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Crollano le prenotazioni ma l’Italia resta la meta più ambita

Crollano ovunque le prenotazioni aeroportuali per l’estate ma l’Italia resta comunque la meta più ambita. Lo afferma l’Enit, secondo cui si contano 407 mila prenotazioni (-68,5%), contro le 403 mila (-63,7%) della Spagna e le 358 mila della Francia (-66,3%).

“Le strutture ricettive – fa notare l’Enit – registrano una minore disponibilità di posti letto per il mese di giugno, un segnale che lascia ben sperare. E anche il prezzo medio delle camere in vendita sulle Ota (agenzie di viaggio online) che ha subito un calo generalizzato a febbraio e marzo, si sta risollevando in tutta Italia già in previsione del mese di giugno”.

L’analisi degli scenari economici a breve termine indica un recupero completo nel triennio: il turismo complessivamente avrà ripreso i volumi del 2019 e li supererà con un totale di visitatori del +4% rispetto al 2019, trend dettato dal turismo domestico. 

Per quanto riguarda gli arrivi aeroportuali, l’ufficio Studi Enit ha rilevato un andamento ancora molto debole, con perdite dal 1° gennaio al 26 aprile del 63,4% rispetto allo stesso periodo del 2019 (che sale a -94,7% da marzo e aprile), proseguendo il trend di maggiore profondità di calo dovuto alla domanda internazionale fermata dalle restrizioni antivirus. Scendono gli arrivi dal mercato cinese allo -77,4% (valore massimo) e dagli Usa (-71,7%), contro il calo inferiore del -54,5% registrato dalla Russia.

L’ascolto social Enit evidenzia però come ci sia, nonostante il Covid, il desiderio di vacanze e la ricerca della parola turismo. Dal 18 marzo al 30 aprile, si contano un totale di 617,4 mila mention della Penisola – di cui 32,6 mila comparse sul web e 584,8 mila dai social – che hanno prodotto 186,4 milioni di interazioni, una campagna promozionale spontanee da 331 milioni di euro.

Nel corso delle ultime due settimane è cresciuta progressivamente l’incidenza percentuale delle citazioni che contengono riferimenti al tema “turismo”. Le reazioni dell’ultima settimana mostra 20.800 di gradimento, 3.700 di empatica tristezza, 1.400 di affetto e 1.300 di stupore. 

Agi

Perché Facebook e Twitter crollano nel momento migliore per l’economia americana

La metafora più utile forse è quella di Bloomberg: proprio come le banche devono liberarsi dei crediti deteriorati, così i social devono provvedere a liberarsi di bot e utenti falsi perché la loro presenza peggiora le performance di tutto l’ecosistema. E non solo non portano utili, ma rischiano di allontanare gli utenti reali. 

L’effetto di questa pulizia, necessaria dopo i tassi di crescita impressionanti degli ultimi anni, ha svelato più di qualche scheletro nell’armadio di Facebook e Twitter causando un crollo improvviso di valore (circa il 20%) da quando i social hanno pubblicato le loro trimestrali. Gli analisti sembrano concordare su un fatto, ed è sempre Bloomberg a spiegarlo: il crollo dei due titoli al Nasdaq è dovuto principalmente al fatto che gli investitori sembrano essersi resi conto che le aspettative sulla crescita degli utenti dei social in passato fossero gonfiate.

Che nessuno dopo l’ondata di crescita aveva previsto che le acque fossero mosse artificialmente, e che la risacca sarebbe stata improvvisa e dolorosa. E questo sta portando giù molti titoli del listino tecnologico legato alla internet economy.

I "big number" di Trump

Il paradosso è che questo arriva in un momento piuttosto positivo per l’economia americana. Ieri i “big number” del governo hanno visto Trump esultare per la crescita del 4,1% del Pil (La Repubblica). Cosa che non succedeva dal 2014. L’87% delle società dello Standard&Poor 500 ha pubblicato dati che superavano le più rosee aspettative degli analisti. Insomma mentre l’economia ‘reale’ galoppa e va meglio del previsto, quella legata ad alcuni aspetti del digitale frena. D’improvviso. Vittima un po’ di se stessa.

Facebook ha incolpato per il suo calo la Gdpr. Ma non basta solo la Gdpr a spiegare il calo degli utenti (qui abbiamo spiegato perché).

Il modello di Facebook e la difficoltà di trovare un'alternativa

Secondo quanto riportano i documenti più recenti consegnati da Facebook alla Security Exchange Commission (la Consob americana) il social guadagna per ogni utente circa 20 dollari netti l’anno, per profitti complessivi per circa 1.4 miliardi. I soldi che la società riesce a fare per ogni utente sono cresciuti poco nel corso degli anni, quindi l’unica speranza per aumentare i profitti è quella di aumentare il numero di utenti. Utenti falsi e bot hanno fatto crescere il numero ‘virtuale’ degli utenti, ma non quello reale, quello che porta i 20 dollari l'anno per intendersi.

Quando la commissione del Senato chiese in maniera un po’ ingenua lo scorso aprile a Mark Zuckerberg: “Ma Facebook come fa a fare i soldi?”, il fondatore rispose secco, quasi divertito: “We run ads”, con la pubblicità. Questa è stata la grande forza di Facebook, che rimane un colosso e piuttosto in salute, ma in questo momento potrebbe anche rivelarsi un freno. Al momento infatti Facebook non sembra aver trovato una via alternativa di crescita alla pubblicità. WhatsApp e il modello di “crescita per acquisizioni” ha fatto bene alla società ma non basta. Il resto sono tentativi o promesse, finora poco reali, come il marketplace o il sistema interno di pagamenti in criptovalute.

Twitter e l'esercito dei troll e propaganda

Twitter ha problemi analoghi: di modello di business, come si è detto più volte, e di crescita di utenti. Anche il social di Jack Dorsey ha dovuto fare i conti con le pulizie estive degli account falsi e troll, sulla scia dei meccanismi di propaganda che si sono sviluppati sulla piattaforma, forse in maniera anche più sfacciata rispetto Facebook. E il 20% perso ieri al Nasdaq è lo stesso sintomo di una malattia analoga. La crescita non avviene coi bot. E la sostenibilità non si raggiunge con gli account falsi.

L’era dei social network non è finita. Ma c'è da scommettere che nei prossimi mesi saranno costretti a cambiare rotta, e rapidamente.

Twitter: @arcangeloroc

 

Agi News

A luglio sale il fatturato delle industrie, ma crollano gli ordini

Roma – A luglio, rispetto al mese precedente, nell'industria si rileva un incremento del 2,1% per il fatturato, mentre gli ordinativi segnano una flessione (-10,8%) dovuta al risultato eccezionalmente elevato registrato nel mese di giugno (+14,3% rispetto a maggio) positivamente influenzato dal settore della cantieristica. Lo rileva l'Istat aggiungendo che l'aumento del fatturato è dovuto al positivo andamento del mercato interno (+3,2%), mentre il mercato estero è rimasto stabile.

Corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 21 contro i 23 di luglio 2015), il fatturato totale cala in termini tendenziali dello 0,7%, con un lieve aumento sul mercato interno (+0,2%) e una flessione su quello estero (-2,2%). Nel confronto con il mese di luglio 2015, l'indice grezzo degli ordinativi segna un calo dell'11,8%. L'incremento più rilevante si registra nei prodotti elettronici (+20,0%), mentre la flessione maggiore si osserva nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-35,6%) e in particolare nel settore della cantieristica. Nella media degli ultimi tre mesi, l'indice complessivo diminuisce dello 0,4% rispetto ai tre mesi precedenti (-0,2% per il fatturato interno e -0,9% per quello estero).

Gli indici destagionalizzati del fatturato segnano incrementi congiunturali per tutti i raggruppamenti principali di industrie, particolarmente rilevanti per i beni strumentali (+4,7%) e per l'energia (+3,8%). L'indice grezzo del fatturato cala, in termini tendenziali, del 6,7%: il contributo negativo più ampio viene dalla componente interna dei beni intermedi. Per il fatturato manifatturiero, l'incremento tendenziale più rilevante si registra nelle industrie tessili e dell'abbigliamento (+6,1%), mentre la maggiore diminuzione riguarda la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-15,3%). (AGI) 

Agi News