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L’Italia è all’ultimo posto per l’uso di Internet a lavoro. E l’economia digitale non decolla 

Gli Stati dell'area Ocse hanno finalmente inserito fra le loro priorità le policy per guidare la trasformazione digitale, e l'Italia, anche se su molti aspetti rincorre le altre nazioni, ha le sue buone pratiche. Ma rimaniamo tra gli utlimi per l'utilizzo di Internet a lavoro e per percentuali di popolazione che in generale accedono alla rete. E scontiamo ancora i ritardi negli investimenti in infrastrutture, come la banda larga. Lo rivela il rapporto dell'organizzazione internazionale dei Paesi a economia di mercato nel Digital Economy Outlook 2017, dove l'Italia rimane ancora indietro rispetto ad alcune grandi questioni come la diffusione della banda larga e l'utilizzo del cloud computing, ma, si legge nel rapporto, il piano di super e iperammortamenti del governo per gli investimenti in digitale e innovazione (Industria 4.0) è tra le iniziative degli stati che consentono una più veloce digitalizzazione della produzione di beni e servizi.

Le direttrici di sviluppo dell'economia digitale

La trasformazione digitale, scrive l'Ocse, si sta sviluppando su due grandi pilastri: digitalizzazione e interconnessione. Le nostre comunicazioni, lo scambio di informazioni, foto, video, testi, sono già digitali, un cambiamento radicale e totale dal 2007 in poi, anno dell'introduzione nel mercato del primo smartphone. E questo avviene grazie ad infrastrutture che consentono al mondo intero di scambiarsi informazioni, e quindi dati. Un ecosistema che oggi, spiega l'Ocse, si sta sviluppando attraverso 4 nuove direttrici, importanti per comprendere dove andrà il mondo nei prossimi anni e muoversi per tempo, e che gli stati devono essere in grado di comprendere.

1) L'Internet delle cose, IoT, e il suo mondo di oggetti connessi, in grado di cambiare il proprio stato e le proprie funzioni grazie ad informazioni ricevute via internet

2) L'analisi dei Big data, ovvero la capacità algoritmica di raccogliere grandi quantità di informazioni e dati scambiati via Internet e processarle in modo veloce per ricavarne informazioni utili tanto per le aziende, quando per le istituzioni

3) L'intelligenza artificiale e l'apprendimento delle macchine, sempre più in grado di imparare dalle esperienze e declinare i propri comportamenti su sfide sempre più difficili, dalla produzione di beni e servizi alle guida autonoma dei veicoli fino agli algoritmi in grado di fare analisi e previsioni del comportamento dei titoli in borsa

4) La Blockchain, da molti considerata la nuova Internet, ovvero una struttura per lo scambio di informazioni e per la vendita di beni e servizi totalmente decentralizzata, retta da una rete di computer che garantiscono la correttezza degli scambi nella rete stessa. Queste trasformazioni, già in atto, richiedono pero' competenze adeguate. E la sfida più grande dei Paesi è formare i cittadini alle competenze digitali richieste nell'ICT (Information Technology), spiega il rapporto.

Solo 7 aziende su 10 hanno un sito internet, meno delle media

Il piano Industria 4.0 del ministero dello Sviluppo economico potrebbe essere la leva per far aumentare il numero di investimenti fatte dalle aziende italiane in innovazione. Le aziende italiane sono quelle tra i Paesi Ocse che meno hanno investito nel 2015 in ricerca e sviluppo in relazione al prodotto interno lordo. Meno dell'1%, percentuale che scende di molto, sotto lo 0,5% se si tiene conto degli investimenti fatti nel manifatturiero, in una classifica guidata da Israele (3,5%) e dalle principali nazioni europee: Germania (2%) e Francia (1,5%). 

L'Italia si posiziona bene nella classifica del numero di marchi registrati nelle tecnologie dell'Informazione (Ict) nel mercato europeo, subito dietro Germania, Francia e Regno Unito (Mf-Milano Finanza). La banda larga, spiega il rapporto, raggiunge il 100% delle grandi aziende di quasi tutte le nazioni Ocse, Italia compresa, percentuale che scende di circa 10 punti percentuali se si tiene conto delle piccole e medie imprese (meno di 250 addetti). Mentre l'Italia rimane sotto la media Ocse per il numero di imprese che hanno un sito web: la media dei Paesi è il 77%, percentuale che scende a il 70 per l'Italia, lontana dal 90% dei Paesi industrializzati. Che è decisamente a fondo classifica tra i Paesi industrializzati nell'utilizzo di internet: naviga in rete meno del 69% della popolazione contro la media Ocse dell'84%, con percentuali inferiori agli altri Paesi anche tra i più giovani (il 90% tra i 16-24enni contro il 96,5% Ocse) e un divario ancor più evidente nella fascia d'età più avanzata (42% tra i 55-74enni contro il 63% Ocse). Solo Messico, Turchia e Brasile hanno percentuali inferiori (Il Sole 24 Ore).

Ma Italia tra le nazioni al mondo con più Sim card dell'Internet of Things

L'Italia è tra le nazioni al mondo con che ha una maggiore distribuzione di schede sim utili alla diffusione della tecnologia Internet of Things. Il dato, che per certi versi sorprende, si rifesce alla distribuzione del Machine to Machine (M2M) Sim Card, ovvero le sim che consentono lo scambio dati e di comunicazioni tra macchine e software, il cuore delle soluzioni dell'Internet delle cose. L'Italia è tra le prime nazioni al mondo per distribuzione ogni 100 abitanti di queste carte, insieme a Svezia, Norvegia e Finlandia (Il Corriere della Sera)

L'Italia è poco al di sotto la media Ocse per l'uso del cloud computing nelle aziende: 20%, due punti percentuali in meno rispetto agli altri Paesi. Anche se c'è una forchetta piuttosto ampia tra le Pmi e le grandi imprese: una su due di quelle oltre il 250 impiegati usa soluzioni cloud. Percentuali simili anche per quanto riguarda l'uso di strumenti di analisi dei big data. Il freno maggiore nell'uso del cloud per le imprese italiane, spiega il rapporto, è dovuto per oltre il 40% delle imprese alle difficoltà nel cambiare il provider dei propri servizi internet. Circa il 20% delle imprese italiane ha denunciato problemi di sicurezza nei propri sistemi digitali, percentuale che sale al 35% se si considerano le imprese con oltre 250 impiegati.

Molti registrano attacchi informatici, ma molti vanno nel 'deep web'

Il 20% degli utenti italiani ha registrato problemi relativi ad attacchi informatici e, più in generale, problemi di sicurezza su internet. La percentuale arriva a 30 tra gli italiani con un livello di scolarizzazione superiore. L'Italia, d'altro canto, rimane con la Grecia, l'Ungheria e il Portogallo tra le nazioni dove i cittadini si sentono meno informati sui rischi della sicurezza informatica e sul cybercrime, carenza di informazione che li porta a non fidarsi troppo dei servizi molto diffusi nel resto dei paesi come l'home banking e l'ecommerce (Il Corriere della Sera).

Eppure, quasi come paradosso, l'Italia è tra i Paesi che più utilizzano il deep web insieme a Stati Uniti, Germania, Iran Francia Corea e Russia. Sono questi i paesi dove si fa più accesso alla rete Tor, un network che consente di navigare in anonimato in rete. Il Tor, acronimo che sta per The Onion Router, è un sistema di comunicazione anonima per internet, che consente agli utenti di navigare senza che i loro dati e i loro movimenti online siano tracciati.

L'uso di Internet tra la popolazione

Otto persone su 10 usano internet in media fra i 35 Paesi dell'area Ocse. Percentuale che scende di quasi 10 punti se guardiamo all'Italia, dove però circa il 90% dei cittadini sotto i 24 anni lo usa regolarmente, contro un 60% di popolazione tra i 55 e i 74 anni che non lo utilizza affatto.  Per quanto riguarda la popolazione più giovane, va detto che l'Italia è tra i pochissimi paesi a non raggiungere il 100% della distribuzione di Internet tra gli under 24. Solo un terzo della popolazione italiana invece usa soluzioni legate al cloud computing, mentre l'8% ha partecipato ad un corso online, a fronte di una media del 10%.

Su un dato siamo assoluto fanalino di coda. L'uso di Internet, in generale, per attività come mandare e ricevere email, o cercare informazioni e usare la rete per lavoro. Lo fa un norvegese su due, e un italiano su cinque. Gli italiani sono i lavoratori quindi che usano meno internet tra i Paesi sviluppati. Quasi la metà esatta della media Ocse, che è del 40% (Il Sole 24 Ore, Milano Finanza)

Agi News

Perché in Italia Internet non decolla mai? 

C'è una classifica che annualmente racconta lo stato di digitalizzazione dei Paesi dell'Unione europea. Lo fa dal 2014. La cosideriamo una classifica che riguarda Internet, il digitale, le nuove tecnologie. Ma se la leggiamo bene ci racconta molto di più. Dentro c'è una fotografia delle nazioni dell'Europa a 28. E dell'Italia. Dei suoi cittadini, delle loro abitudini, della loro capacità di abbracciare il cambiamento. Ci racconta della sua economia. Come innova, quanto. Ci racconta chi guarda al futuro, e chi continua ad averne paura. 

La classifica è data dall'Indice Desi (Digital Economic and Society Index). E l'Italia nel 2016 è rimasta al 25esimo posto. Stessa posizione dello scorso anno. E sempre fanalino di coda, davanti solo alla Grecia, alla Romania e alla Bulgaria. E' rimasta lì nonostante siano stati registrati buoni cambiamenti sulle infrastrutture, nella pubblica amministrazione, in alcune fasi della produzione di beni e servizi, un po' più digitali. Cambiamenti che non bastano a colmare la distanza con gli altri Paesi. Che corrono, come corre l'Italia, ma di più. 

Dove l'Italia è migliorata nella digitalizzazione?

I parametri dell'indice Desi sono 5. Riguardano: 

  1. Connettività
  2. Capitale Umano
  3. Uso di Internet
  4. Integrazione dei servizi digitali
  5. Servizi pubblici digitali

1. Connettività

E' il primo parametro e riguarda gli aspetti infrastrutturali. Stando ai dati Desi, l'Italia ha compiuto progressi significativi grazie soprattutto al forte aumento della copertura delle reti a fibra ottica (23° posto dal 27° di un anno fa). Ma la diffusione della banda larga fissa è ancora bassa (25° posto), nonostante i prezzi siano diminuiti (rank 9, tra i più competitivi in Europa). E' il primo parametro dove emerge chiaramente il problema principale dell'Italia oggi. Il gap culturale. Anche se le infrastrutture tecnologiche migliorano, sono poco usate.

"Da sociologo mi sono occupato spesso di questo aspetto e la cosa più inquietante che è emersa durante alcune ricerche è che agli italiani pare che Internet non interessi come strumento di crescita economica o di semplificazione di alcuni aspetti del quotidiano. Non lo conoscono. E pare continuino a ignorarne le potenzialità", dice Gianni Dominici, direttore di Forum PA, commentando questo dato

2. Capitale umano

Se nel primo indicatore il problema del gap culturale era accennato, qui emerge in tutta la sua potenza. Gli utenti di internet in Italia aumentano, è vero, ma sono tra gli utlimi in Europa per competenze digitali. Anzi, da questo punto di vista siamo peggiorati (da 24° a 25°). Perché negli altri Paesi le competenze digitali stanno diventando più radicate che da noi.

 "Quello del gap culturale dell'Italia è il problema vero. Il ritardo culturale è il più difficile da colmare e si riflette nel basso numero di laureati in materie tecniche e scientifiche. I dati Desi fotografano un Paese che ha molta difficoltà ad abbracciare l'innovazione", spiega Roberto Viola, direttore generale di Dg Connect, organo della Commissione europea per lo sviluppo del mercato digitale unico europeo, "mancano i laureati in materie scientifiche, siamo molto indietro a Paesi come la Spagna che stanno correndo tantissimo. E se perdiamo terreno su questo punto c'è poco da fare". 

3. Uso di Internet 

Qui le cose, se possibile, peggiorano. Siamo penultimi, e senza appello. Le attività online effettuate dagli internauti italiani sono di molto inferiori alla media dell'UE. L'Italia si colloca al 27° posto. Male nella fruizione delle notizie online (gli italiani leggono poco), male nell'utilizzo dell'home banking (i servizi online delle banche), male per gli acquisti online. Bene solo i social network, ma comunque al di sotto della media Europea.

Leggi: "La cosa che mi fa più rabbia? I soldi per colmare il gap digitale ci sono, ma non si usano"

 "L'indice Desi è fondamentale, ma non perché racconta la diffusione della tecnologia in un Paese. Il suo valore sta nel fatto di farci capire come l'Italia sta evolvendo dal punto di visto economico, culturale e sociale. E purtroppo anche quest'anno non ne siamo usciti per niente bene", spiega Dominici. "Gli italiani continuano a non capire il valore del digitale e come può aiutarli a migliorare alcuni aspetti del quotidiano, come pagare le bollette, i servizi finanziari, gli acquisti".

4. Integrazione delle tecnologie digitali

Forse il migliore punteggio in assoluto per l'Italia. Riguarda la digitalizzazione delle imprese e il Paese sta colmando le differenze con l'Europa in questo settore più che in altri. E con ottimi risultati. Le imprese che utilizzano la fatturazione elettronica sono il 30%, percentuale di molto superiore alla media dell'UE (18%).

Le PMI tuttavia ricorrono raramente ai canali di vendita elettronici (e-commerce). Il dato lo spiega bene Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale, che racconta come si stia avviando con successo  "un percorso lungo e complesso. L'Italia sta ridisegnando con il digitale l'economia del Paese. Serve la spinta dei vertici, delle grandi industrie, e delle istituzioni. E' uno sforzo sistemico enorme che è necessario fare. Stiamo incontrando molte piccole e medie imprese per raccontare le potenzialità del digitale offerte dal Piano Industria 4.0."

Leggi anche: "C'è una via italiana alla digitalizzazione,

ma dobbiamo percorrerla adesso"

Un'operazione che sta contribuendo a digitalizzare la base produttiva del Paese. "Molte di loro si meravigliano quando spieghiamo le potenzialità dell'e-commerce (dove l'Italia ha perso posizioni in classifica rispetto agli altri Paesi europei, ndr), del disegno digitale per i prodotti industriali", conclude Catania. "La vera forza della piccola e media impresa in Italia è stata sempre la sua capacità di inventiva. E può aumentare con il digitale. Portare l'innovazione nelle pmi e nei distretti industriali è una sfida enorme, ma credo sia l'unica via italiana alla digitalizzazione".

5. Servizi Pubblici digitali

Inseriamo in questo indice il successo maggiore di questa classifica. L'utilizzo della fatturazione elettronica. Perché muove proprio da una scelta, quella dell'Agenzia per l'Italia Digitale, di usarlo come unico mezzo di fatturazione per le aziende che lavorano con la Pubblica amministrazione. In realtà però in questo indice  l'Italia registra buoni risultati per quanto riguarda l'erogazione online dei servizi pubblici (completamento di servizi online) e i dati aperti (open data).

Eppure presenta uno dei livelli più bassi di utilizzo dei servizi di e-government in Europa. Se i servizi pubblici digitali ancora stentano, l'Italia è al top per la diffusione della cultura dei dati aperti. 

L'incredibile successo della fattura elettronica, spiegato

Abbiamo detto che è il maggiore successo dell'Italia in questa classifica. Siamo quinti. Quasi sul podio, per decimali. Il motivo è nella scelta di obbligare le aziende che lavorano con la pubblica amministrazione a fatturare per via telematica. Il direttore di Agid, Antonio Samaritani, spiega il motivo del successo e perché potrebbe diventare una prassi consueta per forzare la digitalizzazione del Paese.

"Lo switch off completo ci ha portato a questo risultato: è vero e non possiamo non tenere in considerazione questo aspetto. Ma da solo, introdurre l’obbligo di fatturazione elettronica non basta: quello che è servito è creare anche delle piattaforme di facile utilizzo che aiutino le persone a capire che in effetti con gli strumenti digitali rappresentino una semplificazione".

Leggi: "Perché la fatturazione elettronica diventerà il nostro modello"

Lo stesso sarà fatto quest'anno per Spid e pagamenti digitali. "Per similitudine stiamo facendo lo stesso nel 2017, quando introdurremo l’obbligo per l'identità digitale (Spid, ndr) e i pagamenti digitali alla pubblica amministrazione. Sono convinto che la prossima classifica Desi premierà anche questa azione”.

Perché l'Italia oggi si trova a dover recuperare un gap tecnologico 

Per capirlo dobbiamo considerare due aspetti. 

Uno è macroenomico. Dalla classifica si vede chiaramente che i Paesi che stanno facendo meglio con il digitale sono anche quelli che sono usciti prima e meglio dalla crisi come Germania, Francia e Spagna. "Il motivo è che crescita economica e crescita della diffusione del digitale sono aspetti di uno stesso fenomeno. Crescono di più i Paesi che investono in innovazione e che hanno aziende che investono in ricerca e sviluppo", spiega Roberto Viola. Il digitale è una rivoluzione che sta attraversando l'industria, costretta a ripensarsi. Ma senza investimenti e un'operazione forte delle istituzioni e dei rappresentanti degli industriali, come ha spiegato Catani, poco si può fare. 

Leggi: "Come si è creato il gap digitale dell'Italia"

Il secondo è più infrastrutturale. "L'Italia sconta anche un 'peccato originale' sui ritardi del digitale, dovuto alla mancanza delle infrastrutture della televisione via cavo – spiega ancora Viola – quelle che poi negli altri Paesi sono diventate il mezzo di diffusione di Internet veloce. In Italia il predominio della tv via etere lo scontiamo ancora oggi". Una serie di ritardi, di cui è stata complice la miopia di molti governi degli ultimi 20 anni, che oggi sta esplodendo. Con ripercussioni sulla società, sulla sua capacità di capire, accettare, abbracciare il cambiamento tecnologico. Una resposabilità politica, nel suo senso più ampio e nobile.

@arcangelorociola

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