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Martedì si decide sulla revoca ad Aspi. Mion: “Dall’azienda proposta seria ma non sono ottimista” 

AGI – Autostrade per l’Italia ha mandato la sua proposta al governo che avrà tre giorni per analizzarla nel dettaglio e poi, martedì prossimo, prendere una decisione definitiva in Consiglio dei ministri. L’offerta è arrivata sul tavolo del governo che, dalle prime indicazioni, la considera “decisamente migliore” rispetto a quella inviata a inizio giugno.

Il premier Giuseppe Conte nei giorni scorsi aveva chiesto “una proposta vantaggiosa” per lo Stato e da quello che filtra dai primi approfondimenti pare che questa sia arrivata. Complessivamente la proposta di Aspi vale 11 miliardi (3,4 miliardi piu’ 7,5 miliardi di investimenti da piano).

Il governo punta a un taglio di almeno il 5% delle tariffe, a indennizzi a Genova, a maggiori controlli sulla rete, a un’accelerazione sugli investimenti, a una manutenzione straordinaria. A inizio mese Aspi aveva offerto 2,8 miliardi di euro. Ora la cifra dovrebbe essere quella chiesta dall’esecutivo di 3,4 miliardi.

C’è poi la questione della governance di Autostrade per l’Italia. Il governo in più di un’occasione ha chiesto ai Benetton di fare un passo indietro sul controllo della società (oggi Atlantia ha l’88% di Autostrade). Sembra che la holding sia disposta a scendere sotto il 50% non piu’ attraverso una cessione tout court della quota ma con un aumento di capitale pari a circa 3 miliardi di euro per fare entrare nell’azionariato delle “nuove” Autostrade, Cdp, F2i, Poste Vita e alcune casse previdenziali. Le risorse fresche permetterebbero inoltre alla società di fare quegli investimenti necessari ad ammodernare la rete. In questo modo, inoltre Atlantia non sarebbe costretta a vendere “sotto prezzo” Aspi che, a causa del decreto Milleproroghe, ha visto il proprio valore precipitare a causa del taglio dell’indennizzo da corrispondere in caso di revoca della concessione da 23 miliardi a 7.

La misura approvata a gennaio dal Governo – unita al debito di 10 miliardi di Aspi – ha rappresentato un notevole vulnus sia per la riduzione dell’indennizzo ma anche perche’, di fatto, ha reso impossibile il finanziamento sul mercato a causa dei downgrade delle agenzie di rating.

Se tutte le caselle andranno al loro posto e se il Cdm martedì darà il via libera all’accordo il passo successivo sarà quello della messa a punto della governance della nuova società. In caso contrario la revoca sarà l’unica strada percorribile. 

Mion: “Proposta seria”

Da parte di Autostrade per l’Italia e Atlantia è arrivata al governo “una proposta seria” per chiudere la partita legata al futuro della concessione di Aspi, ma “non sono ottimista”. A dirlo all’AGI è Gianni Mion, presidente di Edizione, la holding della famiglia Benetton che è il primo azionista di Atlantia. I due gruppi, ha tenuto a sottolineare il manager, “hanno fatto un grande sforzo, anche professionale”; ora “non resta che aspettare”.

Barbara Lezzi: “Benetton fuori”

Per la senatrice M5s Barbara Lezzi il governo deve rifiutare la proposta di Aspi ed è “doveroso” che sia resa nota la posizione che prenderà ciascun ministro in Cdm martedì. “È stato molto chiaro il presidente Conte l’altro giorno quando ha parlato di Autostrade per l’Italia: ‘O arriva una proposta irrinunciabile da Aspi nelle prossime ore oppure il governo procedera’ con la revoca della concessione sulla rete autostradale'”, premette l’ex ministro per il Sud, in un lungo post su Facebook.

“La proposta è arrivata e prevede una diminuzione della partecipazione dei Benetton nella società e qualche promessa su investimenti e calo dei pedaggi”, continua Lezzi. “È una proposta alla quale il governo deve rinunciare per i motivi arcinoti che hanno causato il crollo del Ponte Morandi e la morte di 43 persone ma anche per comportamenti successivi alla strage”. In primo luogo, elenca, “i Benetton hanno presentato un esposto perché sono stati esclusi dalla ricostruzione del Ponte. In attesa della sentenza, hanno sempre e solo alzato la posta. Solo quando la Consulta ha sentenziato a favore di quella scelta di esclusione, hanno abbassato le penne”.

Della Vedova: “No a nazionalizzazioni”

“Conte orientato alla nazionalizzazione di Autostrade. Avrà un progetto industriale: piu’ efficienza nella gestione e risparmi per i contribuenti? No: la solita paura del populismo M5S che chiede vendetta e minaccia la crisi. Si nazionalizza ideologicamente, cosi’, alla venezuelana”. Lo scrive su Twitter il segretario di Piu’ Europa, Benedetto Della Vedova.

Boschi: “Revoca può danneggiare interesse dei cittadini”

“Stiamo cercando di portare un po’ di buonsenso e di ragionevolezza nelle discussioni dentro il Governo sulle concessioni autostradali, come su mille altri argomenti. Noi crediamo che si debba guardare anzitutto all’interesse dei cittadini. Chi ha sbagliato deve pagare e sono i tribunali a doverlo stabilire. Noi dobbiamo garantire ai cittadini che i servizi siano di qualità, quindi garantire che sulle reti autostradali ci sia manutenzione, ci siano investimenti e salvaguardare i posti di lavoro”. Lo ha detto Maria Elena Boschi, capogruppo di Italia Viva alla Camera nella giornata di sabato.

 

Agi

Non solo Fed, chi decide davvero il costo del denaro

Roma – Come previsto, la Federal Reserve ha aumentato i tassi di interesse di un quarto di punto, portandoli allo 0,75%. La presidente della banca centrale Usa, Janet Yellen, ha poi annunciato in conferenza stampa che nel 2017 dovrebbero essere effettuate altre tre strette, che porterebbero il costo del denaro all'1,5% alla fine del prossimo anno. Si tratta di un attestato di fiducia nei confronti dell'economia americana, che continua a espandersi a ritmi che molti Paesi europei possono solo sognarsi e gode di un mercato del lavoro in salute robusta.

Il discorso di Janet Yellen

Si tratta del secondo rialzo dopo quello del dicembre 2015, che aveva posto fine alla lunga epoca di tassi prossimi allo zero avviata dal predecessore di Yellen, Ben Bernanke, per risollevare la maggiore economia mondiale dalle secche di una devastante crisi finanziaria. Le banche centrali non hanno però la bacchetta magica e, soprattutto in un contesto come quello americano, con regolamentazioni molto meno rigide rispetto a quelle europee, le banche e le forze del mercato hanno un ruolo tutt'altro che secondario nello stabilire il costo del denaro effettivo.

Il Fomc, cuore direzionale della Fed

Ad assumere in concreto le decisioni sulla politica monetaria Usa è il Federal Open Market Committee (Fomc), che si riunisce otto volte all'anno a intervalli di circa sei settimane da un direttivo all'altro. Il Fomc è composto da dodici membri: i sette componenti del board della Federal Reserve e cinque tra i dodici presidenti delle banche che sovraintendono ai rispettivi distretti federali. A parte il presidente della Federal Reserve di New York, che ha sempre diritto di voto, gli altri quattro hanno un mandato di un anno, a rotazione. I sette restanti presidenti distrettuali partecipano comunque alle riunioni del Fomc, pur senza poterne votare le decisioni, che vengono prese a maggioranza.

Il tasso nominale non è quello effettivo

Il principale strumento di politica monetaria della Federal Reserve è il 'Fed Fund Rate', ovvero il tasso di interesse medio al quale le banche e gli altri operatori finanziari statunitensi si prestano denaro a vicenda nelle operazioni 'overnight'. Ciò significa che non è la banca centrale ma il mercato a stabilire il tasso di interesse effettivo: la Fed ne fissa uno di riferimento e poi interviene sul mercato, drenando o iniettando liquidità, per assicurarsi che il tasso effettivo corrisponda il più possibile a quello nominale. Proprio per questo i 'Fed Funds Rate' non corrispondono a un numero secco ma a una 'forchetta'. Tecnicamente, nelle scorse ore la Fed non ha portato il costo del denaro dallo 0,5% allo 0,75% ma da una forchetta tra lo 0,25% e lo 0,5% a una tra lo 0,5% e lo 0,75%.

Le 'Repo' e le 'Reverse Repo'

Come detto, per assicurare che il tasso di interesse sul mercato corrisponda il più possibile a quello nominale deciso dal Fomc, la Federal Reserve interviene sul mercato con operazioni che hanno lo scopo di aumentare ('Repo') o ridurre ('Reverse Repo') la liquidità in circolazione nel sistema. Nelle operazioni di 'Repo', attuate quando si abbassa il 'Fed Funds Rate', gli istituti di credito concorrono in un'asta per aggiudicarsi prestiti dalla banca centrale. Nel caso di un rialzo dei tassi si effettua, invece, una 'Reverse Repo', ovvero è la banca centrale che chiede soldi in prestito agli istituti, che concorrono sul tasso al quale offrirli alla banca centrale ricevendo un collaterale, di solito un titolo di Stato. E' quindi evidente quanto il mercato abbia un ruolo fondamentale nel corretto funzionamento della politica monetaria americana. Lo scorso dicembre la Fed aveva fissato allo 0,25% il tasso di riferimento per le operazioni di 'Reverse Repo' e aveva messo a disposizione come collaterali titoli del Tesoro per circa 2 mila miliardi di dollari.

Lo 'Ioer' e le riserve in eccesso

Un altro importante strumento che la Federal Reserve usa per regolare la quantità di liquidi in circolazione nel sistema (che influenza il costo del denaro in virtù del gioco della domanda e dell'offerta) è lo 'Ioer', ovvero 'Interest Rate on Excess Reserve', il tasso di interesse sulle riserve in eccesso, che fu portato allo 0,5% lo scorso dicembre. Si tratta del rendimento che le banche pagano per "parcheggiare" le riserve in eccesso (ovvero superiori al minimo stabilito dalle norme) presso la Federal Reserve Bank del loro distretto. Sulla carta ciò dovrebbe garantire che le banche prestino denaro a un tasso almeno superiore allo 'Ioer'. Un aumento dello 'Ioer' ha pertanto lo scopo di incoraggiare le banche a prestare denaro piuttosto che a tenerlo nelle casse della banca centrale.

Una pancia piena di titoli tossici

L'azione della Fed non si limita al solo orientamento del costo del denaro. Nel periodo immediatamente successivo all'esplosione della crisi dei mutui, innescata dal fallimento di Lehman Brothers nel settembre 2008, la banca centrale incamerò un'enorme quantità di quei titoli derivati, spesso 'spazzatura' (non importa quanto bene fossero valutati dalle agenzie di rating), che avevano causato il terremoto sui mercati, rastrellandoli dai bilanci delle banche. Vale quindi la pena di sottolineare la frasetta che da anni conclude i comunicati della Fed: "Verrà mantenuta la politica attuale di reinvestire i pagamenti delle obbligazioni e dei titoli garantiti da mutui in attività analoghe". Tradotto in soldoni: l'enorme quantità di bond societari, cartolarizzazioni e titoli tossici finiti in pancia alla Fed ai tempi dei salvataggi bancari è destinata a restare dov'è ancora per parecchio tempo.

 

Per approfondire:

Agi News