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Ancora guai per il Milan, ora Li Yonghong vuole fare causa a Fininvest

Li Yonghong passa al contrattacco. A poche ore dal “no” dell’Uefa al settlement agreement, il patron del Milan ha chiesto agli avvocati di Gianni Origoni Grippo Cappelli &Partners di studiare un’azione legale con Finivest. Lo rivela Milano Finanza.

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Nyon, dopo aver negato il voluntary agreement, ha bocciato anche il patteggiamento delle sanzioni relative alla violazione del Fair Play Finanziario per il periodo 2015-2017. Una decisione che rischia di incidere negativamente sul futuro del club rossonero: i giudici dell’Uefa, che si esprimeranno a metà giugno, hanno un ampio ventaglio di sanzioni da cui scegliere per punire il Milan: la più severa sarebbe l’esclusione dall’Europa League.

A pesare sulla bocciatura, le incertezze sul rifinanziamento del debito di 303 milioni contratto con il fondo americano Elliott. In sostanza: i dubbi sulla solidità finanziaria dell’imprenditore oggetto di numerose inchieste giornalistiche e di una inchiesta aperta dalla procura di Milano.

È così che Rossoneri Sport Investment del misterioso imprenditore cinese, ha incaricato lo studio legale di Milano di avviare “una valutazione dei profili di tutela del proprio investimento (740 milioni) nel Milan in caso di soccombenza nei confronti dell’Uefa”, scrive Milano Finanza. Allo studio le clausole del contratto firmato il 13 aprile dell’anno scorso con Fininvest.

“All’attenzione dei legali di Gop ci sono le garanzie che, secondo una prima interpretazione di parte, sarebbero state inserite nell’accordo relativo alla compravendita”. Nel ragionamento cinese, solo il bilancio del 2017 è opera della nuova gestione, mentre gli altri documenti finanziari, finiti nel mirino dei tecnici di Nyon, arrivano dalla precedente gestione targata Adriano Galliani.

Nessun commento trapela per il momento da Fininvest. Nel frattempo, scrive Repubblica, è stato convocato per venerdì 25 maggio un delicatissimo cda a Casa Milan: Li dovrà versare altri 10 milioni di euro per il previsto aumento di capitale. Se i soldi non arrivano, Elliott potrebbe subentrare in anticipo nella gestione societaria. 

Agi News

Nonostante i guai giudiziari, niente sembra fermare Samsung in Borsa (+40% in un anno)

L'autunno scorso era scoppiato l'affare Galaxy Note 7. A causa di un di difetto di fabbricazione della batteria, l'ultimo modello del dispositivo prendeva fuoco. Samsung è costretta a ritirare dal mercato il nuovo smartphone, che nel frattempo era stato bandito da tutte le aviolinee del mondo. A novembre fu la volta delle "lavatrici-bomba", modelli con caricamento dall'alto, venduti solo negli Stati Uniti, il cui oblò si staccava durante la centrifuga rischiando di colpire il proprietario con la forza di una palla di cannone.

Il febbraio successivo scattano invece le manette per l'erede dell'impero Samsung, Lee Jae-yong, ora condannato a cinque anni di carcere per il suo coinvolgimento nel caso della "sciamana", che ha portato alla destituzione della presidente Park Geun-hye. Abbastanza da far parlare a molti di un "annus horribilis" per il colosso di Seul. E invece non solo gli investitori hanno continuato a premiare il titolo ma negli ultimi dodici mesi il valore in borsa delle azioni Samsung ha guadagnato oltre il 40%, con un aumento della capitalizzazione di mercato del gruppo pari a 85 miliardi di dollari. A ricostruire l'andamento del titolo nel corso dell'ultimo anno è Quartz.

Una performance, sottolinea il portale americano, in linea con quella di Apple e superiore a quella di Facebook, Amazon e Alphabet. Nonostante traversie che avrebbero tagliato le gambe, almeno per un po', ad aziende altrettanto stabili. Come si spiega una simile impennata sui listini? La spiegazione sta nell'evoluzione del modello di business di Samsung, oggi più incentrato sulla produzione di componenti che di dispositivi. Il 'recall' del Note 7 sarà costato pure miliardi di dollari ma ha avuto un impatto assai inferiore di quello che avrebbe avuto su Apple un ipotetico iPhone che esplode. Nessuno produce componenti così sofisticati e allo stesso tempo così economici come quelli firmati Samsung. E gli investitori lo sanno bene.

Non solo gli smartphone sono sempre più lontani dall'essere l'unico 'core business' dell'azienda ma la componentistica non è l'unico settore nel quale Samsung è all'avanguardia. La conglomerata sudcoreana detta da tempo la linea in settori come le illuminazioni Oled ed è sempre più avanzata in altri più contesi come i semiconduttori. Nè c'è da temere che la condanna inflitta a Lee, per quanto un caso senza precedenti, macchi troppo l'immagine della società: i sudcoreani, ricorda Quartz, sono abituati a vedere stimatissimi top manager finire nella bufera. Si pensi alle disavventure legali che hanno coinvolto, negli ultimi mesi, un'altra grande dinastia imprenditoriale sudcoreana come i Lotte o al caso di Sk Group, legato a sua volta allo scandalo della "sciamana". 

Agi News