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Storia della Gibson, e perché adesso rischia il fallimento 

Il celebre produttore di chitarre Gibson, i cui strumenti sono passati nelle mani, tra gli altri, di John Lennon ed Elvis Presley, rischia la bancarotta. L'azienda con sede a Nashville, nel Tennessee, che ha più di cento anni (Orville Gibson cominciò a costruire mandolini nel 1894 a Kalamazoo, in Michigan), ha accolto oggi il nuovo chief financial officer Benson Woo, che cercherà di salvarla dal mare di debiti in cui rischia di affogare.

La società ha contestualmente diffuso una nota in cui riferisce che Gibson Brands, che vende anche sistemi audio per il grande pubblico e per professionisti, sta "attualmente" lavorando con una banca per stabilire un piano di rifinanziamento del debito. Secondo il 'Nashville Post', il gruppo dovrà pagare 375 milioni di dollari entro inizio agosto, quando scadrà il prestito obbligazionario.

Oltre a questo, un prestito bancario di 145 milioni scadrà in tempi brevi, a meno che non venga rifinanziato prima del 23 luglio. "Stiamo monetizzando gli assett che non hanno raggiunto risultati soddisfacenti", ha spiegato l'ad Henry Juszkiewicz, "è importante tornare al successo economico, solo così potremo rifinanziare la società".

Secondo Juszkiewicz la sezione strumenti musicali è ancora in salute ma non produce guadagni al livello delle aspettative. Da qui la revisione completa del bilancio e della strategia del gruppo, nella speranza di "ripagare completamente i debiti nei prossimi anni". Tra le star le cui dita hanno accarezzato e fatto vibrare le corde delle Les Paul, le SG, le Flying V Gibson, ci sono B.B. King, Keith Richards (Rolling Stones), Jimmy Page (Led Zeppelin), Bob Marley, Carlos Santana e molti altri.

Storia della Gibson e della storica rivalità con la Fender

La Gibson Guitar Corporation nasce oltre 120 anni fa. C'è chi dice che senza la Gibson probabilmente non ci sarebbe stato il rock. L'azienda nasce a Kalamazoo, nel Michighan, poi alla fine degli anni Settanta si trasferisce a Nashville, nel Tennessee, uno dei Templi della musica Usa. Le sue fabbriche producono chitarre acustiche, violini, banjoo, ma la sua storia è legata soprattutto alla nascita della chitarra elettrica.

Nel 1952 sforna la mitica Gibson Les Paul, tuttora prodotta con forma, materiali ed elettronica sostanzialmente invariati rispetto al modello originale. La Les Paul e la Fender Stratocaster si contendono la palma delle chitarre più famose della storia del rock: sono rivali, un pò come i Beatles e i Rolling Stones. Si tratta di due chitarre completamente diverse: la Stratocaster ha un suono tagliente, ma anche dolce, versatile, con un inclinazione al blues, è considerata la Rolls Royce delle chitarre; la Les Paul ha un suono più pastoso e ricco di bassi, adatta al rock e alle sonorità più distorte, è come a una Ferrari. La prima è più classica, la seconda è più dura, cattiva, rabbiosa, molti grandi musicisti le hanno suonate entrambe.

I fan della Gibson, i fan della Fender

Tra i fan della Gibson, per citarne solo alcuni, ci sono: B. B. King, Paul McCartney e George Harrison dei Beatles, Neil Young, il grande Jimmy Page dei Led Zeppellin, Keith Richards e Ronnie Wood dei Rolling Stones, Carlos Santana, Edge degli U2, Pete Townshend, chitarrista degli Who, che la distrugge sul palco nel 1976, Bob Marley, che viene addirittura sepolto assieme alla sua Les Paul e a una bibbia.

La Stratocaster invece è passata per le mani di Bob Dylan, Jimi Hendrix, che la brucia sul palco nel 1967, Eric Clapton, Kurt Cobain, David Gilmour dei Pink Floyd. Le corde di queste due chitarre tracciano la colonna sonora di questi ultimi 60 anni di musica e la Gibson, che ora rischia di scomparire, è nettamente la più anziana delle due: oltre 120 anni di storia, contro i 60 della Fender, nata nel 1949.

Il fondatore della Gibson Corpopration è Orville Gibson, nato in un paesino dello Stato di New York, che si trasferisce giovanissimo in Michigan. A Kalamazoo, Gibson inizia a lavorare in un negozio di scarpe, poi come cameriere, ma il suo hobby è intagliare il legno per ricavarne mandolini, che crea in un'unica stanza, adibita a laboratorio e a negozio. è il 1894, Gibson è un autodidatta, non lavora secondo una tecnica acquisita, la sua manualità è un dono, che gli permette di creare chitarre acustiche e mandolini.

Nel 1902, fonda la Gibson Mandolin-Guitar Manufacturing Company, insieme con altri cinque investitori. Orville muore nel 1918, a 62 anni, lasciando l'azienda a un gruppo di abili impiegati. Tra questi c'è il musicista e ingegnere del suono, Lloyd Loar, il creatore, nel 1922, della L-5, considerata il primo esempio di chitarra acustica moderna. Negli anni Trenta l'azienda introduce la sua prima chitarra elettrica. La leggendaria Es-150 arriva nel 1936, diventa lo strumento del grande musicista jazz Charlie Christian e poi di Billy B. King. Ancora oggi molti jazzisti la considerano la migliore chitarra mai prodotta.

'Les Paul' e l'incidente che cambia la storia della musica

Ma il miracolo musicale deve ancora arrivare. Alla fine degli anni Quaranta Gibson ingaggia Lester William Polfuss, detto 'Les Paul', innovatore delle tecniche di registrazione, sperimentatore di strumenti musicali. Nel 1948, dopo aver suonato con i più bei nomi del jazz dell'epoca, Lestern è coinvolto in un gravissimo incidente stradale in cui si frantuma il braccio destro.

I chirurghi gli dicono che non avrebbe mai più avuto l'uso normale del braccio: il gomito sarebbe rimasto bloccato qualunque fosse la posizione che gli volevano dare. Les Paul chiede di fissarglielo piegato, in modo da poter continuare a suonare la chitarra. E così fu. Sperimentatore musicale di eccezionale talento, per l'azienda, Les Paul realizza nel 1939 la prima solid body, una chitarra che chiama The Log, il tronco: non più una cassa armonica vuota, ma piena, in modo da permettere alle corde una sonorità completamente diversa. è da considerarsi l'antesignana della chitarra elettrica.

Tuttavia è anche qualcosa di talmente rudimentale per gli artigiani liutai della Gibson, che il progetto viene messo da parte fino al 1950 quando Leo Fender presenta la sua Broadcaster, l'antenata della Stratocaster. A quel punto per la Gibson diventa importante avere la sua versione di una solid body, da contrapporre a quella dei concorrenti californiani e l'azienda, nel 1952, accogliendo i suggerimenti di Les Paul, progetta la `Gibson Les Paul, la chitarra diventata il simbolo del rock&roll.

Quattro sono i modelli in cui la chitarra viene prodotta: Junior, Special, Standard e Custom. Nel luglio del 2005, in occasione dei suoi 90 anni, la Carnegie Hall di New York riserva a Les Paul un concerto memorabile, al quale prendono parte molti virtuosi della chitarra come Josè Feliciano, Peter Frampton, Steve Miller. Al termine del concerto la Gibson Corporation dona al grande inventore una Les Paul nuova fiammante, fatta su misura. è uno degli ultimi momenti felici, poi arrivano i debiti, e adesso il fallimento incombente. 

Agi News

Borsalino dichiara fallimento. Cosa è successo ad un’azienda italiana icona di stile

La Borsalino, storica azienda alessandrina di cappelli, ha dichiarato fallimento. Il tribunale infatti ha respinto la richiesta di concordato della Haeres Equita srl, società dell'imprenditore svizzero Philippe Camperio, che gestisce l'azienda dopo l'affitto del ramo. A renderlo noto i sindacati, che nel pomeriggio di lunedì 18 dicembre incontreranno i curatori, Stefano Ambrosini e Paola Barisone, e i lavoratori. Dall'azienda, al momento, non è stata data nessuna comunicazione ufficiale, secondo quanto si apprende. Con la fine dell'azienda, diventata un'icona di stile italiano nel mondo, è forse utile ricordare la sua storia. L'ascesa, i modelli, la nascita dei problemi. 

"Creiamo lo stile delle nuove generazioni"

 "In passato creammo generazioni di stile. Oggi creiamo lo stile delle nuove generazioni". Alla Borsalino si usa dire così da 160 anni. Perché il cappello di feltro di Alain Delon e Al Capone è da sempre un'icona di stile. Un pezzo di Italia che ha letteralmente fatto la storia della moda e del cinema nel mondo. Ma la celebre fabbrica fondata da "u siur Pipennel 1857 oggi ha chiuso. Ma che cosa è successo alla Borsalino?

Un documentario di Enrica Viola al Torino Film Festival 2015 (Festa mobile). Storia di un cappello divenuto icona del cinema 

Il cappello sulla testa del finanziere d'assalto

Come spiegava nel 2015 Piero Bottino per la Stampa, l'azienda di cappelli è stata la plastica rappresentazione di come "una finanza d’assalto possa influenzare un’industria sana e profittevole". All’origine dei suoi guai c’è appunto un finanziere, l’astigiano Marco Marenco,  61 anni, ex "re del gas" imputato per la maxi bancarotta fraudolenta delle sue società, con danni complessivi per oltre 3 miliardi di euro per debiti non pagati con le banche e imposte e accise non versate all’Erario. Il maggiore crac in Italia dopo quello della Parmalat. 

Marenco, a detta degli investigatori, era un genio della matematica finanziaria. Ma per uno sfizio aveva deciso di acquistare anche il marchio di Alessandria, diversificando il suo castello di società dell'energia con un gioiellino della moda. Quando il crac viene alla luce, fra le quote di undici società a lui riconducibili e messe sotto sequestro c’è anche il 50,45% della Borsalino. Senza contare che il 17,47% del cappellificio è della Finind, altra società 'marenchiana' commissariata per bancarotta.

Il concordato preventivo

Il Cda della Borsalino (composto da Marco Moccia, Francesco Canepa, Raffaele Grimaldi) deve pagare i dipendenti e almeno in parte i fornitori. E decide di chiedere al tribunale di Alessandria il concordato preventivo, una procedura concorsuale a cui può ricorrere un debitore che si trovi in uno stato di crisi o di insolvenza. Si tratta di uno strumento giuridico che ha come obiettivo proprio quello di evitare la dichiarazione di fallimento attraverso un accordo destinato a portare a una soddisfazione anche parziale dei creditori. Il termine  “preventivo” deriva proprio da questa funzione: prevenire la più grave procedura fallimentare. Chi sceglie il concordato preventivo vuole arrivare a un risanamento o, comunque, intende proseguire l'attività dell'impresa.

Il 'cavaliere bianco' italo-svizzero

Per Borsalino il futuro non si prospetta roseo. Finché, come nelle migliori favole, arriva un 'cavaliere bianco': Philippe Camperio, imprenditore italo-svizzero che, alla guida di un 'collective' di investitori, decide di lanciarsi nell'impresa di salvataggio. La sua cordata viene scelta in seguito a una gara internazionale poiché appare la più adeguata a dare garanzie di continuità e subentra nel maggio 2015. Camperio affitta un ramo dell'azienda attraverso il fondo Haeres Equita e, al termine dell'iter previsto dalla legge, è destinato ad assumere il pieno controllo della Borsalino. 

L'alt del tribunale – Nel frattempo il cappellificio continua a macinare e le vendite non registrano contraccolpi. Anzi, le sventure finanziarie sembrano in qualche modo aver portato pubblicità. A ottobre l'azienda lancia il progetto itinerante del cappello su misura nelle diverse boutique del marchio. Finché arriva – come una doccia fredda – l'alt del tribunale di Alessandria. La decisione è dei giorni scorsi e, come precisa una fonte vicina a Camperio, non è legata alla gestione dell'italo-svizzero bensì a problemi tecnico-contabili relativi a quella precedente. Nel decreto del tribunale si parla anche di sospetti giri di capitali fino al 2012-2013 con società del bancarottiere Marenco. 

Nuovo concordato o ricorso in Cassazione? – Dire che l'azienda abbia fallito o sia a un passo dal fallimento non sarebbe corretto. Poiché nessuna istanza in tal senso è stata presentata. Ma il rischio di una chiusura esiste, anche se la volontà è – invece – quella di andare avanti e salvare lo storico marchio. Al momento ci sono diverse ipotesi al vaglio del board per uscire dall'impasse: si può ripresentare un altro concordato o fare una nuova ristrutturazione del debito. Oppure presentare ricorso in Cassazione contro la decisione del tribunale. Già allora il fallimento però rimaneva una strada più che possibile. 

Borsalino, un'icona di stile

Star di Hollywood e gangster, tutti pazzi per il feltro – I cappelli non sono tutti uguali. Un borsalino è per sempre. Al Capone e Humphrey Bogart, Alain Delon e Jean-Paul Belmondo (nel film Borsalino), Federico Fellini e Francois Mitterand, John Belushi e Michael Jackson: i buoni e cattivi che lo hanno indossato praticamente non si contano. Robert Redford addirittura scrisse una lettera a un ererde della famiglia Borsalino per avere il copricapo che indossava Mastroianni in "8 e 1/2": "Dear Vittorio, you may remember me…my name is Robert Redford”.

Il 'borsalino' è finito persino nel dizionario Treccani: "marchio registrato di un cappello floscio di feltro, per uomo, con cupola a tronco di cono e tesa di media larghezza, prodotto dalla fabbrica Borsalino".

 

 

'Siur Pipen' ruba il segreto della bombetta perfetta 

Giuseppe Borsalino, "u siur Pipen", classe 1834, forse non si aspettava tutto questo. Ma per avere la qualifica di Maestro Cappellaio aveva lavorato per lunghi 7 anni nel cappellificio Berteil in Rue du Temple a Parigi. Poi era tornato e aveva aperto il suo primo laboratorio in un cortile di via Schiavina ad Alessandria insieme al fratello Lazzaro. Ma non bastava.

Siur Pipen guardava all'estero, soprattutto all'Inghilterra: Denton, Stockport, Manchester, con quelle diavolo di macchine che avevano rivoluzionato il mestiere dei cappellai. Nel 1897 il maestro visita la fabbrica di Battersby a Londra. Qui "senza farsi vedere intinge il suo fazzoletto nella vasca della 'catramatura' e porta così in Italia il segreto inglese per la fabbricazione delle perfette bombette. La leggenda dice così. La storia ha fatto il resto.

Fino ad oggi – come informa il sito web dell'azienda – la Borsalino aveva dieci punti vendita monomarca di proprietà in Italia e uno a Parigi, oltre ad essere presente nelle boutique e negli stores di tutto il mondo: da Saks Fifth Avenue a Harrod's, da Galeries Lafayette a Printemps. 

Sfioccatura, soffiatura, imbastitura, pre-follatura, visitaggio, bagnaggio, follatura, assemblaggio, tintura, sbridaggio, apprettatura, informatura, pomiciatura, informatura di seconda, visitaggio, bridaggio e finissaggio: cinquanta passaggi produttivi e una media di sette settimane di lavoro per ogni copricapo. Un processo rigoroso tramandato di generazione in generazione dove si alternano macchine e mano dell'artigiano.

Probabilmente tutto questo con il fallimento di oggi è arrivato alla fine, chiudendo un'epoca. 

Agi News