Tag Archive: Huawei

Il bando all’uso di Google sugli smartphone Huawei, spiegato

Il 16 novembre qualcuno del quartier generale di Huawei, a Shenzhen, ha storto il naso. Gli americani avevano appena tirato un altro dei loro scherzi, rinnovando per la seconda volta consecutiva la moratoria al bando imposto dalla Casa Bianca all’utilizzo di Google sui loro smartphone, computer e tablet. O almeno su tutti quelli per i quali l’utilizzo era stato approvato prima del 15 maggio 2019, quando un’azienda da 188 mila dipendenti e più di 100 milioni di pezzi venduti in tutto il mondo ha scoperto di essere stata tagliata fuori dal mercato.

Non una cattiva notizia, ma nemmeno buona, perché costringe l’azienda in un limbo in cui rischia di logorarsi.

È per questo che il Mate 30, smartphone di punta di Huawei, non è ancora arrivato sul mercato europeo ed è per questo che il V30, modello 5G di Honor (il brand della casa cinese creato per i giovani), arriverà in Italia a maggio 2020 senza Gms (Google mobile services), ossia senza Gmail, Maps, YouTube , Pay e altre app.

Nei sei mesi da quando è in vigore il ban si è detto di tutto: che il destino di Huawei (e Honor) sia segnato, ma anche che la soluzione della crisi è ormai prossima. O anche che il colosso cinese sia pronto a fare da solo e a imporre sul mercato un nuovo sistema operativo.

Ma come stanno davvero le cose? A fare il punto ci ha pensato James Zou, presidente di Honor overseas, che Agi ha incontrato a margine della presentazione del V30 a Pechino.

“Dieci anni fa non abbiamo avuto esitazioni ad adottare Android perché pensavano fosse open-source” dice Zou, “Se allora avessimo pensato che avremmo avuto questi problemi non ci saremmo cascati e ora saremmo in una situazione completamente diversa”.

Per capire, bisogna innanzitutto distinguere Android da Google e partire da quando Google comprò per un pugno di noccioline una società destinata a cambiare il modo con cui oggi usiamo gran parte della tecnologia della nostra quotidianità: dallo smartphone, alla smart tv. Quella società produceva un sistema operativo – Android, per l’appunto – che, a differenza di iOs di Apple, era open-source: ossia tutti potevano metterci le mani e adattarlo a proprio piacimento, creare applicazioni, giochi e servizi. E per di più gratis.

Google intuì il potenziale e per questo decise di facilitare il lavoro degli sviluppatori e mettere loro a disposizione gli strumenti per realizzare app in poco tempo utilizzando pacchetti preconfezionati da assemblare. Prendiamo il caso di TripAdvisor: per dirci che recensioni hanno i ristoranti intorno a noi si basa su un sistema di geolocalizzazione. Quanto tempo sarebbe stato necessario (e quanti soldi) per sviluppare la app se non avesse avuto la possibilità di utilizzare Google Maps, semplicemente prendendolo e inserendolo come elemento nel software?

Tutta quella serie di funzioni che prevedono l’utilizzo di cose come la geolocalizzazione; l’uso di email (Gmail), il caricamento di video (YouTube) e i pagamenti (Google Pay) va sotto il nome di Gsm Core. “Era un progetto pieno di buone intenzioni perché aiutava a far maturare l’ecosistema” dice Zou “e rendeva più rapido e facile lo sviluppo delle app”.

Non bisogna pensare che Google lo avesse creato per il bene dell’umanità: più device usavano Gms Core, più licenze si vendevano e più dati si controllavano. Ma a tutti andava bene così: dalle aziende (praticamente tutti i produttori di smartphone a eccezione di Apple, visto che Windows Mobile è destinato all’estinzione) all’utente finale.

Certo, qualcuno ha deciso di far da sé e stiamo parlando di colossi come Facebook, Amazon e Netflix che hanno le loro app (si chiamano Api) indipendentemente da Google. E questa è la ragione per cui, ad esempio, per loggarsi in Facebook serve una id di Facebook e non basta quella di Google).

Poi a maggio 2019 Donald Trump ha deciso di portarsi via il pallone, anche se il pallone non era suo. Ha impedito alle aziende Usa di fare affari con aziende cinesi incluse in una lista speciale (la ormai famigerata entity list) senza una esplicita autorizzazione della Casa Bianca.

Ma allora come mai Huawei e Honor possono continuare a usare Android? Perché è un servizio gratuito e non un prodotto in vendita. Microsoft, ad esempio, si è trovata tagliata fuori da milioni di computer di Huawei e Honor perché gli era proibito vendere loro le licenze di Windows, ma quando è stato chiaro che i cinesi erano pronti a invadere il mercato con i loro portatili funzionanti con sistema operativo Linux (un altro open-source, come Android) si è affrettata a fare lobbying pesante fino a ottenere l’autorizzazione della Casa Bianca a riprendere gli affari.

Perché Google non abbia fatto lo stesso (il Congresso è infiltrato fino alla cupola di lobbisti al soldo di Google, Facebook, Apple e vai dicendo) se lo chiedono anche i cinesi, ma tant’è: non si vede una soluzione all’orizzonte e per questo Huawei ha deciso di fare da sé.

Come? Tirando fuori dal portafogli 3 miliardi di dollari per incrementare Huawei Mobile Services (Hms) un insieme di applicazioni e servizi che faranno concorrenza a Gsm. Non un sistema operativo, però: sui device Huawei e Honor continuerà a girare Android finché gli Usa non troveranno il modo di impedirlo.

I cinesi hanno cominciato a fare scouting per arruolare tecnici (20 mila in sei mesi) e fornitori di servizi (in Italia, ad esempio, Giallozafferano, insieme con decine di altri partner che si divideranno uno stanziamento di 10 milioni di dollari) per sviluppare app per Hms, ossia in grado di funzionare su smartphone, tablet, sistemi per auto, tv, senza Gsm Core.

E cosa succederà se Trump tornerà sui propri passi e permetterà a Google di tornare a fare affari con Huawei? Niente: l’architettura che l’azienda sta sviluppando è in grado di gestire sia Hms che Gms, quindi di prendere il meglio di entrambi. E se invece la Casa Bianca riuscisse a impedire anche l’utilizzo di Android? Per quello a Shenzhen hanno già un piano b in fase avanzata e si chiama Harmony Os di cui però si sa ancora poco.

Ma che possibilità hanno degli smartphone senza YouTube, Maps, Gmail, di farsi largo in  un mercato già di per sé difficile come quello europeo? Poche probabilmente. Ma il punto sta proprio in questo: allungare lo sguardo oltre il ricco, ma pur sempre limitato, cortile europeo. Alle centinaia di milioni di clienti in Cina e Russia (dove già ora di Gms Core non sanno che farsene), ma anche India, Asia sudorientale e America Latina. Tutti posti in cui, presto o tardi, il braccio di ferro tecnologico può diventare ideologico e dove gli americani non hanno poi questo gran numero di fan.

Agi

Huawei lancerà uno smartphone da mille euro senza Android?

Nessun ritardo per la presentazione della nuova serie Huawei Mate 30, annunciata dal colosso di Shenzhen su Twitter il primo settembre. Sarà Monaco di Baviera, il 19 settembre, a ospitare l’evento di lancio del nuovo top di gamma cinese.

Non è però ancora chiaro se il sistema operativo Android sarà disponibile nel nuovo smartphone, a causa della scelta dell’amministrazione Trump – dello scorso maggio – di inserire Huawei nella ‘entity list’: l’elenco di aziende che per poter utilizzare prodotti americani (quindi tutti i software messi a punto da Google) solo dopo un’apposita autorizzazione del governo statunitense. I dubbi saranno sciolti solo nelle prossime settimane.

“Il caso Huawei Mate 30” dice Alessio Caprodossi, giornalista di tecnologia “ricorda quello dell’Honor 20. Anch’esso vittima del bando disposto dal governo Trump, al momento dell’evento di lancio – ritardato di diverse settimane – questo smartphone non è stato diffuso. Sbloccare questa situazione di stallo tra Usa e Cina è un passaggio obbligato. Questa querelle di lunga data, che incombe sulla testa dell’azienda cinese, non fa bene a nessuno”.

Ma perché Huawei si è ostinata a lanciare il suo top di gamma mentre il sistema operativo proprietario non è ancora veramente diffuso? “Rimandare l’operazione di lancio di settembre – osserva Alessio Jacona, freelance esperto nelle telecomunicazioni – sarebbe stato un segno di debolezza. Allo stesso tempo, diffondere un prodotto con una versione che non può beneficiare di Android, e quindi delle app di Google, Play Store, Google Maps può essere una scelta rischiosa”.

La futura serie Mate 30 sarà basata, molto probabilmente, sul nuovo processore Kirin 990 che Huawei dovrebbe annunciare a Berlino tra il 6 e l’11 settembre in occasione dell’IFA, la più importante fiera tecnologica al mondo.

Quando il nuovo smartphone uscirà nei mercati occidentali non è ancora noto. Huawei potrebbe concentrare inizialmente le vendite solo sul mercato cinese ed elaborare una strategia “internazionale” per prendere tempo e capire come commercializzare i nuovi dispositivi in assenza dei servizi e app Google. L’altra opzione sarebbe quella di utilizzare il proprio sistema operativo, HarmonyOS. Oppure, dal momento che Android è  una piattaforma open-source, la serie Mate 30 potrebbe utilizzare una versione senza licenza del sistema operativo americano. Tuttavia, senza i servizi Google integrati le vendite globali sarebbero compromesse.

“Huawei Mate 30 verrà lanciato a Monaco ma non sarà probabilmente distribuito subito sul mercato” dice Luca Annunziata, editor di StartupItalia “a mio avviso Huawei conta di ricevere in tempi brevi la licenza Android per questo telefono, e conta di iniziare la vendita molto presto con a bordo tutte le app Google. È solo una questione politica, basta una firma su un documento per ottenere la licenza da Google. Se poi la licenza non arrivasse, Huawei è la sola ad avere la forza sul mercato per proporre una alternativa concreta ad Android: ma non sarebbe una sfida facile”

Leggi anche: Perché Trump aveva cambiato idea su Huawei

La licenza temporanea che era stata concessa a Huawei a maggio, scaduta il 19 agosto e poi estesa per altri 90 giorni, si applica però solo ai prodotti esistenti. Quindi i nuovi modelli del marchio cinese – come la serie Huawei Mate 30 – potrebbero subire le conseguenze del blocco americano.  La nuova sospensione del bando, accordata fino al 19 novembre, non può coprire nuovi device, ma solo garantire aggiornamenti per quelli esistenti.

“I prodotti del colosso cinese già in circolazione”, aggiunge Antonio Monaco, di HdBlog, “Non hanno e probabilmente non avranno problemi nell’uso di Android per tutto il periodo dell’accordo (di 18 mesi) tra Google e Huawei, che è stretto al momento della certificazione della licenza del software americano”.

Tra i tanti punti interrogativi nella relazione Huawei-Android, pare che qualche certezza ci sia: “Si tratta di una questione puramente politica che ha poco a che vedere con le dinamiche tecnologiche” dice Andrea Andrei del Messaggero. “La Cina serve agli Usa per quanto riguarda le terre rare, senza i quali gli smartphone non esisterebbero. Dunque, soprattutto in ambito elettronico, queste due realtà non possono fare a meno l’una dell’altra. Rimane il fatto che lanciare un top di gamma, come Huawei Mate 30, con un software instabile o non rodato, commercialmente parlando, sarebbe un suicidio”.

Bisognerà attendere almeno metà settembre per avere qualche risposta sul futuro della relazione tra Huawei e Android. La partita, per ora, rimane aperta.

Agi

Dopo il fatto in casa, ecco il derivato di serie: cosa sapere su Emui 10 di Huawei

Due prodotti, la stessa filosofia. Dopo aver presentato il sistema operativo fatto in casa (HarmonyOS), Huawei ha lanciato la sua nuova versione di Android: Emui 10. Non è certo una sorpresa: il gruppo ha ribadito più volte che la collaborazione con Google (di cui Emui è figlio) è l’opzione preferita, tanto che HarmonyOS rivolge per il momento lo sguardo altrove (smart speaker e smartwatch).

Due strade, lo stesso orizzonte

In attesa che il quadro si schiarisca, Huawei procede lungo due tracce parallele. Non si toccano ma sono molto simili, come gli slogan con cui sono stati presentati i due sistemi operativi. Se HarmonyOS doveva rispondere a “un’esperienza intelligente su tutti i dispositivi e in ogni scenario”, la nuova versione di Emui punta a “permettere una ‘smart live’ in ogni scenario”. Praticamente la stessa cosa. Che sia un sistema operativo fatto in casa o derivato di Android, l’obiettivo di Huawei non cambia: si punta a far dialogare con meno attrito possibile più dispositivi. Il gruppo ha sottolineato in una nota che il futuro sarà caratterizzato da dispositivi intelligenti diversi e, di conseguenza, le loro applicazioni sono destinate a intersecarsi, se non a fondersi: “Gli utenti devono avere la stessa esperienza e l’accesso allo stesso servizio con qualsiasi dispositivo, indipendentemente da dove si trovino. Di conseguenza, gli sviluppatori devono affrontare grandi sfide nell’adattamento multi-dispositivo”.

Arriva la modalità “dark”

Oltre ai ritocchi grafici tipici di ogni nuova versione, la funzione che forse fa meglio cogliere questo aspetto riguarda chiamate e videochiamate, che potranno essere effettuate non solo da smartphone ma anche dagli altoparlanti intelligenti. Tra le funzionalità che ambiscono a un maggiore dialogo tra dispositivi c’è il mirroring. In pratica, quello che compare sul display dello smartphone sarà utilizzabile come fosse un pc, tramite collegamento wireless. Arriva, sull’onda della tendenza che la sta portando ovunque, anche la modalità “dark”, cioè scura per le ore notturne e per far riposare gli occhi. In attesa di testare il sistema operativo con mano, Emui 10 promette di essere più veloce rispetto al suo predecessore e di avere un consumo energetico inferiore. La versione beta sarà testata su P30 e P30 Pro dall’8 settembre. I primi smartphone Huawei ad arrivare in commercio con la nuova versione definitiva saranno i nuovi dispositivi della gamma Mate.

Un messaggio a Google (e a Trump)

La presentazione di Emui 10 è stata anche l’occasione per diffondere alcuni numeri: il sistema operativo di Huawei derivato da Android ha 500 milioni di utenti attivi ogni giorno, in 216 Paesi e in 77 lingue. Le statistiche mostrano tassi di aggiornamento del 79% per di Emui 8.0 e dell’84% per Emui 9.0. Gli utenti che aggiorneranno con la versione 10 dovrebbero essere circa 150 milioni. Informazioni come queste non sono un’anomalia. Nel contesto in cui vengono pronunciate, però, potrebbero essere un messaggio. Mezzo miliardo di utenti attivi vuol dire (al netto delle metriche differenti) avere un bella fetta dei 2,5 miliardi di dispositivi su cui gira Android (dato reso pubblico da Google lo scorso maggio). Non è un messaggio ostile, anche perché il nemico non è Mountain View (che dalla rottura con Huawei ci perderebbe). Il gruppo di Shenzhen ha parlato di “atteggiamento cooperativo e aperto”. Due aggettivi che si rivolgono agli sviluppatori, ma vanno dritti negli Stati Uniti.  

Agi

“La crescita Huawei rallenterà, ma il peggio è passato”

Huawei ha continuato a crescere anche dopo l’inserimento del gruppo nella black list da parte degli Stati Uniti ma nei prossimi mesi la corsa del gigante cinese potrebbe frenare. A sottolinearlo il presidente di Huawei Technologies, Liang Hua. “Viste le basi poste nella prima metà dell’anno, continuiamo a vedere una crescita anche dopo l’inserimento nell”entity list'”, ha spiegato.

“Questo – ha aggiunto – non vuol dire che non vediamo difficoltà di fronte a noi. Le vediamo e potrebbero influenzare il ritmo della nostra crescita nel breve termine”. Al tempo stesso Huawei continuerà a investire “come previsto” a partire dai circa 17,5 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo. “Supereremo queste sfide e siamo fiduciosi che Huawei entrerà una nuova fase di crescita dopo che il peggio è alle nostre spalle”, ha concluso Liang. 

Agi

Huawei investirà più di 3 miliardi di dollari in Italia

 

Huawei investirà 3,1 miliardi di dollari in Italia fra il 2019 e il 2021 di cui due terzi in acquisto di forniture da partner locali. L’annuncio di Thomas Miao, dato in occasione di un incontro con la stampa al Castello Sforzesco, segue di pochi mesi l’apertura del nuovo quartier generale italiano. L’amministratore delegato in Italia del colosso cinese ha annunciato un investimenti 1,2 miliardi di dollari in marketing e 52 milioni in ricerca e sviluppo con la creazione di tremila posti di lavoro: mille diretti e duemila indiretti.

“Solo da Stm (azienda che produce semiconduttori e componenti elettronici, ndr) abbiamo realizzato acquisti per 290 milioni e vogliamo crescere”, ha detto  Miao, convinto che in Italia l’azienda non avrà problemi derivanti da quelli innescati dal bando imposto dagli Stati Uniti, la cui sospensione scadrà il 19 agosto. Miao, ha citato le “politiche trasparenti e aperte” del governo: “Abbiamo un approccio sostenibile alla catena di forniture, con un piano A e un piano B: non importa se avremo le forniture americane, riusciremo comunque a garantire l’equipaggiamento”. Anche con i partner italiani è “business as usual”, ha aggiunto.

In ogni caso “aspettiamo buone notizie e speriamo di poter finalmente applicare il piano A perché il piano B è pensato per il peggior scenario e nessuno vuole lo scenario peggiore”.  “Voglio chiedere regole trasparenti, efficienti e giuste per il golden power sul 5G” ha detto, “Ora si applica solo ai fornitori non europei. Dovrebbe essere applicato a tutti perché la tecnologia è neutrale. Deve essere collegato a tutti gli attori per essere sicuri di avere dal primo giorno una rete sicura e affidabile. E’ una necessità per il Paese essere pronto prima del lancio”, ha aggiunto, spiegando che le regole sul tema non sono chiare e citando l’estensione del periodo di approvazione dei fornitori che “non rappresenta una semplificazione”.

Italia e Cina sono complementari dal punto di vista economico e saranno sempre più vicine, ha ancora detto Miao, “Sono due Paesi che da un punto di vista economico sono ben accoppiati. L’Italia ha bisogno della Cina e la Cina ha bisogno dell’Italia: da un punto di vista commerciale sono molto ottimista”. 

Huawei ha anche annunciato una collaborazione con l’Università di Pavia, con cui realizzerà il Microelectronics Innovation Lab, con un investimento di 1,7 milioni di dollari. II laboratorio sarà operativo a partire da settembre e impiegherà una quindicina di ricercatori, incluso personale di Huawei, presso locali all’interno dell’Università. “Il nuovo laboratorio opererà nel campo della microelettronica e delle tecnologie ad alta frequenza. Nello specifico, il Lab pavese, sotto la guida del professor Rinaldo Castello, si focalizzerà inizialmente sulla ricerca per lo sviluppo di nuove generazioni di dispositivi per applicazioni ottiche coerenti e non coerenti nelle tecnologie Cmos (Complementary Metal-Oxide Semiconductor) e FmFET (Fm-shaped Field Effect Transistor), con l’obiettivo di estendere, nel corso dei prossimi tre cinque anni, la ricerca all’innovazione tecnologica nel campo dei semiconduttori per applicazioni wireless nel contesto del 5G”, spiega una nota.

“Questa collaborazione con l’Università di Pavia è un’ulteriore conferma della centralità dell’Italia nella strategia globale di Huawei”, ha commentato Miao. “Vogliamo fornire nuove opportunità per favorire l’attrattività dell’Italia e frenare la cosiddetta ‘fuga dei cervelli’ che ha contribuito alla creazione del divario digitale oggi esistente con gli altri Paesi dell’Unione Europea”. 

Agi

Huawei continuerà a fornire aggiornamenti sicurezza e servizi sui suoi smartphone 

Huawei “ha apportato un contributo sostanziale allo sviluppo e alla crescita di Android in tutto il mondo” e “continuerà a fornire aggiornamenti di sicurezza e servizi post-vendita a tutti gli smartphone e tablet Huawei e Honor esistenti, sia quelli già venduti che ancora disponibili in tutto il mondo”. Il colosso cinese risponde così con un comunicato alla sospensione da parte di Google della licenza Android del produttore cinese dopo le limitazioni imposte dal governo statunitense.

“Come uno dei principali partner globali di Android – sottolinea Huawei – abbiamo lavorato a stretto contatto con la loro piattaforma open source per sviluppare un ecosistema che ha avvantaggiato sia gli utenti che l’industria”. E conclude: “Continueremo a costruire un ecosistema software sicuro e sostenibile al fine di fornire la migliore esperienza a tutti gli utenti a livello globale”. 

Agi

L’aspetto più preoccupante del report di Vodafone su Huawei, secondo un informatico che lo ha letto

“Ciò che è più strano, leggendo il report di Vodafone in cui si parla delle presunte backdoor di Huawei, è il fatto che la società le ha segnalate più volte: prima è stata rassicurata sul fatto che i bug fossero stati risolti, ma poi i bug sono ritornati. Un comportamento singolare, che rende questa questione un po’ diversa e difficile da interpretare”. Stefano Zanero, professore associato di Computer Security al Politecnico di Milano, è stato tra i pochi a leggere le carte del report di Vodafone diffuso in mattinata da Bloomberg.

Secondo l’agenzia, Vodafone ha trovato una backdoor su prodotti Huawei: vulnerabilità nascoste nel software che avrebbe potuto dare al gruppo cinese e a terze parti la possibilità di accedere, senza autorizzazioni, alla rete fissa di Vodafone in Italia. Zanero all’Agi spiega quello che ha compreso leggendo le carte. 

“La questione a mio avviso è semplice. Vodafone ha fatto dei test di sicurezza sugli equipaggiamenti forniti da Huawei e ha scoperto un servizio telnet (un protocollo di comunicazione delle reti internet, ndr) di cui non sapeva nulla. Era criptato da una password che non poteva essere cambiata. Ha chiesto chiarimenti a Huawei che, in un primo momento, ha detto di aver risolto il problema. Poi però il problema si è ripresentato. E alla seconda richiesta di soluzione del bug, Huawei avrebbe manifestato rimostranze. Ciò che è trovo più curioso è che lo stesso problema si sia presentato due volte”.

È questo, secondo Zanero, potrebbe autorizzare a pensare che si possa trattare di una ‘backdoor’, che nel linguaggio informatico indica una porta che consente l’accesso a dati della rete internet. Il bug è stato scoperto da un’analisi dei modem Vodafone station, ma la società in una nota ha detto che la vulnerabilità non avrebbe potuto in alcun modo dare accesso a Huawei alla rete della compagnia. Anche la società cinese ha commentato senza mezzi termini che “non c’è assolutamente nulla di vero nell’allusione a possibili backdoor nascoste negli apparati Huawei”.  

Parlare di backdoor è inutile, forse “sciocco”

In effetti, lo stesso Zanere ammette che definire le vulnerabilità scoperte delle backdoor è piuttosto complesso, se non inutile: “Bisognerebbe essere nella mente dello sviluppatore che ha creato quella porta per capire se è stato fatta per questioni di assistenza ai clienti oppure per accedere ai dati. Di certo è qualcosa che non doveva esserci. Posso pensare che l’intento possa essere quello di una backdoor se consideriamo che è stata prima individuata, poi tolta e  rimessa di nuovo. Detto questo, chiedersi se si tratta o meno di una backdoor è piuttosto sciocco: non si può mai sapere l’intenzione di chi la programma”.

Ma a quali dati si può accedere con una backdoor? “Ci sono due ordini di risposte: se la backdoor è nei device che uso, come un router o uno smartphone, ed è accessibile a terzi, potrebbe diventare un modo per intrufolarsi nella mia rete di casa e ottenere dei dati. Certo, può essere un problema per il signor Mario Rossi, ma è molto più grande se riguarda istituzioni, governi, aziende. Detto questo, se la vulnerabilità scoperta è quella descritta nel report, potrebbe avere un impatto anche sul singolo utente”.

Un fatto strano, però, è che questo report, che riguarda fatti del 2011 e 2012, sia spuntato solo oggi, mentre Huawei è al centro di un ampio dibattito tra i governi occidentali che temono ingerenze cinesi attraverso le sue tecnologie: “I dubbi su Huawei giù c’erano e non credo che il report cambi la percezione sulla società. Quello che colpisce di più invece è come questa questione è stata gestita da Vodafone, che ha tenuto questi problemi nascosti. Quello che trovo interessante è il rapporto tra le due società”. 

Non si tratta però di un problema isolato, o così poco frequente: “Il problema in sé è piuttosto diffuso, esistono bug, esistono backdoor, ma generalmente si individuano e si risolvono. Il problema vero qui è la sua ricorrenza”.

Una ‘specificità’ che può avere conseguenze sulla reputazione di Huawei, negli ultimi mesi al centro di polemiche proprio la presunta poca trasparenza delle sue reti: “Le polemiche sono intrise di questioni politiche e commerciali nelle quali è complesso orientarsi. Ma c’è un fatto: il 5G (che non è oggetto del report di Vodafone, ndr) sarà un elemento chiave della nostra vita digitale. E poi ci sarà il 6g. Si tratta di infrastrutture strategiche che pongono al centro della la questione del sovranità tecnologica. E l’Europa in questa partita non può essere solo un mercato”.

Twitter @arcangelo_

 

Agi

Wall Street: chiude in forte calo per il caso Huawei, DJ -2,2%, Nasdaq -3,1%

Wall Street ha chiuso in calo, con gli investitori preoccupati per le tensioni commerciali con la Cina, alla luce anche delle nuove informazioni sul caso Huawei. Il Dow Jones ha perso il 2,2% a 24.388,34 punti, il Nasdaq ha segnato -3,1% a 6.968,48 punti mentre l'S&P 500 ha ceduto il 2,3% a 2.633,42.

Le forti perdite hanno segnato la fine della peggiore settimana per la borsa americana da marzo. Sulla direttrice finanziaria di Huawei, Meng Wanzhou, pende un'incriminazione per frode negli Stati Uniti, i quali hanno fatto richiesta di estradizione. Meng è accusata di "cospirazione per truffare diverse istituzioni finanziarie" e rischia, in caso di condanna, una pena a oltre 30 anni di prigione. La donna, figlia del fondatore della Huawei, è sospettata di avere mentito alle banche per aggirare le sanzioni americane contro l'Iran.

Agi News