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In Italia i costi per avviare una startup sono tra i più cari in Europa

AGI – Mettere in piedi una startup in Italia costa quasi 10 volte di più rispetto alla Germania, oltre 15 volte di più rispetto a quanto si spende in Francia, quasi 7 volte in più che in Spagna e ben 188 volte in più della Croazia.

È quanto mette in evidenza uno studio del Centro studi di Unimpresa sui costi delle startup nell’Unione europea, secondo il quale in Slovenia l’avvio di un’attività imprenditoriale è addirittura a “costo zero”.

Secondo il documento, che ha preso in considerazione una serie di studi suii costi imprenditoriali nell’Unione europea, per avviare un attività d’impresa occorrono, tra spese legali, adempimenti amministrativi e oneri fiscali, 4.155 euro in Italia, 2.207 euro nei Paesi Bassi, 2.109 euro in Austria, 2.046 in Belgio, 1.886 euro a Cipro, 679 euro in Finlandia, 627 euro in Spagna, 528 euro a Malta, 446 euro in Germania, 328 euro in Polonia, 312 in Ungheria, 270 euro in Francia, 244 euro in Lettonia, 227 euro in Portogallo, 219 euro in Svezia, 177 euro in Slovacchia, 174 euro in Grecia, 149 euro in Estonia, 134 euro nella Repubblica Ceca, 93 euro in Danimarca, 76 euro in Lituania, 72 euro in Irlanda, 63 euro in Bulgaria, 32 euro in Romania, 22 euro in Croazia e 0 euro in Slovenia. L’Italia è dunque il paese più caro nell’Ue per avviare una startup, con costi pari al doppio di quelli necessari nei Paesi Bassi (seconda posizione dello speciale ranking), in Austria (terza) e Belgio (quarto). 

“Quella dell’abbattimento delle spese per le start up è una delle maggiori sfide che il governo guidato da Mario Draghi deve realizzare con il Piano nazionale di ripresa e resilienza: non intendo alzare troppo l’asticella e sostenere che dobbiamo arrivare al ‘costo zero’ della Slovenia, ma certamente sono necessari interventi per liberare e incentivare lo spirito imprenditoriale del Paese, per far emergere il valore straordinario del made in Italy”, commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.

“È un record di cui non possiamo vantarci, è uno dei tanti spread che rendono l’Italia assai meno competitiva nel contesto dell’Unione europea: si tratta di un divario da ridurre quanto prima e il Recovery Fund, con i suoi 191 miliardi di euro, va impiegato con lungimiranza anche in questa direzione”, aggiunge.

Secondo Spadafora, “di divari ne abbiamo tanti: sul fronte fiscale, sui tempi della giustizia civile, sulle infrastrutture fisiche e pure su quelle tecnologiche, ma anche sul versante dell’efficienza della pubblica amministrazione. Una lunga lista di fattori che hanno zavorrato la nostra economia per decenni, tenendo la crescita sempre a livelli da prefisso telefonico”. 


In Italia i costi per avviare una startup sono tra i più cari in Europa

Nell’anno del Covid il numero delle famiglie povere in Italia è salito a oltre due milioni 

AGI – Torna a cresce la povertà assoluta in Italia. Nel 2020, sono in condizione di povertà assoluta poco più di due milioni di famiglie, il 7,7% del totale, dal 6,4% del 2019, e oltre 5,6 milioni di individui (9,4% da 7,7%). Lo rileva l’Istat.

Il valore dell’intensità della povertà assoluta – che misura in termini percentuali quanto la spesa mensile delle famiglie povere è in media al di sotto della linea di povertà (cioè “quanto poveri sono i poveri”) – registra una riduzione (dal 20,3% al 18,7%) in tutte le ripartizioni geografiche.

Tale dinamica è frutto anche delle misure messe in campo a sostegno dei cittadini (reddito di cittadinanza, reddito di emergenza, estensione della Cassa integrazione guadagni, ecc.) che hanno consentito alle famiglie in difficoltà economica – sia quelle scivolate sotto la soglia di povertà nel 2020, sia quelle che erano già povere – di mantenere una spesa per consumi non molto distante dalla soglia di povertà.

Nel 2020, l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma più alta nel Mezzogiorno (9,4%, da 8,6%), ma la crescita più ampia si registra nel Nord dove la povertà familiare sale al 7,6% dal 5,8% del 2019.

Tale dinamica fa sì che, se nel 2019 le famiglie povere del nostro Paese erano distribuite quasi in egual misura al Nord (43,4%) e nel Mezzogiorno (42,2%), nel 2020 arrivano al 47% al Nord contro il 38,6% del Mezzogiorno, con una differenza in valore assoluto di 167mila famiglie.

Dopo il miglioramento del 2019 quindi, nell’anno della pandemia la povertà assoluta aumenta raggiungendo il livello più elevato dal 2005 (inizio delle serie storiche). Nel 2020, inoltre, la povertà assoluta in Italia colpisce 1,33 milioni di minori (il 13,5% rispetto al 9,4% degli individui a livello nazionale). L’incidenza varia dal 9,5% del Centro al 14,5% del Mezzogiorno.  Rispetto al 2019 le condizioni dei minori peggiorano a livello nazionale (da 11,4% a 13,5%) e in particolare al Nord (da 10,7% a 14,4%) e nel Centro (da 7,2% a 9,5%).

Disaggregando per età, l’incidenza si conferma più elevata nelle classi 7-13 anni (14,2%) e 14-17 anni (13,9%, in aumento) rispetto alle classi 4-6 anni (12,8%) e 0-3 anni (12,0%, in crescita rispetto al 2019). Le famiglie con minori in povertà assoluta sono oltre 767mila, con un’incidenza dell’11,9% (9,7% nel 2019).

La maggiore criticità di queste famiglie emerge anche in termini di intensità della povertà, con un valore pari al 21% contro il 18,7% del dato generale. Oltre a essere più spesso povere, le famiglie con minori sono anche in condizioni di disagio più marcato. Infine, quasi la metà delle famiglie povere vive in una casa in affitto.


Nell’anno del Covid il numero delle famiglie povere in Italia è salito a oltre due milioni 

Amazon assumerà 3.000 persone in Italia entro fine anno

 AGI –  Amazon creerà 3.000 nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato in Italia entro la fine dell’anno: in questo modo, la forza lavoro complessiva dell’azienda salirà “a oltre 12.500 dipendenti, dai 9.500 di fine 2020, in piu’ di 50 sedi in tutta Italia. Lo annuncia lo stesso colosso dell’e-commerce. 

Con questo ulteriore impulso alle assunzioni, l’azienda, riferisce una nota, “è alla ricerca di personale per molte posizioni. Dal prelievo, imballaggio e spedizione delle merci, al marketing, al finance e alla ricerca sulle tecnologie del futuro. La gamma dei profili ricercati è ampia: alcune attività non richiedono una qualifica formale, altre prevedono una vasta esperienza nei settori più avanzati della ricerca. Neolaureati e giovani professionisti possono candidarsi, ad esempio, per una delle numerose posizioni di brand specialist o account manager che supportano i produttori, i brand e le PMI italiane a migliorare le loro performance nel commercio online”. 

Quest’anno Amazon aprirà due centri di distribuzione a Novara e Cividate al Piano (BG), un centro di smistamento a Spilamberto (MO), oltre a 11 depositi di smistamento in Piemonte, Trentino-AltoAdige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Umbria e Marche. Amazon ha recentemente presentato anche l’European Innovation Lab a Vercelli, progettato per sviluppare e implementare nuove tecnologie per accrescere ulteriormente la sicurezza dei propri dipendenti e migliorarne costantemente l’esperienza lavorativa.

 “La crescita del digitale è una opportunità di ripartenza per il Paese e noi vogliamo dare il nostro contributo”, ha dichiarato Mariangela Marseglia, Country Manager di Amazon.it e Amazon.es. “I nuovi posti di lavoro che creeremo nel corso dell’anno – ha spiegato – sono un’opportunità sia per chi desidera cambiare lavoro e misurarsi con una nuova sfida, sia per quelle persone in cerca di occupazione, perché siamo aperti a tutti i tipi di talenti e di istruzione. Dai linguisti agli ingegneri, dalle opportunità di stage ai ruoli manageriali, Amazon garantisce a tutti un ambiente di lavoro sicuro, inclusivo, con opportunità di formazione e aggiornamento e programmi di crescita professionale. Le nostre politiche di gestione del personale ci hanno permesso di ottenere la certificazione Top Employer Italia 2021 per tutte le nostre attività nel Paese, dai magazzini di distribuzione ai centri di sviluppo”.

 Amazon riferisce che nei magazzini, lo stipendio d’ingresso mensile base, pari a 1.550 euro lordi,” è tra i più alti del settore. Vengono inoltre offerte opportunità di carriera e di aggiornamento professionale, inclusi programmi innovativi come Career Choice, che anticipa il 95% del costo delle rette e dei libri di testo per i corsi professionali scelti dai dipendenti – fino a 8mila euro in 4 anni – e programmi di congedo parentale all’avanguardia nel settore”. Il programma Career Choice ha supportato oltre 40.000 dipendenti in 14 paesi a conseguire nuove qualifiche per accrescere il proprio percorso professionale sia all’interno che all’esterno di Amazon.


Amazon assumerà 3.000 persone in Italia entro fine anno

In 10 anni il terzo settore in Italia è cresciuto del 25%

AGI – Il ruolo del non profit cresce in Italia, anche durante la pandemia. Un universo che conta 375.000 istituzioni tra associazioni, fondazioni e cooperative sociali, in aumento del 25% rispetto a 10 anni fa. Gli italiani che partecipano ad attività associative sono 10,5 milioni, vale a dire 1 su 5 tra chi ha più di 14 anni. Il valore della produzione è stimato in 80 miliardi di euro e sfiora il 5% del Prodotto interno lordo.

Gli addetti sono 900.000 (70% donne), ai quali si aggiungono 4 milioni di volontari. E’ quanto emerge da una ricerca condotta da CNEL, Fondazione Astrid e Fondazione per la Sussidiarietà, in occasione della presentazione del volume “Una società di persone? I corpi intermedi nella democrazia di oggi e di domani”, in programma venerdi’ 28 maggio.

La ricerca conferma che la Penisola è uno dei Paesi con più “vitalità sussidiaria” in Europa, con un’associazione ogni 160 abitanti. Circa l’85% delle istituzioni del terzo settore è rappresentato da associazioni, il restante 15% sono cooperative sociali, fondazioni, sindacati o enti. Due terzi delle istituzioni non profit (65%) operano in cultura, sport e ricreazione; seguono l’assistenza sociale e la protezione civile (9%), le relazioni sindacali e imprenditoriali (6%), la religione (5%), l’istruzione e ricerca (40%) e la sanità (4%).

“Il vasto mondo del terzo settore e più in generale del privato sociale rappresenta una risorsa di enorme valore per il Paese e la sua economia, come abbiamo avuto modo di sperimentare durante l’emergenza sanitaria ed in particolare nei mesi difficili del lockdown, e porta un contributo determinante all’occupazione sia in termini quantitativi che qualitativi”, dichiara Tiziano Treu.

Il terzo settore, prosegue Treu – avrà un “ruolo strategico anche nell’attuazione del Pnrr. Per questo associazioni e imprese sociali vanno sostenute e tenuta in debita considerazione come più volte evidenziato in audizioni parlamentari e con documenti del Cnel presentati a Governo e Parlamento”. “Questa nuova ricerca – sottolinea Franco Bassanini – e ancor più ampiamente quella che presenteremo il 28 maggio al Cnel fanno emergere il ruolo cruciale delle comunità intermedie in un mondo in rapida trasformazione.

Nel quale la globalizzazione e le tecnologie digitali, e ora la pandemia, producono frammentazione e atomizzazione. Ma nel quale è sempre più evidente che, al contrario, solo la rivitalizzazione della trama delle comunità intermedie (ridefinite nei loro obiettivi e modi di operare) consentirà di far fronte alle sfide della sostenibilità sociale e ambientale e alla crisi di legittimazione e rappresentatività dei nostri sistemi democratici, indeboliti dalle pratiche illusorie della disintermediazione politica e sociale”.

“La pandemia – osserva Giorgio Vittadini – ha esaltato il ruolo del terzo settore che ha affiancato l’intervento pubblico in settori chiave come l’assistenza e la salute. Certo l’emergenza Covid ha penalizzato alcuni comparti come asili, centri diurni per invalidi, attività sportive e ricreative. Nonostante la crisi, privati ed enti pubblici hanno sostenuto con donazioni e contributi il terzo settore, riconoscendo il suo grande valore sociale e contribuendo a diffondere la cultura della sussidiarietà”.


In 10 anni il terzo settore in Italia è cresciuto del 25%

Costo del lavoro, in Italia tra i più alti dei paesi Ocse 

AGI – Tasse sul lavoro in Italia sono in ribasso, ma sono ancora troppo alte tra i paesi Ocse: tra il 2019 e il 2020, il cuneo fiscale arretra dal 47,9% al 46%, attestandosi di 11,4 punti sopra la media Ocse, che è del 34,6% (dal 35% del 2019).

Una quota che colloca il nostro paese al quarto posto nell’area, dietro a Belgio, Germania e Austria, a pari merito con la Francia. E’ quanto si legge nel rapporto ‘Taxing Wages‘ dell’Ocse.

Più nel dettaglio, il cuneo fiscale in Italia è sceso di 1,91 punti percentuali tra il 2019 e il 2020, attestandosi al 46% per un lavoratore medio single senza figli.

Si tratta del quarto cuneo fiscale più alto tra i 34 paesi dell’area Ocse, dopo il Belgio (51,5%, la Germania (49%) e l‘Austria (47,3%), mentre la Francia è anch’essa al 46%.

In fondo alla classifica troviamo il Cile, con un cuneo fiscale al 7%.  La media dell’area Ocse è in calo dello 0,39% al 34,6%

Tornando all’Italia, il costo del lavoro in Italia è di circa 49.000 mila euro per ogni singolo lavoratore, sopra la media dell’area Ocse (quasi 45.000 mila euro), al diciannovesimo posto tra i paesi più avanzati.

Dal rapporto emerge anche che in Italia il salario medio lordo è di oltre 37 mila euro (37.178 euro), al di sotto di quello medio Ocse pari a 39.188 euro.

Inoltre, i salari lordi italiani sono tassati del 29% contro il 24,9% della media Ocse. Solo nel 2020, il costo del lavoro in Italia si attesta a 48.919 euro l’anno per ogni lavoratore single senza figli, considerando le tasse sul reddito e i contributi delle imprese e dei lavoratori. Si tratta del diciannovesimo costo del lavoro più alto tra i 34 paesi dell’area Ocse.

Inoltre, in Italia il peso maggiore del costo del lavoro è sulle spalle delle imprese, i cui contributi rappresentano il 24% del totale, mentre i contributi dei lavoratori pesano per il 7,2% e la tassazione sul reddito per il 14,8%.


Costo del lavoro, in Italia tra i più alti dei paesi Ocse 

Il lockdown ha fatto crollare il traffico aereo, nel 2020 passeggeri in calo di oltre il 70% in Italia

AGI – Sono stati 52.759.724 i passeggeri transitati negli aeroporti italiani nel 2020, tra traffico nazionale e internazionale, con un decremento rispetto al 2019 del -72,5%. Lo rende noto l’Enac.

Il traffico nazionale, con i suoi 25 milioni di passeggeri ha registrato una diminuzione più moderata, -61,1%, rispetto al traffico internazionale, -78,3%, con un totale di circa 27.700.000 passeggeri.

L’aeroporto di Roma Fiumicino si conferma al primo posto per numero di passeggeri, seguito da Milano Malpensa che, invece, è risultato in prima posizione per il trasporto cargo.

La graduatoria complessiva dei collegamenti nazionali e internazionali di linea e charter vede al primo posto la compagnia Ryanair, seguita da Alitalia e da EasyJet Europe. Alitalia, invece, si consolida come prima compagnia per il traffico nazionale.

“Tornare a viaggiare in piena sicurezza – commenta il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, Enrico Giovannini, ha dichiarato: non è solo un auspicio, ma un obiettivo di ripresa verso il quale devono convergere tutte le categorie interessate. La crisi pandemica ha reso evidente la fragilità del nostro sistema economico e in particolare quei settori in cui la ripresa è legata all’aumento della mobilità, messa in crisi dalle restrizioni sanitarie”.

“L’auspicio è che campagna vaccinale e comportamenti responsabili possano comportare una ripresa degli spostamenti in aereo e dei flussi turistici in vista della stagione estiva. Il governo è al lavoro non solo per riportare i settori colpiti dalla crisi alla normale attività ma per individuare, attraverso l’analisi dei possibili scenari, soluzioni in grado di produrre tassi di crescita elevati e sostenibili nel lungo periodo per rendere il Paese resiliente”, conclude Giovannini.

“Una diminuzione media del –72,5% di traffico aereo con punte di oltre il -90% in alcuni momenti dell’anno – evidenzia il direttore generale dell’Enac Alessio Quaranta – è un fenomeno mai registrato nell’aviazione civile moderna che, al contrario, ha avuto una crescita più o meno costante nel tempo. Dobbiamo pensare al presente e al futuro del settore, puntando sulla domanda e sulla voglia di ricominciare a viaggiare per turismo e per affari. Ora tutti i player del settore, colpiti in maniera trasversale dalla crisi pandemicadevono operare con l’obiettivo di un rapido riavvio del traffico aereo, partendo dalla ricostruzione della fiducia da parte dei passeggeri”.

“La combinazione tra le disposizioni sanitarie, la campagna vaccinale, i voli Covid-free e l’auspicato pass sanitario aiuteranno tutti noi a ricominciare a scegliere, con consapevolezza e fiducia, il trasporto aereo: un passo per contribuire alla ripresa del settore e, più in generale, dell’economia diretta e indiretta generata dal comparto”, conclude.


Il lockdown ha fatto crollare il traffico aereo, nel 2020 passeggeri in calo di oltre il 70% in Italia

Natale in fabbrica per tanti lavoratori, da Nord a Sud Italia

AGI – Natale e Capodanno in fabbrica. Non c’è solo il Covid a rovinare la vita dei lavoratori italiani. C’è la paura di perdere il lavoro e di vedere il proprio territorio diventare un deserto, senza prospettive per il futuro.

La lotta continua a Napoli: i dipendenti della Whirlpool sono in mobilitazione permanente, in attesa del nuovo incontro con azienda e ministeri dello Sviluppo economico e del lavoro, fissato per il 28 dicembre.

Ma anche in altre parti d’Italia gli operai hanno organizzato dei presidi, a difesa del loro posto ma anche della fabbrica, per evitare che la produzione cessi e sia spostata altrove.

Accade ad Osnago, in provincia di Lecco: la Voss Fluid vuole chiudere ma i 70 operai hanno fatto un picchetto dal 10 dicembre per scongiurare lo smantellamento di impianti e macchinari. L’azienda, produttrice di componenti per macchine di movimento terra, acquisita dai tedeschi nel 2016, ha annunciato il licenziamento di tutti i lavoratori il 31 dicembre prossimo e il trasferimento della produzione in Polonia, senza accogliere nessuna richiesta di apertura di negoziato per gestire la crisi

Succede a Carpi, in provincia di Modena, dove i lavoratori della Goldoni sono da tre mesi in presidio per scongiurare che la proprietà cinese se ne vada senza spiegazioni.

Avviene a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, alla Meridbulloni, dove 81 lavoratori sono davanti ai cancelli da 8 giorni per impedire che lo stabilimento chiuda e la produzione sia trasferita a Torino. 

“Il lavoro – ha detto il segretario generale della Fim Alberto Benaglia al presidio della Voss Fluid – deve essere centrale per far ripartire il paese tutto. Siamo difronte a vertenze nazionali perché è da qui che riparte la dignità del lavoro e delle persone”. 

Whirlpool: il 28 tavolo al Mise, il 30 iniziativa di solidarietà

I lavoratori della Whirlpool lottano da mesi: scioperi, cortei, blocchi del traffico, occupazioni, manifestazioni sotto al ministero dello Sviluppo economico. Anche durante le festività sono in presidio perché non vogliono che esca dalla fabbrica di lavatrici neanche un bullone. Hanno realizzato un calendario con lo slogan “Sulla nostra pelle” e il 30 dicembre si terrà un evento in cui, tra le altre cose, verranno vendute delle copie per raccogliere fondi.

La loro battaglia assume, secondo la Fiom, una valenza superiore a quella di qualunque vertenza singola per l’occupazione.

E’ una lotta di principio – spiega Barbara Tibaldi, segretaria nazionale Fiom – l’Italia non può essere preda delle multinazionali. E’ necessario un cambio di passo, salvare la presenza industriale nel territorio. La determinazione dei lavoratori forse ci dice che è finito il tempo della paura”.

“Il coraggio e la generosità degli operai napoletani,disponibili a resistere pur sapendo di poter perdere tutto – prosegue Tibaldi – dovrebbero far riflettere il mondo della politica. E’ una nuova resistenza che chiede una vera politica industriale”.

“La disperazione avrebbe potuto portare questi lavoratori con il cappello in mano dalla proprietà o li avrebbe potuti spingere nelle braccia della camorra. Non hanno accettato le offerte di Invitalia, che proponeva due mesi fa piccole soluzioni magari per un pugno di lavoratori.

E’ il momento di decidere se l’Italia vuole essere industrialmente competitiva. I lavoratori della Whirlpool lottano per difendere la dignità del sistema industriale italiano. Allora, sì, questo è un Natale particolare, che guarda al futuro più di altri”. 

La Fiom: la vertenza è decisiva per il futuro industriale dell’Italia

Ripercorrendo le vicende Whirlpool, Tibaldi mostra perché questa vertenza è emblematica e decisiva per il destino industriale italiano. 

“Da aprile ad oggi la multinazionale ha macinato utili su tutta la gamma dei prodotti e ha lavorato tanto anche in Italia da chiedere gli straordinari ed assumere 700 interinali a Varese. Il filo comune è quindi l’irragionevolezza: non c’è crisi ma chiudi perché giochi a risiko nel mondo. Whirlpool ha acquisito marchi italiani prestigiosi come Indesit e Ariston e non sappiamo dove andrà a produrli.

All’ultimo incontro al Mise ha annunciato che licenzierà i lavoratori di Napoli dal 1 aprile e quindi a metà giugno saremmo davanti al fatto compiuto. In più la società ha la pretesa di chiedere la cig covid, in modo che paghi lo Stato. Il governo ha detto in passato che avrebbe fatto rispettare l’accordo invece non l’ha fatto e l’azienda non ha cambiato idea.

Così può passare il messaggio che in Italia una multinazionale arriva e se ne va a suo piacimento; le istituzioni invece di inchiodare l’impresa alle sue responsabilità cercano alternative che poi spesso si rivelano espedienti, imbrogli o buchi nell’acqua, come avvenuto per l’Embraco a Torino”.

“Ma se una multinazionale prende una decisione – insiste Tibaldi – non si può solo accettare e cercare di arrangiarsi di conseguenza. I lavoratori tengono il punto, insieme al sindacato: il governo dovrebbe fare lo stesso. Non si può lasciare la politica industriale a Invitalia: non funziona più tappare buchi perché ora si apre una voragine”.        

“L’Italia – prosegue l’esponente della Fiom – era un Paese autorevole, perché aveva un patrimonio di invenzioni, come la lavatrice a carica frontale o il pendolino, ed era il più grande produttore di acciaio d’Europa. Ora si piega alle multinazionali che prendono e vanno via”. 

“Vedremo cosa succederà al tavolo del 28 dicembre: il ministero del Lavoro dovrà dire se concede la cassa integrazione Covid che per noi non è legittima. Il rischio – conclude – è che Napoli non sia l’unico obiettivo di Whirlpool: dopo potrebbero esserci Siena e Caserta. O  fermiamo il processo all’inizio o, una volta aperta la diga, non lo fermiamo più“. 


Natale in fabbrica per tanti lavoratori, da Nord a Sud Italia

L’ Italia rischia una nuova recessione alla fine del 2020. L’allarme di Confindustria

AGI – A fine 2020 l’Italia rischia una seconda recessione a causa della pandemia di coronavirus. È l’allarme lanciato dal Centro Studi di Confindustria nella Congiuntura Flash.

Le recenti misure restrittive per arginare l’epidemia inducono il Csc a stimare che nel IV trimestre si avrà di nuovo un Pil in calo. L’impatto sull’economia italiana dovrebbe essere contenuto rispetto al crollo nel I e II (-17,8%), dato che molti settori produttivi restano aperti. Ciò avviene subito dopo il forte rimbalzo nel III (+16,1%), che aveva riportato l’attività al -4,5% dai livelli pre-Covid.

 Anche la crescita dell’Eurozona frena. Dopo il rimbalzo del Pil nel III trimestre (+12,6%), si è avuta una frenata a ottobre: il pmi composito è sulla soglia neutrale di 50 e il sentiment è fermo lontano dalla media storica. Ciò – spiega il Csc – è sintesi di dinamiche divergenti: negativa per i servizi, dove è atteso un ulteriore calo di domanda, per le nuove restrizioni; buona per l’industria, che è sostenuta da un ricco portafoglio ordini. In Germania l’impennata della produzione industriale ha alzato di 5 punti l’utilizzo degli impianti. 

L’analisi mette anche in evidenza come il tasso sovrano in Italia sia rimasto basso (0,66% medio il Btp decennale a novembre), “nonostante qualche volatilità”. Anche lo spread sulla Germania ha tenuto, sui bassi valori di ottobre (+1,23%). Una buona notizia rispetto al balzo di marzo, quando l’Italia era percepita come più rischiosa.

Risalita stoppata per l’industria nel iv trimestre

Secondo Confindustria, la produzione già a settembre-ottobre ha visto interrompersi il suo rapido recupero, sui livelli pre-Covid: ciò potrebbe preludere a una nuova, moderata, caduta nel IV trimestre.

Gli indicatori segnalano fino a ottobre una tenuta della domanda interna, dopo il rimbalzo nei mesi estivi. Gli ordini interni dei produttori di beni di consumo sono risaliti a -28,3 (-34,4 nel III trimestre), quelli dei produttori di beni strumentali a -31,4 (da -42,8). La fiducia delle famiglie però diminuisce, con forte calo delle attese sull’economia: ciò alimenta la propensione al risparmio. L’Icc segnala in ottobre un -8,1% annuo dei consumi: i dati peggiori sono per turismo, servizi per il tempo libero, trasporti. 

L’occupazione si è di nuovo appiattita a settembre, dopo la risalita temporanea a luglio-agosto. La disoccupazione sembra ripuntare verso il basso, come a marzo-aprile, per la contrazione della forza lavoro. Il IV trimestre anche per l’occupazione si preannuncia in negativo. 

A settembre, poi, la dinamica del credito alle imprese ha accelerato ulteriormente (+6,8% annuo, da -1,0% a gennaio), per sopperire alla carenza di liquidità. I prestiti con garanzie pubbliche hanno superato i 110 miliardi a novembre (dati Task Force). Per il centro studi di Confindustria ciò peserà sul debito bancario (da 16,5% a 18,9% del passivo) e sugli oneri finanziari, riducendo le risorse per investimenti. 

Peggiorano i servizi, perdite del turismo vicine 70%

Il rischio di una nuova recessione per l’Italia nel IV trimestre riguarda soprattutto i servizi, con il turismo che subirà nuovamente perdite vicine al 70%. Il Pmi nei servizi (Purchasing Managers’ Index) segnala un ulteriore arretramento già in ottobre (46,7 da 48,8), con domanda indebolita dopo il recupero parziale del settore turistico fino ad agosto, a fine anno in vari segmenti le perdite saranno ancora vicine al 70% (stime Federturismo). 

La pandemia minaccia un secondo stop agli scambi

Con la seconda ondata della pandemia di Covid, il Csc prevede un nuovo stop del commercio mondiale a fine 2020. Il recupero del commercio mondiale (-3,5% in agosto su fine 2019) è atteso proseguire qualche mese, ai massimi le spedizioni di container a settembre, sopra 50 gli ordini esteri globali in ottobre (Pmi). Ma con l’aggravarsi dei contagi si rischia il blocco. 

Sul fronte delle esportazioni, Csc rileva che l’export di beni è rimbalzato del 30,3% nel III trimestre (-3,2% dai valori di febbraio), con il recupero che ha riguardato tutti i principali tipi di beni e, con ritmi diversi, i maggiori mercati. Le indicazioni a inizio IV trimestre erano positive: in risalita gli ordini manifatturieri esteri. Tuttavia, sottolinea, le probabilità di una nuova caduta a fine anno sono alte, a causa della pandemia, specie nelle voci legate al turismo. 

Agi

Perché in Italia non può funzionare tutto come con il Ponte di Genova? 

Una sfida vinta, un modello che può essere replicato non solo per uscire dalla crisi innescata dall’epidemia, ma anche per lanciare quel piano di ricostruzione dell’Italia indispensabile per rafforzare il Paese. Questo è, secondo l’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente di Fincantieri, l’esperienza del Ponte di Genova, di cui oggi è stato tirato su l’ultimo impalcato.

“All’uscita dall’emergenza va applicato il modello del fare” dice Massolo all’Agi, “il modello dell’impegno e della esemplificazione. Va data fiducia all’industria e all’impresa e da questa fiducia può nascere un modello di collaborazione tra privato e pubblico”.

Ambasciatore, a differenza dello scenario del Ponte Morandi, innescato dal crollo di una struttura, quello della pandemia è forse più complesso, perché sotto gli occhi non ci si presenta la dirompente visione di una distruzione fisica 

“C’è il rischio che ci sia la distruzione di un intero sistema” dice Massolo, “siamo entrati in questa crisi deboli e con molti limiti. Speriamo di uscire da queste difficoltà forti con più di un insegnamento. E la realizzazione in tempi record della struttura sul Polcevera – nonostante difficoltà di ogni genere creati dal maltempo, dal fatto che alcune strutture arrivavano via mare da Castellammare di Stabia e infine dall’epidemia – sembra essere la prova che, quando vuole, l’Italia sa superare i limiti del suo sistema”.  

Perché le cose non funzionano sempre così? Perché non è sempre possibile agire spediti come con il nuovo ponte sul Polcevera?

“C’è stata una componente di eccezionalità non irrilevante. Dirimente dal punto di vista tecnico è stata la possibilità di usare il codice degli appalti europeo derogando a quello italiano e questo ha dato tempi più agili. Ma soprattutto è la dimostrazione che in Italia ci sono sia le competenze che le possibilità di metterle a sistema. Quello che andrebbe radicalmente ripensato sono due cose: da un lato la oggettiva complessità e macchinosità delle norme che necessita di una semplificazione, ma dall’altra abbiamo dimostrato che pubblico e privato possono lavorare bene insieme nelle pieghe della normativa, anche nel contesto delle norme esistenti. È una questione di buona volontà: dobbiamo abbandonare la cultura dei distinguo per far rinascere la cultura del fare”.

Che modello può essere questo per l’Italia?

“Deve essere un insegnamento da inserire in un grande piano di ricostruzione nazionale che va dall’industria alla burocrazia, dall’impresa alla giustizia civile, e dia una spinta decisa per rimettere finalmente nelle mani degli italiani il destino del Paese”.

La ricostruzione del ponte sul Polcevera è stato un susseguirsi di sfide, quale è stata la più grande?

“Essere all’altezza della tragedia e quindi della memoria di chi ha perso la vita. Ma anche all’altezza delle aspettative della città e del Paese. Queste immagini del ponte nuovo circoleranno nel mondo insieme al ricordo di quello che è stato e dei morti che ci sono stati.  C’è stata la sfida di tenere insieme aziende diverse, competenze diverse; la sfida di far lavorare un gruppo di aziende con le autorità pubbliche, locali e governative, e la sfida di rispettare i tempi. E la sfida di realizzare nel giro di un anno un’opera che in condizioni normali avrebbe richiesto molto più tempo. E questo credo appartenga ai primati nel mondo delle costruzioni. Ovviamente, come sempre accade abbiamo dovuto contare sulla abnegazione delle maestranze, cui dobbiamo un ringraziamento per aver lavorato incessantemente in tutte le circostanze”.

Agi

Coronavirus: crolla la fiducia dei consumatori Ue, Italia maglia nera

L’epidemia di Coronavirus sta avendo un impatto enorme sul ‘sentiment’ dei consumatori europei. Italia e Francia i Paesi che registrano il calo più marcato dell’indice di fiducia rilevato da GfK. A marzo peggiorano ovunque le aspettative economiche e la propensione agli acquisti. In flessione anche le aspettative legate al reddito.

L’indice di fiducia dei consumatori europei, rilevato da GfK in 28 stati dell’Unione Europea, si assesta a 13,6 punti a marzo 2020, con un trend decisamente negativo rispetto al mese precedente. Si tratta del livello più basso registrato dal 2016. Per le prossime settimane è possibile prevedere un ulteriore peggioramento del sentiment: la rilevazione di GfK è stata infatti effettuata nelle prime due settimane di marzo, quando ancora la diffusione del contagio riguardava solo alcuni Paesi e non erano ancora state introdotte in maniera capillare le misure di contenimento.

 Secondo GfK l’Europa sta affrontando la minaccia di una delle più pesanti recessioni della storia recente. Non stupisce quindi che le aspettative economiche dei consumatori europei abbiamo registrato a marzo 2020 un calo significativo (-20 punti). I Paesi piu’ negativi sono quelli dove il Coronavirus si e’ diffuso prima e ha fatto registrare le perdite maggiori, come l’Italia (-43 punti) e la Francia (-29 punti). Gli unici segnali di ottimismo arrivano da alcuni Paesi dell’Est Europa (Polonia, Slovacchia e Ungheria) dove a inizio marzo il contagio era ancora ridotto.

Le preoccupazioni per il futuro dell’economia europea stanno portando a una significativa diminuzione delle aspettative legate al reddito. L’indicatore complessivo per i 28 Paesi UE si assesta a +5 punti a marzo, con una diminuzione di 9 punti rispetto al mese precedente. Le perdite maggiori si registrano in Grecia (-22 punti) e in Italia (-18 punti). Nella prima metà di marzo, GfK registrava aspettative di reddito positive in alcuni Paesi dell’Europa centrale e orientale ancora meno colpiti dagli effetti di COVID-19.

Come gli altri indicatori economici, anche la propensione all’acquisto dei consumatori europei risulta in forte calo: -13 punti a marzo. Croazia (-27 punti), Italia e Austria (-24 punti ciascuna) sono i Paesi che hanno registrato il rallentamento piu’ significativo.

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