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Morning Bell: martedì incerto per i mercati in attesa della Fed

AGI – Si prospetta un martedì incerto per i mercati dopo un lunedì nero e in attesa domani di una ‘bollente’ riunione della Fed.

A raggelare le attese, la scorsa settimana, hanno contribuito le comunicazioni della Bce e l’andamento dei prezzi al consumo negli Usa, mentre domani la Fed potrebbe decidere un incremento dei tassi di 50 punti base, o addirittura di 75 punti.

E di qui a fine anno i mercati ora prezzano il Fed fund al 3,4% dall’attuale forchetta tra lo 0,75% e l’1%.

Intanto in Asia i listini restano in rosso, mentre i future a Wall Street e in Europa provano il rimbalzo, dopo che ieri a New York lo S&P 500 ha perso quasi il 4% ed è entrato nella fase ‘Orso’ essendo calato del 20% dai massimi del 3 gennaio, mentre la curva dei rendimenti dei Treasury si è brevemente invertita per la prima volta da aprile, un segnale che sui mercati è considerato l’anticamera di una recessione, che potrebbe arrivare nel prossimo anno o nel 2024.

Ad alimentare le preoccupazioni per la crescita globale contribuisce anche l’emergenza Covid in Cina, dove c’è il rischio di nuovi lockdown.

La Borsa di Tokyo cala di un punto e mezzo percentuale, mentre quella di Shanghai perde circa l’1% e Hong Kong arretra.

“Alta inflazione, crescita rallentata e tassi in rialzo sono dannose per l’azionario” commentano in una nota gli analisti di Anz.

In rialzo di oltre un punto percentuale i future a Wall Street, dopo il tonfo di ieri, con il Nasdaq giù del 4,68% e il Dow Jones a -2,79%.

Pesanti le mega cap, con Apple che ha perso il 3,83%, Microsoft il 4,24%, Alphabet il 4,29%, Amazon il 5,45%. A rotoli anche l’obbligazionario, con il rendimento del Treasury a 10 anni salito fino al 3,44%, il livello più alto dal 2011, mentre quello a 2 anni, che è il tasso che più ricalca le aspettative sui tassi di interesse, avanza al 3,22%.

In Europa I future sull’EuroSotoxx 50 crescono di circa mezzo punto percentuale, dopo che ieri Milano ha chiuso a -2,79%, bruciando circa 10,2 miliardi di euro di capitalizzazione.

Allarme rosso anche sul fronte obbligazionario, dopo che la Bce la settimana scorsa si è mostrata più ‘falco’ del previsto, preannunciando un aumento di 25 punti base a luglio e 50 a settembre senza indicare uno scudo salva-spread. Ieri il differenziale tra il Btp e in Bund è volato a 248 punti, con il rendimento del decennale balzato sopra il 4%, sui massimi da dicembre 2013, mentre il Bund a 10 anni ha toccato l’1,6%, il top dal 2014.

“La stagflazione è uno scenario possibile” ha avvertito il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner, mentre Julian Howard, direttore degli investimenti del fondo Gam è stato altrettanto pessimista per l’altra sponda dell’Atlantico: “Penso che con un’inflazione come questa, la Fed sarà costretta a spingere forte sui tassi e che questo causerà un rallentamento economico”.

“A breve termine – aggiunge – si mette male per gli investitori, che non hanno nessun posto dove rifugiarsi, a parte il cash, almeno per ora”. Intanto sui mercati valutari non c’è attesa solo per la Fed, ma anche per la Boe di giovedì e per la Boj di venerdì. La sterlina è crollata dell’1,3% e vale meno di 1,22 dollari, depressa dalle preoccupazioni per l’economia del Regno Unito. Lo yen ha toccato un minimo da 24 anni intorno a quota 135 sul dollaro e l’euro resta debole non molto sopra 1,04 dollari.

In picchiata il Bitcoin che crolla del 20%, sotto 22.000 dollari e, più in generale perde il 50% del suo valore dal picco del 2021, mentre Ethereum è giù del 65%. A scatenare la fibrillazione degli investitori la scelta di Celsius, la principale società statunitense di prestito del settore, che ha congelato prelievi e trasferimenti citando condizioni “estreme”. Piatto il prezzo del petrolio in Asia, che comunque viaggia su livelli molto elevati per i timori sulle riduzioni dei rifornimenti e sulla tenuta della domanda cinese.

Il Wti e il Brent sono rispettivamente sopra 120 e sopra 122 dollari al barile. Oggi in Germania escono i dati finali sull’inflazione di maggio e quelli dell’indice Zew a giugno. Negli Usa saranno pubblicati i prezzi alla produzione di maggio.

A Ginevra, fino a domani, il Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, tiene il suo primo incontro interministeriale da quasi cinque anni, in una fase in cui il commercio mondiale è in forte rallentamento per via della guerra in Ucraina. Lo ha sottolineato anche Mario Draghi, intervenendo alla riunione interministeriale dell’Ocse: “I nostri sforzi per prevenire una crisi alimentare devono partire dai porti ucraini del Mar Nero. Dobbiamo sbloccare milioni di tonnellate di cereali bloccati lì a causa del conflitto. Gli sforzi di mediazione delle Nazioni Unite sono passi significativi e penso, purtroppo, gli unici”. 

Domani la palla passa alla Fed, poi a Boe e Boj

Domani toccherà alla Fed fare le sue mosse. La banca centrale Usa ha già aumentato i tassi di interesse di tre quarti di punto percentuale quest’anno, avvantaggiandosi sulla Bce. A giugno e luglio i mercati davano per scontato due rialzi dei tassi di mezzo punto percentuale l’uno e un altro, sempre dello 0,50% a settembre. Tuttavia l’impennata all’8,6% dell’inflazione Usa a maggio rimescola un po’ le carte e ora, secondo diverse banche Usa, la Fed potrebbe innalzare fin da giugno o luglio i tassi allo 0,75%.

Bloomberg stima al 50% le probabilità che questo accada a luglio. Intanto di qui a fine anno i mercati ora prezzano il Fed fund al 3,4% dall’attuale forchetta tra lo 0,75% e l’1%, mentre Goldman prevede tre rialzi dei tassi Fed di 50 punti base a giugno, luglio e settembre e due aumenti di 25 punti base a dicembre e gennaio. L’impatto negativo che dei rialzi dei tassi così aggressivi potranno avere sulla crescita, rallentandola, in questa fase sembra interessare relativamente la Fed, che è tutta concentrata sulla riduzione dell’inflazione.

“Questa è la priorità – commenta Cesarano – in questa fase non c’è tempo per pensare alla crescita”. Inoltre mercoledì sono attesi anche i dot plot, quei puntini che prevedono i futuri movimenti dei tassi Fed. In particolare i riflettori saranno puntati sul tasso medio a lungo termine della Federal Reserve, che oggi è al 2,40% e che potrebbe essere rialzato. Con i previsti tre rialzi consecutivi di mezzo punto percentuale, la forbice del Fed Fund a settembre salirebbe tra il 2,25% e il 2,50%, attestandosi quindi già a settembre al livello di equilibrio.

Dopo la Fed, giovedì la Banca d’Inghilterra dovrebbe alzare i tassi di altri 25 punti base, o anche di 50 punti base, per tenere a bada un’inflazione che corre al ritmo più veloce degli ultimi quarant’anni, coi prezzi al consumo, che nel Regno Unito sono aumentati del 9% su base annua ad aprile, più di quattro volte l’obiettivo. La Boe ha già gradualmente rialzato i tassi, portandoli all’1% in quattro mosse consecutive da dicembre scorso. E venerdì la Boj continuerà nella sua solitaria battaglia accomodante, andando controcorrente rispetto a tutte le altre banche centrali globali e continuando così a sacrificare lo yen, che è ai minimi da 20 anni sul dollaro.

Ue: valutiamo ripresa procedura infrazione contro Gb

Intanto l’Ue fa sapere che “non rinegozierà il Protocollo” per l’Irlanda del Nord con il Regno Unito sottoscritto negli accordi per il post Brexit. Lo ha dichiarato il vice presidente della Commissione europea, Maros Sefcovic, in merito alla decisione del governo del Regno Unito di presentare una legge che disapplica unilateralmente gli elementi fondamentali del Protocollo. La Commissione valuterà ora “la possibilità di continuare la procedura d’infrazione avviata contro il governo del Regno Unito nel marzo 2021”.

Blackrock estende diritto di voto in assemblea ai clienti

Il più grande gestore patrimoniale del mondo, ha dichiarato lunedì che i clienti che possiedono quasi la metà dei suoi 4,9 trilioni di dollari di asset di indici azionari sono ora liberi di controllare il modo in cui vengono espressi i voti alle assemblee annuali delle società in cui investono i loro fondi.

La mossa segna un’espansione del programma ‘Voting Choice’ di BlackRock, lanciato lo scorso ottobre dalla società con sede a New York, che gestisce circa 10.000 miliardi di dollari di asset, e che mira ad offrire ai clienti istituzionali più voce in capitolo sui temi che stanno loro a cuore. Il programma arriva in un periodo tumultuoso per il gestore patrimoniale, che si trova ad affrontare critiche negli Stati Uniti e altrove per il modo in cui vota per conto dei clienti su temi quali il cambiamento climatico, la diversità e la retribuzione dei dirigenti.

“Il programma Voting Choice di BlackRock è una novità assoluta nel settore, ma lo consideriamo solo un inizio”, ha dichiarato Salim Ramji, Global Head of iShares and Index Investments in un comunicato. “La nostra ambizione è quella di rendere la scelta di voto conveniente ed efficiente per tutti gli investitori, e stiamo lavorando con i responsabili politici e i partecipanti al settore in tutto il mondo per estendere la scelta di voto per i nostri clienti”. 

India, l’economia mette il turbo ma crea pochi posti di lavoro veri

Per il Fmi l’economia indiana è prevista in crescita dell’8,1% quest’anno e del 6,9% nel 2013, dopo il +8,9% dell’anno scorso. Un numero crescente di indiani guadagna da vivere nel è stato colpito negli ultimi mesi da un’elevata inflazione, soprattutto nei prezzi dei prodotti alimentari. Per il New York Times, si tratta del ritmo di crescita più alto del mondo.

L’export è ai massimi storici. I profitti delle società quotate in borsa sono raddoppiati. I consumi post-pandemici della classe media in auto, immobili, intrattenimento e vacanze non sono mai stati così alti.

Tuttavia, come è tipico dell’India, i benefici di questi voraci consumi non vanno oltre il limite circoscritto della classe media, la cui dimensione è piuttosto modesta poiché oscilla tra il 10% e il 30% della popolazione.

E questo perché buona parte della classe media indiana verrebbe considerata povera nei Paesi avanzati, visto che solo un indiano su 45 possiede un’auto e che per 9 indiani su 10 l’ultimo modello dell’iPhone costa l’equivalente di sei mesi di stipendio. Inoltre, secondo il New York Times, l’alta crescita del Pil non si sta ancora traducendo nella creazione di posti di lavoro sufficienti ad assorbire le ondate di giovani istruiti che entrano ogni anno in India nella forza lavoro.

E questo sia perché, come rileva Oxfam, la pandemia ha ingrandito la divisione tra ricchi e poveri, gettando decine di milioni di indiani nella povertà, sia perché un gran numero di indiani, pari secondo le stime più attendibili oscilla tra il 40% e il 70% della forza lavoro, si guadagna da vivere nel settore informale, una zona grigia composta da ambulanti, precari, contadini stagionali, che negli ultimi mesi è stata colpita da un’elevata inflazione, legata soprattutto all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. 


Morning Bell: martedì incerto per i mercati in attesa della Fed

Vagit Alekperov, l’oligarca che chiede la fine della guerra

AGI – Vagit Alekperov è uno degli uomini più ricchi della Russia. La maggior parte delle azioni del colosso petrolifero Lukoil sono di sua proprietà e del vice, Leonid Fedun. La notizia delle sue dimissioni anticipate da presidente e ceo di Lukoil, comunicate con una scarna nota al presidente del consiglio di amministrazione della società (senza peraltro rivelare il motivo della scelta) non ha stupito più di tanto.

L’oligarca russo qualche tempo fa aveva infatti chiesto a Mosca di porre fine rapidamente al conflitto in Ucraina, diventando così la prima grande compagnia nazionale russa ad opporsi alla guerra. Sarà per questo che il magnate petrolifero è uno dei pochissimi oligarchi esclusi dalle sanzioni di Unione europea e Stati Uniti, mentre è entrato nel mirino del Regno Unito che il 13 aprile lo ha incluso nella sua ‘black list’.

Il 5 marzo scorso il consiglio di amministrazione di Lukoil ha riferito in una dichiarazione agli azionisti, al personale e ai clienti che stava “chiedendo la fine più rapida del conflitto armato” in Ucraina. “Esprimiamo la nostra sincera empatia per tutte le vittime, che sono colpite da questa tragedia – scriveva il consiglio – sosteniamo fermamente un cessate il fuoco duraturo e una soluzione dei problemi attraverso seri negoziati e diplomazia”.

Alekperov è uno degli uomini più ricchi della Russia. Nel 2021 – secondo Forbes – ha un patrimonio stimato di 24,9 miliardi di dollari che lo classifica come la 66esima persona più ricca del mondo e la quarta persona della Russia. Lukoil opera in dozzine di paesi in tutto il mondo ed è la seconda compagnia petrolifera russa dopo il gigante statale Rosneft. 


Vagit Alekperov, l’oligarca che chiede la fine della guerra

Morning Bell: l’altalena della paura sui prezzi delle materie prime

AGI – I mercati salgono per il forte calo del prezzo del petrolio e in vista dell’incontro in Turchia tra i ministri degli Esteri di Russia e Ucraina, Lavrov e Kuleba. La situazione resta comunque molto incerta e caratterizzata da una forte volatilità. “Le azioni sono state vendute in modo piuttosto aggressivo per diversi giorni. Non so se”, rivela un analista, questo rialzo “cambierà in modo permanente la direzione delle cose”.

A guidare i ribassi del greggio è stata l’apertura dell’Opec a un aumento dell’offerta e la possibilità che l’Aie possa attingere nuovamente alle riserve strategiche. “Il mondo sta lavorando insieme per far fronte all’impennata dei prezzi del petrolio e questo ha messo una ‘toppa’ a breve termine sui rialzi del greggio” ha scritto in una nota Ed Moya, analista senior di Oanda.

Negli Usa primo voto al Congresso per approvare il budget, che finanzierà le attività del governo fino a settembre, nel provvedimento ci sono anche 14 miliardi di dollari per l’Ucraina. Intanto oggi c’è attesa sui mercati per la riunione della Bce e per l’uscita dei dati sull’inflazione Usa a febbraio,

I negoziati sull’Ucraina non saranno facili ma riprendono piede e questo piace ai mercati, dove è ritornata un po’ di propensione al rischio. Il prezzo dell’oro è sceso sotto i 2.000 dollari ed è in calo dello 0,8% a 1.975 dollari l’oncia. Chiusura in forte discesa per il gas naturale, che sulla piazza di Amsterdam, perde il 27,35% a 155,88 euro, dopo aver ceduto oltre il 5% martedì scorso. Lo spread tra Btp e Bund scende sotto quota 148 punti, mentre il rendimento del decennale tedesco torna positivo. 

Gli analisti restano scettici sulla durata della flessione del prezzo del petrolio. “L’incertezza su dove e quando l’offerta riuscirà a sostituire la mancanza del greggio proveniente dalla Russia, il secondo più grande esportatore al mondo, in un mercato ristretto, non cambia le previsioni sull’andamento dei prezzi del petrolio, che oscillano tra 100 e 200 dollari al barile. Quindi, dire che il mercato del petrolio è confuso è un eufemismo: siamo in una situazione senza precedenti”, commenta Stephen Innes, managing partner di SPI Asset Management.

La forte volatilità dei mercati è legata al timore che le vicende belliche e i prossimi rialzi dei tassi possano frenare la crescita senza riuscire a raffreddare l’inflazione. Questo spiega anche l’andamento altalenante dei rendimenti dei Treasury decennali Usa che viaggiano all’1,94%, dopo essere scesi questa settimana sotto l’1,7%  e aver superato 4 settimane fa il 2% per la prima volta dall’agosto 2019. Tuttavia la vera preoccupazione dei mercati è un’altra: il rendimento del biennale Usa si attesta all’1,67% e lo spread tra il rendimento del Treasury a 2 anni e quello a 10 anni è ai minimi dall’inizio del 2020, il che è un brutto segno per i mercati che interpretano l’appiattimento della curva dei rendimenti come un segnale di recessione.

Negli scorsi anni le “recessioni” sono sempre state anticipate dall’inversione della curva dei tassi negli Usa. Per ora l’inversione sembra lontana, ma la curva si fa sempre meno “inclinata” e questo indica che il mercato vede all’orizzonte un rallentamento economico e di conseguenza la temibile stagflazione.

Che significa? Diciamo che un’economia è in stagflazione, quando soffre non solo per l’assenza di crescita ma anche per un forte rincaro dei prezzi. Gli economisti dell’istituto Kiplinger ora si aspettano che il Pil Usa quest’anno cresca solo del 4% quest’anno, dopo il 5,7% dedl 2021. BoFa invece prevede una crescita del 3,6% nel 2022 e Goldman Sachs si tiene ancora più bassa al 3,2%. Anche il 30% dei gestori di fondi ora si attendono una situazione di stagflazione entro i prossimi 12 mesi, contro il 22% del mese scorso.

“La stagflazione – sostiene Antonio Cesarano, chief strategist di Intermonte Partners – in questo contesto diventa uno scenario sempre più probabile almeno per l’Europa, anche se successivamente potrebbe interessare anche gli Usa”. In questa fase l’Europa è più a rischio in quanto risente maggiormente dei crescenti prezzi dell’energia, mentre a proteggere gli Stati Uniti è la sua autonomia in termini energetici.

L’effetto stagflazione comporterà un cambio di rotta nella politica delle banche centrali, che dovranno pensare di meno alle strette monetarie e di più a far ripartire l’economia. “Per prima comincerà la Bce – dice Cesarano – tra qualche mese potrebbe essere il turno anche della Fed, che prima però potrebbe tentare di avviare una breve fase di rialzo tassi/riduzione del bilancio”. 

È una giornata clou per i mercati. Nel pomeriggio, nel giro di poche ore, si riunisce la Bce, parla Christine Lagarde ed escono i dati sull’inflazione Usa a febbraio, che a loro volta saranno indicativi in vista della riunione della Federal Reserve del prossimo 16 marzo. Cosa farà oggi la Bce? Intanto probabilmente dirà che l’impatto della guerra renderà più soft la normalizzazione monetaria e potrebbe ritardare fino al 2023 la svolta restrittiva.

In altre parole potrebbe omettere di dare indicazioni sulla fine del Qe, cancellando l’ipotesi di uno stop agli acquisti da ottobre. Inoltre la Bce rivedrà le sue stime di crescita e di inflazione. Finora è trapelato che la crescita del Pil europeo quest’anno potrebbe subire un taglio dello 0,3-0,4% per via della guerra. Riguardo all’inflazione, che nell’area euro a febbraio ha toccato il massimo storico del 5,8%, la Bce dovrà dire se i prezzi saliranno intorno al 2% nei prossimi tre anni, o meno.

Sui tassi di interesse recentemente la Bce non aveva più escluso un rialzo dei tassi a fine anno. Tuttavia ha sempre detto che prima occorre finire il Qe e poi rialzare i tassi. Se però non verrà indicata una data di fine del Qe, allora implicitamente il rialzo dei tassi si allontanerebbe. Oggi c’è attesa anche per i dati sull’inflazione Usa, che a febbraio è prevista in rialzo dal 7,5% al 7,9% annuale.

L’inflazione ‘core’, quella con l’esclusione dei dati più volatili dei beni energetici e di quelli alimentari, dovrebbe salire dal 6% al 6,4% annuo. I riflessi sui mercati “Se uscirà un dato in linea con le attese – spiega Cesarano – la Fed a marzo rialzerà i tassi di un quarto di punto, come auspica Powell, se invece dovesse uscire un dato superiore all’8%, allora i mercati potrebbero entrare in fibrillazione, ipotizzando un rialzo dei tassi di 50 punti base”.


Morning Bell: l’altalena della paura sui prezzi delle materie prime

Le Pmi pagano di più elettricità e gas rispetto alle grandi aziende. L’analisi della Cgia 

AGI – “Il caro energia sta colpendo indistintamente tutte le nostre imprese, anche se le piccole, ben prima degli aumenti boom registrati negli ultimi mesi, subiscono un trattamento di ‘sfavore’ rispetto alle grandi realtà produttive”. Questa è la posizione presa dalla Cgia di Mestre.

Secondo gli ultimi dati Eurostat relativi al primo semestre 2021, infatti, le piccole aziende pagano l’energia elettrica il 75,6% e il gas addirittura il 133,5% in più delle grandi. “Questo differenziale, a scapito dei piccoli, colpisce anche le realtà di pari dimensioni presenti nel resto d’Europa, sebbene negli altri Paesi questo gap sia più contenuto del nostro”.

“Se ancora ce ne fosse bisogno, questa è un’ulteriore dimostrazione che il nostro Paese non è a misura di piccole imprese. Sebbene queste ultime costituiscono oltre il 99% delle aziende presenti in Italia, diano lavoro ad oltre il 60 per cento degli addetti del settore privato e siano la componente caratterizzante il made in Italy nel mondo, continuano ad essere ingiustificatamente discriminate”, spiega l’analisi della Cgia.

Ormai si lavora di notte

In questa prima settimana di rientro dopo le vacanze natalizie, ad esempio, molte di queste realtà hanno deciso di introdurre o di potenziare il turno di notte per abbattere i costi energetici. Pertanto, tra assenze legate al Covid e la necessità di rimodulare il ciclo produttivo per tagliare il costo delle bollette, non sono poche le attività che hanno organici ridotti all’osso e grosse difficoltà a garantire processi produttivi efficienti.

Le misure introdotte dal governo 

Per abbattere i costi delle bollette di luce e gas il Governo Draghi a messo a punto una serie di interventi che sono entrati in vigore nella seconda parte del 2021, per un importo complessivo pari a 8,5 miliardi di euro. I principali sono:

  1. La conferma dell’azzeramento degli oneri generali di sistema applicato alle utenze elettriche domestiche e alle utenze non domestiche in bassa tensione, per altri usi, con potenza disponibile fino a 16,5 kW e la sostanziale riduzione degli oneri per le restanti utenze elettriche non domestiche;
  2. Per tutte le utenze la riduzione dell’Iva al 5% del il gas naturale;
  3. L’annullamento, già previsto nel quarto trimestre 2021, degli oneri di sistema per il gas naturale, per tutte le utenze, domestiche e non domestiche;
  4. Il potenziamento del bonus applicato ai clienti domestici del settore elettrico e del gas naturale in condizione economicamente svantaggiata ed ai clienti domestici in gravi condizioni di salute.

I piccoli sono più penalizzati

In merito alle tariffe dell’energia elettrica, ad aver aumentato lo storico differenziale tra piccole e grandi imprese ha contribuito l’entrata in vigore, dal primo gennaio 2018, della riforma degli energivori. L’effetto prodotto da questa novità legislativa, che prevede un costo agevolato dell’energia elettrica per le grandi industrie, di fatto ha azzerato a queste ultime la voce ‘Oneri e Imposte’, ridistribuendola a carico di tutte le altre categorie di imprese escluse dalle agevolazioni, spiega la Cgia. 

È altresì vero che a seguito delle misure messe in campo dal Governo Draghi nella seconda parte del 2021, questo gap si è leggermente ridotto. Per quanto concerne il gas, invece, il divario tariffario è riconducibile al fatto che tutte le grandi imprese ricevono dai fornitori delle offerte personalizzate con un prezzo stabilito su misura e sulla base delle proprie necessità.

Pertanto, in sede di trattativa, il peso dei consumi è determinante per ‘strapparè al fornitore una tariffa molto vantaggiosa. Possibilità che, ovviamente, alle piccole imprese è preclusa. Va altresì ricordato che nel mercato libero le offerte di prezzo possono interessare solo la componente energia; le altre voci di spesa – come le spese di trasporto, gli oneri di sistema, la gestione del contatore etc. – sono stabilite periodicamente dall’Autorità per l’Energia e sono uguali per tutti i fornitori.

Anche in Europa le Pmi pagano di più

Concentrando l’attenzione solo sulle piccole imprese, dal confronto con le realtà produttive europee di pari dimensione emerge che in Italia i costi energetici sono tra i più elevati. Tra tutti i paesi dell’Area euro, infatti, solo rispetto alla Germania le nostre imprese pagano meno (del 12,6%).

Rispetto alla media europea, invece, i nostri piccoli imprenditori pagano mediamente il 15% in più. Quando si analizza il costo del gas, invece, tra i Paesi dell’Area euro le Pmi italiane sono al terzo posto (dopo Finlandia e Portogallo) per la tariffa più elevata. Se, come riportato più sopra, quella mediamente applicata nel nostro Paese per ogni MWh (Iva esclusa) consumati è pari a 53,7 euro, registriamo una variazione di prezzo rispetto alla media dei paesi che utilizzano la moneta unica del +7,6%.

L’incidenza delle imposte è al top

Assieme all’andamento del costo della materia prima, in Italia la componente fiscale è l’altra voce che contribuisce in maniera determinante ad innalzare il costo delle tariffe. Sempre nel primo semestre 2021, per la bolletta elettrica, ad esempio, in riferimento alle piccole imprese il 40,7% del costo totale è riconducibile a tasse e oneri: la media dell’Area euro, invece, è del 35,7%.

Per quella del gas, invece, se in Italia l’incidenza percentuale della tassazione sul costo totale a carico delle piccole aziende è del 27%, nell’Area euro si attesta attorno al 25%. “Come segnalavamo più sopra, va comunque ricordato che a seguito delle misure messe in campo dal Governo Draghi, l’incidenza del peso del fisco sul costo complessivo delle tariffe energetiche è leggermente diminuito”, conclude la Cgia.  


Le Pmi pagano di più elettricità e gas rispetto alle grandi aziende. L’analisi della Cgia 

Sui social lo sciopero è più forte della paura del Covid

AGI –  Lo sciopero generale proclamato da Cgil e Uil, con l’assenza della Cisl, ha portato 10mila persone in Piazza del Popolo a Roma, secondo i dati di fonti vicine alla Questura. “Insieme per la giustizia” è lo slogan scelto dalle due sigle sindacali. Lavoratori pubblici e privati di diversi settori, dal trasporto ferroviario e aereo, a quello cittadino, personale delle autostrade, i corrieri, i lavoratori della logistica, i portuali e gli autotrasportatori, tutti a manifestare e protestare contro la legge di bilancio presentata dal Governo.

Assenti, invece, i lavoratori della sanità, della scuola e delle poste. Oltre alla manifestazione nazionale svoltasi a Roma, ci sono state altre iniziative analoghe a Bari, Cagliari, Milano e Palermo.

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#Bombardieri: Abbiate rispetto delle persone che sono scese in piazza: non volevano bloccare il Paese ma ottenere risposte dal Governo.⁰@PpBombardieri #TagadaLa7

— Uil Nazionale (@UILofficial) December 16, 2021

 

La comunicazione e la condivisione online non sostituiscono l’implementazione delle reti solidali, ma certamente le piattaforme digitali possono essere molto utili a costruire mobilitazioni reali nelle piazze. Con gli algoritmi di intelligenza artificiale di Kpi6* abbiamo analizzato le migliaia di conversazioni sul web, e il sentiment ossia l’andamento delle emozioni, ricavabili all’interno dei contenuti pubblicati sullo #sciopero.
Di #ScioperoGenerale si è iniziato a parlare in modo consistente già alcuni giorni prima della manifestazione nelle piazze, sin dall’inizio del mese di dicembre quando la mobilitazione è stata annunciata.

Discussioni sia sull’opportunità di scioperare, ma anche sulle varie tematiche di tipo economico, inerenti la manovra di bilancio, il lavoro e la ripresa economica. Una discussione ampia, articolata sull’effettivo valore e robustezza della crescita del prodotto interno lordo, sugli effetti del covid sull’economia e gli obiettivi concreti che lo sciopero può ottenere. Infatti le conversazioni spesso non includono menzioni alle sigle sindacali. Come se lo sciopero fosse sganciato dai promotori e in realtà sia stato il pretesto per aprire una discussione allargata, sulle azioni del Governo e le prospettive economiche.

Tra le sigle sindacali la Cgil è la più menzionata, con valori pressoché identici a quelli che caratterizzano la Uil, mentre la Cisl ha ottenuto un basso volume di visibilità all’interno delle conversazioni, nonostante il clamore provocato dalla mancata adesione allo sciopero.

Parlare tanto di un fenomeno sociale o di un protagonista politico, non necessariamente porta visibilità positiva, infatti il sentiment associato a Cgil e Uil è nettamente negativo, al 90%. In molti contestano l’opportunità di scioperare in una fase ritenuta delicata come quella attuale, anche in relazione alla possibile diffusione dei contagi e di nuovi focolai. 

Gli hashtag maggiormente associati allo sciopero, sono #CGIL e #UIL, mentre le frasi e le parole più presenti all’interno dei contenuti sono orientate alla protezione dei diritti e allo sviluppo dell’occupazione: “disaccordo Governo”, “manovra bocciata”, “chiediamo insieme giustizia” e “sciopero sacrosanto”. Ma c’è anche chi fa sentire una voce favorevole all’esecutivo, infatti tra le conversazioni emerge “manovra combatte il precariato”.

Le conversazioni sono di altro tipo quando si associano alla Cisl: “Responsabilità” e “dialogo”, sono le parole più rappresentate. Ma una parte dell’audience definisce la scelta di non partecipare allo sciopero una “scelta incomprensibile”, a conferma di come l’idea di vedere il fronte sindacale non compatto, provochi comunque disappunto.

Gli argomenti collegati allo sciopero, dei quali si parla sul web, sono raggruppabili in cinque categorie:
·         Lavoratori
·         Draghi e Governo
·         Legge di bilancio
·         Pensioni e pensionati
·         Covid e probabilità di contagi

Le categorie del rischio sanitario e di nuovo focolai è quella che ha provocato meno conversazioni, mentre il tema del lavoro e del precariato, oltre alle discussioni sul Governo, sono quelle più popolate con i contenuti degli utenti.

La prevalenza delle forze politiche, in generale, non ha sostenuto  lo sciopero, sebbene rispettandone la piena legittimità, e raccogliendo i vari spunti di riflessioni portati avanti nelle piazze.

Ancora livore da #Salvini contro i lavoratori di questo Paese e contro i sindacati.
Nessun stupore per la sua reazione: d’altronde sono i suoi consulenti ad essere orgogliosi quando riescono a licenziare gli operai e a chiudere delle fabbriche in Italia#SCIOPEROgenerale pic.twitter.com/1iOJBZMyLP

— nicola fratoianni (@NFratoianni) December 16, 2021

Uno sciopero si rispetta, sempre. Tuttavia, è meglio che i lavoratori – nel decidere se aderire o no – si basino sulle informazioni corrette, e non sulla propaganda. Ne va della qualità del nostro spazio pubblico. pic.twitter.com/zepW30icUg

— Luigi Marattin (@marattin) December 15, 2021

La politica non può ignorare lo #scioperogenerale, serve un segnale concreto per la dignità dei lavoratori. Sul #salarioMinimo chiediamo a tutti i partiti, a partire dal Pd, di rompere gli indugi. Basta perdere tempo: in Parlamento c’è la proposta del @Mov5Stelle.

— Carlo Sibilia (@carlosibilia) December 16, 2021

Osservando la geo distribuzione delle conversazioni sull’intero territorio nazionale, notiamo che in Lombardia e Lazio si è parlato molto dello sciopero; molto meno nel resto d’Italia, anche in quelle regioni dove i lavoratori hanno manifestato, a Bari, Cagliari, Palermo.

* Analisti: Gaetano Masi, Marco Mazza, Giuseppe Lo Forte, Pietro La Torre; Design: Cristina, Addonizio; Giornalista, content editor: Massimo Fellini


Sui social lo sciopero è più forte della paura del Covid

Dall’inizio della pandemia registrati 327 mila lavoratori autonomi in meno

AGI – In questi ultimi 20 mesi la crisi occupazionale provocata dal Covid non ha colpito indistintamente tutti. A pagare il conto più “salato”, purtroppo, sono stati i lavoratori indipendenti, ovvero gli autonomi e le partite Iva, che dal febbraio 2020 (mese pre Covid), al settembre 2021 (ultimo dato disponibile fornito dall’Istat), sono diminuiti di 327 mila unità (-6,3%).

Diversamente, i lavoratori dipendenti, anche se di poco, sono invece aumentati: sempre nello stesso arco temporale, lo stock complessivo degli impiegati e degli operai presenti in Italia è salito di 13 mila unità (+0,1%). A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre che sottolinea come il risultato positivo registrato dai lavoratori dipendenti è ascrivibile a un deciso aumento del numero dei lavoratori a tempo determinato; questi ultimi, tra febbraio 2020 e settembre di quest’anno, sono cresciuti di +108 mila unità; per contro, gli occupati a tempo indeterminato sono diminuiti di 95 mila.

Complessivamente, il gap occupazionale tra il febbraio 2020 e lo scorso mese di settembre rimane ancora negativo, anche se non ha nulla a che vedere con i picchi toccati nella primavera scorsa: l’ultimo dato disponibile, aggiunge la Cgia, ci dice che lo stock degli occupati presenti nel Paese rispetto al dato pre pandemia è più basso di 314 mila unità (-1,4 per cento).

Molti autonomi potrebbero essere tornati a fare i dipendenti  

Se analizziamo l’andamento degli occupati per fasce di età, dettaglia la Cgia di Mestre, riscontriamo che in questi ultimi 20 mesi è in calo sia il numero presente nella coorte dei giovani (15-34 anni) sia quello riconducibile alla mezza età (35-49 anni): rispettivamente di 98 mila e di 371 mila unità. Ad aumentare di numero, invece, è stata la platea degli over 50 che in questa fase di pandemia è cresciuta di 154 mila unità.

Premesso che i dati Istat non consentono di decifrare l’andamento dei flussi in entrata/uscita registrati in questo arco temporale, questo incremento potrebbe essere ascrivibile al fatto che molti autonomi e altrettanti collaboratori familiari o soci di cooperative di una certa età abbiano chiuso la propria posizione Inps; successivamente sono rientrati nel mercato del lavoro come dipendenti, sfruttando l’esperienza e la professionalità acquisita in tanti decenni di onorata carriera.

Soffrono ancora le città d’arte

Ad aver patito maggiormente gli effetti della crisi sono state le città d’arte. Anche in questi ultimi mesi di riapertura totale, in queste realtà urbane le difficoltà rimangono. L’Ufficio studi della Cgia ricorda che stiamo parlando di città che sono delle vere e proprie eccellenze nei settori della moda, del gioiello e dell’artigianato di qualità; tutti comparti che, in genere, costituiscono un’importante attrazione turistica per il nostro Paese.

Queste attività di alta gamma beneficiano dei medesimi flussi turistici che sostengono le attività ricettive, i pubblici esercizi e il trasporto pubblico locale (taxi e noleggio con conducente), con i quali spesso si sviluppano sinergie importanti. In città come Firenze e Venezia, ad esempio, il giro d’affari di queste attività commerciali-artigianali dipende, in media, almeno per il 60-70 per cento dagli acquisti dei turisti stranieri, soprattutto di provenienza extra Ue che in questi ultimi 2 anni sono mancati totalmente; pensiamo al crollo del turismo croceristico che ha messo a repentaglio migliaia e migliaia di posti di lavoro.

Pertanto, è necessario un intervento per “tappare” una crisi apparentemente infinita che sta gravemente compromettendo non solo le imprese della ricettività, del trasporto locale e dei servizi turistici, ma anche ristoranti, botteghe e negozi delle mete culturali e dei centri storici, rimasti ormai senza “fiato”. Imprese che devono essere sostenute più a lungo, con contributi a fondo perduto, ammortizzatori sociali e credito di imposta per gli affitti.

Si istituiscano i tavoli di crisi

Da almeno sei mesi la Cgia chiede sia al Governo che ai governatori di aprire un tavolo di crisi permanente a livello nazionale e regionale. Mai come in questo momento, dice l’associazione, infatti, è necessario dare una risposta ad un mondo, quello delle partite Iva, che sta vivendo una situazione particolarmente delicata. Intendiamoci, nessuno è in grado di risolvere i problemi con un semplice tocco di bacchetta magica.

Non dobbiamo nemmeno dimenticare che in questo ultimo anno e mezzo oltre ai ristori (ancorchè del tutto insufficienti), gli esecutivi che si sono succeduti hanno, tra le altre cose, approvato l’Iscro, esteso l’utilizzo dell’assegno universale per i figli a carico anche agli autonomi ed è stato introdotto il reddito di emergenza per chi è ancora in attività. Tutte misure importanti, ma insufficienti ad arginare le difficoltà emerse in questi mesi di pandemia.

A rischio la coesione sociale

È importante ribadire, conclude la Cgia, che i negozi di vicinato e le tante botteghe artigiane presenti nel Paese hanno bisogno di sostegno perchè garantiscono la coesione sociale anche del nostro sistema produttivo. Con meno serrande aperte le città e i nostri quartieri sono meno vivibili, più insicure; inoltre è a rischio la qualità del nostro made in Italy.

È necessario coinvolgere il Ministero dell’Istruzione affinchè attivi quanto prima una importante azione informativa/formativa nei confronti degli studenti delle scuole medie superiori che li sensibilizzi in particolar modo su un punto; una volta terminato il percorso scolastico, nel mercato del lavoro ci si può affermare anche come lavoratori autonomi.


Dall’inizio della pandemia registrati 327 mila lavoratori autonomi in meno

Mattarella inaugura il giardino intitolato a Mattei ad Algeri. “Difensore della libertà”

AGI – Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, accompagnato dall’amministratore delegato Eni, Claudio Descalzi, ha inaugurato ad Algeri la targa con cui la municipalità ha intitolato un giardino pubblico a Enrico Mattei. “Personalità italiana, amico della rivoluzione algerina, difensore tenace e convinto della libertà e valori democratici, impegnato a favore dell’indipendenza del popolo algerino e del compimento della sua sovranità”, si legge in italiano e in arabo sulla targa all’entrata dell’elegante parco nel quartiere residenziale di Hydra, non lontano dall’Ambasciata d’Italia.

Attribuiamo grande importanza e valore simbolico all’intitolazione di un giardino di Algeri a Enrico Mattei. Enrico Mattei fu una delle personalità italiane più importanti del dopoguerra e uno dei costruttori della Repubblica Italiana”, aveva detto ieri il presidente Mattarella intervistato dai giornali locali.

“Tenace e convito difensore dei valori democratici, seppe contribuire alla crescita civile e sociale della nostra comunità nazionale, prima attraverso la sua attiva partecipazione alla Resistenza italiana e poi come politico e protagonista della ripresa economica. In un Paese gravemente indebolito dalla guerra, egli dedico’ il suo ingegno e le sue straordinarie capacità organizzative a fornire all’Italia le risorse energetiche necessarie al suo sviluppo”.

Anche “sul piano internazionale – ha sottolineato il capo dello Stato- la sua visione del mondo e il suo desiderio di superare gli squilibri furono preziosi per la rinascita dell’Italia e per la costruzione di rapporti equi con i Paesi di nuova indipendenza. La sua lezione e la sua esperienza sono più che mai attuali”.

“Enrico Mattei, al quale il Presidente Abdelmadjid Tebboune ha conferito postumo la medaglia degli Amici della Rivoluzione algerina – ha concluso il presidente della Repubblica- è stato un vero amico dell’Algeria e speriamo che, anche grazie a questo giardino, le nuove generazioni possano conoscere e apprezzare meglio la sua carriera”.

“La lezione di Mattei”, ha detto Descalzi, “è ancora attuale perchè ci porta a collaborare e integrarsi, a costruire un rapporto, a lavorare per gli altri, a condividere i benefici in modo corretto è giusto, proprio in linea con quello che stiamo vivendo ora con la Just transition: cambiare ma dando una ricaduta positiva del cambiamento”.

In Algeria, ad Enrico Mattei è largamente riconosciuto un importante ruolo di sostegno, amicizia e vicinanza durante gli anni della guerra di liberazione nazionale (1954-1962).

Infatti, Mattei ha storicamente sostenuto sia il Fronte di Liberazione Nazionale sia il Governo Provvisorio della Repubblica Algerina (GPRA), al quale ha fornito un apporto significativo all’interno dei negoziati degli Accordi di Evian.

Il suo nome evoca anche il numero elevato di studenti algerini, futuri quadri e dirigenti dell’industria petroliera ed energetica, formati su sua iniziativa nelle scuole dell’ENI a San Donato Milanese. L’intitolazione di un luogo pubblico di Algeri a Mattei – una prima in assoluto nel Paese – sancisce l’istituzione di un prestigioso luogo intitolato a un italiano nel cuore della capitale.

Descalzi: “Lezione di Mattei ancora attuale”

“La lezione di Mattei è ancora attuale perché ci porta a collaborare e integrarsi, a costruire un rapporto, a lavorare per gli altri, a condividere i benefici in modo corretto e giusto, proprio in linea con quello che stiamo vivendo ora con la Just transition: cambiare ma dando una ricaduta positiva del cambiamento”. Queste le parole dell’ad di Eni Claudio Descalzi, durante la cerimonia.

“L’Algeria, come tutti i Paesi del sud del Mediterraneo, è fondamentale per la collaborazione con la parte nord del Mediterraneo, con l’Europa, per ragioni culturali, commerciali ed energetiche”m ha aggiunto Descalzi.

L’Italia ha una grande fortuna, costruita da Mattei, di avere una diversificazione energetica. Non dipendiamo solo dal gas di Norvegia e Russia, ma abbiamo un grandissimo fornitore grande alleato in Algeria che ci assicura miliardi di metri cubi di gas, assicurando la fornitura energetica”, ha detto Descalzi.

“L’Algeria – ricordato l’ad di Eni – ha un rapporto storico costruito nel tempo, che ci porta a essere vicini, con progetti di energia tradizionali, dove stiamo creando grandi efficenze per la riduzione delle emissioni, progetti per energie pulite come il fotovoltaico, un accordo per l’idrogeno verde sulla ricerca scientifica, una importante dinamica di collaborazione, ma soprattutto un rapporto continuo ed estremamente cordiale. Lavorare bene insieme è alla base del successo di quello che stiamo realizzando con Sonatrach in Algeria”

Per Descalzi, infine, Europa ed Africa sono “vicine, legate dal Mediterraneo e dalla cultura, siamo legati da necessità d’investire e sviluppare, perché con lo sviluppo c’è pace”


Mattarella inaugura il giardino intitolato a Mattei ad Algeri. “Difensore della libertà”

Si è dimesso il presidente della Bundesbank

AGI – Il capo della Bundesbank, Jens Weidmann, ha chiesto al presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier di dimetterlo dall’incarico a partire dal 31 dicembre di quest’anno.

Lascerà la Bundesbank, che dirige dal maggio 2011, per motivi personali. “Sono giunto alla conclusione che più di 10 anni sono un buon periodo tempo per voltare pagina, per la Bundesbank, ma anche per me personalmente”.

Il ringraziamento al personale

Nelle parole di ringraziamento al personale, Weidmann ha fatto riferimento ai risultati raggiunti: “L’ambiente in cui operiamo è cambiato in modo massiccio e i compiti della Bundesbank sono aumentati. La crisi finanziaria, la crisi del debito sovrano e più recentemente la pandemia hanno portato a decisioni nella politica e nella politica monetaria che avranno effetti duraturi. Per me è sempre stato importante che la voce chiara e orientata alla stabilità della Bundesbank rimanga fortemente ascoltabile. Con grande competenza, i dipartimenti hanno contribuito alle discussioni sulle giuste lezioni da trarre dalla crisi e sul quadro dell’unione monetaria. Sono stati adottati importanti cambiamenti normativi. La riorganizzazione della supervisione bancaria in Europa non solo ha portato a strutture di supervisione completamente nuove alla Bce, ma anche a un ruolo rafforzato della Bundesbank. Le nuove responsabilità della Bundesbank nell’area della stabilità finanziaria sottolineano anche il nostro ruolo centrale quando si tratta di un sistema finanziario funzionante”.

E il ringraziamento al Direttivo Bce

Weidmann ha ringraziato poi i colleghi del Consiglio direttivo della Bce sotto la guida di Christine Lagarde per l’atmosfera aperta e costruttiva nelle discussioni a volte difficili degli anni passati e ha sottolinea l’importante ruolo stabilizzante della politica monetaria durante la pandemia, così come la conclusione positiva della revisione della strategia come una pietra miliare importante nella politica monetaria europea.

Weidmann ha evidenziato che la Bundesbank ha contribuito con fiducia, con la sua competenza analitica e le sue convinzioni fondamentali, al processo di revisione recentemente concluso.

“È stato concordato un obiettivo di inflazione simmetrico e più chiaro. Gli effetti collaterali e in particolare i rischi di stabilità finanziaria devono essere presi in maggiore considerazione. Un overshooting mirato del tasso d’inflazione è stato respinto”, ha detto Weidmann.

Sguardo al futuro

Guardando al futuro, ha affermato che ora dipenderà da come questa strategia viene “vissuta” attraverso decisioni concrete di politica monetaria. “In questo contesto, sarà cruciale“, ha proseguito Weidmann, “non guardare unilateralmente ai rischi deflazionistici, ma nemmeno perdere di vista i potenziali pericoli inflazionistici. Una politica monetaria orientata alla stabilità sarà possibile a lungo termine solo se il quadro normativo dell’Unione monetaria continuerà a garantire l’unità d’azione e di responsabilità, la politica monetaria rispetterà il suo mandato ristretto e non si farà prendere dalla scia della politica fiscale o dei mercati finanziari. Questa resta la mia ferma convinzione personale, così come la grande importanza dell’indipendenza della politica monetaria”. 


Si è dimesso il presidente della Bundesbank

Inflazione, Pepp e ripresa sul tavolo della Bce dopo la pausa estiva

AGI – Dopo un anno e mezzo dallo scoppio della pandemia, la Bce potrebbe iniziare a ridurre l’intensità delle operazioni con cui ha supportato i mercati e la ripresa negli ultimi 18 mesi. E, secondo le attese di diversi investitori e analisti, spinta da un’inflazione che ad agosto ha toccato il 3% e dalla conseguente pressione sempre maggiore dei falchi all’interno del Consiglio direttivo, a partire dal presidente della Budensbank Jens Weidmann, potrebbe discuterne già nella riunione di domani, la prima dopo la pausa estiva. 

Pepp e inflazione 

Non è solo otreoceano, dunque, che è d’attualità la discussione sul ‘tapering’, ovvero il processo con cui le banche centrali ritireranno parte degli stimoli messi in campo di fronte al Covid. Se la Federal Reserve ne ha già parlato più apertamente, la Bce – che ha da poco concluso la revisione delle proprie strategie – si troverà ad affrontare, domani e nelle prossime settimane, un dialogo analogo. 

L’andamento dell’inflazione, schizzata ben oltre il target del 2% simmetrico ad agosto, ha allontanato nuovamente le posizioni in Consiglio direttivo: da un lato c’è chi di fronte alla fiammata dei prezzi vorrebbe già un giro di vite, dall’altro chi è preoccupato che un ritiro prematuro dei sostegni possa far inceppare una ripresa solida ma ancora ricca di incertezza, a partire da quelle legate alla variante Delta e a possibili restrizioni autunnali.

La revisione delle stime

Nella riunione i banchieri centrali saranno chiamati anche alla revisione delle stime su crescita e inflazione, che potrebbero fornire una panoramica più chiara sullo stato di salute dell’economia europea e sull’andamento del caro prezzi. Secondo quanto deciso con la ‘strategic review’ varata prima dell’estate, infatti, la Bce è chiamata ad affrontare con uguale forza gli scostamenti dal target del 2% per l’inflazione sia al rialzo che al ribasso. 

Le posizioni in campo

La preoccupazione dei falchi, capeggiati da Weidmann, è che lasciare intatto il supporto della Bce all’economia, nonostante la fiammata dei prezzi sia vista dalla maggior parte degli economisti come temporanea, spinga l’inflazione ancora al rialzo e che questo, assieme alle strozzature sulla catena di approvvigionamento, rischi di innescare una spirale tale da richiedere poi un intervento più deciso invece di uno più sfumato a partire da adesso. 

Sull’altro fronte, invece, c’è chi ritiene che annunciare una riduzione del Pepp a stretto giro sarebbe controproducente di fronte a un’economia che corre ma che non è ancora tornata a livelli pre-Covid e di fronte a una ripresa che va consolidata e non limitata al semplice rimbalzo seguito ai lockdown e alle chiusure.

Le parole di Lagarde

A guidare la discussione sarà come sempre la presidente della Bce, Christine Lagarde. “Abbiamo davvero lottato duramente e risposto bene” alla crisi pandemica “e ne siamo usciti con una situazione che ha ancora bisogno di molta attenzione. Ma mi sembra che ora i responsabili politici debbano essere quasi chirurgici: non è più una questione di sostegno massiccio, sarà una questione di sostegno mirato e mirato in quei settori che sono stati gravemente danneggiati”, ha detto recentemente, facendo intravedere dietro le parole le nuove politiche dell’Eurotower. 

La reazione dei mercati

Di sicuro l’attesa per la riunione ha riportato nervosismo sui mercati europei che, in vista del meeting di domani, si muovono in netto calo, con Francoforte che a fine mattinata perde l’1,2%, Parigi in ribasso dello 0,8% e Milano che, dopo un avvio in profondo rosso, ha limato parte dei ribassi e lascia sul terreno lo 0,5%. 


Inflazione, Pepp e ripresa sul tavolo della Bce dopo la pausa estiva

L’allarme della Corte dei Conti sul debito pubblico

AGI – La Corte dei conti inaugura l’anno giudiziario 2021 in un contesto di chiaroscuri. L’ombra del Covid pesa sulla Sanità, le perdite umane sono altissime e il quadro economico assume “connotazioni gravi” e non appare di “rapida soluzione”. Anzi, i magistrati contabili evidenziano un “elevato rischio di insostenibilità del debito pubblico”.

L’unica luce che si intravede all’orizzonte proviene dal nuovo Quadro finanziario pluriennale dell’Ue 2021-2027 che, integrato dal Next Generation Eu, costituisce “il motore per rilanciare, nei prossimi anni, le economie dei Paesi membri”.

Proprio per questo bisogna adoperarsi affinché le iniziative del Pnrr vengano individuate e attuate in maniera trasparente. Dietro l’angolo c’è infatti lo spettro che “molti, per motivi criminosi, possano trarre vantaggio dalla pandemia”.

Deve esserci quindi un controllo che, come sottolinea il presidente del Consiglio, Mario Draghi, “deve essere intransigente e rapido” e le istituzioni devono marciare insieme per la rinascita economica e sociale del Paese.

L’ELEVATO RISCHIO DI INSOSTENIBILITA’ DEL DEBITO “Il sostegno, fin qui, offerto dalla Bce ai Paesi dell’Unione europea, con gli acquisti di titoli del debito pubblico è stato utile, se non determinante per l’Italia, ma, negli anni a venire, comporta necessariamente un elevato rischio di insostenibilità del debito pubblico, pervenuto ad oltre il 160 per cento del Pil, stante, altresì, la contemporanea netta riduzione delle entrate tributarie attese”, scrive la Procura generale della Corte dei conti nella relazione, sottolineando come “le aumentate necessità del sistema sanitario nazionale, la riduzione delle attività economiche, il vertiginoso aumento delle richieste di cassa integrazione, l’impellenza di garantire un sostegno al reddito anche di lavoratori autonomi, hanno prodotto abnormi incrementi della spesa pubblica, finanziata a debito”.

Per questi motivi, avverte la magistratura contabile, “risulta quanto mai necessario e urgente che la spesa pubblica – fatte salve le misure di sostegno sociale – sia indirizzata ad investimenti realmente produttivi, tali da comportare un significativo aumento del tasso di produttività e di riportare l’economia a tassi di crescita, ormai dimenticati nel nostro Paese da oltre un ventennio”. All’allarme risponde Draghi spiegando che “ai livelli attuali non sono i tassi di interesse che determinano la sostenibilità del debito pubblico, ma è il tasso di crescita di un paese. 

IL RECOVERY MOTORE DEL RILANCIO MA SERVE TRASPARENZA Pur nella critica situazione economica, finanziaria e sociale, vanno colte le opportunità offerte dal nuovo Quadro finanziario pluriennale dell’Ue 2021-2027 che, integrato dal Next Generation Eu-Recovery Fund, costituisce “il motore per rilanciare, nei prossimi anni, le economie dei Paesi membri”, dice Guido Carlino, presidente della Corte dei conti.

Con il Next Generation, l’Unione Europea “ha preso una decisione, ispirata alla solidarietà, senza precedenti”, rimarca Draghi sottolineando che “mai nella storia dell’Ue, i governi avevano tassato i loro cittadini per dare il provente di questa tassazione ai cittadini di altri paesi dell’Unione. è avvenuto con i trasferimenti a fondo perduto stabiliti dal Next Generation. Si tratta di una straordinaria prova di fiducia reciproca”.

Adesso però “occorre evitare gli effetti paralizzanti di quella che viene definita la ‘fuga dalla firma’”. In quest’ottica, secondo il presidente della Corte dei conti, le iniziative individuate per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) potranno essere utilmente attuate “nella consapevolezza che puo’ esservi ripresa solo in presenza di trasparenza, legalità finanziaria e controlli che garantiscano la realizzazione dei programmi finanziati”.

Gli fa eco il Procuratore generale, Angelo Canale, che spiega come la fase della cosiddetta ripresa richiederà “sforzi enormi e grande attenzione nell’impiego delle ingenti risorse del Next Generation Eu”. Secondo Canale, “non un euro dovrà essere sprecato; non un euro dovrà finire nelle tasche dei profittatori, dei disonesti, dei criminali”, questo deve essere “l’imperativo categorico per tutti”. In questo senso la Corte dei conti auspica iniziative normative che non riducano la propria “concreta capacità di intervento nei confronti di fattispecie di sperpero, di sviamento e cattiva gestione delle risorse pubbliche”.

IL RUOLO CRUCIALE DELLA CORTE DEI CONTI La Corte è stata “un guardiano autorevole”, sottolinea Draghi, e oggi con il tema del Recovery fund, il ruolo diventa ancora più importante, per far sì che le risorse provenienti dall’Europa “vengano impiegate correttamente”.

Secondo il premier, poi, “sta a chi governa fare le scelte strategiche, sta a chi amministra eseguirle in maniera efficace ed efficiente e a chi controlla verificare che le risorse siano impiegate correttamente. Governo, Parlamento, Amministrazione Pubblica, Corte dei Conti e tutte le Istituzioni del nostro Paese devono essere coprotagonisti di un percorso di rinascita economica e sociale”.

L’emergenza epidemiologica e la connessa crisi economica “mettono senz’altro a dura prova la richiesta di maggiore velocità e migliore trasparenza che i governati richiedono ai governanti in ogni luogo. In democrazia è più difficile rispondere a questa doppia domanda, eppure lo Stato è chiamato a farlo, pena la perdita di fiducia verso le istituzioni, che fiacca la fiducia nel futuro”, rileva ancora il premier.

Draghi si dice poi profondamente convinto che “le contrapposizioni tra istituzioni siano un gioco a somma negativa, mentre la collaborazione produce effetti moltiplicatori. è a questo principio di leale e costruttiva collaborazione che penso vada improntata la relazione tra chi agisce e chi controlla: questo principio deve guidare tutti i servitori dello Stato, controllati e controllori”.

PUNTARE SU SEMPLIFICAZIONE E DIGITALIZZAZIONE Per arginare la cattiva amministrazione, che “è il fertile terreno per illiceità, sperperi di pubblico denaro, abusi e corruzione”, bisogna, secondo i magistrati contabili, puntate sulla semplificazione di regole e processi decisionali, investire nella digitalizzazione e nell’innovazione.

Queste “sono le giuste strade”, sostiene Canale, come lo è anche “formare una dirigenza consapevole, preparata e in grado di affrontare le difficoltà con coraggio e l’orgoglio di svolgere un servizio pubblico. La deresponsabilizzazione, invece, non è mai un rimedio”. 


L’allarme della Corte dei Conti sul debito pubblico