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In Italia il tasso di disoccupazione al 9%, è tornato ai liveli pre Covid 

AGI – A dicembre il tasso di disoccupazione mensile nell’area Ocse è sceso per l’ottavo mese consecutivo al 5,4% a dicembre 2021, in calo dal 5,5% di novembre, portandolo ad appena 0,1 punti percentuali sopra il tasso pre-pandemico registrato a febbraio 2020.

Anche il numero di lavoratori disoccupati in tutta l’area OCSE ha continuato a scendere (di 0,7 milioni) raggiungendo 36,1 milioni, ancora 0,5 milioni sopra il livello pre-pandemico.

A dicembre (o nell’ultimo periodo disponibile), il tasso di disoccupazione è risultato sotto il livello pre-pandemico in Australia, Cile, Francia, Islanda, Italia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Portogallo, Spagna e Turchia

In particolare, nel nostro Paese il tasso è sceso al 9% dal 9,1% di novembre. 

Il tasso di disoccupazione nell’area Ocse è diminuito sia tra le donne (al 5,6%, dal 5,7% di novembre) che tra gli uomini (al 5,2%, dal 5,3%). È sceso a un ritmo più veloce tra i giovani tra i 15 e i 24 anni (all’11,5%, dall’11,8% di novembre), rispetto ai lavoratori in prima età e più anziani dai 25 anni in su (al 4,6%, dal 4,7%).

Nell’area dell’euro, il tasso di disoccupazione è anche diminuito per l’ottavo mese consecutivo a dicembre (al 7,0%, dal 7,1% di novembre), scendendo di 0,3 punti percentuali o più in Austria (al 4,9%, dal 5,2%), Grecia (al 12,7%, dal 13,3%), Lituania (al 5,6%, dal 6,0%), Portogallo (al 5,9%, dal 6,3%) e Spagna (al 13,0%, dal 13,4%), ma in aumento di 0,4 punti percentuali in Finlandia (al 7,2%, dal 6,8%).

Durante lo stesso mese, il tasso di disoccupazione tra i giovani nella zona euro è sceso di 0,5 punti percentuali (al 14,9%, dal 15,4%).

A dicembre, il tasso di disoccupazione è sceso di 0,3 punti percentuali o più in Australia (al 4,2%, dal 4,6% di novembre), Colombia (al 12,6%, dal 13,0%) e Stati Uniti (al 3,9%, dal 4,2%).

È diminuito di 0,1 punti percentuali in Canada (al 6,0%) e in Giappone (al 2,7%), ma è aumentato di 0,1 punti percentuali in Messico (al 3,9%) e di 0,7 punti percentuali in Corea (al 3,8%).

Dati più recenti mostrano che il tasso di disoccupazione è aumentato di 0,5 punti percentuali in Canada (al 6,5%) nel gennaio 2022 e di 0,1 punti percentuali negli Stati Uniti (al 4,0%).


In Italia il tasso di disoccupazione al 9%, è tornato ai liveli pre Covid 

L’Istat vede la disoccupazione in calo dal 2022, il Pil oltre le aspettative a +4,7% 

AGI – Il 2021 porterà una crescita dell’occupazione del 4,5% di pari passi con quella del Pil che è stimata al 4,7%, uno 0,3% in più rispetto a quanto stimato nel Def: è la previsione dell’Istat che nelle prospettive per l’economia italiana sottolinea che la disoccupazione calerà dal 2022 e che nei prossimi mesi “dovrebbero continuare a prevalere spinte inflattive”. 

L’occupazione

L’evoluzione dell’occupazione,misurata in termini di Ula (Unita’ di lavoro), “sarà in linea con quella del Pil, con una accelerazione nel 2021 (+4,5%) e un aumento nel 2022 (+4,1%)”. L’andamento del tasso di disoccupazione rifletterà invece “la progressiva normalizzazione del mercato del lavoro con un aumento nell’anno corrente (9,8%) e un lieve calo nel 2022 (9,6%)”.

Il Pil

L’Istat prevede “una sostenuta crescita” del Pil italiano sia nel 2021 (+4,7%) sia nel 2022(+4,4%). E’ quanto indica l’Istituto di statistica nelle prospettive per l’economia italiana nel 2021-22, in cui si evidenzia “un consolidamento del processo di ripresa dell’attività economica con una intensità crescente nei prossimi mesi”. Lo scenario, sottolinea, “incorpora gli effetti della progressiva introduzione degli interventi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza”. Si tratta di numeri migliori rispetto a quanto indicato dal governo nel Def meno di due mesi fa, quando si prevedeva per il 2021 una crescita del 4,5%.

L’inflazione

“Nei prossimi mesi dovrebbero continuare a prevalere spinte inflattive”, sottolinea l’Istat. “Oltre alle tendenze al rialzo che caratterizzano al momento i prezzi nelle fasi a monte della distribuzione finale, alla produzione e soprattutto all’importazione, un contributo determinante sarà fornito dalla ripresa dei costi energetici cui dovrebbe aggiungersi l’apporto inflazionistico proveniente dalla componente dei servizi” spiega l’istituto di statistica.Nella media del 2021, il tasso di variazione del deflatore della spesa delle famiglie è previsto crescere (+1,3%, -0,2% nel 2020) mentre il deflatore del Pil segnerà un incremento più contenuto (+0,9%, 3 decimi in meno rispetto al 2020). Sotto l’ipotesi che le pressioni al rialzo dei prezzi delle materie prime assumano caratteristiche transitorie e che ci sia una stabilizzazione delle quotazioni del petrolio e del cambio, nel prossimo.

Cosa trainerà la crescita

Nel 2021, spiega l’Istat, il Pil verrà trainato dalla domanda interna che, al netto delle scorte, contribuirebbe positivamente per 4,6 punti percentuali; la domanda estera netta fornirebbe un limitato apporto positivo (+0,1 punti percentuali) mentre quello delle scorte sarebbe nullo in entrambi gli anni di previsione. “La fase espansiva dell’economia italiana è prevista estendersi anche al 2022 quando, verosimilmente, l’attuazione delle misure previste nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) dovrebbe fornire uno stimolo più intenso” sostiene l’Istat. Nel 2022, il Pil è previsto aumentare (+4,4%) sostenuto ancora dal deciso contributo della domanda interna al netto delle scorte (per 4,5 punti percentuali) mentre la domanda estera netta fornirebbe un marginale contributo negativo (per -0,1 punti percentuali).


L’Istat vede la disoccupazione in calo dal 2022, il Pil oltre le aspettative a +4,7% 

Più occupati a novembre, la disoccupazione cala all’8,9%

AGI – Arrivano segnali positivi dal mercato del lavoro a novembre. Secondo gli ultimi i dati Istat, dopo la sostanziale stabilità di ottobre, il numero degli occupati è tornato a crescere (+63.000 unità), mentre il tasso di disoccupazione, cioè il numero di persone che cercano un impiego e non lo trovano sul totale della forza lavoro, è calato all’8,9% (-0,6 punti) e al 29,5% se si guarda alla sola disoccupazione giovanile (-0,4 punti).    

Il dato sugli occupati resta tuttavia in netto calo rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (-390.000), anche se comunque ci sono segnali di miglioramento complessivi: la crescita dell’occupazione a novembre riguarda entrambe le componenti di genere, i dipendenti a tempo indeterminato, gli autonomi e tutte le classi d’età ad eccezione dei 25-34enni che, insieme ai dipendenti a termine, segnano una riduzione.

In particolare, tra i dipendenti sale il numero di quelli a tempo indeterminato (+73 mila) e cala quello dei contratti a termine (-40 mila), mentre è ancora in vigore il blocco dei licenziamenti. Inoltre, gli occupati over50 crescono di 130 mila unità “per effetto della componente demografica”, sottolinea l’istituto. Nel complesso il tasso di occupazione sale al 58,3% (+0,2 punti).

Il livello dell’occupazione tra settembre e novembre 2020 è superiore dello 0,6% a quello del trimestre precedente (giugno-agosto 2020), con un aumento di +127 mila unità. Nel trimestre cala il numero delle persone in cerca di occupazione (-2,8%, pari a -67 mila).     

Per il quarto mese consecutivo poi, continua l’Istat, con maggiore intensità, la diminuzione del numero di disoccupati, che porta il tasso sotto il 9%. Allo stesso tempo cresce il numero di inattivi, coloro che non hanno un impiego e non lo cercano. A novembre, il numero sale (+0,5%, pari a +73 mila unità) tra le donne, gli uomini, i 25-49enni e gli over65, mentre diminuisce tra 15-24enni e 50-64enni. Il tasso di inattività cresce al 35,8% (+0,2 punti).    

Rispetto a febbraio, i livelli di occupazione e disoccupazione sono inferiori rispettivamente di 300 mila e di oltre 170 mila unità, mentre l’inattività è superiore di quasi 340 mila unità. Sempre rispetto a febbraio, il tasso di occupazione è più basso di 0,6 punti percentuali e quello di disoccupazione torna invece a essere inferiore di 0,5 punti.     

Nel frattempo, sempre l’Istat oggi ha evidenziato nel III trimestre un balzo del reddito delle famiglie e del loro potere d’acquisto, dopo il forte calo registrato nel secondo trimestre legato alle restrizioni per arginare i contagi da Covid, “raggiungendo livelli di poco inferiori a quelli del terzo trimestre del 2019”. 

Nel dettaglio, il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è aumentato del 6,3% rispetto al trimestre precedente, mentre la spesa per consumi finali delle famiglie è cresciuta del 12,1%. Di conseguenza, la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è stata pari al 14,6%, in diminuzione di 4,4 punti percentuali rispetto al trimestre precedente, ma in crescita di 6,5 punti rispetto al terzo trimestre del 2019.

“Il marcato recupero dei consumi nel terzo trimestre – osserva l’istituto – ha determinato una sensibile riduzione del tasso di risparmio che rimane comunque a livelli molto superiori a quelli medi”. A fronte di una variazione del -0,3% del deflatore implicito dei consumi, il potere d’acquisto delle famiglie è cresciuto rispetto al trimestre precedente del 6,6%. 

Nel III trimestre del 2020, inoltre, la pressione fiscale è stata pari al 39,3%, in riduzione di 0,4 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nei primi nove mesi dell’anno la pressione fiscale si attesta al 39,9% del Pil, in aumento di 0,5 punti percentuali rispetto al 39,4 del 2019, per la minore flessione delle entrate fiscali e contributive (-7,5%) rispetto a quella del Pil a prezzi correnti (-8,7%).      

Sul fronte dei conti pubblici, infine, l’Istat ha sottolineato che nel III trimestre 2020 il rapporto deficit/Pil è balzato al 9,4% dal 2,2% nello stesso trimestre del 2019. “In termini assoluti – ha osservato l’istituto nel commento – il peggioramento dei saldi è dovuto sia alla riduzione delle entrate, sia al consistente aumento delle uscite, dovuto alle misure di sostegno introdotte per contrastare gli effetti dell’emergenza economica e sanitaria su famiglie e imprese”.


Più occupati a novembre, la disoccupazione cala all’8,9%

In Usa i sussidi settimanali di disoccupazione volano di oltre 3,2 milioni

 I sussidi di disoccupazione negli Usa nella settimana conclusa lo scorso 12 marzo volano a 3.283.000 di unità, oltre 3 milioni di unità piu’ della precedente settimana, per l’impatto della crisi del coronavirus. Gli analisti si aspettavano un’ascesa al livello record di un milione di unità, più del precedente record di 700.000 unità registrato nel 1982 quando gli Stati Uniti stavano in recessione. Molti analisti, tuttavia, hanno pronosticato tra 1 milione e 4 milioni, a dimostrazione dell’estrema incertezza e della mancanza di riferimenti storici per comprendere veramente l’impatto di questa crisi unica che colpisce l’economia. 

Agi

L’industria dei videogiochi combatte la disoccupazione. Ma l’Italia non lo ha capito

Sono lontani i tempi in cui i videogiochi erano solo un passatempo per bambini e adolescenti che trascorrevano le ore chiusi in camera. “Oggi il videogame è una cosa seria. Lo dicono i numeri: il settore genera un fatturato globale di circa 100 miliardi di euro. Ma l’Italia – che si attesta sul miliardo all’anno – non ne ha ancora compreso le potenzialità”.

Ne è convinto Raffaele Galante, co-fondatore, insieme a suo fratello Abramo, di Digital Bros: il gruppo multinazionale “nato e cresciuto” in Italia, ma che opera nel settore dei videogiochi a 360 gradi. L’ultimo colpo messo a segno è “Last day of June” di Ovosonico, il videogioco romantico che tocca temi come dolore e morte e che fa commuovere.  “In fatto di idee e creatività noi italiani non siamo secondi a nessuno”, commenta Galante.

“Se riuscissimo a creare un’industria di produzione – e non solo di consumo – potremmo dare un contributo notevole alla lotta alla disoccupazione giovanile”. Fantascienza? Niente affatto, sostiene Galante, che lavora quotidianamente con il mercato estero attraverso i suoi vari uffici. “Le società di sviluppo, le startup non sono sostenute dalle istituzioni come accade ad esempio in Canada, in Scandinavia, in Israele. Ma anche in Polonia”. Eppure molte di loro sono destinate ad acquisire un valore enorme, senza contare si tratta di realtà che “danno occupazione a centinaia di migliaia di giovani”.

Supercell deve fare scuola

A testimonianza della sua tesi, Galante cita come esempio virtuoso Supercell, azienda finlandese produttrice di videogiochi, fondata nel 2010 ad Helsinki, in Finlandia. E se il nome non vi dice nulla, vi basti sapere che è la casa madre di “Clash of Clans”, “Hay Day”, “Boom Beach” e “Clash Royale”. Prodotti che hanno riscosso un notevole successo, consentendo all'azienda di ricavare circa 3 milioni di dollari  al giorno nel 2014. A ottobre 2013 la compagnia giapponese GungHo Online Entertainment e la SoftBlank, fiutando il potenziale di Supercell, hanno acquistato il 51% dell'azienda investendo 2,1 miliardi di dollari. Nel 2016, la società è stata acquisita dai cinesi di Tencent Holdings, (già proprietaria di WeChat) per 8,6 miliardi di dollari.

Digital Bros, una storia di successo

Quella di Digital Bros è una storia di successo tutta italiana. Il gruppo nasce come Halifax nel 1989, impegnato unicamente nella distribuzione in Italia dei titoli di alcuni dei principali publisher al mondo. “Piano piano ci siamo evoluti, rappresentando alcuni dei più prestigiosi editori al mondo”. Se gli italiani hanno conosciuto e si sono appassionati a “Tomb Raider”, “Pro Evolution Soccer” e “Resident Evil”, il merito è della Digital Bros. “Abbiamo portato in Italia tre grandi brand che hanno fatto la storia dei videogame”.

Se riuscissimo a creare un’industria di produzione – e non solo di consumo – potremmo dare un contributo notevole alla lotta alla disoccupazione giovanile

Il vero balzo per la società è arrivato nel 2000 quando si è quotata in Borsa. “Avevamo un intento ben preciso: trasformarci da distributori a società che rappresenta sviluppatori, e addirittura fare noi stessi da editori a livello nazionale e internazionale”. Da dove iniziare? “Abbiamo aperto il primo ufficio in Inghilterra che allora rappresentava il crocevia europeo del mercato dei videogame”. Poi sono arrivati gli altri uffici.

Nel 2007 il gruppo fa un altro salto: “Era nato il digitale e noi ci siamo preparati allo switch. Tre anni dopo abbiamo adottato la strategia del ‘retail+digitaliazzazione’. In pratica, il consumatore entrava in un sistema che gli permetteva di aggiornare il gioco in continuazione con contenuti aggiuntivi. Si entrava in un rapporto costante con ii videogame e con i giocatori che entravano a far parte di una community”

Oggi Digital Bros opera nel settore a 360 gradi, diventando un Gruppo globale – con uffici in Cina, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Spagna e Germania e oltre 260 dipendenti al mondo – ed è impegnato nella creazione, produzione e distribuzione di contenuti di intrattenimento digitale. Da qualche tempo Digital Bros stringe partnership importanti con alcuni tra i principali studi di sviluppatori italiani, come Ovosonico o Kunos Simulazioni, che il Gruppo ha acquisito alcuni mesi fa, ed esporta all’estero le sue proprietà Intellettuali, giochi originali creati e sviluppati in Italia. “Entrambi ci hanno colpito moltissimo. Il primo per la loro creatività e talento, il secondo per le competenze nell’automotive e nel settore delle simulazioni”.

In aggiunta, Digital Bros ha anche lanciato una scuola di formazione per quanti vogliono entrare nel mercato dei videogiochi, la Digital Bros Game Academy. Con sede a Milano, l’Academy unisce alla formazione teorica testimonianze di esponenti del settore, project work pratici e anche supporto. In questo senso, “lavoriamo come talent scout. L’Accademia ha l’obiettivo di formare i talenti del futuro”. E magari evitare che fuggano all’estero dove “trovano incarichi importanti nelle società più importanti”.

“Abbiamo una richiesta elevatissima, ma possiamo ammetterne solo una settantina per problemi legati alla capienza dell’edificio”. “Cosa cerchiamo? Quella persona in gradi di lavorare in team, fare squadra, ma anche andare oltre e lasciarsi andare all’intuito”. Agli studenti suggeriamo di essere “coraggiosi e creativi”. Dalla loro, i ragazzi hanno un background culturale di tutto rispetto: “Il nostro Dna gioca un ruolo fondamentale anche nell’industria dei videogiochi. La storia, la cultura possono dare un grossissimo apporto. Le idee possono venire anche da li e, in fatto di idee non siamo secondi a nessuno”.  

Il mercato dei videogiochi in Italia, in numeri

Quanto vale il mercato dei videogiochi in Italia? E quanti sono i consumatori? Ecco tutti i dati pubblicati nel rapporto annuale dell’Associazione editori sviluppatori videogiochi italiani (Aesvi).

Mercato

  • Fatturato del Mercato Videogiochi in Italia 2016: oltre 1 Miliardo di Euro (€ 1.029.928.287) +8,2% rispetto all’anno precedente
  • Incremento vendite software: +11,9% rispetto all’anno precedente
  • Percentuale vendite software su fatturato complessivo: 61,8% oltre 600 milioni di Euro (€ 636.908.554)
  • Software fisico: 54% -1,1% rispetto all’anno precedente (€ 346.222.859)
  • Software digitale: 46% +32,8% rispetto all’anno precedente (€ 290.685.694)
  • Incremento vendite console: +2,3% rispetto all’anno precedente
  • Incremento vendite accessori (pad, T2L, VR devices, etc) : +3,7%

Consumatori

Distribuzione per genere: 50% Maschi – 50% Femmine

Distribuzione per età:

14-17 anni :7,2%

18-24 anni: 12,9%

25-34 anni: 18,4%

35-44 anni: 22,4%

45-54 anni: 20,6%

55-64 anni: 10,7 %

Over 65: 7,9 %

Segmento età predominante: Tra i 25 e 55 anni (61,4%)

 

 

 

 

 

Agi News

Aumenta l’occupazione, ma anche la disoccupazione. Le analisi dei media

Gli ultimi dati Istat dicono che a luglio gli occupati in Italia superano i 23 milioni, mai così tanti dal 2008, prima della crisi. Ecco la notizia positiva. Quella negativa è che la disoccupazione sale all’11,3%, aumentano le donne senza lavoro e i giovani disoccupati sono il 35,5%. Queste sono le due facce della medaglia fotografate da tutti i giornali che mettono sì in evidenza il dato dell’occupazione, ma non dimenticano di sottolineare che il percorso è ancora in salita.

Ma l'occupazione migliora o no?

Il Corriere della Sera titola “Istat, la disoccupazione sale al 11,3% ma gli occupati superano i 23 milioni: mai così tanti dal 2008, prima della crisi”, ricordando nell’occhiello che “A luglio, secondo i dati Istat, la stima degli occupati cresce dello 0,3% rispetto a giugno (+59 mila). Cala il numero di chi non cerca un lavoro. I nuovi occupati sono uomini, aumentano invece le donne senza lavoro. I giovani disoccupati sono il 35,5%”. Come si legge nell’articolo, “resta confermata, prosegue l’Istat, “la persistenza della fase di espansione occupazionale”, con la stima degli occupati che a luglio cresce dello 0,3% rispetto a giugno, pari a 59 mila unità”.

Ancora più diretto il titolo de Il Foglio, che scrive: “L'Italia riparte, gli occupati tornano ai livelli del 2008. Negli ultimi due mesi superata quota 23 milioni, non succedeva da nove anni. A luglio cresce ancora il tasso di occupazione. E il crollo degli inattivi fa salire la disoccupazione”. Come ricorda il quotidiano, “era dal 2008, prima dell'inizio della crisi, che l'Italia non superava i 23 milioni di occupati. Lo ha fatto quest'anno o meglio, lo ha fatto negli ultimi due mesi (giugno e luglio) censiti dall'Istat. Infatti anche a luglio, secondo i dati provvisori forniti dall'istituto di statistica, la stima degli occupati è cresciuta dello 0,3 per cento rispetto a giugno. Si tratta di 59 mila unità in più che portano il tasso di occupazione al 58 per cento (+0,1 per cento)”.

L’Huffington Post parla di “boom degli occupati, mai così numerosi dal 2008”. E riporta le reazioni politiche, da Renzi che esulta – “merito del Jobs Act” – a Gentiloni, più cauto – "Ancora molto da fare, effetti positivi dal Jobs act"Anche il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, indica in un’intervista alla Rai che “c'è la ripresa, lo dicono tutti i dati, dal Pil all'occupazione, alla fiducia. Quindi si sta consolidando un quadro di ripresa che da ciclica deve diventare strutturale e il Governo continua a lavorare in questo senso".

Primi distinguo

Più cauto, nei toni, Il Secolo XIX che riferisce come “dieci anni dopo l’inizio della crisi, l’Italia nel 2017 è risalita ai 23 milioni di occupati che aveva nel 2008, e che (fra l’altro) corrispondono al suo record storico. Lo rileva l’Istat. Aumentano sia i lavoratori dipendenti sia gli indipendenti”. Tuttavia, aggiunge, “nel Paese non si avverte alcun senso di euforia, perché (comunque) 23 milioni di posti di lavoro sono pochi per 60 e passa milioni di abitanti”.

Il Sole 24 Ore allarga il quadro e mette in luce anche i dati sul “numero di ore di cassa integrazione complessivamente autorizzate è stato pari a 35 milioni, in diminuzione del 22,4% rispetto allo stesso mese del 2016 (45,1 milioni). Le domande di disoccupazione arrivate all’ente di previdenza a giugno (tra Aspi, Naspi, disoccupazione e mobilità) sono state 132.222 con una crescita del 3,8% su giugno 2016 e del 36,5% su maggio 2017 (96.805 domande)”. Attenzione viene posta anche sui tipi di contratto: “L’Inps rileva che nei primi sei mesi del 2017 sono stati attivati oltre 822.000 contratti a tempo indeterminato (comprese le trasformazioni) con un calo del 2,7%% sullo stesso periodo del 2016. Le cessazioni di contratti stabili nello stesso periodo sono state 790.133 e che quindi il saldo resta attivo per 32.460 unità (in calo rispetto ai 57.277 dei primi sei mesi 2016 e di 391.869 dei sei mesi 2015 quando erano previsti sgravi contributivi totali)”.

Anche l’Avvenire sceglie di dare risalto a un dato in particolare e sottolinea già nel titolo che “Cresce l'occupazione, ma solo quella maschile”. “La crescita congiunturale dell'occupazione – scrive il quotidiano – interessa tutte le classi di età ad eccezione dei 35-49enni ed è interamente dovuta alla componente maschile (gli occupati aumentano dello 0,6%, +86mila), mentre per le donne, dopo l'incremento del mese precedente, si registra un calo (-0,3%, -28 mila occupati). Su base annua, invece, la crescita interessa uomini (+1,4%) e donne (+1,1%). A crescere sono gli occupati ultracinquantenni (+371 mila) e i 15-24enni (+47 mila), a fronte di un calo nelle classi di età centrali (-124 mila)”.

Per i giovani il quadro resta incerto

Claudio Tucci, in un editoriale su Il Sole 24 Ore, spiega “Perché serve lo sgravio pieno e strutturale per i giovani”. Il giornalista invita ad “andare dentro questi numeri, per vedere cosa sta succedendo realmente. Intanto, va subito detto che per i giovani la situazione resta complicata, e ciò quindi conferma l’urgenza di puntare, già con la prossima legge di Bilancio, su sgravi pieni e strutturali per rilanciare il segmento che più di tutti ha pagato durante gli anni di crisi (e su cui il Jobs act finora ha inciso poco)”. Tucci ricorda i numeri dell’occupazione tra gli under24 (47mila posti in più, “meglio di niente ma troppo pochi”), il calo nella fascia 25-34enni (-8mila) e addirittura “il crollo tra i 35-49enni”. “Non solo – aggiunge – il tasso di occupazione per gli under25 è fermo drammaticamente al 17,2 per cento, anche se in lieve crescita sull’anno. Il punto è che riprende a salire il tasso di disoccupazione giovanile: torniamo al 35,5 per cento. Certo, meglio dei picchi superiori al 40 per cento registrati negli scorsi mesi. Ma comunque siamo di fronte a un valore elevatissimo: peggio di noi solo Spagna e Grecia”. In ultimo, cita dati Inps: “Con la fine degli incentivi generalizzati targati Jobs act, i nuovi avviamenti nel mercato del lavoro stanno tornando ad accadere prevalentemente con contratti precari (c’è un po' di crescita però anche dell’apprendistato, anche se i numeri assoluti sono minimi)”.

In nodo del costo dei contratti a tempo indeterminato

L’articolo si chiude con due considerazioni, “La prima: per tornare a rendere il contratto a tempo indeterminato, soprattutto per i giovani, il canale d’ingresso principale nel mercato del lavoro serve farlo costare subito meno, e per sempre. Ecco allora che la decontribuzione allo studio dell’esecutivo in vista della prossima legge di Bilancio deve essere più coraggiosa e strutturale. Altrimenti, inciderà poco. Secondo: va fatta decollare l’alternanza e va creato un link stabile formazione-lavoro lungo tutto il segmento dell'istruzione”.

Il nodo della qualità degli impieghi in aumento

Interessante l'analisi de Linkista, secondo la quale la verità è che ad aumentare sono sopratutto i posti di lavoro poco qualificati e poco pagati. Gli altri, i contratti stabili e solidi, diminuiscono: "Quello che sta accadendo dunque è tra le cause della percezione di una crisi ancora non finita, di una ripresa presente ancora solo sulla carta, ovvero un aumento, in alcuni casi anche consistente, di posti di lavoro proprio in ambiti in cui gli stipendi sono bassi o molto bassi, in cui a una crescita della produzione corrisponde un quasi identico aumento dell’occupazione perchè non vi è quasi alcuna dinamica a livello di miglioramento della produttività. Sono settori a basso valore aggiunto, come il turismo o la ristorazione, a maggior ragione se dominati, come è soprattutto in Italia più che altrove, da realtà piccole. La conseguenza sono salari scarsi, precari, che rimangono tali negli anni perchè la competenza specifica e l’appetibilità del lavoratore non crescono molto nel tempo".

Agi News