria viene intrapresa dalla figlia di Gianni, Margherita, che fa causa alla madre Marella, a Gianluigi Gabetti, a Franzo Grande Stevens e a Siegfried Maron. Margherita, pur avendo già raggiunto un accordo sull’asse ereditario del padre, chiede un nuovo quadro chiaro e completo del patrimonio che ha lasciato. La prima udienza in tribunale si svolge nel 2008, ma un anno dopo i giudici di Torino dichiareranno inammissibili tutti i 48 capitoli di prova presentati da Margherita. Con la definitiva parola della Corte di Cassazione, del 2015, la battaglia per l’eredità dell’Avvocato è definitivamente chiusa e i rapporti della figlia dell’Avvocato, inizialmente freddi con il resto della famiglia, a poco a poco si normalizzano.

CAPROTTI – Bernardo Caprotti contro il figlio Giuseppe, e poi contro quest’ultimo e la sorella Violetta, entrambi frutto del primo matrimonio del fondatore dell’Esselunga. Uno scontro decennale che ha visto come teatro le aule del tribunale, e che si è protratto anche dopo la morte nel settembre del 2016 di Bernardo tra i figli di primo letto e Marina Sylvia, la figlia nata dall’unione con la seconda moglie, Giuliana. Il motivo e’ sempre stato lo stesso: la visione sul futuro dell’Esselunga e il controllo di un impero da oltre 7 miliardi di euro e piu’ di 22 mila dipendenti, il primo gruppo italiano della grande distribuzione, un marchio-icona per la spesa di milioni di consumatori soprattutto del Nord Italia. La dynasty della famiglia Caprotti è al tempo stesso epopea e sofferenza che incarna uno dei caratteri distintivi dell’imprenditoria a carattere familiare tipica dell’Italia, con al vertice quello che spesso è un autentico ‘genio’ creativo e a valle le generazioni successive, schiacciate dal peso di chi non si rassegna a tramandare agli eredi ciò che eleva a rango di figlio, oltre che da una sensazione di inadeguatezza che affonda la spiegazione nei miti della Grecia classica.

La prima pagina della soap opera caprottiana risale al 1996 quando, con lo scopo di preparare la successione, Bernardo cede le proprie quote a Giuseppe, Violetta e Marina Sylvia, conservando l’usufrutto sulla metà delle azioni e il diritto di voto in assemblea, in modo da continuare a comandare. Dopo 15 anni il colpo di scena: Bernardo ci ripensa e, senza neanche avvertirli, si riprende le quote societarie assegnate a Giuseppe e Violetta. Il padre accusa Giuseppe di essere circondato da “un ciarpame manageriale” infedele e inadeguato a gestire l’azienda, e soprattutto di voler vendere a colossi internazionali la sua creatura. Giuseppe si difende, respinge al mittente le accuse, sospetta che alla base di tutto ci siano le trame per “dare tutto” alla seconda moglie e alla figlia Marina Sylvia. Al dramma dell’impero perduto, si aggiunge il trauma del figlio ‘rifiutato’: “La sua opera di demolizione psicologica mi ha paralizzato per anni”, afferma in una rara intervista di repertorio Giuseppe che non può dimenticare come fu messo alla porta, in modo che a distanza di anni ancora l’offende: “Se non esci da qui, chiamo le guardie”. Come un ladro qualunque, non come un figlio destinato a subentrare al padre.

Sta di fatto che parte una causa civile lunga anni e anni, su cui si abbatte, come un condono tombale, la morte stessa di Bernardo. Con il corpo ancora caldo del fondatore dell’Esselunga, inizia una triste e tanto tesa processione allo studio del notaio Marchetti, custode delle più delicate vicissitudini familiari e imprenditoriali della finanza milanese che conta. Puntuali arrivano i ricorsi, le comunicazioni affidate ai principali studi legali del capoluogo lombardo, le notizie fatte filtrare attraverso i mezzi di informazioni, perché inevitabilmente il testamento non accontenta i figli di primo letto: il 66,7% della holding che controlla il gruppo, infatti, va all’asse ereditario Giuliana-Marina. Nei mesi successivi un accordo tra le parti si concluderà con l’ulteriore rafforzamento nella società della moglie e di Marina Sylvia e la liquidazione di Giuseppe e Violetta delle loro restanti quote, sancendo la loro definitiva uscita di scena e la loro definitiva, ma forse non più amara, sconfitta.

MARZOTTO – All’apice della sua storia fu un gruppo da oltre 1 miliardo e mezzo di fatturato, con un cognome, Marzotto, che voleva dire moda, jet set e molto altro. L’impero tessile di Valdagno (Vicenza) è un chiaro esempio di cosa si rischia con il passare delle generazioni, quando famiglie già numerose si allargano ed emergono visioni e sensibilità diverse. Oggi il gruppo, che controllava marchi come Valentino e Hugo Boss, è diviso e i vari componenti della famiglia si occupano di attività nei settori più disparati. A Valdagno c’è ancora l’azienda dei filati, guidato dal ramo che fa capo ad Andrea Donà delle Rose e ale figlie di Giannino, di Umberto e di Marta Marzotto; a Fossalta di Portogruaro (Venezia) ci sono Paolo Marzotto e i suoi discendenti, con la loro Zignago Vetro e le cantine Santa Margherita. Matteo Marzotto, figlio di Marta e uno degli esponenti più in vista della famiglia, ha rilanciato la maison Vionnet per poi rivenderla ed è entrato in Dondup, oltre a essere sempre presente nella holding che controlla il gruppo di Valdagno.

BENETTON – Anche un’altra delle grandi dinastie venete, quella dei Benetton, ha vissuto passaggi turbolenti e, prima delle discussioni dell’ultimo anno, momenti tesi ci sono stati quando Alessandro Benetton, figlio del patriarca Luciano, decise di rilanciare il gruppo di moda che porta il nome della famiglia e che è stato alla base delle sue fortune. La scelta, presa nel 2012, fu accompagnata dalla consapevolezza, espressa chiaramente, di “aver fatto per la prima volta qualcosa che non gli conveniva”, e portò a scontri con lo zio Gilberto e Gianni Mion, lo storico manager di famiglia ora tornato alla guida della holding edizione. La rottura arrivo’ dopo poco: formalmente Alessandro è stato a capo della United Colors of Benetton per appena 2 anni.

TABACCHI – Minore fortuna hanno avuto i Tabacchi: il loro impero nel mondo degli occhiali si è sfaldato, con il ramo di Vittorio che è uscito dalla Safilo, ceduta al fondo olandese Hal, e quello di Dino che ha ceduto la catena Salmoiraghi Viganò a Luxottica. All’origine della perdita dell’azienda la scelta da parte di Vittorio di liquidare oltre a Dino (com’era noto a tutti, anche se si chiamava Ermenegildo) e all’altro fratello Giuliano le loro quote in Safilo, dopo alcune divergenze sul futuro e soprattutto sul ruolo dei figli. Al tempo stesso il debito fatto per portare avanti la liquidazione dei due rami appesantirà per lunghi anni la struttura finanziaria del gruppo, fino alla necessità di una ricapitalizzazione che manderà i Tabacchi dal 40 al 10%; in mezzo un paio di cambi di management, compreso un passaggio al timone del gruppo da parte di Massimiliano, figlio di Vittorio.

COIN – Simile sorte è toccata ai Coin, eredi di un impero della grande distribuzione: anche qui c’è un Vittorio, che però si scontra con Piergiorgio. Ci sono gli anni della crescita impetuosa, alla fine del secolo scorso: prima viene comprato il ramo abbigliamento della Standa, poi arriva la quotazione, infine l’acquisizione di Kaufhalle in Germania. Una mossa, quest’ultima, che non dà i frutti sperati e che acuisce i dissapori all’interno dei due rami della famiglia veneziana, con Piergiorgio che viene estromesso dall’azienda, controllata da una holding in cui i due gruppi sono rappresentati pariteticamente. Nel 2005, dopo alcuni tentativi di rimetterlo in carreggiata compresa la cessione di una minoranza della controllata Ovs, la quota di controllo del gruppo, che aveva toccato 1,2 miliardi di fatturato ma era finito in rosso, viene rilevata per 181 milioni dal fondo Pai Partners.

DEL VECCHIO – Anche il patron del gigante dell’occhialeria, Leonardo Del Vecchio, ha avuto i suoi motivi di preoccupazione, anche se in questo caso la partita ha riguardato più i rapporti con le mogli che con i figli direttamente. L’imprenditore, noto per aver detto che “i figli devono restare lontani dall’azienda, dato che non si possono licenziare”, ha dovuto ridisegnare l’assetto del gruppo proprio in virtù della necessità di bilanciare le pretese delle diverse parti e di garantire un futuro unitario all’azienda. Il 25% della holding Delfin è stato destinato all’ultima moglie Nicoletta Zampillo, il 75% invece è diviso fra i 6 figli. Tre di questi – Claudio, Marisa e Paola, sono frutto delle prime nozze, con Luciana Nervo; Leonardo Maria è figlio della Zampillo, con cui il magnate si è poi risposato; ci sono poi Luca e Clemente, nati dalla relazione con Sabina Grossi.

MERLONI – Ma non sono solo gli imprenditori del Nord ad aver avuto difficoltà nel passaggio generazionale: anche in casa Merloni, la famiglia marchigiana a cui faceva capo il gruppo degli elettrodomestici Indesit, i contrasti, a lungo sopiti, sono esplosi con la malattia di Vittorio, figlio di Aristide Merloni. Con il passaggio generazionale, avvenuto nel 2010, ci furono diversi scontri fra i quattro figli e nel 2014 l’azienda è stata venduta agli americani di Whirpool. 

Agi

Tria cerca di dissipare i dubbi europei sull’economia italiana

“C’è un Def approvato da governo e Parlamento” e “il governo sta lavorando per attuare quello che c’e’ scritto nel Def”. E quel documento è stato approvato in Consiglio dei ministri anche da Matteo Salvini.

Giovanni Tria arriva a Bruxelles alla riunione dell’Eurogruppo preceduto dalle parole di fuoco del ministro dell’Interno che minaccia di ‘stracciare’ le regole su debito e deficit e dalle tensioni che soffiano sullo spread, e prova a rassicurare i partner europei preoccupati per la tenuta dei conti dell’Italia.

Il debito sarà quello previsto dal Def e Salvini lo ha votato, è il messaggio che il ministro dell’Economia porta al tavolo dei 19 per disinnescare le parole esplosive del capo della Lega.

“Campagna elettorale”

Quello che conta sono i documenti e gli impegni del governo sul debito e deficit sono scritti nero su bianco nel documento di economia e finanza.  
“In campagna elettorale i mercati finanziari sono un po’ in fibrillazione ma bisogna attenersi ai documenti”, ripete Tria, lasciando intendere che altro sono i proclami elettoralistici, altro gli impegni sottoscritti.

Tria bolla come ‘boutade da campagna elettorale’ l’ennesima ipotesi di uscita dell’Italia dalla zona euro e assesta un’altra stoccata al vicepremier quando i giornalisti chiedono se dopo il 26 maggio cambierà tutto come promette il ministro dell’Interno: “La Commissione resterà la stessa, per un po’”. 
L’esame dell’esecutivo all’Italia arriverà a giugno, dopo che la Commissione presenterà il suo ‘Country Report‘ per i vari Paesi. Le premesse non sono buone: le ultime previsioni di primavera hanno dipinto un quadro a tinte molto fosche dei fondamentali macro del Paese.

Dal Pil previsto in calo allo 0,1% nel 2019 al balzo del debito all’impennata del deficit oltre il 3% in caso di mancato aumento dell’Iva. E l’appello dei ministri delle Finanze dell’Eurozona che chiedono all’Italia il rispetto delle regole non lascia presagire molto di buono: dal tedesco Olaf Scholz al francese Bruno Le Maire al commissario Pierre Moscovici (il debito italiano al 140% del Pil? “Il 130% è già molto”, dice il responsabile Ue degli Affari economici) fino ai ‘piccoli’ danesi e lussemburghesi, la richiesta a Roma di tenere a posto i cordoni della borsa è unanime. 

Ma la bordata più pesante arriva dall’austriaco Hartwig Loeger che già alla vigilia dell’Eurogruppo, in una intervista aveva detto che l’Italia rischia di diventare ‘la nuova Grecia’, rilanciando le parole del cancelliere austriaco Sebastian Kurz. “Il collega dovrebbe pensare prima di parlare”, replica Tria. Ma Loeger incalza, “Tria dovrebbe trasmettere questo messaggio di saggezza a Salvini”, invece “ha ceduto”. L’Austria, ripete Loeger, chiederà alla Commissione questa volta di non fare sconti all’Italia e rimetterà sul tavolo la richiesta di sanzioni per chi non rispetta le regole.

Agi

Borsalino dichiara fallimento. Cosa è successo ad un’azienda italiana icona di stile

La Borsalino, storica azienda alessandrina di cappelli, ha dichiarato fallimento. Il tribunale infatti ha respinto la richiesta di concordato della Haeres Equita srl, società dell'imprenditore svizzero Philippe Camperio, che gestisce l'azienda dopo l'affitto del ramo. A renderlo noto i sindacati, che nel pomeriggio di lunedì 18 dicembre incontreranno i curatori, Stefano Ambrosini e Paola Barisone, e i lavoratori. Dall'azienda, al momento, non è stata data nessuna comunicazione ufficiale, secondo quanto si apprende. Con la fine dell'azienda, diventata un'icona di stile italiano nel mondo, è forse utile ricordare la sua storia. L'ascesa, i modelli, la nascita dei problemi. 

"Creiamo lo stile delle nuove generazioni"

 "In passato creammo generazioni di stile. Oggi creiamo lo stile delle nuove generazioni". Alla Borsalino si usa dire così da 160 anni. Perché il cappello di feltro di Alain Delon e Al Capone è da sempre un'icona di stile. Un pezzo di Italia che ha letteralmente fatto la storia della moda e del cinema nel mondo. Ma la celebre fabbrica fondata da "u siur Pipennel 1857 oggi ha chiuso. Ma che cosa è successo alla Borsalino?

Un documentario di Enrica Viola al Torino Film Festival 2015 (Festa mobile). Storia di un cappello divenuto icona del cinema 

Il cappello sulla testa del finanziere d'assalto

Come spiegava nel 2015 Piero Bottino per la Stampa, l'azienda di cappelli è stata la plastica rappresentazione di come "una finanza d’assalto possa influenzare un’industria sana e profittevole". All’origine dei suoi guai c’è appunto un finanziere, l’astigiano Marco Marenco,  61 anni, ex "re del gas" imputato per la maxi bancarotta fraudolenta delle sue società, con danni complessivi per oltre 3 miliardi di euro per debiti non pagati con le banche e imposte e accise non versate all’Erario. Il maggiore crac in Italia dopo quello della Parmalat. 

Marenco, a detta degli investigatori, era un genio della matematica finanziaria. Ma per uno sfizio aveva deciso di acquistare anche il marchio di Alessandria, diversificando il suo castello di società dell'energia con un gioiellino della moda. Quando il crac viene alla luce, fra le quote di undici società a lui riconducibili e messe sotto sequestro c’è anche il 50,45% della Borsalino. Senza contare che il 17,47% del cappellificio è della Finind, altra società 'marenchiana' commissariata per bancarotta.

Il concordato preventivo

Il Cda della Borsalino (composto da Marco Moccia, Francesco Canepa, Raffaele Grimaldi) deve pagare i dipendenti e almeno in parte i fornitori. E decide di chiedere al tribunale di Alessandria il concordato preventivo, una procedura concorsuale a cui può ricorrere un debitore che si trovi in uno stato di crisi o di insolvenza. Si tratta di uno strumento giuridico che ha come obiettivo proprio quello di evitare la dichiarazione di fallimento attraverso un accordo destinato a portare a una soddisfazione anche parziale dei creditori. Il termine  “preventivo” deriva proprio da questa funzione: prevenire la più grave procedura fallimentare. Chi sceglie il concordato preventivo vuole arrivare a un risanamento o, comunque, intende proseguire l'attività dell'impresa.

Il 'cavaliere bianco' italo-svizzero

Per Borsalino il futuro non si prospetta roseo. Finché, come nelle migliori favole, arriva un 'cavaliere bianco': Philippe Camperio, imprenditore italo-svizzero che, alla guida di un 'collective' di investitori, decide di lanciarsi nell'impresa di salvataggio. La sua cordata viene scelta in seguito a una gara internazionale poiché appare la più adeguata a dare garanzie di continuità e subentra nel maggio 2015. Camperio affitta un ramo dell'azienda attraverso il fondo Haeres Equita e, al termine dell'iter previsto dalla legge, è destinato ad assumere il pieno controllo della Borsalino. 

L'alt del tribunale – Nel frattempo il cappellificio continua a macinare e le vendite non registrano contraccolpi. Anzi, le sventure finanziarie sembrano in qualche modo aver portato pubblicità. A ottobre l'azienda lancia il progetto itinerante del cappello su misura nelle diverse boutique del marchio. Finché arriva – come una doccia fredda – l'alt del tribunale di Alessandria. La decisione è dei giorni scorsi e, come precisa una fonte vicina a Camperio, non è legata alla gestione dell'italo-svizzero bensì a problemi tecnico-contabili relativi a quella precedente. Nel decreto del tribunale si parla anche di sospetti giri di capitali fino al 2012-2013 con società del bancarottiere Marenco. 

Nuovo concordato o ricorso in Cassazione? – Dire che l'azienda abbia fallito o sia a un passo dal fallimento non sarebbe corretto. Poiché nessuna istanza in tal senso è stata presentata. Ma il rischio di una chiusura esiste, anche se la volontà è – invece – quella di andare avanti e salvare lo storico marchio. Al momento ci sono diverse ipotesi al vaglio del board per uscire dall'impasse: si può ripresentare un altro concordato o fare una nuova ristrutturazione del debito. Oppure presentare ricorso in Cassazione contro la decisione del tribunale. Già allora il fallimento però rimaneva una strada più che possibile. 

Borsalino, un'icona di stile

Star di Hollywood e gangster, tutti pazzi per il feltro – I cappelli non sono tutti uguali. Un borsalino è per sempre. Al Capone e Humphrey Bogart, Alain Delon e Jean-Paul Belmondo (nel film Borsalino), Federico Fellini e Francois Mitterand, John Belushi e Michael Jackson: i buoni e cattivi che lo hanno indossato praticamente non si contano. Robert Redford addirittura scrisse una lettera a un ererde della famiglia Borsalino per avere il copricapo che indossava Mastroianni in "8 e 1/2": "Dear Vittorio, you may remember me…my name is Robert Redford”.

Il 'borsalino' è finito persino nel dizionario Treccani: "marchio registrato di un cappello floscio di feltro, per uomo, con cupola a tronco di cono e tesa di media larghezza, prodotto dalla fabbrica Borsalino".

 

 

'Siur Pipen' ruba il segreto della bombetta perfetta 

Giuseppe Borsalino, "u siur Pipen", classe 1834, forse non si aspettava tutto questo. Ma per avere la qualifica di Maestro Cappellaio aveva lavorato per lunghi 7 anni nel cappellificio Berteil in Rue du Temple a Parigi. Poi era tornato e aveva aperto il suo primo laboratorio in un cortile di via Schiavina ad Alessandria insieme al fratello Lazzaro. Ma non bastava.

Siur Pipen guardava all'estero, soprattutto all'Inghilterra: Denton, Stockport, Manchester, con quelle diavolo di macchine che avevano rivoluzionato il mestiere dei cappellai. Nel 1897 il maestro visita la fabbrica di Battersby a Londra. Qui "senza farsi vedere intinge il suo fazzoletto nella vasca della 'catramatura' e porta così in Italia il segreto inglese per la fabbricazione delle perfette bombette. La leggenda dice così. La storia ha fatto il resto.

Fino ad oggi – come informa il sito web dell'azienda – la Borsalino aveva dieci punti vendita monomarca di proprietà in Italia e uno a Parigi, oltre ad essere presente nelle boutique e negli stores di tutto il mondo: da Saks Fifth Avenue a Harrod's, da Galeries Lafayette a Printemps. 

Sfioccatura, soffiatura, imbastitura, pre-follatura, visitaggio, bagnaggio, follatura, assemblaggio, tintura, sbridaggio, apprettatura, informatura, pomiciatura, informatura di seconda, visitaggio, bridaggio e finissaggio: cinquanta passaggi produttivi e una media di sette settimane di lavoro per ogni copricapo. Un processo rigoroso tramandato di generazione in generazione dove si alternano macchine e mano dell'artigiano.

Probabilmente tutto questo con il fallimento di oggi è arrivato alla fine, chiudendo un'epoca. 

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