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L’inflazione sfiora il 9% e costa alle famiglie italiane più di 3.000 euro

AGI – Non si arresta la corsa dell’inflazione. A settembre, comunica l’Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, ha registrato un aumento dello 0,3% su base mensile e dell’8,9% su base annua (da +8,4% del mese precedente). Il dato tendenziale è il più alto da novembre 1985.

L’ulteriore accelerazione dell’inflazione su base tendenziale a settembre si deve soprattutto ai prezzi dei beni alimentari (la cui crescita passa da +10,1% di agosto a +11,5%) sia lavorati (da +10,4% a +11,7%) sia non lavorati (da +9,8% a +11,0%) e a quelli dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +4,6% a +5,7%).

Contribuiscono, in misura minore, anche i prezzi dei beni non durevoli (da +3,8% a +4,7%) e dei beni semidurevoli (da+2,3% a +2,8%). Pur rallentando di poco, continuano a crescere in misura molto ampia, i prezzi dei beni energetici (da +44,9% di agosto a +44,5%) sia regolamentati (da +47,9% a + 47,7%) sia non regolamentati (da +41,6% a +41,2%); decelerano anche i prezzi dei servizi relativi ai trasporti (da +8,4% a +7,2%). L'”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera da +4,4% a +5,0% e quella al netto dei soli beni energetici da +5,0% a +5,5%. 

Il cibo non costava così tanto da quasi 40 anni

Su base annua accelerano i prezzi dei beni (da +11,8% a +12,5%), mentre è sostanzialmente stabile la crescita di quelli dei servizi (da +3,8% a +3,9%); si amplia, quindi, il differenziale inflazionistico negativo tra questi ultimi e i prezzi dei beni (da -8,0 di agosto a -8,6 punti percentuali).

Accelerano, al top da luglio 1983, i prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +9,6% a +11,1%) – il cosiddetto ‘carrello della spesa’ – e quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +7,7% a +8,5%). L’aumento congiunturale dell’indice generale è dovuto prevalentemente ai prezzi dei Beni alimentari non lavorati (+2,0%), dei Beni semidurevoli (+1,0%), degli alimentari lavorati (+0,8%) e dei Beni durevoli (+0,6%) ed è in parte frenato dal calo dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (-4,2% dovuto per lo piu’ a fattori stagionali). L’inflazione acquisita per il 2022 e’ pari a +7,1% per l’indice generale e a +3,6% per la componente di fondo.

Secondo le stime preliminari, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) aumenta dell’1,7% su base mensile, anche per effetto della fine dei saldi estivi di cui il Nic non tiene conto, e del 9,5% su base annua (da +9,1% nel mese precedente). L’inflazione acquisita per il 2022 è pari a +7,1% per l’indice generale e a +3,6% per la componente di fondo.

La stangata e lo tsunami

“L’inflazione all’8,9% determina una stangata per gli italiani, considerata la totalità dei consumi di una famiglia ‘tipo’, pari a +2.734 euro, di cui 657 euro solo per la spesa alimentare, conto che sale a +3.551 euro annui per una famiglia con due figli” afferma il Codacons, commentando i dati diffusi dall’Istat. “Siamo di fronte a uno tsunami economico senza precedenti, e la crescita dei prezzi al dettaglio e’ destinata purtroppo ad aggravarsi nelle prossime settimane – spiega il presidente Carlo Rienzi – Il maxi-aumenti del 59% delle bollette elettriche che scatteranno dall’1 ottobre, e i nuovi incrementi del gas alle porte, spingeranno al rialzo l’inflazione, non potendo imprese, esercizi commerciali e attività produttive assorbire costi energetici così elevati, che saranno inevitabilmente scaricati sui listini al pubblico”.

“Il rischio è quello di un crollo verticale dei consumi delle famiglie negli ultimi mesi del 2022, con effetti a cascata sull’economia. Per tale motivo chiediamo al nuovo Governo di disporre subito il taglio dell’Iva sugli alimentari, che a settembre hanno registrato una impennata dell’11,8% con ripercussioni per +657 euro a famiglia, e sui generi di prima necessità, in modo da alleggerire la spesa delle famiglie e contenere gli effetti disastrosi dell’inflazione”, conclude Rienzi.

“Per cibo e bevande, decollati dell’11,8%, una famiglia pagherà in media 665 euro in più su base annua. Una batosta che sale a 907 euro per una coppia con 2 figli, 819 per una coppia con 1 figlio. Nel caso delle coppie con 3 figli, poi, si ha una mazzata record di 1.084 euro nei dodici mesi”.

Lo afferma l’Unione nazionale consumatori, secondo cui “un terremoto si sta abbattendo sulle famiglie, svuotando il loro conto in banca, visato che certo lo stipendio non può più bastare per arrivare a fine mese“. Secondo Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, “urge un nuovo bonus per le famiglie, ma deve essere almeno il triplo rispetto ai 200 euro del Governo Draghi, così da coprire quasi tutte le maggiori spese per mangiare e bere”. “Per quanto riguarda l’inflazione nel suo complesso, il +8,9% significa, per una coppia con due figli, una stangata complessiva, in termini di aumento del costo della vita, pari a 2.956 euro su base annua, di cui 1.211 per abitazione, elettricità e combustibili, 940 per il solo carrello della spesa.

Per una coppia con 1 figlio, la spesa aggiuntiva annua è pari a 2.738 euro. In media per una famiglia il rincaro è di 2.336 euro, 691 per il solo carrello della spesa. Il primato spetta ancora una volta alle famiglie numerose con più di 3 figli con una scoppola pari a 3.321 euro, 1.116 per i beni alimentari e per la cura della casa e della persona” conclude Dona.

 Secondo Assoutenti, le famiglie italiane dovranno affrontare un vero e proprio “dramma d’autunno”, con prezzi al dettaglio in forte ascesa e bollette alle stelle. “I prezzi hanno raggiunto i livelli piu’ alti degli ultimi 40 anni, e le previsioni per i prossimi mesi sono addirittura peggiori – spiega il presidente Furio Truzzi – I listini dei generi alimentari sono letteralmente esplosi, segnando a settembre una crescita del +11,8%: questo significa che una famiglia con due figli deve mettere in conto una maggiore spesa solo per il cibo pari a +883 euro su base annua (+657 euro la famiglia “tipo”)”.

“Con questi numeri una consistente fetta di popolazione sarà spinta verso la soglia di povertà, e ci saranno ripercussioni immediate sul fronte dei consumi – prosegue Truzzi – Una emergenza nazionale che il prossimo Governo dovrà affrontare con urgenza , perché i rischi economico-sociali sono elevatissimi e non c’è più un solo giorno da perdere”.

Il caro energia – dice la Coldiretti – investe consumatori e agricoltori che sono colpiti direttamente dall’aumento delle bollette ma anche indirettamente per l’impatto sui costi di produzione. Un trend che porta gli italiani a tagliare gli acquisti di frutta e verdura dell’11% in quantita’ nel 2022 rispetto allo scorso anno, su valori minimi da inizio secolo (secondo l’analisi della Coldiretti sulla base dei dati Cso Italy/Gfk Italia), aggravando una situazione che nel primo semestre del 2022 ha visto il consumo di frutta delle famiglie attestarsi a 2,6 milioni di tonnellate in quantità.

Gli italiani – precisa la Coldiretti – hanno ridotto del 16% le quantità di zucchine acquistate, del 12% i pomodori, del 9% le patate, del 7% le carote e del 4% le insalate, mentre per la frutta si registra addirittura un calo dell’8% per gli acquisti di arance, considerate unanimemente un elisir di lunga vita. Una situazione destinata ad avere un impatto sulle famiglie più deboli che riservano una quota rilevante del proprio reddito all’alimentazione. “Occorre lavorare per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali e alle speculazioni” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “bisogna intervenire subito per contenere il caro energia ed i costi di produzione con misure immediate per salvare aziende e stalle e strutturali per programmare il futuro. 


L’inflazione sfiora il 9% e costa alle famiglie italiane più di 3.000 euro

Sui conti correnti di famiglie e imprese 100 miliardi in più in solo un anno

AGI – Dopo il Covid, la guerra tra Russia e Ucraina continua a far crescere le riserve e i risparmi di famiglie e imprese italiane: da maggio 2021 a maggio 2022, il totale delle somme lasciate in banca dalla clientela privata è cresciuto di oltre 105 miliardi di euro. Il saldo totale dei conti correnti e dei depositi ammonta a 2.101 miliardi di euro in aumento di oltre il 5% rispetto ai 1.995 miliardi di un anno fa.

Le riserve delle famiglie sono cresciute dei oltre 48 miliardi arrivando a 1.178,8 miliardi complessivi (+4%), mentre quelle delle aziende sono salite di quasi 29 miliardi fino a quota 416 miliardi (+7%). Sono questi i dati principali di un’analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo la quale sui conti correnti ci sono quasi 100 miliardi in più. Il saldo complessivo è pari a 1.481 miliardi, in crescita dal 7% rispetto ai 1.384 miliardi di maggio 2021: su questa cifra pesano i rischi legati alla crescita costante dell’inflazione che riduce sensibilmente il potere d’acquisto dei risparmi infruttiferi.

“Per far ripartire i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese servirebbe fiducia, ma le tensioni nella maggioranza e l’ormai conclamata crisi di governo rappresentano un freno clamoroso per la ripresa e, allo stesso, favoriscono gli atteggiamenti conservativi. Ci stiamo avvitando in una spirale negativa e la prospettiva della recessione nel 2022, purtroppo, è sempre più realistica. Il decreto annunciato dal governo per la fine di luglio deve rappresentare una risposta concreta ai bisogni del Paese”, commenta il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi.

Secondo l’analisi di Unimpresa, che ha elaborato dati della Banca d’Italia, da maggio 2021 a maggio 2022 il totale delle riserve delle famiglie e delle aziende italiane è passato da 1.995,9 miliardi a 2.101,1 miliardi, in aumento di 105,1 miliardi (+5,27%) su base annua.

Nel dettaglio, sono cresciuti di 45,5 miliardi (+4,29%) da 1.130,3 miliardi a 1.170,8 miliardi i risparmi delle famiglie, mentre quelli delle aziende sono saliti di 28,9 miliardi (+7,47%), da 387,1 a 416,1 miliardi, i depositi delle imprese familiari sono aumentati di 8,8 miliardi (+11,33 %), da 78,1 a 86,9 miliardi. Su di 2,3 miliardi (+11,33%) i salvadanai delle onlus, saliti dai 32,9 miliardi della primavera 2021 ai 35,2 miliardi di maggio 2022, mentre sono aumentati di 41 milioni (+0,19%) i depositi degli enti di previdenza (da 21,42 miliardi a 21,46 miliardi).

La liquidità dei fondi d’investimento è salita di 16,8 miliardi (+5,24%), da 321,1 miliardi a 338,1 miliardi. L’incremento complessivo sarebbe stato ancora piu’ marcato se non fossero calate le riserve di due comparti: nel dettaglio, risultano in calo di 331 milioni (-1,48%) i depositi delle assicurazioni (da 16,4 miliardi a 16,1 miliardi) e di 43 milioni (-0,63%) quelli dei fondi pensione (da 8,38 miliardi a 8,32 miliardi).

Quanto all’analisi per strumento, la crescita delle riserve si deve per la quasi totalità ai 96,8 miliardi aggiuntivi (+7,00%) lasciati sui conti correnti, passati dai 1.384,4 miliardi di maggio 2021 ai 1.481,2 miliardi di maggio scorso.

L’altro strumento col saldo attivo è quello dei depositi rimborsabili, saliti di 1,8 miliardi (+0,59%) da 317,1 miliardi a 318,9 miliardi. In calo, invece, i depositi vincolati, scesi di 18,8 miliardi (-9,54%) da 197,3 miliardi a 178,5 miliardi: nel dettaglio, quelli con scadenza fino a 2 anni sono diminuiti di 9,9 miliardi (-24,30%) passati da 40,9 miliardi a 30,9 miliardi, mentre quelli con scadenza oltre due anni sono calati di 8,8 miliardi (-5,68%) da 156,4 miliardi a 147,5 miliardi.

In fortissimo incremento, invece, l’esposizione verso i pronti contro termine, salita complessivamente di 25,2 miliardi (+25,98%) da 97,1 miliardi a 122,3 miliardi. “I comportamenti delle famiglie e delle imprese, fotografabili dall’analisi per strumento, mettono in evidenza un atteggiamento orientato soprattutto alla massima prudenza. Se i cittadini proseguono nel frenare la spesa, le aziende continuano a congelare qualsiasi investimento di breve e medio periodo. Non solo: le scelte fatte dalle aziende e dalle famiglie portano alla luce, inoltre, la volonta’ di accumulare denaro con forme di deposito particolarmente liquido e, contestualmente, evidenziano la sensibile riduzione dei servizi bancari con vincoli di durata (per esempio, i depositi fino a 2 anni o oltre)”, osservano gli analisti del Centro studi di Unimpresa.


Sui conti correnti di famiglie e imprese 100 miliardi in più in solo un anno

Nell’anno del Covid il numero delle famiglie povere in Italia è salito a oltre due milioni 

AGI – Torna a cresce la povertà assoluta in Italia. Nel 2020, sono in condizione di povertà assoluta poco più di due milioni di famiglie, il 7,7% del totale, dal 6,4% del 2019, e oltre 5,6 milioni di individui (9,4% da 7,7%). Lo rileva l’Istat.

Il valore dell’intensità della povertà assoluta – che misura in termini percentuali quanto la spesa mensile delle famiglie povere è in media al di sotto della linea di povertà (cioè “quanto poveri sono i poveri”) – registra una riduzione (dal 20,3% al 18,7%) in tutte le ripartizioni geografiche.

Tale dinamica è frutto anche delle misure messe in campo a sostegno dei cittadini (reddito di cittadinanza, reddito di emergenza, estensione della Cassa integrazione guadagni, ecc.) che hanno consentito alle famiglie in difficoltà economica – sia quelle scivolate sotto la soglia di povertà nel 2020, sia quelle che erano già povere – di mantenere una spesa per consumi non molto distante dalla soglia di povertà.

Nel 2020, l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma più alta nel Mezzogiorno (9,4%, da 8,6%), ma la crescita più ampia si registra nel Nord dove la povertà familiare sale al 7,6% dal 5,8% del 2019.

Tale dinamica fa sì che, se nel 2019 le famiglie povere del nostro Paese erano distribuite quasi in egual misura al Nord (43,4%) e nel Mezzogiorno (42,2%), nel 2020 arrivano al 47% al Nord contro il 38,6% del Mezzogiorno, con una differenza in valore assoluto di 167mila famiglie.

Dopo il miglioramento del 2019 quindi, nell’anno della pandemia la povertà assoluta aumenta raggiungendo il livello più elevato dal 2005 (inizio delle serie storiche). Nel 2020, inoltre, la povertà assoluta in Italia colpisce 1,33 milioni di minori (il 13,5% rispetto al 9,4% degli individui a livello nazionale). L’incidenza varia dal 9,5% del Centro al 14,5% del Mezzogiorno.  Rispetto al 2019 le condizioni dei minori peggiorano a livello nazionale (da 11,4% a 13,5%) e in particolare al Nord (da 10,7% a 14,4%) e nel Centro (da 7,2% a 9,5%).

Disaggregando per età, l’incidenza si conferma più elevata nelle classi 7-13 anni (14,2%) e 14-17 anni (13,9%, in aumento) rispetto alle classi 4-6 anni (12,8%) e 0-3 anni (12,0%, in crescita rispetto al 2019). Le famiglie con minori in povertà assoluta sono oltre 767mila, con un’incidenza dell’11,9% (9,7% nel 2019).

La maggiore criticità di queste famiglie emerge anche in termini di intensità della povertà, con un valore pari al 21% contro il 18,7% del dato generale. Oltre a essere più spesso povere, le famiglie con minori sono anche in condizioni di disagio più marcato. Infine, quasi la metà delle famiglie povere vive in una casa in affitto.


Nell’anno del Covid il numero delle famiglie povere in Italia è salito a oltre due milioni 

La pandemia ha inciso sul reddito di 3 famiglie su 10 

AGI – L’impatto della pandemia sul reddito delle famiglie italiane è stato rilevante, ma si è distribuito in maniera diversa soprattutto in funzione delle restrizioni alle attività produttive imposte dalle misure di contenimento del contagio. Lo rileva il rapporto AGI/Censis dal titolo: “Il lavoro inibito: l’eredità dopo la pandemia”. Secondo la ricerca, in media 3 famiglie su 10 hanno subito una riduzione del reddito nel corso della pandemia.

Più precisamente, il 5,5% delle famiglie ha visto ridursi il reddito di più del 50% rispetto a prima della pandemia, il 9,1% ha dichiarato una riduzione tra il 25% e il 50%, il 16% una riduzione inferiore al 25%.

Lo studio mette in luce che il 43,2% dei lavoratori autonomi ha dichiarato invariato il proprio reddito rispetto a prima della pandemia, contro il 66,5% dei lavoratori dipendenti. Se si sommano le famiglie che hanno comunque riscontrato una perdita di reddito, quelle dei lavoratori dipendenti raggiungono il 27,9%, ma la percentuale raddoppia tra quelle dei lavoratori autonomi (54,7%). 

Secondo la ricerca, il “lavoro povero” in Italia, al netto della pandemia, riguardava quasi 3 milioni di occupati, di cui il 53,3% era rappresentato da uomini e il 46,7% da donne. La soglia sotto la quale è da considerare “povero” un lavoro è stata stabilita in 9 euro all’ora.

La dimensione di un reddito da lavoro insufficiente era, inoltre, riconducibile a oltre un milione di lavoratori con un’età compresa fra i 15 e i 29 anni e a circa 1,4 milioni con un’età fra i 30 e i 49 anni. Il 79% apparteneva alla categoria degli operai (2,3 milioni di occupati) e il 12,3% a quella dei dirigenti e degli impiegati. 

Ma quella del lavoro povero – fa notare la ricerca – non è l’unica dimensione da cui partire per meglio comprendere la psicologia collettiva che si sta formando intorno al lavoro nel post Covid. Un altro elemento che si trascina da tempo nell’ambito del lavoro dipendente è anche dato dalla progressiva polarizzazione del reddito da lavoro fra diversi settori e diverse categorie. La persistenza del gap retributivo che separa uomini e donne nell’occupazione è forse l’aspetto più macroscopico, ma non il solo.

Prendendo come riferimento la retribuzione lorda media oraria fissata a 14,04 euro nei settori industriale e terziario, la forbice fra le diverse componenti del lavoro mette in evidenza uno scarto negativo del 6,6% per le donne, del 13,9% per chi lavora a tempo determinato, del 16,2% per chi è inquadrato con una qualifica di operaio. Nel caso dell’apprendista la qualifica che per definizione segna l’ingresso nel mondo del lavoro da parte dei giovani il gap negativo raggiunge il 35,0%.


La pandemia ha inciso sul reddito di 3 famiglie su 10 

Biokat’s Diamond Care MultiCat Fresh Lettiera per Gatti con Carbone Attivo, appositamente sviluppata per Famiglie con più Gatti

Marca: Biokat’s

Caratteristiche:

  • Formula FreshLock 2 in 1 – La combinazione di carbone attivo e AromaProtect è stata appositamente studiata per le esigenze elevate di famiglie con più gatti.
  • Formazione di grumi – La grana fine è estremamente efficace e crea grumi particolarmente piatti che facilitano la pulizia della lettiera.
  • Carbone attivo – Realizzato con una materia prima rinnovabile, il carbone attivo contenuto garantisce un efficace assorbimento degli odori e del bagnato.
  • Contenuto della confezione – 1 sacco di lettiera da 8 litri Biokats Diamond Care Multi Cat Fresh al profumo di fiori di cotone; made in Germany.
  • Conservazione – Chiudere la confezione e conservare la lettiera in bentonite Biokat’s sempre in un luogo asciutto.

Dettagli: Descrizione prodotto Biokat’s Diamond Care MultiCat Fresh è un prodotto ideale e fatto su misura per le esigenze delle famiglie con più gatti. La caratteristica speciale di Diamond Care MultiCat fresh di Biokat’s è la formula 2 in 1 FreshLock Formula™, che assorbe totalmente gli odori sgradevoli nelle case con più gatti e garantisce una duratura freschezza. La sua composizione basata sull’unione di AromaProtect Formula e Carbone Attivo, garantisce la massima neutralizzazione del cattivo odore e allo stesso tempo rende la lettiera per gatti igienica e profumata di fresco. Il carbone attivo neutralizza ed assorbe in modo altamente efficace i cattivi odori. Si formano zolle stabili particolarmente facili da rimuovere. Diamond Care MultiCat fresh di Biokat’s non produce polvere. Di conseguenza, la lettiera è adatta anche ai gatti sensibili. Contenuto della confezione 1.


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Nuovo colpo alla fiducia di imprese e famiglie europee

AGI – L’aumento dei contagi da Covid e la conseguente stretta delle misure per arginare la seconda ondata del virus continuano a pesare sulla fiducia di consumatori e imprese. E l’assaggio di ripresa avuto a inizio autunno sembra ora allontanarsi.

I dati di oggi sull’Italia riflettono quelli di ieri di Germania e Francia, cui si aggiunge l’indice elaborato dall’Ifo su un’indagine mensile a 9.000 aziende tedesche, con il lapidario e inequivocabile commento del direttore dell’istituto Clemens Fuest: “La seconda ondata di coronavirus ha interrotto la ripresa economica in Germania”. Sulla stessa linea le osservazioni dell’Istat: “Il peggioramento dell’emergenza sanitaria ha influenzato la fiducia sia delle imprese sia dei consumatori”. 

Italia, cala la fiducia a novembre 

L’Istat stima a novembre una diminuzione sia dell’indice del clima di fiducia dei consumatori (da 101,7 a 98,1) sia dell’indice composito del clima di fiducia delle imprese, che cade da 92,2 a 82,8 per effetto soprattutto del forte peggioramento dei servizi di mercato.

Tutte le componenti del clima di fiducia dei consumatori sono in calo anche se con intensità differenziate. Il clima economico e il clima futuro registrano le flessioni maggiori, passando, rispettivamente, da 87,2 a 79,3 e da 104,0 a 98,8. Il clima personale scende da 106,4 a 104,7 e quello corrente diminuisce da 99,9 a 97,4. 

“Il peggioramento dell’emergenza sanitaria ha influenzato la fiducia sia delle imprese sia dei consumatori”: è il commento dell’Istat al calo della fiducia in entrambi i comparti a novembre. “Con riferimento alle imprese, l’impatto negativo è ampio per il settore dei servizi, dove si registrano giudizi estremamente negativi e una caduta delle aspettative, soprattutto nel comparto turistico”.

“Per l’industria e il commercio al dettaglio l’effetto è più contenuto. Per quanto attiene ai consumatori, la situazione emergenziale ha influito sulle opinioni relative alla situazione economica del Paese, ivi compresa la disoccupazione, che sono in deciso peggioramento rispetto al mese scorso”, aggiunge

Guardando alle imprese, aggiunge l’Istat, il peggioramento della fiducia è diffuso a tutti i settori: l’industria e il commercio al dettaglio registrano cali più contenuti mentre si evidenzia un crollo dell’indice relativo ai servizi di mercato. In particolare, nel settore manifatturiero l’indice scende da 94,7 a 90,2 e nelle costruzioni cala da 142,5 a 136,8.  Nel commercio al dettaglio l’indice diminuisce da 98,9 a 95,2 mentre nei servizi di mercato cade da 87,5 a 74,7.    

Germania, giù la fiducia di imprese e consumatori

La fiducia degli imprenditori tedeschi si è nuovamente indebolita a novembre a causa delle nuove restrizioni contro la seconda ondata di Covid-19, che hanno frenato fortemente la ripresa economica del Paese. L‘indice Ifo, elaborato su un’indagine mensile a 9.000 aziende tedesche, perde 1,8 punti a 90,7 punti in un mese.

“La seconda ondata di coronavirus ha interrotto la ripresa economica in Germania”, sintetizza Clemens Fuest, presidente dell’Ifo. L’indicatore aveva già perso 0,7 punti a ottobre, concludendo un rialzo ininterrotto da aprile.

È di ieri il dato sulla fiducia dei consumatori a dicembre: l’istituto Gfk stima un indicatore a -6,7 punti, in calo di 3,5 punti rispetto a novembre a sua volta rivisto a -3,2 punti dai calcolo dell’istituto indipendente. Gli analisti si aspettavano un arretramento più contenuto a – 5 punti. Solo una notevole riduzione dei contagi e una rimozione delle restrizioni potranno riportare “più ottimismo” commenta una nota dell’istituto.

Francia, fiducia consumatori ai minimi da due anni 

Anche i consumatori francesi sono più pessimisti a novembre. Secondo quanto reso noto dall’Insee, la fiducia a novembre è calata a quota 90, ai minimi dal dicembre del 2018, cioè dalla cosiddetta crisi dei Gilet gialli.  Rispetto a ottobre, l’indice calcolato dall’Insee perde 4 punti e scende a 90, al di sotto dei 94 punti attesi dagli analisti e della media di lungo termine di 100 punti.   

Oggi l’Insee ha rivisto al rialzo il rimbalzo dell’economia francese nel terzo trimestre, con il Pil che mostra un aumento del 18,7% contro il 18,2% stimato in precedenza. Tuttavia la crescita resta “del 3,9% al di sotto del livello del terzo trimestre 2019”, fanno notare dall’Istituto nazionale di statistica, che spiega la nuova lettura alla luce di una rivalutazione dei consumi delle famiglie e degli investimenti nei servizi. 

Agi

Nel 2020 la spesa delle famiglie è calata del 4% 

AGI – Nel 2019 la stima della spesa media mensile delle famiglie italiane è di 2.560 euro mensili in valori correnti, sostanzialmente invariata rispetto al 2018 (-0,4%) e sempre lontana dai livelli del 2011 (2.640 euro mensili), cui avevano fatto seguito due anni di forte contrazione non recuperata negli anni successivi. Lo rileva l’Istat in un report dedicato, sottolineando che le stime preliminari del primo trimestre 2020 “mostrano che le misure di contenimento della diffusione del Covid-19 hanno prodotto un calo di circa il 4% della spesa media mensile rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente”. In particolare, la marcata riduzione dell’offerta e della domanda commerciale al dettaglio ha determinato una flessione delle spese diverse da quelle per prodotti alimentari e per l’abitazione di oltre il 12% rispetto al primo trimestre 2019.

Il gap della spesa tra Nord e Sud è di 740 euro 

Nel 2019, anche se in lieve attenuazione, restano ampi i divari territoriali sul fronte delle spese per i consumi delle famiglie, rileva l’Istat, spiegando che nel Nord-ovest si spendono circa 740 euro in più (800 nel 2018) rispetto a Sud e Isole.

I livelli di spesa più elevati, e superiori alla media nazionale, continuano a registrarsi nel Nord-ovest (2.810 euro), nel Nord-est (2.790) e nel Centro (2.754 euro); più bassi, e inferiori alla media nazionale, nelle Isole (2.071 euro) e nel Sud (2.068 euro). Nel Sud e nelle Isole, dove le disponibilità economiche sono generalmente minori, a pesare di più sulla spesa delle famiglie sono le voci destinate al soddisfacimento dei bisogni primari quali, ad esempio, quelle per Alimentari e bevande analcoliche: rispetto alla media nazionale (18,1%), questa quota di spesa pesa il 23,3% nel Sud e il 21,4% nelle Isole mentre si ferma al 15,9% nel Nord-est. Nel Sud si registra tradizionalmente anche la quota di spesa più elevata per Bevande alcoliche e tabacchi rispetto al resto del Paese (mediamente pari, tra il 2014 e il 2019, al 2,2%, contro l’1,8% a livello nazionale); tuttavia, nel 2019 questa spesa scende nel Sud da 48 a 45 euro mensili (-6,8% rispetto al 2018), fondamentalmente a causa del calo della spesa per sigarette, che passa da 27 a 24 euro mensili, segnando dunque una contrazione del 9,8% rispetto all’anno precedente.

Le regioni più care

Le regioni con la spesa media mensile più elevata nel 2019 sono Trentino-Alto Adige (2.992 euro), Lombardia (2.965 euro) e Toscana (2.922); in particolare, nel Trentino-Alto Adige si registra, rispetto al resto del Paese, la quota di spesa più alta destinata a Servizi ricettivi e di ristorazione (6,8%; la media nazionale è 5,1%). Puglia e Calabria sono le regioni con la spesa più contenuta, rispettivamente 1.996 e 1.999 euro mensili, quasi mille euro in meno del Trentino-Alto Adige. In Puglia si osserva la quota più bassa destinata a Ricreazione, spettacoli e cultura (3,2%, contro una media nazionale del 5,0%) e in Calabria la quota più alta per Alimentari e bevande analcoliche (25,0%).

In città si spende di più

I livelli e la composizione della spesa variano a seconda della tipologia del comune di residenza. Anche nel 2019, nei comuni centro di area metropolitana le famiglie spendono di più: 2.909 euro mensili, +328 euro rispetto alle famiglie residenti nei comuni periferici delle aree metropolitane e in quelli con almeno 50mila abitanti (cioè il 12,7% in più, nel 2018 era l’8,6%) e +466 euro rispetto alle famiglie residenti nei comuni fino a 50mila abitanti che non appartengono alla cerchia periferica delle aree metropolitane (il 19,1% in più, nel 2018 era il 17,0%). Rispetto al 2018, i divari tra i comuni centro delle aree metropolitane e tutti gli altri comuni si sono dunque leggermente ampliati. Nei comuni centro di area metropolitana si registra anche nel 2019 la quota di spesa più bassa destinata ad Alimentari e bevande analcoliche (15,2%, contro il 19,2% dei comuni fino a 50mila abitanti che non appartengono alla cerchia periferica delle aree metropolitane); lo stesso vale per le quote di spesa destinate ad Abbigliamento e calzature (rispettivamente 3,7% e 4,8%) e Trasporti (9,3% contro 12,1%).

Al contrario, nei comuni centro di area metropolitana si registrano le quote più elevate di spesa per Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili (40,5%, molto sopra il dato medio nazionale, contro il 32,9% dei comuni fino a 50mila abitanti che non appartengono alla cerchia periferica delle aree metropolitane) e per Servizi ricettivi e di ristorazione (rispettivamente 5,4% e 4,9%). Le quote di spesa destinate alle altre tipologie di beni e servizi non registrano, invece, particolari differenze al variare del tipo di comune di residenza. 

Agi

Autostrade costruirà un nuovo ponte in 8 mesi e ha stanziato mezzo miliardo per le famiglie

La creazione di fondo da mezzo miliardo a disposizione delle famiglie delle vittime e di chi è stato colpito dal crollo di Genova e la costruzione un ponte in acciaio che, entro otto mesi, dovrà sostituire il Morandi. Sono le due iniziative che l'amministratore delegato di Autostrade per l'Italia ha annunciato durante la conferenza stampa sul disastro della vigilia di Ferragosto. 

"Realizzeremo un nuovo ponte. Otto i mesi che, gli studi ci dicono, servono tra demolizione e ricostruzione di una struttura in acciaio meno impattante per la Valpolcevera" ha annunciato Giovanni Castellucci. "Tutte le relazioni che avevamo ci mostravano uno stato di salute buono. Ma questo sarà oggetto di verifiche, perizie e dell'esame della magistratura. Tutti vogliamo sapere cosa è successo".

Come stanno gli altri ponti

Per quanto riguarda i lavori di manutenzione decisi la scorsa primavera "non erano con una procedura d'urgenza, ma ristretta. Perché le imprese che potevano partecipare a un intervento così complesso dovevano essere selezionate. Riguardava anche un altro pilone, non solo quello danneggiato. Era per allungare il tempo della vita utile del ponte. I ponti sulla nostra rete sono sicuri, ma ho chiesto a tutti di fare un'ulteriore analisi critica. Un eccesso di cautela in questo momento mi sembra giusto".

Il fondo

Autostrade ha esso a disposizione delle famiglie di chi è stato colpito dalla tragedia del Ponte Morandi un fondo da 500 milioni di euro che  saranno disponibili da lunedì. Le modalità di erogazione si sta studiando col Comune di Genova. Il costo fondo, ha assicurato, non ricadrà sugli utenti delle autostrade. "Dove si mette a bilancio il mezzo miliardo? E' un costo. Non c'è altro modo" ha detto spiegando che non si interverrà con aumenti sulle tariffe dei pedaggi.  

"Stiamo studiando" ha aggiunto Castellucci, "di liberalizzare il pedaggio per residenti e non, a partire da lunedì, nel tratto da Bolzaneto a Genova Ovest e da Prà a Genova aeroporto".

L'ipotesi dimissioni

Esclusa, al momento, l'ipotesi di una remissione del mandato. "La mia unica preoccupazione è aiutare a superare crisi di Genova e dell'azienda che ha colpito i nostri dipendenti. Il resto si vedrà successivamente" ha detto l'amministratore delegato.

Le scuse

Castellucci ha anche parlato di quelli che sono stati definiti dalla stampa i 'difetti di comunicazione' della società nei giorni del disastro. "Chiediamo scusa perché siamo stati percepiti distanti. Non siamo stati capaci di far sentire la nostra vicinanza alla città. Noi abbiamo lavorato a fianco delle istituzioni per trovare soluzioni per tutti. Noi continueremo a stare vicini a Genova perché sappiamo che dobbiamo dare tanto a questa città per farla uscire dalla situazione in cui si è trovata. Possiamo dare soluzioni veloci: ci faremo in quattro, in otto, in cento se sarà necessario, per dare risposte alle esigenze di Genova".

Agi News

Nel 2017 la spesa delle famiglie italiane è aumentata più del loro reddito 

Gli italiani nel 2017 hanno speso più di quanto hanno guadagnato, invertendo la rotta e dimostrandosi meno 'formiche' del passato. La spesa delle famiglie è cresciuta più del reddito: è scesa la propensione al risparmio ed è aumentato il potere d'acquisto (+0,6%) seppure "in rallentamento rispetto alle tendenze registrate nel biennio precedente".

È il quadro di sostanziali luci tratteggiato dall'Istat per il 2017. Notizie positive anche sul fronte del debito pubblico. Bankitalia ha registrato a febbraio un lieve calo: è diminuito di 0,1 miliardi, risultando pari a 2.286,5 miliardi.

Nel 2017, ha rilevato l'Istat nei Conti economici nazionali per settore istituzionale, le famiglie hanno aumentato la spesa per consumi finali (+2,5% in termini nominali) in misura superiore rispetto all'incremento del reddito disponibile (+1,7%); di conseguenza, la propensione al risparmio delle famiglie scende al 7,8% (-0,7 punti percentuali rispetto al 2016).

Per effetto dell'aumento dell'1,2% del deflatore dei consumi privati, la crescita del reddito disponibile corrisponde a un incremento del potere di acquisto delle famiglie dello 0,6%.

Il prelievo fiscale dovuto alle imposte sulla produzione e a quelle correnti e in conto capitale ha inciso sul reddito disponibile delle famiglie per il 16,2%, su quello delle società non finanziarie per il 23,8% e su quello delle società finanziarie per il 18,6%.

Le società finanziarie hanno registrato un miglioramento dell'accreditamento di 14 miliardi di euro rispetto al 2016, mentre per le società non finanziarie e per le famiglie c'è stato un peggioramento pari a, rispettivamente, 3 e 4 miliardi di euro.

L'indebitamento delle amministrazioni pubbliche si è ridotto di 1,9 miliardi di euro, con un saldo pari a -39,7 miliardi di euro. Il tasso di profitto delle società non finanziarie nel 2017 è sceso al 41,7% (-0,7 punti percentuali rispetto al 2016) e il tasso di investimento cresce al 21,1% (+0,9 punti percentuali).

Le società finanziarie hanno registrato una riduzione del valore aggiunto ai prezzi base (-1,4%).

Bankitalia ha rivisto al rialzo il dato sul debito pubblico italiano del 2017. Rispetto ai dati diffusi lo scorso 15 marzo, ha spiegato nel fascicolo 'Finanza pubblica, fabbisogno e debitò, il dato relativo al debito del 2017 è stato rivisto al rialzo di circa 7 miliardi, "principalmente a seguito dell'advice dell'Eurostat in merito al trattamento statistico dell'operazione di liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca".

A febbraio infine sono aumentate le entrate tributarie: sono state pari a 29,4 miliardi, in aumento di 1,5 miliardi rispetto a quelle rilevate nello stesso mese del 2017.

Agi News