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Il nuovo governo dovrà trovare 40 miliardi in 100 giorni, dice la Cgia

AGI – Senza approvare alcuna misura promessa in questa campagna elettorale, il nuovo Governo dovrà comunque trovare entro il prossimo 31 dicembre almeno 40 miliardi di euro; di cui 5 miliardi per estendere anche al mese di dicembre gli effetti contro il caro energia introdotti la settimana scorsa con il decreto Aiuti ter e altri 35 miliardi per consentire, attraverso la prossima legge di bilancio, che alcuni provvedimenti introdotti dal Governo Draghi non decadano con l’avvio del nuovo anno.

Lo afferma l’ufficio studi della Cgia, secondo cui il nuovo esecutivo che “uscirà” dalle urne “ha già una ipoteca da 40 miliardi di euro e sarà quasi impossibile mantenere, almeno nei primi 100 giorni, le promesse elettorali annunciate in questi ultimi due mesi; come, ad esempio, la drastica riduzione delle tasse, la riforma delle pensioni, il taglio del cuneo fiscale”.

Senza contare, aggiungono gli artigiani mestrini, che “se il nuovo inquilino di Palazzo Chigi vorrà intervenire con ulteriori provvedimenti per mitigare il caro energia saranno necessari altri 35 miliardi di euro per ridurre di almeno la metà i rincari che si sono abbattuti quest’anno su famiglie e imprese”.

Entro il 27 settembre, spiega la Cgia, “sarà il governo uscente a presentare la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef), mentre spetterà al nuovo esecutivo redigere entro il 15 ottobre il Documento programmatico di bilancio (Dpb) ed entro il 20 ottobre il disegno di legge di bilancio. Scadenze, queste ultime due, che quasi certamente non potranno essere rispettate, visto che la prima seduta delle nuove Camere è stata fissata il 13 ottobre. Anche approvare in tempo la finanziaria 2023 non sarà facile: per legge il voto definitivo deve avvenire entro il 31 dicembre, altrimenti scatta l’esercizio provvisorio. Pertanto, i tempi a disposizione sono strettissimi e non sarà facile trovare le tutte le risorse per confermare anche per l’anno venturo molti provvedimenti introdotti dal governo Draghi”.

Le Cgia passa ad elencarle: “quasi 15 miliardi di euro per rinnovare nei primo trimestre le misure contro il caro energia previste dal decreto Aiuti ter; almeno 8,5 miliardi di euro per indicizzare le pensioni; almeno 5 miliardi per il rinnovo del contratto del pubblico impiego; 4,5 miliardi di euro per lo sconto contributivo del 2 per cento a carico dei lavoratori dipendenti con reddito fino a 35 mila euro; 2 miliardi di euro di spese indifferibili”. 


Il nuovo governo dovrà trovare 40 miliardi in 100 giorni, dice la Cgia

La fiducia delle imprese ai massimi di sempre, dice l’Istat

AGI – La fiducia delle imprese a luglio sale a livelli record, ai massimi di sempre. Avanza anche quella dei consumatori, al top da settembre del 2018. Lo rende noto l’Istat.

A luglio 2021 – spiega l’Istat – si stima un aumento sia dell’indice del clima di fiducia dei consumatori (da 115,1 a 116,6) sia dell’indice composito del clima di fiducia delle imprese (da 112,8 a 116,3).

Indici in crescita

Tutte le componenti dell’indice di fiducia dei consumatori sono in crescita a eccezione di quella futura: il clima economico passa da 126,9 a 129,6, quello personale sale da 111,1 a 112,2, quello corrente aumenta da 108,1 a 111,9; invece il clima futuro scende da 125,5 a 123,5.

“A luglio – commenta l’istituto di statistica – l’indice del clima di fiducia delle imprese migliora raggiungendo il valore più elevato di tutta la serie storica (l’indice è calcolato da marzo 2005). I servizi registrano un aumento marcato della fiducia superando decisamente i livelli precedenti la crisi; nella manifattura, si attenua il ritmo di crescita in seguito ad un lieve calo delle aspettative sul livello della produzione, ma l’indice raggiunge un nuovo massimo”.

“L’indice di fiducia dei consumatori continua la risalita registrando un massimo da settembre 2018. La crescita è trainata soprattutto dal deciso miglioramento dei giudizi sia sulla situazione economica generale sia su quella personale. In lieve calo le attese”, aggiunge.

Bene costruzioni e servizi

Per quel che riguarda le imprese, si stima un miglioramento della fiducia in tutti i comparti oggetto di rilevazione. Nelle costruzioni, nei servizi e nel commercio al dettaglio l’indice aumenta decisamente (rispettivamente da 153,6 a 158,6, da 107,0 a 112,3 e da 107,2 a 111,0) mentre l’incremento è più contenuto nel comparto manifatturiero (da 114,8 a 115,7).

Con riferimento alle componenti degli indici di fiducia, nell’industria manifatturiera migliorano i giudizi sugli ordini e le scorte sono giudicate in diminuzione; le attese sulla produzione sono in lieve calo. Per quanto attiene alle costruzioni, tutte le componenti dell’indice sono in miglioramento.

In relazione ai servizi di mercato, i giudizi sugli ordini e quelli sull’andamento degli affari segnalano un netto recupero; le attese sugli ordini sono in lieve diminuzione.  Nel commercio al dettaglio, i giudizi e le attese sulle vendite sono in miglioramento; il saldo dei giudizi sulle scorte diminuisce.

Bene la distribuzione

La fiducia è in aumento in entrambi i circuiti distributivi analizzati: nella distribuzione tradizionale l’indice passa da 101,7 a 104,6 e nella grande distribuzione sale da 109,0 a 112,8.

Sulla base delle domande trimestrali presenti nel questionario dell’indagine manifatturiera, a luglio cresce marcatamente la quota di imprese manifatturiere che lamenta insufficienza degli impianti o mancanza di materiali quali ostacoli alla produzione.


La fiducia delle imprese ai massimi di sempre, dice l’Istat

“L’economia Usa migliora e il rialzo dell’inflazione è temporaneo”, dice Powell

AGI  –  L’economia Usa è in “continuo miglioramento ma ci sono ancora rischi e la Fed “farà di tutto per sostenere la ripresa”. Quanto all’inflazione, è ancora in aumento ma la sua crescita è “temporanea” e destinata a esaurirsi. Sono queste le linee principali dell’intervento che il presidente della Fed, Jerome Powell, farà oggi in occasione dell’audizione davanti alla commissione Servizi finanziari della Camera.

Powell, secondo quanto trapela, sosterràhe l’economia e stelle e strisce ha continuato “a crescere quest’anno al ritmo più veloce degli ultimi decenni” e che il mercato del lavoro Usa “sta migliorando a un ritmo irregolare”. Tuttavia Powell mette anche in guardia dai rischi che ancora incombono sulla ripresa: “La pandemia continua a comportare rischi per le prospettive economiche. I progressi nelle vaccinazioni hanno limitato la diffusione del Covid-19 e probabilmente continueranno a ridurre gli effetti della crisi. Tuttavia, il ritmo delle vaccinazioni è rallentato e nuovi ceppi del virus rimangono un rischio. I continui progressi sulle vaccinazioni sosterranno un ritorno a condizioni economiche più normali”. 

Inoltre per Powell “l’inflazione è aumentata notevolmente negli ultimi mesi. Ciò riflette, in parte, le letture molto basse dall’inizio della pandemia; il trasferimento dei passati aumenti dei prezzi del petrolio sui prezzi dell’energia al consumo; il rimbalzo della spesa mentre l’economia continua a riaprire; e i colli di bottiglia dell’offerta, che hanno limitato la rapidità con cui la produzione in alcuni settori può rispondere a breve termine. Man mano che questi effetti transitori sull’offerta diminuiscono, l’inflazione dovrebbe tornare verso il nostro obiettivo di lungo periodo”.

 
Quindi Powell assicura: “Noi della Fed faremo tutto il possibile per sostenere l’economia per tutto il tempo necessario per completare la ripresa”.


“L’economia Usa migliora e il rialzo dell’inflazione è temporaneo”, dice Powell

La Ue rischia 2 anni di Pil perso, serve più ambizione. Dice Fabio Panetta

AGI – La pandemia di coronavirus lascerà all’economia europea danni maggiori di quelli che vediamo ora. Parte da questa riflessione la lunga intervista di Fabio Panetta al quotidiano spagnolo ‘El Pais’, in cui il membro del Consiglio esecutivo della Bce chiede maggiore ambizione nella politica monetaria e fiscale per stimolare l’inflazione e la crescita nella zona euro.

“C’è un po’ meno incertezza, ma è ancora alta. La distribuzione del vaccino sta accelerando, ma è ancora lenta. E la pandemia sta avanzando rapidamente in alcuni paesi, influenzando le prospettive di crescita. – è la premessa – anche se quest’anno gli Stati Uniti riguadagneranno il livello pre-crisi, la zona euro non lo farà prima della metà del 2022“.

Avverte Panetta: “Potremmo aver definitivamente perso due anni di crescita. L’inflazione rimarrà al di sotto del nostro obiettivo del 2% a medio termine, contrariamente a quanto accade negli Stati Uniti, nel Regno Unito o in Canada. Dobbiamo essere più ambiziosi per aumentare il potenziale di crescita e avvicinare l’inflazione al nostro obiettivo. E dobbiamo dare ai consumatori e agli investitori maggiori garanzie sulle prospettive dell’economia europea”. 

Per Panetta in generale “non sarebbe saggio scommettere su un rapido recupero. Ci sono rischi che possono impedire la realizzazione dei miglioramenti pianificati – avverte – e anche se riusciamo a uscire presto dalla pandemia, ci renderemo conto che il danno all’economia è maggiore di quello che vediamo ora. Nulla impedisce alla zona euro di avere una robusta ripresa, ma per questo l’economia deve essere sostenuta con il livello appropriato di stimolo monetario e fiscale. La prudenza ci dice che è meglio iniettare troppi stimoli che non essere all’altezza”.

Inoltre, per il membro italiano del direttivo della Banca centrale, esiste “un rischio significativo di divergenza” nella ripresa tra i vari Paesi dell’Unione. “La pandemia ha colpito ogni paese in modo diverso a seconda della sua esposizione ai settori più colpiti – ragiona – ma c’è stata una risposta europea comune. Se utilizziamo saggiamente i 750.000 milioni di euro dello strumento di ripresa dell’Ue – Next Generation Eu – l’uscita dalla crisi può essere più omogenea. Questo strumento dovrebbe essere collegato alle riforme necessarie in ogni paese. Se i fondi vengono investiti in settori in crescita pensando al futuro, la ripresa sarà più equilibrata. In caso di successo, questo piano potrebbe essere il prototipo di un futuro strumento fiscale comune”. 

Il piano di stimolo statunitense è ambizioso, soprattutto quest’anno, e questo spiega in gran parte perché la sua traiettoria di crescita si sta allontanando da quella europea. Mantenere calda l’economia giova all’occupazione, agli investimenti e alla produttività. E un recupero più rapido aiuta i membri più svantaggiati della società. In Europa dobbiamo ora attuare lo strumento di recupero dell’UE in modo che la Commissione possa presto sborsare i fondi. E dovremmo considerare nuovi impulsi fiscali in modo che la domanda torni più rapidamente al suo potenziale.    

Confrontando la situazione in Europa e negli States osserva poi: “Il piano di stimolo statunitense è ambizioso, soprattutto quest’anno, e questo spiega in gran parte perché la sua traiettoria di crescita si sta allontanando da quella europea. Mantenere calda l’economia giova all’occupazione, agli investimenti e alla produttività. E un recupero più rapido aiuta i membri più svantaggiati della società. In Europa dobbiamo ora attuare lo strumento di recupero dell’Ue in modo che la Commissione possa presto sborsare i fondi. E dovremmo considerare nuovi impulsi fiscali in modo che la domanda torni più rapidamente al suo potenziale”.    

Insiste Panetta: “Abbiamo bisogno che le risorse europee vengano liberate rapidamente“.

E sull’inflazione ha sottolineato: “Negli Stati Uniti, l’inflazione ritorna a livelli sani perché la politica monetaria e quella fiscale collaborano fortemente. La previsione di inflazione nella zona euro è insoddisfacente. L’inflazione aumenterà temporaneamente quest’anno, ma per ragioni cicliche svanirà nel 2022. Tuttavia, con un mix di politiche più dinamico anche noi potremmo beneficiare dei miglioramenti dell’economia globale”.      

Data l’entità della crisi, la Bce dovrebbe espandere il proprio arsenale di misure? “Abbiamo margini di manovra – risponde Panetta – perché abbiamo utilizzato solo una parte del programma di 1,85 miliardi di euro. Ma se spendiamo quei soldi e perdiamo ancora l’obiettivo, dobbiamo fare di più. Non possiamo accontentarci di un’inflazione dell’1,2% nel 2022 e dell’1,4% nel 2023. E l’argomento secondo cui l’orizzonte temporale può essere allungato non è convincente. La Bce non raggiunge il suo obiettivo da troppi anni. Se aspettiamo, sarà ancora più costoso in quanto renderebbe più difficile ancorare le aspettative di inflazione e rischieremmo una riduzione permanente del potenziale economico”. 


La Ue rischia 2 anni di Pil perso, serve più ambizione. Dice Fabio Panetta

“Il  Paese ha smesso sognare e ora sta a noi indicare strada”, dice Bonomi

AGI  – “Questo Paese ha smesso di sognare da tanto tempo e, soprattutto in un periodo in cui il lockdown ci ha sottoposti come imprenditori e come cittadini a una situazione  difficile che inizialmente abbiamo affrontato con grande spirito. Oggi per una serie di motivazioni questo spirito, questa resilienza, come viene detta, si sta sfibrando. Invece noi dobbiamo essere i primi a indicare al Paese una strada”. A dirlo, il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, intervenendo in collegamento all’assemblea dei soci dell’associazione a Salerno.

Una strada che “oggi è un sentiero – ha aggiunto il leader di Confindustria – ma noi lo dobbiamo far diventare un’autostrada. E’ l’autostrada dei sogni. Quella che hanno avuto i nostri padri, usciti dalla guerra in un Paese disastrato, senza materie prime, che però volevano dare un futuro migliore ai loro figli”. La strada è “quella che hanno avuto i nostri padri, usciti dalla guerra in un Paese disastrato, senza materie prime, che però volevano dare un futuro migliore ai loro figli”.

“Tornare a dare un sogno al Paese”, ha ribadito Bonomi: “Se noi non torneremo a dare un futuro e la credibilità di un futuro migliore per tutti noi, sarà difficile – ha sottolineato – potremo mettere in campo tutti i provvedimenti che vogliamo, ma se non abbiamo il sogno e la volontà di raggiungere quel sogno e di costruire le basi per quel sogno, credo che come Paese falliremo e falliremo, e falliremo per i nostri figli”. “Noi stiamo costruendo per le future generazioni, stiamo prendendo debito delle future generazioni ma se non faremo un debito, come lo definisce il presidente Draghi, ‘buono’, per creare quel futuro migliore per i nostri figli, noi faremo il più grande fallimento come persone e come imprenditori”.


“Il  Paese ha smesso sognare e ora sta a noi indicare strada”, dice Bonomi

“Draghi alla guida dell’Italia è un’ottima notizia, rassicura i leader Ue”, dice Gentiloni

AGI – Mario Draghi alla guida dell’Italia è “un’ottima notizia”. Così Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia, in un’intervista al New York Times. Per Gentiloni, l’arrivo dell’ex presidente della Bce, dopo la crisi del governo Conte, ha rassicurato i leader europei, soprattutto per la reputazione che Draghi ha di “preoccuparsi dell’esecuzione”.

Il quotidiano ricorda che i paesi del Nord Europa sono preoccupati per la capacità dell’Italia di spendere efficacemente i soldi del Recovery Fund e che, dopo aver salvato l’euro come presidente della Banca centrale europea, Draghi ora deve salvaguardare il sogno di un’Unione sempre più unita e fiscalmente integrata. “Se riesce, questo è un pilastro per un successo europeo”, osserva Gentiloni.

“Sono sicuro che Draghi è ben attrezzato, ha l’esperienza per affrontare questi famosi colli di bottiglia”, spiega l’ex premier. La versione definitiva del Piano nazionale di ripresa e resilienza dovrà essere presentata entro fine aprile alla Commissione europea: Gentiloni non vede alcun motivo per cui l’Italia dovrebbe essere in ritardo ed esprime fiducia nella capacità di Draghi di fare le cose. Sarebbe importante per l’Italia, ma anche per l’Europa, “non solo a breve termine ma anche a lungo termine”, conclude il commissario europeo. 


“Draghi alla guida dell’Italia è un’ottima notizia, rassicura i leader Ue”, dice Gentiloni

Con il ‘car sharing’ si risparmia fino a 935 euro l’anno. Lo dice uno studio dell’Aci

AGI – La paura del Covid spinge gli italiani verso un uso ancora più massiccio dell’automobile privata, che costa mediamente 3.926 euro l’anno tra acquisto, carburante, tasse e spese di esercizio. E senza alternative adeguate dal sistema di trasporto pubblico e dal car sharing, le famiglie vedono crescere la spesa per gli gli spostamenti: secondo la Fondazione Filippo Caracciolo di Aci, che ha presentato alla Luiss di Roma uno studio sulla mobilità condivisa nelle città italiane, ogni spostamento urbano costa mediamente 4,5 euro in scooter sharing, 7,2 euro con un’auto condivisa e 11,9 euro in taxi. Un esborso elevato se rapportato con quello del trasporto pubblico (bus/metropolitana), pari a 1,5 euro.

Lo studio è frutto di un lavoro di analisi, nel quale i ricercatori della Fondazione hanno effettuato svariati test sulle strade della Capitale. Oltre ai risultati raccolti sul campo, la ricerca contiene dati inediti forniti dagli operatori della mobilità condivisa o estratti dal Pubblico Registro Automobilistico, dalle risultanze delle scatole nere dei veicoli e dalle statistiche Aci-Istat sugli incidenti stradali.

La Fondazione Caracciolo evidenzia anche i costi indiretti delle inefficienze della mobilità che si ripercuotono sulle tasche delle famiglie: se taxi e scooter sharing sono i più rapidi per muoversi in città (velocità media per entrambi di circa 19 km/h), l’auto condivisa sconta una perdita di competitività nella ricerca di parcheggio, che può arrivare a superare il 30% del tempo complessivo di viaggio, mentre il mezzo pubblico è penalizzato da un’attesa media alla fermata di 20 minuti.

Confrontando i costi di spostamento tra chi si muove esclusivamente con l’auto propria e chi invece in forma plurimodale (autobus, con veicoli in sharing e a noleggio e taxi) la Fondazione Caracciolo evidenzia che l’automobile di proprietà risulta la soluzione meno cara solo per chi percorre più di 8.000 km ogni anno in ambito urbano ed extraurbano.

La convenienza dei sistemi di sharing puo’ cambiare considerevolmente in presenza di adeguate politiche pubbliche. In uno scenario futuro di promozione della mobilità sostenibile, a fronte della riduzione dei costi di car sharing di almeno il 15% (legata alla minore perdita di tempo per la disponibilità di parcheggi riservati) e all’abbattimento del 10% della durata delle corse in taxi (derivante da un aumento delle corsie preferenziali o dalla riduzione della congestione), le alternative all’auto privata risulterebbero più convenienti per una percorrenza complessiva annuale inferiore a 11.000 km annui.

Quantificando tali benefici, il ricorso alla mobilità condivisa farebbe risparmiare alle famiglie ogni anno tra i 390 e i 935 euro rispetto all’utilizzo dell’auto propria. “La convivenza fra i vecchi e nuovi abitanti delle strade – afferma Giuseppina Fusco, presidente della Fondazione Filippo Caracciolo e vice presidente dell’Automobile Club d’Italia – dovrà essere accompagnata da un’equilibrata regolamentazione da parte del legislatore nazionale e delle amministrazioni locali, chiamati oggi, più che mai, ad uno sforzo straordinario teso a ricreare le nuove basi della mobilità post Covid.

La capacità di rinnovare in chiave tecnologica il trasporto pubblico, rendendolo sempre più connesso e facendolo convivere in modo sinergico con soluzioni su misura di trasporto privato e in sharing, rappresenta la vera sfida per rendere le nostre città moderne metropoli, in grado di soddisfare esigenze di spostamento sempre più flessibili, con soluzioni che risultino al tempo stesso sostenibili, accessibili e sicure”.

Agi

Synergy dice di essere pronta ad acquistare Alitalia

Synergy Europe, società di diritto lussemburghese che fa parte del Synergy Group  del finanziere German Efromovich, dice di essere pronta ad acquistare Alitalia. 

In una lettera inviata al ministro per lo Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli e al commissario straordinario di Alitalia, Giuseppe Leogrande, viene confermato l’interesse di Synergy Group “ad acquisire tutta Alitalia” e si manifesta la “disponibilità anche ad un eventuale partenariato pubblico privato con il Governo d’Italia per rilanciare la compagnia aerea di bandiera italiana”. E’ quanto si legge in una nota del gruppo

I programmi di Synergy Group prevedono una specializzazione di Alitalia “nelle rotte a lungo raggio e di rilancio del cargo mantenendo il presente perimetro organizzativo della società articolato nelle sue tre attività principali (Aviazione, Manutenzione, Servizi a Terra), il rinnovo della flotta, l’aggiunta di nuove rotte e la valorizzazione del suo prezioso patrimonio tecnico e umano (personale di terra e di volo)”.

Intanto il sindacato torna a incalzare il governo perchè acceleri i tempi. “Non ci stanchiamo di ripetere che per il rilancio di Alitalia il tempo non è un fattore neutro. Il ritardo dell’avvio del percorso relazionale per definire i passaggi propedeutici alla partenza della Newco e le direttrici di fondo per la fase di rilancio comincia a diventare un fattore critico”. Così dichiara la Fit-Cisl in merito alla fase di stallo che si è determinata dopo le anticipazioni contenute nella bozza del cosiddetto dl Rilancio.

“Mentre in Italia si prende tempo – prosegue la federazione ci​slina – le principali compagnie aeree europee pianificano il loro futuro e i loro Governi si preparano all’ingresso nel loro capitale. Invece noi cosa aspettiamo a dotare Alitalia di un management all’altezza e di un piano industriale degno di questo nome? Delude invece constatare che, a un mese dall’annuncio della nazionalizzazione della compagnia di bandiera, ancora si discute di quanti aerei debba avere in dotazione, si trascura il segmento cargo e si abbandonano rotte strategiche come la Roma-New York, che qualcun altro più lungimirante occuperà al posto nostro”.

Concludono dalla Fit-Cisl: “Il Governo destinando ad Alitalia una quantità di risorse economiche significative, per la prima volta agisce sulle cause e non sugli effetti perché è chiaro che il vettore aereo gioca un ruolo determinante nell’intero sistema di mobilità del nostro Paese, oltre che nel rilancio della nostra economia. In passato, come si è fatto in tanti altri settori del mondo del lavoro, si sono destinate somme finalizzate solo al finanziamento degli ammortizzatori sociali e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Occorre dare concrete risposte occupazionali agli 11 mila lavoratori diretti che in questi tre anni di gestione commissariale hanno dimostrato il loro valore e anche l’indotto ne guadagnerà”.

Agi

L’Italia non corre il rischio di essere la nuova ‘Grecia’, dice il direttore del Mes 

“C’è un nuovo approccio che stiamo prendendo con il Mes. Offriamo uno strumento, una linea di credito a tutti gli Stati dell’area euro. Il fatto che sia disponibile per tutti i Paesi con “termini standardizzati concordati in precedenza” come dice l’Eurogruppo è una differenza rispetto a quanto avvenuto una decina di anni fa. Allora i programmi per Grecia, Irlanda o Portogallo dovettero essere molto diversi l’uno dall’altro perché i problemi erano diversi. Le istituzioni europee dovettero negoziare una condizionalità dettagliata, diversa da Paese a Paese. Stavolta non sarà cosi'”.

Lo assicura Klaus Regling, direttore generale del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), in una intervista al Corriere della sera. “La dichiarazione dell’Eurogruppo”, spiega Regling, “dice che la sola condizione è di coprire i costi diretti e indiretti di sanità, cura, prevenzione. In primo luogo questo significa dottori e infermieri in più, nuovi ospedali, materiale medicale. Poi ci sono i costi indiretti dell’epidemia e vanno molto oltre il semplice acquisto dei materiali. Ciò che conta è che i Paesi che chiedono questa linea di credito possano essere rimborsati per somme pari al 2% del loro prodotto lordo (Pil) per questi costi diretti e indiretti”. La condizionalità concordata all’inizio, spiega ancora il direttore generale del Mes, “non cambierà durante il periodo nel quale la linea di credito è disponibile.

L’Eurogruppo lo chiarisce, dicendo che il solo requisito per ottenere il prestito è nel modo in cui si spende il denaro. In seguito, tutti gli Stati membri dell’Unione europea restano impegnati a rafforzare i loro fondamentali in base al quadro di vigilanza europeo, inclusa la flessibilità. L’Eurogruppo dice anche questo. Ma chiaramente non è una condizione per il prestito. Qualunque preoccupazione possa esserci stata, va messa da parte”.

Circa i dubbi di parte della politica italiana sullo strumento Mes, con il ricordo della ‘partita Grecià di alcuni anni fa, Regling chiarisce: “All’epoca i problemi non furono causati da uno choc inatteso che riguarda tutti, come oggi, ma da errori di politica economica del decennio precedente. I Paesi che ebbero bisogno del Mes avevano perso accesso al mercato e avevano grossi problemi macroeconomici. Non solo la Grecia, anche il Portogallo, l’Irlanda, Cipro. Avevano deficit di bilancio e negli scambi con l’estero fra il 10% e il 15% del Pil. Curare quei problemi ha causato le difficoltà che la popolazione ha dovuto patire. Ma è stato inevitabile. Anzi quando il Mes è arrivato ha reso l’aggiustamento più facile, perché i prestiti avevano scadenze lunghe e interessi bassi, e credo che ora se ne vedano i risultati positivi. Il più importante è che quei Paesi siano potuti restare nell’euro”.

Sulla proposta dell’Europarlamento di spendere tutti i 410 miliardi di euro del Mes adesso, non i 240 messi a disposizione, il direttore generale non si sbilancia: “L’ultima parola è dei ministri finanziari dell’area euro, al momento però mi pare corretto da parte nostra offrire 240 miliardi. Fa parte di un insieme concordato dall’Eurogruppo che vale fino a circa 500 miliardi, o il 4% del Pil dell’area euro. Ora siamo nella prima fase della crisi, ma sappiamo che ci sarà una seconda fase molto importante, quella della ripresa, che sarà lunga e costosa. Per allora avremo bisogno di quantità di denaro importanti e dobbiamo iniziare a vedere come le varie istituzioni possono contribuire. Cosa puo’ fare la Banca europea degli investimenti, cosa puo’ fare la Commissione con il bilancio europeo”. 

Agi

Il coronavirus non è un cigno nero, dice l’autore del ‘Cigno Nero’

“Il coronavirus non è un cigno nero”. Lo sostiene , intervistato da la Repubblica, Nassim Nicholas Taleb, considerato l’inventore del “cigno nero”, l’espressione più usata in tutto il mondo con la quale indicare l’evento inatteso che travolge tutto e tutti, cambiando la storia. “Manca una connotazione essenziale – spiega Taleb – l’imprevedibilità. È valido per la malattia in sé perché erano anni che la comunità scientifica avvertiva che prima o poi sarebbe scoppiata un’epidemia globale. Già ai tempi di Ebola si temette: non si diffuse perché si era sviluppato in un posto non troppo collegato col resto del mondo, ora invece l’epicentro è stato nel Paese interconnesso per antonomasia. Ma non lo è, un cigno nero, neanche per il crollo dei mercati: era nell’ordine delle cose una correzione vistosa, perché i prezzi erano troppo gonfiati, sia in Usa che in Europa. Un po’ di ‘drenaggio’ non farà che bene. Di momenti del genere ce ne sono stati tanti, anche senza epidemie”. 

Agi